Hitler in gonnella
CAPITOLO PRIMO
Il rombo di una moto condotta a velocità folle da un
sergente dell’esercito elvetico ruppe la tradizionale quiete
dell’antica città situata sull’Aare. I radi passanti si giravano
stupiti a osservare con indignazione l’impudente che osava,
nelle primissime ore di quella tiepida giornata di agosto del
1984, disturbare il giusto riposo dei laboriosi cittadini della
capitale federale svizzera. Un vigile imperiosamente alzò il
braccio per fermano, ma il se.rgente, contrariamente a tutti
i principi di quell’ordinato paese, accelerò ancora di più il
suo rumoroso cavallo d’acciaio e a precipizio s’infilò nel
cortile del vetusto Palazzo del Governo.
Fu immediatamente attorniato da un nugolo di guardie e
costretto a viva forza a fermarsi. I pochi spettatori
sospirarono soddisfatti. Finalmente si sarebbe punito
quell’incivile, quel disturbatore della quiete pubblica,
quell’uomo indegno non solo di indossare la divisa
dell’esercito federale, ma anche di potersi considerare un
cittadino dell’ordinatissima e civilissima Svizzera.
Certamente un figlio degenere contaminato dai tanti
immigrati meridionali: italiani, greci, turchi!
Ma quell’essere abietto non fu tratto in catene, intorno a lui
fu fatto un rispettoso largo e un imponente capitano, che
sembrava anche lui improvvisamente infettato da quella
mancanza di compostezza caratteristica dei popoli inferiori,
lo condusse nella Federale, Adolf Hindenburg.
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Pochi minuti dopo la dignitosa Berna fu attraversata in
tutte le direzioni da motociclisti e automobilisti, alla guida
di lunghe limousine nere, che grande sala d’aspetto dello
studio privato del Presidente del Consiglio sembravano
letteralmente impazziti.
Che sconcio per la Confederazione! Molti cittadini si
precipitarono a telefonare alla polizia, altri si affacciarono
alle piccole finestre dei secolari palazzotti del centro e
osservarono stupiti e indignati quel movimento tanto
inconsueto nella loro città. Nemmeno i nonni ricordavano
una scena simile!
Finanche il custode della Torre dell’Orologio fece capolino
dal finestrino del tetto a punta. Sicuramente quei maledetti
immigrati stavano distruggendo definitivamente tutto il
buono della Federazione dei venticinque stati e dei
ventidue cantoni.
Il Presidente Hindenburg osservò uno per uno gli altri sei
membri del Consiglio Federale. Il lungo e asciutto Jacques
Boyer, rappresentante del cantone di Vaud, l’enorme e
panciuto Karl Beth del San Gallo, l’atletico e giovanile
Ludwig MiÀller del cantone di Zurigo, il piccolo e nervoso
René Bardot del Neuchàtel, il bell’Andrea Cimotti del Ticino
e il magro Kurt Hodler del Turgovia.
Tutti avevano il volto assonnato e recavano evidenti tracce
di una toilette affrettata: barbe non fatte, abiti stazzonati,
cravatte dal nodo imperfetto e un’espressione in cui la
meraviglia superava la preoccupazione.
«Signori», iniziò Hindenburg, «mi sono permesso di
contravvenire alle tradizioni di calma e compostezza che
caratterizzano il nostro paese e che lo hanno reso famoso e
rispettato nel mondo permettendoci di distinguerci da
nazioni isteriche come la Francia, violente come la
Germania, discontinue come gli Stati Uniti, categoriche
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come la Russia, disordinate e squilibrate come l’Italia per
comunicarvi delle notizie sconvolgenti che abbisognano di
una decisione ponderata, ma rapida».
I sei si guardaroro l’un l’altro e sicuramente pensarono che
il vecchio Hindenburg fosse improvvisamente impazzito.
Quando mai l’avevano visto così agitato, con i folti capelli
bianchi non accuratamente pettinati come al solito, ma alla
Einstein, la voce alta, le mani tremanti, le gambe che
trascinavano i piedi in un continuo movimento strisciante?
«No, non sono impazzito, ma potremmo impazzire tutti per
la notizia che mi accingo a darvi ...
«E la dia!», intervenne Andrea Cimotti.
«Sì. Pochi minuti fa un motociclista mi ha recato
dall’osservatorio dello Jungfrau questa lettera». Trasse un
foglio spiegazzato e incominciò a leggerlo con voce
altissima. «Signor presidente, ho l’onore di comunicarle che
nel nostro laboratorio nucleare di Eigergletscher abbiamo
messo a punto due grandi realizzazioni, il Cullonio 2000,
frutto di una scissione, e il raggio Kuta. Non desidero in
questa lettera, per ovvi motivi, dilungarmi sull’uno e
sull’altro, ma le basti sapere che il primo viene ricavato da
minerali che solo nel massiccio dello Jungfrau mi risulta sia
possibile trovarne in grandi quantità e quindi inaccessibile
ad altre nazioni. Il secondo, frutto di studi che partono dalla
stessa materia prima, può essere usato come una speciale
lente. Ambedue ci daranno il dominio assoluto e
incontrastato su tutte le nazioni del mondo! Desidero in
breve spiegarle il perché. Il cullonio 2000 e stato introdotto
in quei piccoli cilindri che ufficialmente servono per
esperimenti sulle radiazioni e che sono stati messi nei dieci
satelliti artificiali lanciati dalla nostra base e che coprono
con le loro traiettorie quasi tutta la superficie terrestre. In
effetti quei cilindri sono bombe nucleari con potenziale
Hitler in gonnella
enorme, di ben cento volte maggiore di ogni altra esistente
e che possiamo indirizzare dove vogliamo e in qualsiasi
momento. Il secondo ci permette di bloccare all’origine o di
far invertire la rotta di qualsiasi ogiva nucleare che dovesse
partire da ogni parte del mondo. Quindi capacità di
distruggere tutto quello che vogliamo e assoluta difesa del
nostro suolo.
‘Tutto è già pronto e nel momento stesso in cui leggerà
questa mia lettera, nulla potrà esser fatto contro di noi che
dovremo invece dettare al mondo la nostre condizioni di
predominio che avrà la funzione di mettervi ordine,
disciplina e finalmente una pace definitiva. Quello che non
seppero realizzare gli americani quando da soli
possedevano la bomba atomica, riusciremo sicuramente a
realizzarlo noi oggi.
‘Ma le dirò di più. Se i disastrosi cedimenti degli alleati e in
particolare dell’italia non avessero sottratto al geniale Adolf
Hitler il tempo necessario per realizzare l’avviato
programma nucleare, oggi il mondo vivrebbe in pace sotto
l’egemonia della grande Germania nazista. Questo lo dico
con l’orgoglio di chi ha sangue di quel grande uomo nelle
vene. Sì, sono la figlia che egli ebbe nel 1944 di cui solo
pochi fidati conoscevano l’esistenza e che fu piccolissima
affidata a quelli che risultano essere i miei genitori, i
coniugi Kubler di Zurigo. Sono certa che sarete orgogliosi
delle nuove grandezze che si schiudono per la nostra amata
patria e non farete alcuna difficoltà a ché il programma mio
e dei miei fidati collaboratori si realizzi.
‘Se così non dovesse essere, vi informo che ormai tutta la
zona da Interlaken allo Lòtschberg è sotto il nostro
controllo e che fedeli neonazisti, svizzeri e tedeschi, sono a
mia disposizione per la difesa della nostra roccaforte.
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Inoltre piccole bombe al cullonio 2000 possono essere
sganciate sulle principali città della Confederazione.
‘Vi attendo per le decisioni del caso a Eigergletscher entro
le quattordici di oggi, tre agosto 1984.
‘Viva la nostra grande patria neonazista!
‘Dottor Lili Hitler’».
Il vecchio depose la lettera con un gesto disperato.
«Ecco, signori, quanto ho ricevuto poco fa».
I sei consiglieri erano rimasti esterefatti, ma subito Boyer
rispose:
«Ma è una vera folle! Facciamola arrestare immediatamente”.
«E se fosse vero?”, intervenne con voce timorosa Cimotti.
«Certo, potrebbe essere», replicò Hindenburg. «Nessuno di
voi ignora la fama internazionale di cui la dottoressa Kubler
gode, le grandi realizzazioni sue e del suo staff, la posizione
che occupa a Ginevra in seno all’Euratom e la cattedra di
fisica nucleare che da ben quindici anni ha al Politecnico di
Zurigo».
«Ma sarà sicuramente impazzita. Se i russi e gli americani
non hanno ancora scoperto questo cullonio 2000 e il raggio
Kuta, come può averlo fatto lei?», ribadì Boyer.
«Signori, calma», intervenne Karl Beth. «I tedeschi e gli
svizzeri tedeschi non hanno nulla da invidiare come
intelligenza, capacità di studio e genio. Inoltre la
attrezzature del nostro centro nucleare non sono seconde a
nessun altro al mondo. Anzi tutti i competenti le giudicano
quanto di più avanzato esista. Non dimentichiamo gli
attestati di stima degli scienziati di tutto il mondo. E poi ...»
Un lampo di orgoglio illuminò il grosso viso. «... Se e
davvero la figlia di Hitler, ha sangue di genio nelle vene!».
«Anche tu sei un nazista», intervenne Bardot e fece per
lanciarglisi contro.
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In breve quella sala, per la prima volta in oltre un secolo di
calme, educate e civilissime conversazioni, si tramutò — o
ludibrio! — in una specie di parlamento latino: urla, pugni
battuti sul tavolo, tentativi di zuffa, epiteti dei peggiori
bassifondi.
Ma in definitiva i sette degni uomini non avevano la
resistenza di un Paietta o di un Almirante degli anni
Cinquanta e in breve crollarono esausti nei loro scanni.
Il vecchio Hindenburg, che si era tenuto fuori dalla mischia,
riprese il dominio della situazione. La sua voce risuonò
calma, nonostante la bianca criniera fosse passata dalla
forma alla Einstein a quella alla porcospino.
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CAPITOLO SECONDO
Nell’immensa sala dell’hotel Berghaus davanti alla grande
vetrata, unica separazione dall’immane abisso, i sette
membri del Consiglio Federale sedevano intimiditi mentre,
come foglie morte trasportate dal vento, numerose gracchie
emettevano il loro rauco suono. Tutto contribuiva a farli
sentire piccoli e sperduti. Come in un film dell’orrore, si
sentivano proiettati in un mondo ritenuto ormai
definitivamente tramontato. Labari e svastiche intrecciate
alla tradizionale croce svizzera di grandezze spropositate,
drappi neri, fasci Littori e gigantografie del defunto capo
del nazismo, dei suoi principali collaboratori, di Mussolini,
di Nietzsche e Rosenberg. Numerosissime copie del «Mein
Kampf» e de «Il mito del XX secolo», grandi scritte di
SVIZZERA UBER ALLES dominavano l’arredamento. Alti e
marziali giovani biondi dalla mascella d’acciaio, che
indossavano una divisa quasi identica a quella delle SS e
donnoni floridi e robusti che tanto assomigliavano alle
componenti della squadra di pallacanestro dell’Unione Sovietica
in completa tenuta nera, montavano la guardia
lungo tutte le pareti della sala. Armi modernissime
pendevano dalle loro cinture.
Improvvisamente una porta sul fondo venne spalancata e
una donna molto simile alla Marlene Dietrich dei suoi films
piu famosi comparve con un numeroso seguito.
Un fragoroso urlo rimbombò squarciando il pesante
silenzio e sommergendo il suono delle gracchie:
Hitler in gonnella
«Heil, Liii Hitler!».
I sette poveretti istintivamente balzarono in piedi. Era la
dottoressa Kubler, ma non più nei suoi panni consueti di
scienziata. Sembrava tutt’altra persona. Il volto già bello era
ora meraviglioso, l’atteggiamento deciso, l’andatura
marziale, lo sguardo ad inseguire mete altissime. Le lunghe
gambe fasciate da velatissime calze di seta spiccavano sotto
una minigonna nera. Il seno piccolo, ma sodo e ben fatto,
quasi a ricordare la pubblicità di una famosa marca di
reggiseni ricoperto da una sottile maglia di lana, spuntava
fra i baveri di una giacca anch’essa nera. Sembrava una
regina dei tempi antichi.
Guardò con evidente soddisfazione l’apparato e i suoi
seguaci e poi, accomodatasi dietro un lungo tavolo, fece
cenno ai convocati di sedersi. Li osservò attentamente uno
per uno con il suo sguardo penetrante e infine:
È questo un gran giorno per la nostra nazione e per il
mondo intero. Una nuova era sta per iniziare. Basta con le
guerre, basta con i contrasti. Noi, forti della nostra potenza,
edificheremo un mondo nuovo, con leggi nuove, con esseri
che si dovranno avvicinare alla perfezione a mezzo di un’accurata
selezione genetica e di un’educazione mentale
rigorosa.
«Questa sera, attraverso la televisione del nostro paese
collegata in mondovisione, la terra saprà della nostra
potenza e del suo destino ...
Bardot e Boyer stavano per intervenire, ma un imperioso
gesto della nuova Fuhrer li paralizzò.
«... Mi rendo conto della vostra perpiessità e dei vostri
dubbi sulla veridicità di quanto vi ho comunicato per
lettera. Ho pensato anche a questo. Contemporanemente
alla trasmissione televisiva avverranno due fatti che
Hitler in gonnella
convinceranno il mondo e voi che la nostra potenza è reale
e non frutto di una o più menti esaltate.
«Certamente saprete che i russi hanno in programma per
questa sera lo scoppio di una loro bomba nucleare in
Siberia. Ebbene, signori, tale scoppio sarà impedito contro
la loro volontà da qui, con un semplice abbassare di leva...
Un leggero mormorio di stupore percorse il gruppo dei
consiglieri, ma la Fùhrer non sembrò nemmeno
accorgersene e prosegui:
«... Solo dieci minuti dopo nel Pacifico scoppierà una nostra
bomba al cullonio 2000 a settemila metri di profondità per
non creare molti danni. Il primo e il secondo avvenimento
fugheranno ogni residua perplessità».
Li osservò con aria compiaciuta, poi: «Finalmente il nostro
piccolo paese potrà svolgere il vero ruolo al quale è
destinato. Già ora, praticamente sfornito delle armi che
davvero contano, esso svolge una funzione non secondaria.
Da oggi il nostro compito sarà quello di guidare il mondo».
Hodler e Beth scattarono in un improvviso:
«Viva Lili Hitler!”.
me, ma tutti lo dovranno essere. La Svizzera dovrà far
corpo unico con i miei seguaci che già sono ben più
numerosi di quanto possiate immaginare. Ho qui oltre 100
mila uomini a mia disposizione fra i 7 mila del laboratorio e
della centrale e gli oltre 90 mila che in veste di turisti
affollano Interlaken, Wengen, Grindelwald e tutta la zona
fino al Lòtschberg. Altri milioni converranno presto
principalmente dalla vicina Germania e dall’Austria dove la
fiaccola nazista non si è mai completamente spenta. Anche
àalfltaLia e dall’Ungheria fedeli fascisti e neofascisti sono
pronti ad un mio richiamo ...
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Il mento