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| L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:17 pm | |
| CAPITOLO XXVI A Roma cambiai treno e presi il letto per Parigi. Durante tutto il tragitto da Napoli avevo ricordato quei dieci vertigi- nosi giorni che avevano preceduto la partenza. I colloqui, le telefonate a Garofani e Buonacasa, che si erano dimostrati veramente comprensivi e amici, le intense e indispensabili visite a clienti con il fidato Artini al seguito che sarebbe ri- masto a collaborarmi, il licenziamento di Magistrati, forse più capace, ma anche più infido. Le raccomandazioni ad Anna di inviarmi per posta tutte le lettere più importanti e il tener nascosto a tutti quella mia lunghissima assenza, ma mascherarla con miei continui e brevi viaggi di lavoro. Le visite al parroco e al comune per "dare parola", necessaria premessa al matrimonio programmato per un giorno anco- ra non precisato di settembre. Il consuntivo e la program- mazione economica per la mia azienda che si riduceva a due persone presenti a Napoli e a me che avrei diretto il tut- to così da lontano. Ero preoccupato e mi sentivo pieno di responsabilità, ma a Roma avvenne il miracolo. Cosa mi importava di tutto? La CondizionalAcustica e la SOFIRI mi avrebbero sicura- mente atteso e la Ricci con le altre del settore macchine po' teva anche protestare il contratto. Che danno ne avrei avu- to? Ormai la prima aveva assolto al suo compito. Non avevo ampiamente dimostrato in quei mesi di valere e parecchio e ben al di là di quanto io stesso mi aspettassi? E allora? Ep- poi sarei tornato con ben altra qualificazione. Il futuro, e 259 un futuro enormemente più prestigioso, era assicurato. Dimenticai tutto. Avrei visto Parigi e Londra e avrei cono- sciuto tanta altra gente. Avrei fatto nuove esperienze e avrei realizzato quello che mi proponevo. L'indipendenza dai miei, ora non solo finanziaria ma anche fisica, e il ma- trimonio. Che volevo di più? Il sonno fu lungo e tranquillo. Il rumore delle ruote sui binari e il dondolio ritmico mi cullavano. Mi svegliai in gran forma. Ero già in Francia. Il treno correva fra campa- gne fertili e ben curate. In lontananza vedevo strade larghe e pianeggianti. La giornata era calda, il cielo leggermente coperto. Mi vestii e mi trasferii nella vettura ristorante do- ve consumai una gustosa prima colazione. Il personale era francese e io non conoscevo quella lingua, ma notai con pia- cere che riuscivo lo stesso a farmi intendere con l'aiuto di un piccolo prontuario, o parlando inglese o accentando sull'ultima sillaba le parole italiane. Poi finalmente i sobborghi della grande città, la capitale dell'ex impero napoleonico. Cercai di scorgere la Torre Eif- fel che ero certo si dovesse vedere, con i suoi trecento metri di altezza, da ogni parte, ma non vi riuscii. Forse non mi rendevo conto che Parigi non è Napoli, ne Roma, ne Milano, ma di tanto più estesa. Il treno si fermò alla Gare de Lyon. Che brutta stazione e che piazza triste! Che differenza con quella di Roma! Ma ero a Parigi. Ero lontano da casa e dalle preoccupazioni che avevo scaricato tutte a Roma. Come mi sentivo bene, forte e giovane e che desiderio di donne! Ero in Francia e le france- si erano note in tutto il mondo per la loro avvenenza e la lo- ro-disponibilità. Mi guardai intorno alla ricerca di belle ra- gazze, ma per la verità quelle che vidi erano perlomeno de- ludenti. Presi un taxi e mi feci condurre all'ufficio della CIT in Boulevard des Italiennes. Le strade erano immense, pie- ne di traffico e di pedoni. Meganegozi con vistose insegne e ricchi di colori. Com'è più colorata la Francia dell'Italia. Da noi predominano tinte tradizionali e toni tenui. Qui un grande uso di giallo, rosso e blu. 260 All'ufficio della CIT, spazioso e frequentatissimo con del- le graziose hostess in divisa blu, mi indicarono un albergo gestito da italiani il cui costo non era eccessivo. Con un al- tro taxi, attraversando Piace de l'Opera con il monumenta- le teatro, imboccammo una via sterminata, Rue de La Fayette e dopo un paio di chilometri svoltammo a sinistra in un piccolo largo dove vi era l'hotel Bouden. La stanza era antica e piuttosto modesta, ma accogliente e con un lettone monumentale. Mi ci gettai sopra e, in un eccesso di entusia- smo, ci rimbalzai più volte. Mi sembrava di essere tornato bambino, ma non erano certo da bambino le idee che mi procurò. Come era comodo e come ci si doveva fare bene l'amore. Certo i francesi hanno posto particolare attenzio- ne ai loro letti. Devono essere quanto di meglio può esistere per fare l'amore tante e tante volte. Guardai l'orologio. "Perbacco pazzo! Debbo telefonare alla Goubeline. È quasi ora di chiusura". Chiamai e chiesi del dottor Rossini. Questi, mi avevano informato da Milano, doveva assistermi durante il mio sog- giorno. Il centralino, il passaggio da ufficio a ufficio, segre- tarie e funzionari, scatti continui delle tante linee interne mi diedero subito l'idea di ufficio colossale. Infine una voce con un accento veneto. Era Rossini. Fu gentilissimo, forse anche troppo. Mi disse che sarebbe venuto a prendermi di lì a un'ora. Era un pezzo d'uomo nerboruto e alto con un volto da bambino e una cortesia quasi servile. In un fiume di com- plimenti, mi fece salire nella sua comoda Citroen e mi con- dusse a casa sua, in una palazzina dalle tinte vivacissime che si trovava in una strada dalla quale si scorgeva il Bois de Boulogne, il grande parco di Parigi. Sulla soglia fui rice- vuto da una donna giovane, non particolarmente bella, con un volto illuminato da un enigmatico sorriso. Era sul tipo Juliette Greco e si chiamava Josephine. Era nata a Parigi, ma da genitori italiani e parlava la nostra lingua in modo quasi perfetto. A cena i due mi raccontarono tutto di loro. Paolo Rossini 261 era nato a Padova, era divenuto funzionario della Van Gogh e poi era stato trasferito a Parigi alla Goubeline da ormai sei anni. Si occupava dei collegamenti fra le due società. Da cinque anni aveva sposato la ventottenne Josephine. Non avevano avuto figli. Josephine era stata segretaria presso studi legali, ma ormai da quattro anni, da quando Paolo guadagnava di più, eseguiva solo qualche lavoro di dattilo- grafia a casa. Sia l'uno che l'altra volevano assolutamente che io fossi ospite loro durante il mio soggiorno parigino. Non volevo. Desideravo rimanere libero. La mia ansia di libertà era sempre più forte. Cercai disperatamente di far- glielo capire, ma i due insistevano con energia ed io con al- trettanta energia, cercando di non offendere la loro sensibi- lità, feci di tutto per far comprendere loro il mio punto di vista. Stavo per spuntarla quando la lunga, curatissima e sensuale mano di Josephine mi carezzò il volto con dolcez- za e calore. "Vuole forse offendermi? Tutti gli amici di Paolo sono anche i miei e tutti sono stati ospiti qui. Rimanga, su, Gian- ni". Gli occhi neri mi fissavano come se volessero penetrarmi nel cervello, nel cuore, nelle budella e contemporaneamen- te una lunga gamba si fregò contro la mia. Subito mi ecci- tai. Era una parigina che me lo chiedeva e in quel modo! Accettai e programmammo che la sera successiva avrei trasferito i miei bagagli dal Bouden a casa loro. Dopo cena mi portarono in giro per Parigi e la "Ville Lu- mière" mi conquistò subito. Quante luci, che strade immen- se, che piazze, che sensazione di Metropoli! Piace de la Con- corde con il Louvre e l'Obelisco, la Madeleine, gli Champs Elysées, l'Arco di Trionfo, la Senna, Piace Venderne, Pigalle illuminatissima con le decine di locali, i Caffè, i meraviglio- si Caffè di Parigi, frequentatissimi fino a tarda notte. Ero ubriaco di luci e di movimento, ma non notai donne parti- colarmente belle. Però Josephine che sedeva tra me e il ma- rito era morbida, calda e forse disponibile. Era in stretto contatto con me. Mi toccava e accarezzava con il marito 262. presente. Forse così si usa a Parigi, chissà! Rossini venne a prendermi al Bouden e mi condusse alla Goubeline che occupava un intero grattacielo nei sobbor- ghi di Parigi. Se gli uffici della Van Gogh mi avevano fatto una grande impressione, quelli della Goubeline erano l'im- magine evidente della colossalità. Migliala di impiegati, sa- le smisurate, uso senza risparmio di alluminio, di doghe, controsoffittature, plafoniere; condotti per aria condizio- nata, centinaia dì tavoli da disegno, la sala delle telescri- venti, dirigenti di fronte ai quali i nostri facevano la figura di impiegatucci e dovunque ricchezza ed efficienza. Ma an- cor più della sede mi impressionò lo stabilimento, stermi- nato quasi quanto quello della FIAT a Torino e particolar- mente il settore destinato a laboratori e studi che occupava da solo oltre diecimila metri quadrati e cosa vidi e cosa mi illustrarono! Le fibre di vetro sembravano appartenere alla preistoria; poliuretani espansi, fibre di amianto, particola- ri polistiroli espansi a coefficiente di conducibilità estre- mamente bassi ottenuti a mezzo di speciali estrusioni. Pic- cole case coibentate in un habitat dove erano procurate ar- tificialmente tutte le possibili condizioni climatiche, rumo- ri aerei e di percussione, soluzioni speciali per impianti idraulici e strutture in cemento armato, pannelli fonoas- sorbenti con particolari doti di esteticità e tutto ciò solo al- lo stato sperimentale. Forse sarebbero stati immessi in commercio dopo anni o addirittura mai. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:18 pm | |
| Conobbi gli altri cinque borsisti e mi accorsi con piacere che ero il più giovane e l'unico che non era ancora laureato. L'insegnante era francese, ma ognuno di noi aveva a dispo- sizione una tràduttrice simultanea. L'altro italiano era un ingegnere torinese di oltre trent'anni che aveva frequentato la Normale di Pisa. Sembrava un topo di biblioteca, ma non riusciva ad emergere sugli altri e nemmeno su di me. Certa- mente non mi sentivo più il dominatore come lo ero stato nei dieci giorni di Milano nei confronti di quei poveri corsi- sti affidati a Sassi, ma nemmeno l'ultimo. Quante cose im- parai in quei giorni, e dire che non mi trovavo in quella con- 263 dizione ascetica che i dieci giorni milanesi mi avevano pro- curato. Parigi e Josephine me lo impedivano. Quasi ogni sera i coniugi Rossini mi portavano fuori. Co- nobbi il Lido, con il suo fantasmagorico spettacolo, il Mou- lin Rouge, con una rivista giapponese, il Casino de Pans con Line Renaud, il fantastico Crazy Horse con i suoi spo- gliarelli artistici, il Sex Appeal, la Nouvelle Ève, gli Apa- ches e il Can Can. Mi portarono a visitare di domenica Ver- sailles che non mi impressionò più della Reggia di Caserta e il Louvre, con i suoi tesori d'arte e la zona riservata agli Im- pressionisti. Ricordai che Parigi dal 1880 al 1940 aveva co- stituito il centro mondiale dell'arte visiva. Tutti i più gran- di pittori vi erano confluiti, da Picasso a Braque, da De Chi- rico a Mondrian, dai dadaisti ai surrealisti. Ma quello che mi sorprese di più fu il comportamento di Josephine. Questa parigina, dopo i primi giorni nei quali si era limi- tata e essere cortese e affettuosa con me, a darmi bacetti amichevoli, abbracci e carezze, una notte scivolò nel mio letto e mi costrinse quasi a forza a fare l'amore con lei. La mia camera era adiacente a quella dove dormiva la coppia e io le chiesi preoccupato se il marito potesse sentire. Lei, con un sorriso mefistofelico, mi disse di stare tranquillo. Paolo aveva il sonno duro. Non avrebbe sentito e poi, anche se ciò fosse avvenuto, cosa importava? Come cosa importa- va! È vero che eravamo in Francia, ma il troppo era troppo eppoi quei due erano in definitiva italiani! Dopo quella notte, Josephine per tutte le altre prese l'abi- tudine di venire a trascorrere un'ora o due da me e faceva- mo follemente l'amore. Lei, ed anche io, eravamo insaziabi- li. Non avevo mai conosciuto un'amante così calda ed esperta, ma era anche saggia e cosciente che io ero lì per un corso di studi impegnativo, per cui a un certo momento mi diceva: "Basta, amore, pensa ai tuoi studi". Era un soggiorno bellissimo e di pieno appagamento sot- to tutti i punti di vista, ma un giorno avvenne una cosa che mi sconvolse! 264 Era di domenica pomeriggio ed io, seguendo il suggeri- mento di Paolo, mi ero recato a riposare nella mia stanza. A un certo momento la porta si aprì ed entrò Josephine in ca- micia da notte tutta veli e trasparenze. Si infilò nel letto e, alle mie obiezioni sulla presenza di Paolo che stava sveglio a vedere la televisione, lei rispose: "Gianni, ma ancora non hai capito?" "Cosa?" . . „. "Che io faccio quello che voglio con i miei amici e quelli di Paolo". . "Sì, questo l'ho capito, ma lui non lo sa. E un uomo mo- derno che forse si fida della sua compagna". Mi guardò con un senso di superiorità affettuosa, mi sor- rise e mi costrinse ad alzarmi e a seguirla nella stanza vici- na, quella matrimoniale. Qui, da una specie di quadro, si poteva vedere il mio letto. Sembrava come in un film poli- ziesco. In corrispondenza, nella mia stanza vi era uno spec- chio. Ero stupito e mortificato e non sapevo più cosa pensa- re. Josephine aggiunse: "Non ti sei mai chiesto perché ho voluto fare l'amore sempre con la luce accesa?" "Pensavo che preferissi così". "Anche, ma la ragione ora la puoi capire". "Vuoi dire che Paolo guardava?" "Certo, a lui piace così. Guarda, si eccita e poi facciamo l'amore". "E a tè piace?" "Perché no. Sono stata io che l'ho spinto a tare cosi . Mi trasse con la mano verso il salotto. Eravamo entrambi quasi nudi. Josephine con aria di trionfo e particolarmente eccitata, allacciò e baciò voluttuosamente il marito che non osava guardarmi e disse: "Vieni, jolie, seguici". Ci condusse entrambi nella stanza matrimoniale e mi co- strinse sul letto. Ero legato e bloccato da quella strana si- tuazione. Ricordai Milano e quello strano trio che avevo vi- sto a teatro. Lei mi carezzava e mi eccitava. Dimenticai tut- 265 to. Facemmo furiosamente l'amore. Dopo fui respinto e Paolo prese il mio posto. La sera in un locale anche noi demmo una rappresenta- zione del tipo di quella che avevo visto a Milano. Josephine baciava alternativamente entrambi e le mani stringevano insieme i nostri sessi. La mattina dopo come sempre Paolo ed io ci recammo al- la Goubeline, ma uscimmo di casa prima del solito. Attra- versando il Bois de Boulogne, il veneto fermò l'auto in un luogo appartato e, senza guardarmi, straripò in pianto. Non sapevo che fare e che dire. Mi sentivo sconvolto e pro- vavo pena per quell'uomo così cortese e gentile. Era strano vedere quella specie di gigante comportarsi come un bam- bino. Stavo per dirgli qualcosa e gli posi una mano sulla spalla. Lui, ancora senza guardarmi, con voce bassa e tesa rotta da qualche singhiozzo, incominciò a raccontare: "Vedi, Gianni, quello che è successo ieri ti sarà sembrata una cosa strana. E lo è. Quando giunsi a Parigi non avrei immaginato che sarei arrivato a questo. Conobbi Josephine e mi innamorai di lei in modo pazzesco. Era una donna mol- to attraente e corteggiata. Aveva avuto, come quasi tutte le donne qui in Francia, amanti, ma questo lo sapevo e non chiedevo certo la verginità. La sposai, ma prima lei pretese che io facessi un giuramento. Sapeva che un uomo solo non le sarebbe bastato, comunque ci avrebbe tentato. Io però non avrei dovuto dire nulla se lei di tanto in tanto avesse avuto un'avventura e io sarei stato libero di fare altrettan- to. Rifiutai e ci lasciammo. Ma non potevo fare a meno di lei e accettai. Il primo anno tutto andò bene, poi lei inco- minciò ad avere avventure che non mi nascondeva. Era nei patti. Li portava a casa nelle ore di ufficio. Poi un giorno lo fece anche di sera. Ci fu una grande storia e andai via sbat- tendo la porta. Ma ritornai e lei incominciò a dirmi se non pensassi che il fatto che la sua donna fosse così ammirata ed amata non mi inorgoglisse e mi eccitasse e perché non provassi a guardare mentre lei faceva l'amore. Mi accennò che lo facevano in tanti a Parigi. L'idea mi ripugnava e ri- 266 fiutai, ma tu hai visto come ci sa fare e come sa ottenere quello che vuole. Una sera mi coinvolse e io, disgraziato, ne provai piacere..." Fu interrotto da un altro accesso di sin- ghiozzi. "... Pensai di essere un anormale. Andai da uno psi- chiatra. Questi mi disse che, certo, non era proprio una nor- malità, ma nemmeno una grande anormalità. Mi mostrò statistiche e studi e mi dimostrò che vi erano tante forme di piccole o grandi perversioni. Concluse dicendo che, se mi faceva piacere, se questo avesse reso i nostri rapporti mi- gliori, perché non farlo. Se invece ne avessi sofferto psico- logicamente, avrei dovuto troncare con lei. Dovevo valutare l'una e l'altra cosa e decidere... Puoi immaginare che perio- do ho passato e poi maledettamente decisi di sì e mi feci co- struire lo specchio che sai". Non mi guardava e non sapevo cosa dire. Benedissi il fat- to che ormai fra quattro giorni sarei ripartito per l'Italia. Che strano mondo è mai il nostro! Avevo sentito parlare di deviazioni sessuali, delle perversioni. Avevo anche letto qualche libro, ma era la prima volta che, anche se marginal- mente, ne ero protagonista. Lo incoraggiai. Che altro mi.re- stava da fare? "Su, Paolo, in definitiva ne hai parlato anche al medico". "Ma tu come mi giudichi?" "Cosa vuoi che possa giudicare". "Senti, promettimi una cosa, lo farai?" "Cosa?" "Ti prego, non accennare ai nostri colleghi a Parigi o a Milano di questo. Giuramelo". Ero sollevato. "Ma certo, Paolo, ci mancherebbe". Andammo alla Goubeline. Quegli ultimi giorni a Parigi trascorsero in un gran tur- bamento e ne risentì anche il mio studio. Josephine era all'apice della felicità e impazzò più che mai, come e quan- do voleva, con Paolo sempre presente e costretto quasi a vi- va forza. 267 Provavo odio e grande attrazione per quella specie di Ape Regina e non so se lasciai Parigi e la loro abitazione con sol- lievo o rimpianto. Giurai a me stesso di non mettere più pie- de in quella casa! 268 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:24 pm | |
| CAPITOLO XXVII Ed eccomi a Londra. Qui avrei iniziato il vero corso ri- guardante la borsa di studio. Mentre a Parigi alla Goubeli- ne si era trattato di un corso aziendale, anche se ad alto li- vello presso un'organizzazione gigantesca, ora invece avrei seguito un corso a carattere universitario e altamente spe- cializzato nell'ambito dell'ingegneria civile. Dopo aver lasciato Parigi, ero ritornato per pochi giorni a Napoli dove mi ero ritrovato come un piede si ritrova e si distende soddisfatto in una vecchia scarpa. Trascorsi ogni momento possibile con la mia ragazza che mi accompagna- va anche in ufficio dove cercai in quattro giorni di sistema- re tutto quello che si era accumulato durante la mia assen- za. Non si trattava per la verità di molto e l'attività langui- va. Il povero Artini aveva cercato di fare qualcosa, ma con scarsi risultati. Solo la SOFIRI, con il diretto intervento di Garofani e alla presenza formale del mio collaboratore, aveva concluso un discreto ordine a Caserta. Poi, dopo ab- bracci e raccomandazioni, la partenza verso l'isola più im- portante del mondo. Del mio lungo viaggio ricordo solo quando sul traghetto ero in ansiosa attesa di scorgere le famose bianche scoglie- re di Dover. Ma le mie speranze furono deluse. Eravamo sbarcati a Folkestone. Londra non mi accolse per la verità molto bene. Già all'uscita dell'immane e disordinata Victoria Station le pri- me difficoltà con la lingua. Parlavo bene inglese in Italia, in 269 Francia e dovunque. Ebbene, nella capitale britannica nes- suno mi capiva, ne io riuscivo a comprendere alcuno. Le prime ore furono quasi drammatiche, poi piano piano riu- scii a prendere orecchio. Giunto all'ufficio CIT nei pressi della celeberrima Piccadilly Circus, non riuscivo a trovare una stanza in un qualsiasi albergo o pensione e solo dopo molti miei sforzi, che cozzavano contro la classica flemma inglese, mi fecero la grazia di indicarmi una strada dove avrei potuto trovare un alloggio, anche se provvisorio. Era una di quelle strade che si distendono a vista d'occhio dove sorgevano costruzioni a tré piani tutte uguali fra loro, co- me le avevo viste solo nei films. Erano tutte pensioncine do- ve non vi erano camere libere. Bussavo ai portoncini che si schiudevano appena e volti sospettosi mi rispondevano che era tutto occupato. Per certi versi ricordavano Fontana Al- banese. Ad una di esse mi aprì una vecchiaccia piccola e brutta che mi fece cenno di seguirla. Vani stretti e sporchi e poi in una vasta ma buia cucina posta in un seminterrato umido, vi era un'altra vecchia più robusta e grassa dell'al- tra che divorava avidamente, aiutandosi con le mani grosse e unte, cosce e petti di pollo. Mi guardò e poi disse all'altra di farmi visitare la stanza, libera. Era di una sozzura davve- ro unica come non ne avevo mai visto nemmeno nei più pic- coli paesi dell'interno della Campania, quelli che visitavo ai tempi della travagliata collaborazione con Mortini. Che schifo! Avrei preferito dormire all'aperto. Andai via e fortu- natamente riuscii a trovare una stanza decente. Il tassista al quale avevo chiesto di aiutarmi a portare le mie tré pe- santi valigie mi rispose in modo brusco: "l'm not a porter" e mi piantò lì. Le proprietario, due giovani donne che sarebbero potute, '" apparire migliori se si fossero curate un po', mi chiesero subito il pagamento anticipato, precisandomi che per una sterlina avevo solo diritto alla camera e al breakfast. Stan- co e depresso com'ero, cercai di farmi preparare un tè, be- ninteso pagando, ma non vi fu verso. Non c'era dialogo. Mi 270 trattavano peggio di come un negro è trattato nel Sud degli Stati Uniti. Uscii disgustato e mi recai in centro con l'Underground e fu la prima cosa decente di cui mi accorsi a Londra che tut- to sommato prima mi aveva dato l'impressione di una città sporca non molto meno di Napoli. Comunque di sera le grandi insegne di Piccadilly Circus, di Regent e di Oxford Street e i negozi che occupavano inte- ri fabbricati, le lussuose Rolis Royce che uscivano da stra- dette con impeccabili autisti e con a bordo passeggeri vesti- ti da sera, incominciarono a darmi un'altra immagine della città. Quando presi contatto, ancora spaesato, con l'istituto do- ve avrei seguito il corso, provai ancora una delusione. Mi attendevo di trovarmi in una specie di College con fabbrica- ti lunghi e bassi immersi nel verde. Invece nulla di tutto ciò, ma un palazzone vetusto di anni se non di secoli. Anche le attrezzature erano scadenti, ma, me ne resi conto subito, un grande rispetto per gli allievi e una lodevole preparazio- ne e dedizione del corpo insegnanti. In pochi giorni non ve- devo l'ora di recarmi fra quelle vecchie mura e provavo un enorme dispiacere quando dovevo andarmene. Le lezioni erano meravigliose, il dialogo continuo, i testi scorrevoli e ricchi di esempi pratici. Che differenza con l'Italia! Fra i corsisti della Goubeline fu gioco forza legarmi con il torinese, Vittorio Emanuele Gaiottino. La frequentazione con lui mi portò ad alloggiare in una pensione modesta ma pulita e contribuì a farmi studiare, studiare, studiare. Qualche volta riuscii, forzando il suo carattere di vero topo di biblioteca, a condurlo in qualche locale e la domenica a fare qualche gita, ma più facilmente ai musei. Visitammo il British Museum e la National Gallery, ricca di dipinti me- ravigliosi. Andammo anche al famoso Covent Garden e a Windsor, quel bellissimo castello ricco di storia e di coraz- ze. Mi ricordo di essere rimasto particolarmente colpito per lo stridente contrasto tra la piccolezza dell'armatura di Riccardo III e l'enormità di quella di Enrico Vili che si evi- 271 denziava per la vicinanza. Anche Eaton mi colpì profonda- mente con quello sciamare all'ora di libera uscita dei tanti collegiali, tutti vestiti con quella particolare divisa e tutti che, nonostante la giovanissima età, cercavano già di confe- rirsi quell'atteggiamento composto e cohtrollato che gli in- segnanti si sforzavano di inculcare loro. Di qui quel repri- mere gli atteggiamenti vivaci o le risate che così natural- mente nascono fra gruppi di ragazzi. Ricordo il verdissimo Hyde Park con i suoi tanti viali e le acque lucenti del Ser- pentine; mentre il Cambio della Guardia davanti a St. Ja- mes's Palace mi sembrò davvero ridicolo, con quel rituale che manda in visibilio gli inglesi e i turisti, che non è più consono al nostro caotico e nevrotico secolo. Particolar- mente la passeggiata finale fra i due comandanti delle com- pagnie che si danno il cambio è davvero fuori dai tempi. Forse nel passato si scambiavano le consegne e si comuni- cavano le novità di carattere militare. Ora, cosa si potevano raccontare se non la ristrettezza dello stipendio o il bambi- no col morbillo? Ma forse anche in passato era cosi. Perche dobbiamo sempre nobilitare tutto del passato? Bello mi ap- parve il Tamigi che in alcuni punti, con quei palazzi che fi- niscono direttamente nell'acqua, mi ricordava un po' il Ca- nai Grande di Venezia. Stupendo Westminster Hall nelle cui sale che ospitano i due rami del Parlamento sono state promulgate tante leggi che hanno costituito un modello per ^ la civiltà occidentale. Il Ponte della Torre con le parti che si aprono al passaggio delle grandi navi e il vecchio Castello della Tower of London, dove è custodito il tesoro della Re- gina difeso per così dire da quelle solite guardie dai grandi cappelli che devono rimanere, poveretti, per ore e ore nelle più strane e scomode posizioni, mentre i turisti si fanno beffe di loro, tanto che a loro volta devono essere difesi dai policemen. Di giorno in giorno quella città mi conquistava, come i suoi abitanti, a prima vista così scostanti, ma che invece possiedono quella tenacia, quel senso dell'ordine e del ri- spetto del proprio e dell'altrui diritto, anche nelle occasio- 272 ni meno importanti. Tutto ciò mi fece comprendere come Londra era riuscita a resistere compostamente ai bombar- damenti nazisti e a dare la forza al proprio governo per re- spingere le offerte di pace hitleriane, quando da sola si op- poneva allo strapotere germanico. Solo lo stomaco non reagiva nella maniera migliore alla vita in quell'isola e incominciai di tanto in tanto a rifarmi il palato nel quartiere di Soho, quasi tutto abitato da italiani e dove si poteva finanche sorbire un vero caffè espresso e bere del buon Chianti. Ma tutto questo nei ritagli di tempo. Luglio e agosto trascorsero essenzialmente a studiare con accanimento che mi procurava un'intima soddisfazio- ne che si esaltò quando ricevetti i complimenti dei miei in- segnanti. Quando mai mi era capitato questo all'università di Napoli. Ogni giorno il mio sapere nel campo aumentava e presto dovetti fare quasi da ripetitore al mio amico torine- se il quale era sì bravo nella teoria, ma mal si adattava alle esercitazioni e alla risoluzione di problemi o all'imposta- zione di progetti che ormai incominciavamo sempre più spesso a fare. . Arrivò settembre, il mese del mio matrimonio. Chiesi quindici giorni di permesso e partii per l'Italia. Nella mia famiglia mi guardavano ormai con un considerevole rispet- to. Non ero ancora un "eletto", ma pur uno che era vissuto a Milano, Parigi e Londra, perbacco! Mi era stata assegnata una borsa di studio e guadagnavo benino. La mia azienda languiva, ma nonostante tutto sopravviveva. Ci sposammo e trascorremmo alcuni giorni meravigliosi. Da Firenze andammo a Venezia, poi a Nizza, a Parigi e infi- ne a Londra. Non mi sentii mai tanto bene in vita mia come in quei giorni. Annamaria ed io eravamo perfettamente feli- ci. Nella grande città inglese ripresi gli studi e rapidamente, anche con l'aiuto di Vittorio Emanuele, mi rimisi alla pari con gli altri. Ora non ero più solo e nella stanza della pen- sione Annamaria aveva creato una minuscola e accogliente casetta. Uscivamo di rado. Ella intelligentemente riuscì a 273 non turbare il mio sforzo per superare quei difficili studi e risultare uno dei migliori del corso. Comunque la condussi all'Hippodrome, un teatro cabaret dove vi era uno spettaco- lo tipo quello del Lido a Parigi, ma naturalmente più mode- sto, al Churchill Club, un famoso night e qualche volta a pranzare negli eleganti locali italiani come lo Spiedo in Pic- cadilly Circus e da Gennaro's a Soho. Londra è un'immensa metropoli, di tanto più grande di Parigi, che è a sua volta molto più estesa di Milano. Eppure a Milano avevo avuto la sensazione della città industriale e degli affari per eccellen- za, mentre Londra e Parigi, pur ricche di industrie e princi- palmente di uffici, non mi davano quest'impressione. L'amico Gaiottino mi stupì quando mi annunciò che di lì a pochi giorni lo avrebbe raggiunto, per trattenersi con lui un paio di mesi, la sua ragazza. Chi avrebbe mai pensato che quella specie di porcellino potesse avere una donna! La notizia mi fece un infinito piacere. Annamaria avrebbe avu- to finalmente una compagnia e non si sarebbe più annoiata nelle lunghe attese, mentre ero in accademia e quando con Vittorio Emanuele trascorrevamo lunghe serate immersi nello studio che si faceva sempre più impegnativo, avendo iniziato un lavoro originale su un isolamento realizzato con materiali di assoluta avanguardia. Antonella era una simpatica ragazza di origine meridio- nale ed era fin troppo bella per uno come Vittorio Emanue- le. Parlava correntemente l'inglese e con Annamaria si fece- ro buona compagnia. Giungemmo così a dicembre al termine del corso che sia io che Vittorio Emanuele superammo brillantemente, ri- spettivamente quinto e ottavo nella graduatoria dei trenta allievi. Ma la nostra maggiore soddisfazione fu quella di riuscire ad essere secondo e terzo fra i borsisti Goubeline. Ricevemmo un telegramma di complimenti di Barbarisi ed io un espresso di Pian con due righe aggiunte da Sassi che mi riempì di piacere. Rientrammo a Napoli. 274 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:25 pm | |
| CAPITOLO XXVIII Come quando ad un tennista che basa il suo gioco e le sue maggiori possibilità di vittoria sulla regolarità e di game in game aumenta il ritmo fino a che diventi irresistibile per l'avversario che ne viene lentamente ma inesorabilmente irretito e ineluttabilmente travolto, gli si riesce a "rompere il ritmo", così la borsa di studio con i soggiorni a Parigi e a Londra aveva interrotto, forse definitivamente, il mio con- tinuo progredire nella carriera di rappresentante, Ritrovai un'attività ormai ridotta al lumicino. Un ufficio squallido e silenzioso, ben diverso da quello pieno di vita che avevo lasciato alla mia partenza per il corso. Ma princi- palmente non ne avevo più voglia. I problemi commerciali non mi interessavano più. Avevo, forse per la prima volta nella mia vita, assaporato i veri piaceri dello studio e avevo scoperto quali gioie potesse dare se praticato in un ambien- te consono e con colleghi, insegnanti e programmi non avulsi dalla vita di tutti i giorni, ma ad essa intimamente e intelligentemente collegati. Eppoi ero più che mai vicino a poter raggiungere totalmente quell'attività "eletta" che mi era stata inserita nel circuito sanguigno a goccia a goccia, giorno per giorno, anno per anno, parola per parola. E l'avrei potuto fare in modo ben più valido di quanto nell'ambiente a me vicino si fosse mai concepito, con un'al- tissima specializzazione e con una vera e approfondita co- noscenza. Quante volte a Londra ne avevo parlato con Annamaria e 275 quanti progetti, avevamo fatto. Spesso avevamo soppesato i pro e i contro. I pro erano tantissimi, i contro costituiti principalmente dalle ristrettezze economiche nelle quali ci saremmo dibattuti per circa un anno, tempo minimo neces- sario per condurre a termine gli studi senza che fossero troppo sviati dall'unica attività che avrei potuto coerente- mente ad essi svolgere, quella di consulente tecnico nel set- tore degli isolamenti e condizionamenti. Naturalmente avremmo dovuto trasferirci a Roma o a Milano. Non era pensabile rimanere a Napoli ancora da studente e con le tentazioni di più congrui guadagni, derivanti dal poter riat- tivare la Cruni & C. che anzi avrebbe dovuto essere del tut- to soppressa. Ora o mai più! Bisognava agire con la decisione delle truppe da sbarco! Andai a Roma e con l'aiuto dell'amico Sardi prenotai una modesta casetta a Monteverde Vecchio e avviai le pratiche per il trasferimento di università. Poi a Napoli mi accinsi a chiudere gli affari ancora in corso per la mia attività. Mi sentivo più che mai deciso a condurre in porto quanto avevo stabilito e la cui genesi era da ricercare in quel giorno di maggio nel quale avevo accettato l'offerta della Van Gogh e le parole dell'ingegnere Pian avevano così incisivamente risvegliato i miei più riposti e reali desideri. Ma l'uomo propone e Dio dispone! Questa volontà suprema si materializzò nel dottor Garo- fani che giunto a Napoli per controllare i lavori in corso al- la fabbrica di bevande gassate, era latore di una proposta del signor Maffoni. A pranzo mi chiese che gli raccontassi la storia delle esperienze parigine e londinesi e aveva ascoltato con gran- de interesse, interrompendomi di tanto in tanto con alcune osservazioni che, se non fossi stato tutto preso dal mio rac- conto, avrebbero dovuto insospettirmi per la palese e detta- gliata conoscenza dei miei successi che dimostrava come alla SOFIRI fossi stato attentamente seguito perlomeno nella parte terminale dei miei studi. "Caro Cruni, debbo davvero farle i miei più sinceri com- 276 plimenti per i successi conseguiti e principalmente per quello studio originale sui poliuretani che sarà pubblicato dall'accademia inglese e che le procurerà grandi soddisfa- zioni oltre quelle già avute. Ne parlavamo giorni fa col si- gnor Maffoni..." "Che ne sapeva il signor Maffoni?" Sorrise e proseguì calmo: "Sapeva, sapeva e non solo da allora. Maffoni ha dei pro- 'rammi su di lei, ma da molto più tempo. Sa che ci ha riem- pito la testa per il suo ordinativo alle bevande gassate". "È un grande ordine, ma certamente non è il maggiore che avete ottenuto", replicai fingendo un'ingenuità che non sentivo. "Ah, capperi, signor Cruni. In uno stabilimento di bevan- de gassate migliala di metri quadrati di Metalpav!... Poi quando l'ha conosciuta al congresso della Van Gogh ha avu- to subito un'ottima impressione di lei anche fìsica e fin da allora va dicendo che lei può essere un elemento prezioso per la SOFIRI. Sa, Maffoni si picca di non aver mai sbaglia- to un giudizio sui collaboratori che vuole. Dice che è tutta una questione di intuito, come negli affari. Dice che il suo fiuto nell'iniziare un'attività e nel concludere un affare e, bontà sua, noi collaboratori, siamo la fortuna della SOFI- RI!... Sa, io ero un socio di una piccola impresa di costru- zioni. Mi conobbe e dopo pochi giorni mi volle con lui per il settore pavimentazioni che allora iniziava la sua attività". Era visibilmente compiaciuto. Provai gusto a lisciargli la coda. "Nel suo caso ha avuto certamente ragione". "Grazie. Ma non è di me che dobbiamo parlare, ma di lei... Quando ha saputo del corso e della considerazione di cui gode alla Van Gogh ha detto: - Visto che avevo ragio- ne? È proprio in gamba, fa per noi! - Allora qualcuno ha insinuato con cattiveria che sì, lei poteva essere un buon venditore e un gran competente di isolanti, ma da questo a gestire un'azienda e guidare molti dipendenti ce ne corre!..." 277 Incominciai a provare un ben maggiore interesse. "Ma quali programmi ha su di me?" "Glieli sto dicendo. La vuole con noi". "Anche l'ingegnere Pian mi offrì di entrare alla Van Gogh". "Ma con quale incarico e qualifica?" "Non lo approfondimmo perché rifiutai subito. Avevo la mia azienda. Poi accettai l'offerta per il corso". "Lo credo bene... Senta, io le sono amico e lo sa. L'offerta è quanto di meglio Maffoni abbia mai fatto a un giovane della sua età ed esperienza". Non replicai, ma ero tutto teso a quello che mi avrebbe finalmente detto in modo comple- tò. "Lei conosce la legge dei due quinti?" "Non bene, anche se ne ho sentito vagamente parlare". "È la legge sul rinnovamento di tutto il parco delle Ferro- vie dello Stato e due quinti dei lavori debbono essere ese- guiti da aziende del Sud. Maffoni ha subito afferrato la si- ~~ tuazione ed ha costituito la MERIDIONAL SOFIRI S.p.A. con sede a Napoli e giurisdizione da Roma alla Sicilia. Buo- na parte del personale operaio e impiegatizio è già stato as- sunto o trasferito. Manca solo il direttore e Maffoni è con- vinto che quello deve essere lei e io sono d'accordo con lui". Ero esterrefatto. Quella era davvero una grande propo- sta! Ma, cavolo, ora che stavo per trasferirmi a Roma, che avevo riprovato gusto negli studi. Perché dovevo sempre fa- re delle scelte? Che strano destino il mio. Sembrava quasi di percorrere l'itinerario di un labirinto con i tanti bivi. Quale sarebbe stato il filo d'Arianna per uscirne vittorioso ed appagato? Avevo la testa in fiamme e il cuore mi batteva all'impazzata per l'emozione. Io, a soli ventisei anni, diret- tore di un'azienda di primaria importanza! Che soddisfa- zione e che salto rispetto alle normali trafile a cui sono co- stretti quelli che intraprendono un lavoro dipendente. Un lavoro dipendente! Già, si trattava pur sempre di un lavoro dipendente e quindi impiegatizio. Uno di quei lavori vicino al ludibrio, secondo le maledette concezioni che mi erano state inculcate. Il primitivo entusiasmo si attenuò in un 278 lampo e fu quasi con freddezza che replicai a Garofani: "Ringrazio Maffoni e lei per la stima, ma sapete che ho una mia azienda che non sarà certo nemmeno la millesima parte della MERIDIONAL SOFIRI, ma è mia e mi rende be- ne". , ., . "Lo so, ma forse lei non conosce il trattamento che il si- gnor Maffoni riserva ai suoi collaboratori con funzioni di- rettive". "No, non lo so. E quale sarebbe, se è lecito?" "Veramente non sono autorizzato a parlare di questo ar- gomento con lei, in quanto il signor Maffoni stesso gliene accennerà al vostro eventuale incontro. Comunque, Cruni, da amico a amico, circa quattrocentomila lire al mese per quattordici mensilità e spesato di tutto". Mi guardò con evidente soddisfazione e cercai disperata- mente di mascherare l'enorme effetto che quella cifra mi aveva, fatto. Circa quattrocentocinquantamila lire al mese. Un impiegato di banca ne poteva guadagnare sessanta, set- tantamila; dirigenti di grandi complessi con tanti anni di anzianità certamente meno. Un'automobile 1100 costava meno di un milione e un decente appartamento di cinque vani e accessori sugli otto, dieci milioni! Annamaria ed io avevamo pensato di vivere a Roma con centomila lire al me- se! Era la ricchezza e la tranquillità economica raggiunta a così giovane età e certamente suscettibile di ulteriori mi- glioramente! Deglutii e: "È indubbiamente interessante, ma non credo di essere portato ad un lavoro dipendente..." "Lei chiama dipendente la nomina a direttore di una so- cietà per azioni con capitale di alcune centinaia di milioni? Sa, Cruni, che lei è davvero incontentabile? Io non varrò quanto il signor Maffoni stima valga lei, ma a me fu offerto molto meno e non avevo certo la sua età". "Capisco, Garofani, ma ho altri programmi, specialmen- te dopo il corso... Comunque lei capisce che non mi attende- vo quest'offerta e dovrò ben valutare il tutto prima di dare una definitiva risposta. E ora, sia gentile, mi descriva in 279 dettaglio in cosa consisterebbe questo lavoro". "Anche questo è compito del signor Maffoni e del diretto- re del personale della SOFIRÌ, ma ritengo che lei debba pre- siedere a tutta l'attività della nuova società sia per la parte tecnica che amministrativa e commerciale, principalmente per quanto riguarda i lavori di isolamento di carrozze fer- roviarie, carri frigoriferi e così via e poi anche l'altro com- pito che ritengo verrà riservato alla MERIDIONAL SOFIRÌ, ossia quello di fungere da filiale per il Sud per tutte le altre aziende del nostro gruppo, ivi compreso la mia. Quindi pen- so che tutti gli agenti Sud, quelli che già ci sono e quelli che bisognerà nominare, passeranno sotto la sua giurisdizione. Ma ora sarà opportuno avviarci alla sede della società di cui stiamo tanto parlando che è in via Marconi, sa, nel grat- tacielo costruito da poco.. Debbo sistemare alcune faccende per il mio settore e controllare alcune cose per conto del si- gnor Maffoni. Sarà anche una buona occasione per lei per visitare quelli che potrebbero essere i suoi uffici". Annuii pensieroso e durante il tragitto parlammo d'altro, del lavoro alla società di bevande gassate, di automobili, che costituivano il pallino di Garofani, e del suo ultimo ac- quisto, una FIAT 1400 coupé. Prendemmo uno dei tanti ascensori a prenotazione dei quali era dotato il nuovo grande edificio che sorgeva nei pressi di piazza Municipio e al nono piano uscimmo per im- boccare la porta della MERIDIONAL SOFIRÌ. Un ampio in- gresso con una signorina la cui testa bionda e attraente spuntava di dietro una modernissima macchina da scrivere elettrica e poi un corridoio di oltre venti metri lungo il qua- le innumerevoli porte conducevano in altrettanti uffici con- trassegnati da targhe ben visibili. Mentalmente le catalo- gai: attesa, segreteria, contabilità, amministrazione, ufficio tecnico, riunioni, segreteria di direzione, direttore. Fummo ricevuti, oltre che da alcuni impiegati che incontravamo percorrendo il corridoio, dal ragioniere Mazzoni, un anzia- no fiorentino che svolgeva ad interim la carica di direttore, essendo stato distaccato provvisoriamente dalla SOFIRÌ 280 dove svolgeva da molti anni un incarico di notevole respon- sabilità. Garofani mi presentò come l'agente di Napoli, ma mi ac- corsi che qualcosa Mazzoni doveva sapere di quanto mi era stato offerto perché si rivolse a me con particolare deferen- za e con una curiosità a malapena mascherata. Entrammo nell'ufficio del direttore attraversando quello della segreta- ria di direzione che era vuoto. Meraviglia! Una stanza de- gna di un alto dirigente, tipo quella dell'ingegnere Bracale della SMEMEL, che il lettore ha incontrato nelle prime pa- gine del libro, ma con una vista di molto superiore. Le am- pie finestre davano sul porto di Napoli, sul golfo e su parte della piazza Municipio con uno scorcio del Maschio Angioi- no. Mobili in noce e tre telefoni di cui uno dotato di una po- derosa serie di bottoni per comunicazioni con i vari uffici. Avevo fino ad allora mascherato abbastanza bene lo scon- volgimento che l'offerta e le relative delucidazioni fornite- mi da Garofani mi avevano procurato, aiutato anche dai miei pregiudizi sui lavori dipendenti. Ma c'è un limite a tut- to e quell'ufficio, che poteva essere mio solo che lo avessi voluto, mi creò uno stato di esaltazione e confusione men- tale al tempo stesso. Mi accorsi appena degli sguardi sfotti- tori che Garofani di tanto in tanto mi rivolgeva e solo con grande sforzo di volontà riuscii a seguire quanto i due diri- genti si andavano dicendo. "No, dottore, la squadretta per l'Aerea Sicula di Palermo ancora non è giunta, mentre sono in funzione quelle per gli stabilimenti di Colleferro, Pozzuoli, Castellammare, Torre Annunziata e Bari". "Quanti operai e capisquadra avete in forza quindi fino- ra, ragioniere?" "Attenda, chiedo in amministrazione... Pronto, ragionie- re Misiani, sono Mazzoni. Mi vuoi fornire quest'informazio- ne?... Ah, 112? Bene, grazie..." "E come impiegati?", insistè Garofani. "Circa una quindicina, compresi l'ingegnere Bianchi e i geometri ispettori". 281 "Soddisfatto di tutti?" "Per la verità no, ma il signor Maffoni mi ha ordinato di non modificare nulla in attesa del direttore definitivo". "In effetti è così. Si attende solo lui per ampliare i quadri e per una migliore selezione e dislocazione dei dipendenti", confermò Garofani con lo sguardo rivolto diritto verso di me. Quando ci salutammo avevo davvero la testa in ebollizio- ne, ma credo che anche ad un volpone come Garofani non fosse facile accorgersene, perché con gran flemma gli dissi: "Grazie, Garofani, di tutto, anche della visita e delle do- mande che ha posto al ragioniere. Lei è sempre molto abile e amico. Non sarà una decisione facile, ma penso di poterle dare una risposta entro quindici giorni". "No, scusi, Cruni, ma come ha visto qui si ha molta fretta e lei sa che tipo vulcanico è Maffoni. Già l'ha atteso a lungo e questo non fa per lui. La riceverà comunque al congresso agenti pavimentazioni che terremo a Firenze dal tre gen- naio. Il no o il sì lo dica a lui in quell'occasione. Se sarà sì, potrà discutere su tutto quello che più le preme di ottenere e di chiarire". "È un po' presto, ma farò il possibile. Me lo saluti e lo rin- grazi da parte mia e arrivederci a Firenze". "Sì, a Firenze, caro collega". Si allontanò sorridendo, mentre il mio: "Via, non corra troppo" si perdeva fra i rumori del traffico. 282 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:27 pm | |
| CAPITOLO XXIX Il treno entrò precisissimo nella luminosa stazione Ter- mini di Roma e subito vidi il fedele amico Edoardo Sardi in attesa sul marciapiedi. Il 1961 stava per chiudere il suo cor- so e Roma era allietata da un bei sole che attenuava il fred- do intenso che da qualche giorno attanagliava la penisola. Mi attendevo molto dall'incontro con l'amico, perche sof- ferte esperienze parallele ci permettevano di essere davve- ro sinceri l'uno con l'altro e di partecipare senza alcuna in- vidia ma con gioia o sofferenza, all'alterno evolversi della vita di ognuno dei due. Nei momenti delle grandi decisioni ci incontravamo e ci raccontavamo tutto, valutando i prò e i contro visti da ottiche diverse. Consideravo una grande for- tuna avere un amico che poteva veramente definirsi tale e che stimavo e al suo giudizio avevo deciso di affidare la so- luzione del problema che da alcuni giorni mi tormentava. Ne avevo è vero, parlato con Annamaria, con la quale avrei diviso la mia sorte, ma la mia cara compagna non aveva l'esperienza per potermi dare un consiglio davvero ponde- rato e che tenesse conto di tutti i risvolti del problema. Era giovanissima e innamorata e col solo desiderio della mia fe- licità. Non era una di quelle ragazze viziate e troppo abitua- te a vivere nella bambagia, che antepongono a tutto il vive- re comodo e prestigioso. Si rendeva conto certo delle diffi- coltà delle mie decisioni, ma non poteva capire, perche non lo aveva provato, cosa potesse significare per me conclude- re gli studi e conseguire quel titolo che così profondamente 283 era conficcato dentro di me, anche se a volte sembravo di- menticarmene. Pur di starmi vicino era disposta a tutto; al- la vita di sacrifici, ma così bohémien che avremmo fatto a Roma, a quella di lusso e da arrivati che avremmo invece potuto condurre a Napoli accettando l'offerta SOFIRI. Ave- vo anche accennato a mio padre, non certo dei miei dubbi, ma solo dell'offerta. Mi ero accorto con soddisfazione e una punta di rivalsa che ne era stato profondamente colpito, ma non erano certo i suoi consigli, che d'altra parte non veniva- no mai, che mi interessavano. Riponevo quindi tutte le mie speranze nell'incontro con Edoardo e nelle sue considera- zioni. "Ebbene, Gianni, un altro dilemma?" "Sì, Edoardo, questi ultimi due anni della mia vita sono davvero movimentati e racchiudono tutto il passato e il fu- turo. .Andiamocene da qualche parte tranquilla perché la chiacchierata sarà lunga". Ci recammo in un quieto Caffè di Villa Borghese. Mi in- formai della moglie e del figlio nato da poco e del suo lavo- ro. Notai con piacere che la sua vita si era stabilizzata in un corso abbastanza quieto e regolare che gli permetteva sere- nità dopo le apprensioni e i disagi degli anni precedenti.- "Dunque, Edoardo, ti inquadro il problema. Come sai più che bene decisi di lasciare gli studi di ingegneria, anche se con un anno intenso avrei potuto concluderli. Le motivazio- ni le conosci e anche le prospettive di lavoro. O la banca o la rappresentanza. Sai di Mortini e dell'inizio da solo dopo la Fiera del Sessanta e le prime rappresentanze; poi della so- cietà con Alberto Fani, dei successi e guadagni sempre maggiori, del corso alla Van Gogh, dei grandi consensi e della rivelazione per me di un interesse insospettato per gli isolamenti termoacustici e poi del conferimento della bor- sa di studio per Parigi e Londra, della mia accettazione qua- si impulsiva, unica nella mia vita, e degli ottimi risultati di Londra e di quella ricerca originale condotta lì all'accadè- mia inglese e poi della decisione, questa volta molto soffer- ta come al solito, di venire a Roma e completare gli studi _ 284 italiani. Fosti d'accordo con me e lieto che Annamaria ed io venissimo ad abitare qui vicino a tè e a Liliana. Stavo liqui- dando tutto della Cruni & C., quando il dottor Garofani mi comunicò l'offerta di Maffoni che ti ho accennato per tele- fono. Ed eccomi qui per decidere in modo definitivo". Mi allungai e mi distesi dopo la contrazione quasi spa- smodica che aveva accompagnato il mio breve riassunto. Desideravo abbandonarmi e sapevo di poterlo fare. Edoardo aveva ascoltato come al solito attentamente e il suo sguardo intelligente aveva seguito le emozioni che tra- sparivano dal mio volto e dal mio gesticolare, cercando di comprendere al di là dei fatti e delle parole. "Gianni, cerchiamo innanzitutto di capire quale può es- sere il successo nella vita per un uomo. In famiglie come le nostre le attività come tu dici "elette" sono solo quelle ac- compagnate da una laurea. Ora tu sai benissimo che ci sono lauree che immettono a una professione e altre che in gene- re conferiscono solo una specie di titolo onorifico che serve solo a nobilitare, secondo i pregiudizi borghesi, l'attività che si svolge, privata o pubblica. Inoltre alcune intermedie necessario per intraprendere attività dipendenti ma specia- lizzate. Facciamo degli esempi: la laurea in medicina, in agronomia, in veterinaria, in legge per chi fa l'avvocato, il giudice o il notaio, in architettura e infine in ingegneria, quella che ci riguarda più da vicino. Tutte queste permetto- no, dopo l'abilitazione, di esercitare libere professioni con studi propri. Caso a sé è quella facilissima in legge che è una specie di maturità super per poi sfociare nella vera se- lezione che avviene all'esame di procuratore o ai concorsi di magistrato o di notaio. Poi ci sono quelle tipo scienze po- litiche che davvero non servono a nulla, se non come abbia- mo detto a conferire il titolo di dottore a coloro che finisco- no col fare gli impiegati, i commercianti e gli industriali, ma nobilitati da quel titolo, oggi considerato più qualifican- te di quelli tipo commendatore, grande ufficiale e simili. In- fine il gruppo fisica, chimica, matematica, filosofia per ri- cerche o per la scuola come quello di lettere moderne. Alcu- 285 ne sono. di facilissimo conseguimento per chi ha un po' di tempo da dedicare e mediocre intelligenza, altre molto più difficili. Infine, ce lo insegnava Caccioppoli, vi sono periodi nei quali gli studi sono resi più facili da programmi ridotti e disposizioni ministeriali e altri nei quali i programmi, gli sbarramenti biennali e l'alta percentuale di bocciature ren- dono tutto estremamente complicato. Sai benissimo che la nostra facoltà è indubbiamente la più difficile e noi l'abbia- mo anche iniziata in un periodo di massima severità. Tu, come me, conosci laureati in ingegneria del periodo qua- ranta, quarantotto che hanno fatto la metà dei nostri pro- grammi e delle nostre fatiche e a volte bastava loro presen- tarsi per prendere perlomeno il diciotto, bocciature mai. Ma il titolo è il titolo e un ingegnere laureato nel quaranta- cmque e uno nel cinquantotto hanno lo stesso valore per la gente e gli enti pubblici. Solo le industrie private tengono nel debito conto la grande differenza. I loro titolari sanno che oggi il biennio viene superato in due anni solo dall'un per cento circa e tutto il corso nei cinque anni da una per- centuale ancora minore. Noi abbiamo fatto, dopo la maturi- tà, una scelta forse non sufficientemente ponderata e chi più chi meno abbiamo incontrato grandi difficoltà e un ab- bandono o un cambiamento quasi in massa degli studi". Prese fiato e cambiò posizione. "Come rimanevamo dopo quella decisione che ci lasciava sfiniti, senza nulla, perché la maturità non è un titolo professionale come quello di geometra o ragioniere che, anche se nella loro modestia, permettono di esercitare una professione, anche se noi la consideriamo di serie B". Lo ascoltavo con interesse, nono- stante fossero cose che conoscevo fin troppo bene e che sembravano allontanarmi dal mio problema. Sapevo, cono- scendo il tipo, che gli serviva per inquadrare bene il noccio- lo della questione che mi aveva condotto da lui. "Il succes- so nella vita, converrai con me, non è solo acquisire un tito- lo, ma esercitare la professione o iniziare la carriera dipen- dente che ci porti alle vette più alte. Per tè sarebbe stato torse diverso perché tuo padre avrebbe potuto metterti a - 286 disposizione un'azienda già ben avviata. Ma lo avrebbe fat- to?" Mi guardò diritto negli occhi e proseguì: "Mi hai rac- contato più volte che tipo assolutista e possessivo sia e poi il costruttore lo si fa anche senza laurea. Anzi le maggiori imprese sono gestite non da professionisti, ma da chi ha uno spiccato senso organizzativo e commerciale. Gli inge- gneri si assumono e con stipendi non tanto alti. Abbiamo amici comuni brillantemente laureati che hanno stipendi intorno alle cento, centocinquantamila lire..." Bevve un sorso dalla bibita. "... Tu ora hai avuto quest'offerta dalla SOFIRI di direttore generale di un grosso complesso. Cosa vuoi di più? Ti rendi conto che per prestigio e stipendio sei giunto quasi all'apice? Cosa ti importa di non essere inge- gnere? Gli ingegneri saranno alle tue dipendenze". "Ma sì, lo so, hai ragione, ma il titolo?" "È questo il nostro dramma e quello delle nostre fami- glie. Bisogna andare avanti per anni, uscire anche fuori corso, vegetare forse fino ai trent'anni e poi finalmente par- tire con il titolo per non arrivare mai ai vertici. Vogliamo comprendere, e. tu per la miseria che sei stato e sei nel mon- do industriale privato tè ne puoi rendere ogni giorno conto, che quello che importa è la capacità dell'individuo, non il suo titolo? Secondo tè è più importante essere ingegnere delle Ferrovie o quello che ti ha offerto Maffoni?... Maffo- ni ti affida una sua creatura e suoi capitali. L'altro è il fun- zionario di un grosso carrettone dove il deficit è consuetu- dine". "Edoardo, lo so, hai ragione. Ma allora quanto stai dicen- do sarebbe valso anche quando ho praticamente ucciso la mia attività di rappresentante che era così bene avviata". "E no, Gianni, non è la stessa cosa! Questo non lo devi di- re! Là era un'attività che come soddisfazione ti dava princi- palmente quella economica e poi solo o quasi commerciale. Anche se non vedo grande differenza tra l'essere rappresen- tante o commerciante, rispetto al professionista. In defini- tiva il cosidetto professionista cosa fa? Anche lui ha dei clienti proprio come il rappresentante o il commerciante e 287 li corteggia e circuisce continuamente per conservarli e farsene mandare altri potenziali. Naturalmente tutto di- pende dall'onestà di base, che è dell'individuo e non di quel- lo che fa, nel gestire con dignità il proprio lavoro. Vedi quanti medici speculano da delinquenti sulla salute dei propri clienti. E quanti avvocati creano cause interminabili per aumentare le proprie parcelle. E quanti ingegneri e ar- chitetti percepiscono percentuali dai fornitori consiglian- do materiali più costosi e magari meno adatti a quel tipo di costruzione e così via. Ma ti dicevo della corte al cliente, fatto comune a tutte le attività cosiddette libere. Agiscono con maggiore dignità solo quelli che nei vari settori hanno coscienza delle loro reali capacità e quindi possono permet- tersi di trattare il cliente con onestà e senza servilismo o false cortesie. Ciò è appunto comune al medico, all'ingegne- re, all'avvocato come al rappresentante o al commerciante. Tornando all'offerta SOFIRI vi è un grosso industriale che ha riconosciuto i tuoi meriti e ti-conferisce lui, senza racco- mandazioni delle quali se ne sbatterebbe, un titolo presti- gioso, quello di direttore". "E i miei studi a Londra?" " 293 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:28 pm | |
| "Li utilizzerai proprio nella tua nuova attività. Scusa, tu hai studiato isolamenti e qui dirigerai anche tecnicamente l'applicazione di isolamenti. Il caso è ben diverso. Poi quel- lo che hai fatto a Londra ti servirà, come mi accennasti, an-. che per un titolo e anche di grande prestigio. Cosa vuoi di più?" "Ma io pensavo di concludere e poi si sarebbe visto". "Ma chi ti dice che fra un anno le condizioni saranno le stesse. Sì, rafforzeresti le tue posizioni, anche se gli studi italiani, così poco specializzati, possono portarti fuori stra- da. Ma ho capito, è sempre quella maledetta cosa che le no- stre famiglie e i loro amici ci hanno inculcato e da cui le no- stre sofferenze. Avremmo dovuto fare legge o scienze politi- che, laurearci in quattro anni e poi pensare al lavoro. Ma ora che sappiamo è tardi. E prima nessuno ce lo aveva chia- rito. Ma scusa, tu diventerai direttore e guadagnerai quasi -- 288 sei milioni all'anno, avrai centinaia di dipendenti, come mi hai detto, e non ritieni che questo venga considerato dalla tua famiglia un'attività "eletta"? Per la miseria, se non la pensano cosi, allora è meglio perderli!" "Sì, d'accordo, ma con la SOFIRI si tratta pur sempre di un'attività dipendente. Invece con la laurea e l'abilitazione avrei potuto svolgere, fregiandomi del titolo, una libera at- tività, o avere un'azienda mia o eventualmente unirmi a mio padre". "Per essere certamente più dipendente di quanto saresti ora, dato il tipo?" "E no. Avrei ben altra autorità". "È da dimostrare. Eppoi, Gianni, consideri davvero di- pendente l'attività di direttore? Io non conosco molto il mondo industriale, ma penso che i dirigenti sono loro che creano la politica delle ditte che dirigono. Tu poi su di tè non avresti nessuno, tranne le generiche disposizioni di Maffoni con te concordate... E infine parliamo anche di questo. Cos'è la libertà? Tu hai fatto il rappresentante con un'azienda tua e non eri costretto dalle disposizioni delle case rappresentate? Non dovevi dipendere da loro per con- dizióni, consegne, prezzi e altro?" "Sì, è vero, però il tempo lo gestivo io". "Ti illudevi di gestirlo. Se ci ripensi, per tutto quello che mi hai raccontato del tuo lavoro, non era affatto così. Eppoi tuo padre e mio padre sono liberi?" Aveva ragione e diceva cose che già io avevo pensato nei giorni precedenti, ma era difficile fare marcia indietro da una decisione largamente sofferta e che aveva tranquilliz- zato la mia psiche. "Sì, lo so, forse è giusto. Liberi sono solo gli artisti. Ma qual è la loro funzione nella società e quella di tutti gli altri elementi attivi?" "Quella degli artisti è una funzione importantissima, ma ora ci mettiamo a fare della filosofia. Comunque io penso che libero non è nessuno, nemmeno l'artista. Chiunque è in- serito nella società è condizionato da essa. Più volte mi hai 289 raccontato del colloquio che avesti a Milano con il rappre- sentante della Ricci. Egli si sentiva appagato e importante quando gli imprenditori facevano la fila da lui per chieder- gli, come una grazia, la vendita di macchinari per edilizia, allora carenti. Ma così si sente o si è sentito anche un salu- miere o un macellaio, quando la gente fa la fila per la spesa; o un farmacista o ancora un impiegato comunale dell'uffi- cio anagrafe; o il funzionario del Monte di Pietà. O ancora di più il vigile urbano, quando viene scongiurato da perso- ne ricche e affermate di non applicare le multe. Certo ogni mestiere ha le sue soddisfazioni e ci mancherebbe se non fosse così. Io a scuola mi dovrei sentire importante durante gli esami e invece sono molto più appagato quando un mio allievo capisce per mio merito un concetto difficile. Come puoi comprendere, ogni individuo attivo ha la sua impor- tanza nella società. Certo, a mio avviso, vi sono delle gra- dualità. Ma se non fossimo avvelenati dai pregiudizi delle nostre famiglie e dell'ambiente in cui vivono, non ci dovreb- be importare nulla se nell'esercizio di quello che facciamo siamo chiamati signore, dottore, ingegnere, avvocato. Ep- poi, anche nelle cosiddette professioni, tutte le attività so- no per me professioni, vi sono quelle utili e quelle no. Ad esempio il medico è ed è sempre stato necessario, come l'in- gegnere e altri; l'avvocato e il commercialista no. Lo sono oggi per come si è sviluppata la società nei secoli con le sue leggi. Ma allo stato primordiale serviva chi curasse, chi co- struisse, chi ideasse cose nuove, studiando i materiali e i fe- nomeni naturali, che servissero a vivere meglio. Ma gli av- vocati a che servivano, e per assurdo i fiscalisti?" "Beh, da quando vi sono stati più uomini era normale che sorgessero delle liti". "Allora vi era necessità di giudici, non di avvocati". "Non proprio, perché i due litiganti potevano esprimersi in modi diversi e con capacità maggiore o minore. L'avvoca- to pareggiava le cose". "Avrebbe dovuto spiegarle direttamente al giudice, il~ 290 quale doveva sforzarsi di capire il meno preparato, così co- me l'avvocato". "Sì, ma l'avvocato poteva svolgere una sua ricerca più dettagliata in aiuto del suo cliente". "Sarà, ma non sono del tutto d'accordo. Per non parlare poi dei fiscalisti, prodotto di una società contorta con le leggi contorte". "Qui andiamo troppo lontano. Quello che invece mi pre- me di chiarire è quale attività si presenta, nel mio caso, co- me più prestigiosa ed importante all'occhio della gente". "Allora ci risei. Questo è quanto pensavamo alla fine del liceo e quando abbiamo fatto probabilmente scelte che se non erano del tutto sbagliate, erano quanto meno poco cu- rate. L'ingegnere, sì, fa effetto, specialmente in società e sulle ragazze. È il professionista sportivo, intelligente, creatore di opere che rimangono negli anni. Ma cosa c'en- tra? Ognuno dovrebbe innanzitutto pensare a quello che più gli piace svolgere nella vita e a quello che lo occupi con soddisfazione e che non sia una condanna ne nella fase di preparazione, ne in quella di gestione". "Se è per questo a me sarebbe piaciuto fare lo scrittore e quindi forse più adatto sarebbe stato seguire studi classici dal liceo all'università". "E perché non l'hai fatto?" "Perché non esiste una strada precisa per fare lo scritto- re. È un'attività artistica e come tale bisogna riuscire a comprendere se se ne possiedono le grandi doti. Eppoi c'era il mestiere paterno, la cosiddetta strada già tracciata e quelle idee che la famiglia e l'ambiente ti stillano giorno per giorno per farti seguire le aspirazioni dei genitori. Ma- ledizione! Sono davvero convinto, oggi a ventisei anni, che siamo strumentalizzati dai genitori. Questi considerano la vita dei figli come il prolungamento della loro, quasi una vi- ta eterna e cercano di realizzare attraverso di noi ciò che a loro è riuscito magari solo in parte. E così noi iniziarne car- riere che spesso non sono le nostre e agli insuccessi ci in- sorgono le nevrosi. Quelle maledette frasi del tipo: - Papa 291 ne soffrirebbe molto, se non facessi questo -, oppure: - Mamma ne morirebbe se tu facessi quest'altro- sono il ve- ro veleno che ci viene istillato giorno per giorno e vi parte- cipano tutti alla congiura, fratelli, sorelle, zii, nonni, amici di famiglia e forse finanche i dipendenti o i fornitori". Tacqui imbronciato e poi: "Sì, hai ragione quando dici che ra- giono ancora come ai tempi del liceo. Ma ora mi pongo e ti pongo queste domande, anche ingenue, perché non so più se la decisione di riprendere gli studi e completarli sia do- vuta a un mio reale desiderio o ancora al veleno di cui ti ho parlato. Ma di una cosa sono certo che quello che ho fatto prima a Milano alla Van Gogh, poi a Parigi e infine a Lon- dra mi ha profondamente appagato. Perché usciva fuori dai normali schemi. Perché era un insegnamento attivo e del quale si vedeva rapidamente l'utilizzazione. Perché svilup- pava mie capacità insospettate e perché è bello cercare di contribuire alta creazione di qualcosa di nuovo e di perlo- meno appena appena più avanzato di quanto era già stato fatto". "In effetti era come se, anche se in un altro campo, faces; si lo scrittore, ossia l'artista, ossia il creatore, l'attività più nobile". "Sì, forse è così. Ma mi sono anche convinto che non avrei potuto facilmente comprendere tutto quello che sen- tivo se non avessi fatto i normali studi di ingegneria. Capi- sci? Di qui la confusione". "Capisco". "Allora, vedi, il posto alla SOFIRI mi immetterebbe nel diretto campo che mi interessa, ma al tempo stesso mi da responsabilità, anche in altri settori come quello ammini- strativo e commerciale. Mentre, se proseguissi negli studi, mi allontanerei per un anno dal settore, ma forse dopo po- trei ritornarci per svolgere finalmente la funzione che ho scoperto piacermi". "Povero Giannil È davvero complicata la situazione. Ma tu sei da me non solo per sfogarti, ma anche per avere un mio consiglio e per sapere io come mi comporterei al tuo ~ 292 posto. Ebbene, ti dirò che non perderei una grande occasio- ne che forse non si ripeterebbe più. Inoltre ti dico che po- tresti tentare, anche se so che è difficile, di laurearti in fisi- ca, mentre sei alla SOFIRI. Credo ti mancherebbero solo un paio di esami e li potrai fare anche in due anni approfittan- do di ferie e giorni liberi. Eppoi, Gianni, anche se tu non trovassi il massimo appagamento in questo incarico e un giorno decidessi di lasciarlo, ti rimarrebbe sempre la gran- de soddisfazione di essere stato un importante dirigente in- dustriale. Nella vita si può vivere anche di ricordi! Pensa che di ingegneri ce ne sono tanti, ma di direttori di aziende di notevole livello ce ne sono molti di meno!" Una grande serenità mi pervase tutto! Il mio buon amico, l'impagabile Edoardo, aveva trovato la chiave del dilemma. Sì, era così. Avrebbe dovuto essere così.
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:30 pm | |
| CAPITOLO XXX Faceva un freddo polare e tutta l'Italia centro settentrio- nale era avviluppata in una stretta morsa di gelo, quando giunsi a Firenze con un ritardo di oltre tré ore. Anche se eravamo, ai primi di gennaio, e quindi periodo consono a ta- li manifestazioni climatiche, non mi era mai capitato di in- capparci nel tragitto Roma-Firenze. Invece proprio dopo Roma intense nevicate, che erano iniziate nella nottata, avevano costretto la dirczione del movimento ferroviario a dirottare i convogli dalla grande dorsale Roma-Milano sul- la linea tirrenica e a far raggiungere Firenze via Livorno. Di qui intasamenti, ritardi e disagi. Percorrere il breve tratto che separa la stazione di Santa Maria Novella dall'hotel Baglioni, sede del convegno SOFI- RI, fu estremamente disagevole e vagamente somigliante a un percorso polare in miniatura. Duecento metri non sono molto. Ebbene, provate a farli con una grossa valigia e tan- te altre piccole cose da portare mentre nevica e i marciapie- di interamente ricoperti da alcuni centimetri del bianco mantello e le strade estremamente sdrucciolevoli. Dopo sa- rete convinti che ciò rappresenta, specialmente per chi è abituato a vivere in una città del Sud, un'impresa non indif- ferente e approdare in quelle condizioni nella calda e acco- gliente hall dell'albergo è davvero il conseguimento di un'ambita meta. Questo fatto poteva avere per me un significato simboli- co? Il colloquio con Edoardo mi aveva convinto per il sì e 294 avevo quindi fatto la mia scelta, anche se di tanto in tanto nuovi e vecchi dubbi turbavano la serenità raggiunta. Natu- ralmente però, una volta deciso, avrei dovuto affrontare il colloquio con Maffoni e riuscire a ottenere il massimo co- me condizioni e posizioni e principalmente confermare l'al- ta considerazione che aveva di me. Sono convinto che è sempre più facile creare una buona impressione che mante- nerla nel tempo. Fui accolto con cortesia da un funzionario del settore pa- vimentazioni e accompagnato nella stanza che mi era stata riservata. Quando ne discesi un cordialissimo Garofani mi guidò verso i vari gruppi che si erano formati nella hall in- torno ai dirigenti della SOFIRI. Il buon toscano mi aveva chiesto più volte con aria di complicità quale fosse stata la mia decisione. Schivai abilmente e alla fine mi limitai a ri- spondergli con un vago "Dopo l'incontro con Maffoni". Vi erano tantissimi partecipanti, agenti, funzionar!, diri- genti, anche di altre aziende. Mancava però Maffoni che, mi dissero, sarebbe intervenuto il giorno successivo a inizio dei lavori. Sul resto della serata è bene stendere un pietoso velo, perché il programma aveva previsto una cena fuori Firenze in un suggestivo castello trasformato in ristorante, dove pe- rò fu estremamente penoso e decisamente poco opportuno recarsi a un'ora così tarda e con molti dei partecipanti or- mai stanchi del lungo e disagevole viaggio affrontato. La SOFIRI era molto ben organizzata e diretta e lo avevo potu- to constatare non solo nei rapporti precedenti, ma anche da quanto mi era stato riferito da autorevoli personaggi della Van Gogh, CondizionalAcustica e finanche della Goubeline. Quella disgraziata cena costituì un neo che aveva come uni- ca scusante l'improvviso peggioramento delle condizioni climatiche. La mattina dopo però tutto ritornò nella normalità e la sala nella quale si svolgevano i lavori e l'organizzazione de- gli stessi mi ricordava tanto il congresso della Van Gogh a Napoli, a cui evidentemente si ispirava. Conobbi molti diri- 295 genti o funzionar! direttivi del gruppo SOFIRI e tutti gli agenti che erano nella generalità persone apparentemente affermate e ben preparate. Una delle cose che mi arrecò maggiore soddisfazione, ma anche un vago senso di timore, fu il rendermi conto che i dirigenti avevano tutti un'età no- tevolmente superiore alla mia. Rividi anche Maffoni che mi salutò con affabilità, ma che non fece alcun accenno alla fa- mosa offerta di cui Garofani era stato latore. Ebbi modo, sia in quello che nel giorno successivo, di osservare attenta- mente quell'ometto che possedeva indubbiamente una grande energia, prontezza di cervello e spiccata personali- tà. Superai rapidamente il disagio iniziale causatemi dal dover decidere che atteggiamento assumere, se da agente, quale ancora ero, o da dirigente, quale mi era stato offerto e mi accingevo ad essere. Anche il posto che mi era stato as- segnato si prestava a sottolineare l'equivoco. Sedevo infatti non al tavolo della presidenza, ma in una posizione molto vicina ad esso e fui anche invitato a parlare all'assemblea, subito dopo Maffoni, Garofani, Socci, l'ingegnere Malmver- ni, direttore tecnico e altri dirigenti, ma immediatamente prima dei più importanti agenti che ne avevano fatto richie- sta. Ne rimasi sorpreso, ma ormai ero abbastanza abituato a.parlare in pubblico anche se preso alla sprovvista e me la cavai brillantemente, mentre non potei fare a meno di nota- re che Maffoni aveva prestato particolare attenzione a quanto dicevo e a come lo dicevo. L'ulteriore esame doveva aver dato esito positivo e il trattamento che mi veniva riser- vato era sempre più dimostrativo di quanto si desiderasse che entrassi a far parte di quella poderosa organizzazione. Non fui mai lasciato solo, tranne ovviamente che nella mia stanza. Dirigenti e alti funzionari si alternavano a farmi compagnia, non so loro con quanta spontaneità, ma certo il tutto faceva parte di un preciso disegno di emanazione su- periore. Al pranzo conclusivo fui invitato a sedere vicino alla mo- glie di uno dei figli di Maffoni e solo a due posti dal massi- mo esponente. La giovane donna era molto bella, con un vi- 296 so da madonna del Botticelli che la faceva supporre tutta dedita alla sua bellezza e a una vita che i miliardi del suoce- ro potevano permettere impiegata in raffinati divertimenti. Invece non era così. Anche lei era inserita nel mondo del la- voro, e occupava con merito una primaria posizione nell'uf- ficio contabilità dell'azienda. Al termine del pranzo il sempre gentile Garofani mi co- munico che Maffoni mi avrebbe ricevuto il giorno dopo presso la sede della SOFIRI. Eravamo arrivati al dunque e mi preparai a giocare le mie carte nel modo migliore. Percorsi le sale e i corridoi degli uffici e infine fui intro- dotto nel principesco studio del titolare. Era una stanza di oltre cinquanta metri quadrati con mobili antichi di alto pregio. Alle pareti quadri d'autore, come Rosai, Morandi, De Chirico, Sironi e Guttuso e un pannello che riepilogava le undici aziende del gruppo con le loro specializzazioni e il nome dei rispettivi direttori. Notai subito quello della ME- RIDIONAL SOFIRI S.p.A. al quale mancava il nome del diri- gente. Ne fui turbato e maggiormente consapevole dell'ini-, portanza di quello che mi si offriva. Ma non dovevo farme- ne influenzare. Intorno al mastodontico scrittoio, oltre Maffoni, sedevano Garofani e l'alto, magro e distintissimo dottor Fusini, direttore del personale. Ci scambiammo una decisa stretta di mano e fui invitato a prender posto fra lo- ro. Maffoni esordì: "Egregio dottor Cruni, il dottor Garofani le ha riferito il mio desiderio di averla nella mia organizzazione. Ho di lei un'ottima opinione e ho ammirato sia la sua abilità com- merciale che i suoi requisiti tecnici. Ho parlato di lei con gli ingegneri Barbarisi e Pian e con il signor Milani della Van Gogh e da tutti ho avuto conferma che la mia prima im- pressione era esatta. D'altra parte credo molto alla mia pri- ma impressione quando giudico gli uomini e le dico con piacere che poche volte le mie intuizioni sono risultate er- rate... Non le nascondo che la sua giovane età ha un po' preoccupato alcuni miei più diretti collaboratori che riten- gono non basti aver dimostrato ottime capacità di vendito- 297 rè e tecniche per esser posto alla testa di un complesso im- portante, per dipendenti e fatturato previsto, come la ME- RIDIONAL SOFIRI. Ma io so che lei anche amministrativa- mente ha condotto avanti bene la sua piccola azienda e poi, le ripeto, ho fiducia nel mio intuito. Le offro quindi il posto di direttore della mia società napoletana. La qualifica e le condizioni economiche gliele dirà il nostro direttore del per- sonale, dottor Fusini". Il raffinato dirigente che sedeva alla destra di Mattoni aprì un'elegante cartella e con una voce esile ma chiara in- cominciò: "La sua qualifica come inquadramento previdenziale sa- rà di impiegato di prima categoria con funzioni direttive e procura, per cui il minimo previsto, che sarà da noi riporta- to sui libri paga, risulta essere..." Consultò un altro foglio. "... di lire centoquarantasettemila mensili, ma la reale cifra sarà di lire trecentonovantasettemila mensili per quattor- dici mensilità. Gli scatti di miglioramento saranno annuali e pari al cinque per cento, salvo diverse disposizioni miglio- rative del signor Maffoni". Quell'uomo mi urtava con il suo tono troppo burocratico. Mi trattava come se io avessi chiesto di far parte della sua azienda, ma fortunatamente non era così. Io ero stato pre- gato di farvi parte, e insistentemente. Ero io quello che do- veva dettare le condizioni. Alzai la testa e guardai fisso sen- za alcuna timidezza il signor Maffoni. "Egregio signor Maffoni, sì, il dottor Garofani mi ha rife- rito la sua offerta e desidero innanzitutto ringraziarla per la fiducia che mi dimostra. Ma, vede, io non ho ancora ac- cettato e ciò non perché non ritenga interessante l'offerta, ma per alcuni motivi precedenti a questo nostro incontro e altri che nascono ora. Glieli elenco. Primo, come sa ho un'azienda avviata che in breve tempo ha raggiunto buone posizioni sia di prestigio che economiche, ma sarei poco in- telligente a nascondere a lei, sicuramente informato, che la situazione attuale è ben differente da quella del maggio scorso quando accettai la borsa di studio della Van Gogh. 298 Sono però convinto che la situazione di allora con qualche mese di intenso lavoro possa essere ripristinata, se non mi- gliorata. Secondo, dopo i risultati di Parigi e Londra ho de- ciso di completare anche gli studi italiani di ingegneria e quindi ciò contrasta con l'incarico da lei offertomi. Terzo, mi si parla di impiegato di prima categoria e qui non ci sia- mo. Condizione base è la qualifica a dirigente. Infine lo sti- pendio è ottimo, ma non sufficiente per rinunciare alle mie precedenti decisioni". L'espressione di Maffoni era diventata accigliata e notai alcuni gesti di nervosismo e insofferenza. Per un attimo credetti che stesse per liquidare la partita mandandomi a quel paese. Ma non fu così. In breve il viso di pugile si ri- compose e si aprì ad un largo anche se brutto sorriso. "Cruni, quando mi dicevano che lei è un duro, non aveva- no certamente torto. Se alla sua età mi avessero offerto quanto sto offrendo a lei, mi sarei precipitato ad accettare. Invece lei no. Precisa e pone delle condizioni! No, non ho proprio sbagliato nel giudicarla, ma mi stia a sentire. Lo sa che nessuno a ventisei anni ha la qualifica ufficiale di diri- gente, anche se ne ha i compiti? Sarà dirigente, ma non su- bito. Diciamo fra due anni, anzi no, uno, se il dottor Fusini riuscirà a risolvere le relative difficoltà. Sa lei quanti sono ufficialmente dirigenti nel nostro gruppo che conta oltre mille dipendenti? Glielo dico io, solo otto e una quindicina sono invece di prima con funzioni direttive. È vero, Fusini?" "Sì, signor Maffoni", rispose la vocina del direttore del personale. "E poi per lo stipendio, ma già le ho offerto il massimo che viene corrisposto nel nostro gruppo che è uno di quelli che paga di più. Tenga anche presente che viene dato a diri- genti con più anni di anzianità... E poi, scusi, quanto le ren- deva la Cruni & C.?" Decisi di rischiare ancora. "Sicuramente meno, signor Maffoni, ma non è detto che non possa rendere di più. Eppoi è qualcosa di mio e a me 299 piace essere indipendente". "Anche laMERIDIONAL SOFIRI lo sarebbe. È il diretto- re e non dovrà certo dipendere da alcuno. Seguirà solo le mie direttive generali. Per il resto è lei che dovrà decidere, certamente sempre entro i binari che di bimestre in bime- stre tracceremo. E poi sa che le darò la procura? Il che, co- me sa benissimo, significa che la sua firma varrà quasi quanto quella dell'amministratore delegato. Ma che vuole di più?" "Io nulla, perché nulla ho chiesto, ma, se proprio lei mi vuoi fare accettare, la qualifica a dirigente immediata e un maggiore guadagno. Scusi, signor Maffoni, ma è mia abitu- dine essere chiaro subito". Ancora una volta ritenni di aver superato i limiti. Avevo capito che gli piacevano i tipi decisi, così come sicuramente era stato lui, ma il troppo è troppo! Fortunatamente la bat- taglia che si svolgeva entro Maffoni si risolse ancora una volta in mio favore e: "Fusini, è possibile farlo dirigente subito?" Il lungo direttore consultò carte e libretti e rispose con evidente contrarietà: "Sì, con parecchie difficoltà, ma penso di riuscirci". "Ebbene, allora vada per dirigente. Per quanto riguarda il maggior guadagno, sa che le dico? Consideri la MERI- DIONAL SOFIRI come la sua azienda e la faccia produrre al massimo. Le assegnerò, oltre lo stipendio, lo zero due per cento del fatturato annuale con liquidazione a gennaio di ogni anno. È contento così?" Avrei tanto voluto conoscere il fatturato previsto, ma non era il caso di insistere eppoi non era tanto il denaro che mi interessava, ma il prestigio e far capire che con me non ci si poteva imporre facilmente. C'ero riuscito, ero quindi più che soddisfatto. Glielo dissi, ma senza mostrare soverchio entusiasmo. Ci trattenemmo ancora a lungo a parlare del funzionamento della mia, ormai potevo dirlo, MERIDIO- NAL SOFIRI, dei compiti affidati, dei dipendenti e conve- nimmo mi sarei trattenuto ancora alcuni giorni a Firenze 300 per conferire con i responsabili dei vari settori e per com- pletare la mia istruzione sui meccanismi SOFIRI ai quali si sarebbe ispirata la MERIDIONAL SOFIRI. A ventisei anni ero un dirigente industriale! Appena due anni dopo aver iniziato a lavorare come un modesto ap- prendista rappresentante dal vecchio Mortini. Sì, erano ap- pena due anni. Sembravano molti di più. Quasi una vita per ricchezza di avvenimenti, conoscenze, esperienze e cambia- menti. 301 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine Mar Dic 30, 2008 2:33 pm | |
| CAPITOLO XXXI Quel mese di gennaio fu ancora più intenso, se ciò fosse stato umanamente possibile, rispetto ai precedenti e colmo di riconoscimenti. Avevo una qualifica e un incarico di mia piena soddisfazione, che fu ingigantita, se non del tutto ge- nerata, dal senso di rispetto e di invidia che suscitavo fra i conoscenti e principalmente fra i parenti, anche quelli a me più vicini. Ma solo Annamaria e pochi amici erano sincera- mente partecipi del mio successo. Gli altri abbozzavano complimenti e congratulazioni con sguardi non limpidi e palese impaccio. Questo giovane, che avevano considerato se non proprio uno sconfìtto dalla vita perlomeno uno che si avviava a percorrerla con notevoli frustrazioni, solleci- tando così piacevolmente il sadismo che sonnecchiava nel profondo del loro io, doveva davvero rappresentare una grossa e continua pena per costoro, vedendolo occupare una posizione così importante, essere alla testa di oltre cen- to dipendenti, essere insediato nel suo ampio ed attrezzato ufficio, prendere in fitto un lussuoso appartamento nella via più chic della città, acquistare una nuova e veloce auto- mobile, far vestire la moglie presso sartorie che contano. E non potevano certo dire che quanto avevo raggiunto fosse frutto di raccomandazioni o di fortuna. No, non era proprio possibile dirlo, pur con tutta la buona volontà! Nell'am- biente di lavoro ero troppo stimato per poterlo fare! Naturalmente non tutto era facile come dall'esterno po- teva apparire. La giovane età e l'aver assunto di colpo l'in- 302 carico di direttore senza aver fatto la trafila che consuetu- dinariamente veniva svolta nell'ambito di una stessa azien- da o presso altre similari, mi avevano posto di fronte a grossi problemi. Il principale fu l'atteggiamento da assu- mere con i dipendenti. Questi non erano i tre che avevo avu- to con me nella Cruni & C., ma tanti di più e con qualifiche ben diverse. Vi erano ingegneri, geometri, periti, ragionie- ri, capisquadra, operai specializzati e qualificati, tutti o quasi con notevole esperienza. E i settori erano tanti! Il tec- nico, l'amministrativo, il commerciale... Presi di petto la situazione e con alcune riunioni e visite riuscii a fare una buona impressione su tutti e a ottenere la loro stima. Mostrai sicurezza con quelli che reputai richie- dessero questo, invece desiderio di collaborazione fino a giungere anche alla tacita richiesta di una certa guida con altri perlopiù anziani che avevo giudicato più intelligenti ed esperti e in possesso di saggezza sufficiente tale da far loro capire che il direttore non è il "padreterno" che tutto sa e tutto fa bene. La mia giornata era intensissima e senza orario. A volte lavoravo anche per diciotto ore, interrotte soltanto da una breve pausa. Avevo la responsabilità dell'ufficio, dei quat- tordici cantieri distribuiti fra Colleferro e la Sicilia, dei rappresentanti e spesso facevo puntate a Firenze. Non tralasciavo però neanche la vita di società e la sera frequentemente aderivo, anche se stanco e assonnato, ai continui inviti che ci venivano rivolti. Non tanto per me, ma per Annamaria ero lieto di quella nuova considerazione che aleggiava intomo a noi e delle continue raccomandazioni che mi venivano direttamente o a mezzo di mia moglie ri- volte. Annamaria come me non amava quel tipo di vita e, dopo i primi tempi, preferimmo trascorrere la domenica da soli nelle tante belle località che contornano Napoli, come Posi- tano. Amalfi, Sorrento e Capri. Ma sempre più spesso era- vamo a Roma da Edoardo e Liliana e, quando era possibile, facevamo rapidissime puntate a Montecarlo, Nizza, Can- 303 nes, insomma in quella splendida zona che è la Costa Azzur- ra, con i suoi casino, night, cabaret, ville e insenature mera- vigliose, dove nessuno ci conosceva e potevamo, nell'anoni- mato, dare libero sfogo al desiderio di vivere e agire non se- condo la posizione sociale, ma la nostra giovane età e quin- di esprimere liberamente la più sfrenata allegria. Quelli erano per me i veri momenti di riposo nei quali non ero co- stretto ad assumere gli "atteggiamenti" che la gente che frequentavo nelle comitive napoletane o nel lavoro sembra- vano attendersi da me. L'organizzazione della SOFIRI, che con alcune varianti veniva adottata anche da noi, era un vero e proprio gioiello e qualche volta addirittura geniale. Ad esempio le nostre squadre, che operavano presso i grandi stabilimenti pro- duttori di materiale ferroviario, erano organizzate in que- sto modo: il caposquadra era il responsabile verso di me dell'esecuzione a perfetta regola d'arte dell'isolamento ter- moacustico di carrozze viaggiatori, carri frigoriferi, loco- motive ecc. e gli veniva forfettariamente liquidata una cifra precedentemente concordata "a corpo". Lui a sua volta po- teva assumere quanti aiutanti voleva e stabilire con loro dei piccoli cottimi. Tutti venivano presi in forza nei nostri libri paga, ma le relative retribuzioni non erano a nostro ca- rico, bensì a carico del caposquadra. Si otteneva così una regolare copertura assicurativa di tutti gli operai, ma con una cifra fissa da pagare per ogni lavoro completato. Quin- di il guadagno della MERIDIONAL SOFIRI era sicuro e ri- sultante dalla differenza del prezzo da noi praticato alle va- rie aziende e quello da noi corrisposto al caposquadra, più assicurazioni varie e spese generali. Ciò permetteva a que- sti di guadagnare cifre veramente considerevoli e di lascia- re contenti anche i loro diretti collaboratori che erano infa- ticabili. Producevano bene, non vi erano lavativi e l'armo- nia era generale. Non ci capitò mai alcuna contestazione durante i collaudi che, a consegna del lavoro, avvenivano alla presenza dei nostri tecnici e di quelli delle aziende committenti. In breve riuscimmo ad arricchire il primitivo 304 nucleo di quasi tutti gli specialisti del settore, per cui la no- stra ditta, che consegnava sempre in anticipo sui tempi pre- visti i lavori commissionati, diventava sempre più egemo- ne. I capitolati d'appalto, alla voce "isolamenti", riportavano quasi sempre e in maniera crescente la dizione "tipo SOFI- RI" e ciò incrementava notevolmente il nostro lavoro e le nostre maestranze. La piccola percentuale che mi era stata assegnata sul fat- turato della società faceva sì che i miei guadagni andassero a loro volta incrementandosi in maniera cospicua. Ma già lo stipendio era di gran lunga superiore alle mie necessità, per cui navigavo in un assoluto benessere economico. Ma non era solo questo che mi interessava. Ben più appaganti erano certe richieste di favori che io, giovane ventiseienne, ricevevo da autorevoli personaggi, come il direttore della filiale meridionale della grande Chianciani S.p.A., una delle prime cinque aziende italiane, che venne con i suoi capelli bianchi e la sua lunga esperienza dirigenziale, quasi piaten- do, a chiedermi di concedergli alcuni miei operai per com- pletare un lavoro senza uscire dai tempi stabiliti. Acconsen- tii senza indugio e non facendo minimamente pesare la mia posizione in quel particolare momento di superiorità, mo- strando anzi molta modestia e rispetto. L'anziano ingegne- re apprezzò il mio gesto e la mia discrezione che risolveva- no una situazione che avrebbe potuto compromettere tanti anni di onorata carriera. Mi fu molto grato e lo dimostrò per anni e anni, mantenendo rapporti sempre gentili e cor- diali. Al contrario quelli con i miei colleghi di Firenze, ad ecce- zione di Garofani e Socci, non erano altrettanto buoni, an- che se formalmente improntati alla massima correttezza. Io, così giovane, davo loro ombra e le loro previsioni di miei insuccessi, se non immediati almeno a breve scadenza, era- no state frustrate dal consolidamento sempre crescente della mia posizione e della stima di Maffoni che, ad ogni mia visita a Firenze, mi invitava nella sua splendida villa 305 dove mi colmava di cortesie. I cari colleghi cominciarono a boicottarmi in tutti i modi: gli operai più lavativi, i macchinari più difettosi, le prati- che o gli incontri più rognosi venivano, con varie scuse, di- rottati presso di me. Durante le mie frequenti assenze da Napoli per visite di controllo presso i vari cantieri o per ag- giornamenti tecnici a Parigi, avvenivano incidenti e compli- cazioni. L'invidia è davvero una brutta bestia e riesce a danneg- giare quasi quanto i cataclismi naturali. Fui costretto, sem- pre più spesso, ad occupare parte del mio tempo produttivo con visite a Firenze, durante le quali cercavo di parare i col- pi che mi venivano portati così proditoriamente. Annamaria si ammalò recandomi altre preoccupazioni e i cari parenti non riuscirono o non vollero darle quell'assi- stenza che io, impegnatissimo nel lavoro e spesso fuori se- de, avrei desiderato. Sottile si incominciava nuovamente a insinuare nella mia mente, anche se in forma molto attenuata, la carenza di quel requisito che rende, secondo quel maledetto ambiente nel quale ero cresciuto e nel quale in parte ancora vivevo, totalmente "eletti". La stanchezza di quel lavoro stressante e le preoccupazio- ni incominciarono a rendermi più nervoso e meno sereno nei giudizi. Alcune relazioni normali con Maffoni e alcuni colloqui con lui, che fondamentalmente non erano diversi dai precedenti, iniziarono a far risvegliare un'altra delle ne- vrosi che il mio ambiente mi aveva regalato. L'insofferenza alla dipendenza. Non è l'individuo che è nevrotico, ma l'am- biente che lo circonda, dice Jung. Incominciai a intravedere imposizioni che non esisteva- no. Alcune nuove iniziative del titolare della MERIDIONAL SOFIRI, che avrei accolto solo qualche tempo prima con en- tusiasmo perché interessanti e originali, mi irritarono e co- minciai a essere meno gentile con lui. Un imprevisto intervento chirurgico subito da Annama- ria e una successiva gravidanza extrauterina, mi turbarono 306 molto e incominciai a pensare che hanno ragione a Napoli quando affermano che "possono più gli occhi che le schiop- pettate". Insomma tutto il lavoro mi sembrò meno affascinante ed appagante e sempre più forte ricominciarono a far capoli- no i primitivi pregiudizi e quindi il desiderio di piantare tutto, andare fuori, riprendere e completare gli studi. Quant'è terribile il veleno che ci viene inculcato da ragaz- zi! Costituisce la forza guida della nostra vita! E forse il ve- ro destino! Ma allora non me ne rendevo pienamente conto, altrimenti a qualsiasi costo sarei andato diritto per la mia strada. Ma non lo feci. Le "voci di dentro" si stavano sem- pre più impadronendo di me e fu verso la fine dell'anno che presi spunto da un piccolo dissidio con Maffoni, provocato da quel maledetto istinto - regalo dell'ambiente - all'au- todistruzione, per presentare le mie dimissioni. Avrei proseguito gli studi che ora potevo portare avanti con tranquillità, dato il benessere economico che mi ero procurato. A nulla valsero gli interventi sinceri di veri ami- ci, come Garofani e Socci e nemmeno quelli di Edoardo Sardi. Anche un'allettante offerta, propostami dalla mag- giore concorrente della SOFIRI con condizioni ancora mi- gliori, non mi fece deflettere dal proposito, generato da quel- le forze che erano intimamente dentro di me. I primitivi pregiudizi avevano vinto! Mi accingevo a diventare un "eletto" secondo la più vieta e tarda tradizione.
* * *
Una lama cruda di luce penetrava fra le stecche dell'av- volgibile e finiva proprio sui miei occhi. Li aprii, mi rigirai e affondai il viso nel cuscino. Volevo a tutti i costi riprende- re a dormire, ma una voce dietro la porta squillò: "Gianni, c'è Vittorio al telefono. Chiede quando vai a prenderlo per andare all'università... dice di fare presto!" Oh, cavolo, come avevo fatto a dimenticarlo. Dovevo cor- 307 rere a dare uno degli ultimi esami. In quell'anno avrei dovuto terminare assolutamente gli studi. La laurea in ingegneria e poi l'azienda paterna mi at- tendeva! Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
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| | | | L'INSERIMENTO dal cap. XXVI al XXXI Fine | |
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