BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)

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Bruno
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I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Empty
MessaggioTitolo: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 12:29 pm

L’atteggiamento, però, cambia sensibilmente quando la tenace
resistenza inglese fa comprendere che la guerra sarà lunga e dura
anche per i tedeschi. Il Ministro degli Esteri Molotov, nel novembre
1940 a Berlino, pretende che la Germania delimiti rigorosamente le
zone di sua influenza rispetto a quelle russe e solleva la questione
della striscia di territorio lituano occupato dai tedeschi. Hitler gli
risponde: “Dopo la conquista dell’Inghilterra, l’Impero britannico
sarà liquidato né più né meno di una gigantesca proprietà mondiale
in bancarotta dall’estensione di 40 milioni di chilometri quadrati. In
questa proprietà in bancarotta la Russia avrà accesso all’oceano
sgombro di ghiacci e realmente libero. Sinora una minoranza di 45
milioni di inglesi ha governato 600 milioni di abitanti dell’Impero
britannico. Io sto ora per schiacciare questa minoranza. Anche gli
Stati Uniti non stanno facendo altro che prelevare da questa proprietà
in bancarotta alcune partite particolarmente confacenti ai loro
interessi”.
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CAP. XII
HITLER PRENDE SOTTO TUTELA MUSSOLINI, INVADE I
BALCANI, ATTACCA STALIN E DICHIARA GUERRA A
ROOSEVELT CON GRANDE SOLLIEVO DI CHURCHILL
HITLER, dopo la forzata rinuncia ad invadere l’Inghilterra, si
ritrova con un immenso potenziale bellico adatto a qualsiasi impresa
sul continente e progetta, contravvenendo al suo principio di “uno alla
volta”, di invadere la Russia entro il 15 maggio 1941 (Operazione
Barbarossa). La data, attentamente studiata, gli consente di poter
disporre di mesi e mesi di tempo buono per percorrere, con le proprie
armate, le sconfinate distese russe senza incorrere nel “generale
inverno” che sconfisse il grande Napoleone. Le recenti esperienze in
Polonia e in Francia permettono di valutare in 8 settimane il tempo
occorrente per ridurre il Paese di Stalin in proprio potere.
Però gli imprevisti insuccessi di Mussolini sul mare e in Egitto e
l’assurda impresa in Grecia, lo costringono ad inviare una sua armata
aerea in Sicilia, un piccolo esercito corazzato in Libia e a intervenire
in Grecia. Comunica, quindi, questi suoi progetti al Duce in un
incontro a gennaio in Germania, durante il quale riesce a frenare
l’irritazione per la sprovvedutezza del socio e si mostra cordiale e
comprensivo, e, con le lacrime agli occhi, gli dice di aver condiviso le
angosce italiane. Poi, abbandonata l’emozione, si diffonde a parlare di
ciò che ha intenzione di fare contro la Grecia (operazione Marita) che
consiste nell’utilizzare la posizione tedesca in Romania e quella che si
accinge ad avere in Bulgaria per travolgere ogni resistenza alla
frontiera nord-orientale che, d’altra parte, è abbastanza sguarnita,
essendo quasi tutto l’esercito greco impegnato contro gli italiani in
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Albania. Inoltre pensa di avvalersi dell’appoggio della Iugoslavia, alla
quale ha promesso alcuni compensi territoriali.
A marzo, puntualmente, la Bulgaria aderisce al Patto Tripartito
mentre la Iugoslavia, sobillata abilmente da Churchill, si rifiuta di
farlo, suscitando la tremenda collera di Hitler che, il 27 marzo,
convoca l’Alto Comando Tedesco e dice: “L’attacco avrà inizio non
appena siano pronti i mezzi e le truppe necessarie. Un aiuto militare
effettivo contro la Iugoslavia dovrà essere chiesto all’Italia,
all’Ungheria e, parzialmente, anche alla Bulgaria. Gli ambasciatori
ungherese e bulgaro sono già stati convocati; in giornata verrà
inviato un messaggio al Duce. Politicamente è di grandissima
importanza che l’operazione venga effettuata con spietata durezza e
che la distruzione dell’esercito sia compiuta con una campagnalampo.
In questo modo s’incuterebbe alla Turchia la necessaria paura
e s’influirebbe favorevolmente sulla successiva campagna contro la
Grecia. Si può prevedere che i Croati si schiereranno al nostro fianco
allorché attaccheremo. Ad essi verrà assicurato un trattamento
politico corrispondente (successivamente l’autonomia). La guerra
contro la Iugoslavia dovrebbe essere popolare in Italia, Ungheria e
Bulgaria, poiché questi Stati si possono ripromettere acquisti
territoriali: la costa adriatica all’Italia, il Banato all’Ungheria, e la
Macedonia alla Bulgaria. Il piano presuppone che noi affrettiamo al
massimo i tempi di tutta la preparazione e impieghiamo forze così
ingenti da far sì che il crollo della Iugoslavia abbia luogo in
brevissimo tempo(...) Il compito principale dell’aviazione è di iniziare
la demolizione degli impianti a terra dell’aviazione iugoslava e di
distruggere la capitale, Belgrado, con attacchi ad ondate successive”.
Subito dopo Hitler telegrafa a Mussolini: “Duce, gli avvenimenti
mi obbligano a comunicarvi con questo più rapido mezzo la mia
opinione sulla situazione e le conclusioni che se ne possono trarre. 1)
Sin dall’inizio ho considerato la Iugoslavia come un elemento
pericoloso nel conflitto con la Grecia. Considerato dal punto di vista
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puramente militare, l’intervento tedesco sul fronte di Tracia non
potrebbe essere interamente giustificato sinché l’atteggiamento della
Iugoslavia rimanesse incerto ed essa potesse minacciare il fianco
sinistro delle colonne avanzanti sul nostro enorme fronte. 2) Per
questo motivo, ho fatto tutto il possibile e mi sono onestamente
sforzato per far entrare la Iugoslavia nella nostra alleanza, tenuta
insieme da reciproci interessi. Sfortunatamente questi tentativi sono
falliti, forse perché essi hanno avuto inizio troppo tardi per produrre
risultati concreti. Le notizie odierne non lasciano alcun dubbio circa
l’imminente mutamento della politica estera iugoslava. 3) Io non
considero questa situazione come catastrofica; comunque essa è
difficile e noi dobbiamo, per parte nostra, evitare qualunque errore se
non vogliamo, alla fine, mettere in pericolo tutta la situazione. 4) Ora
vi prego cordialmente, Duce, di non iniziare altre operazioni in
Albania durante i prossimi pochi giorni. Ritengo necessario che voi
copriate e proteggiate con tutte le forze disponibili i passi più
importanti fra Iugoslavia ed Albania. Queste misure non dovrebbero
essere considerate di lunga durata, ma solo precauzioni per prevenire
un’eventuale crisi durante un periodo di almeno 14 giorni o 3
settimane. Ritengo inoltre necessario, Duce, che rinforziate le vostre
unità alla frontiera italo-iugoslava con tutti i mezzi disponibili e con
la massima rapidità. Se si manterrà il segreto su queste misure, io non
dubito, Duce, che assisteremo entrambi ad un successo non inferiore
a quello norvegese. Questa è la mia granitica convinzione”.
Il 6 aprile 1941 le armate tedesche invadono la Grecia e la
Iugoslavia. Anche le truppe italiane attaccano e conquistano
rapidamente l’intera costa adriatica in Iugoslavia, Gianina, Patrasso e
alcune isole in Grecia. Il 12 aprile i tedeschi sono a Belgrado e il 18,
appena 12 giorni dopo l’inizio delle ostilità, gli iugoslavi firmano la
resa che lascia alle forze dell’Asse ben 334.000 prigionieri! Anche la
Grecia, già consunta da 6 mesi di guerra contro l’Italia, si arrende il 20
190
aprile ai tedeschi e il 23 agli italiani, e questa differenza di date causa
qualche dissapore ed incidente fra gli eserciti invasori.
Il mese prima, esattamente il 2 marzo 1941, in Libia il generale
inglese Wavell così giudica la situazione militare: “ 1) Le ultimissime
informazioni indicano che i recenti rinforzi giunti in Tripolitania
comprendono due divisioni italiane di fanteria, due reggimenti italiani
di artiglieria motorizzata e truppe corazzate tedesche pari, secondo
stime, al massimo agli effettivi di un gruppo di brigate corazzate. 2)
Da Tripoli ad Angheila al confine delle Cirenaica, intercorrono 760
chilometri e da Tripoli a Bengasi circa 1045. Vi è un’unica strada e i
pozzi d’acqua sono insufficienti per oltre 650 chilometri; questi
fattori, insieme con la mancanza di trasporti, limitano la portata
dell’attuale minaccia del nemico. Non ritengo che con tali forze
tenterà di riconquistare Bengasi. I rischi dei trasporti marittimi, le
difficoltà delle comunicazioni e l’approssimarsi della stagione calda,
rendono improbabile un attacco in grande stile prima della fine
dell’estate. La minaccia aerea italiana contro la Cirenaica è
attualmente quasi trascurabile. Viceversa i tedeschi si sono insediati
ottimamente nel Mediterraneo centrale...”.
La previsione risulta completamente sbagliata, perché il nuovo
comandante delle truppe italo-tedesche, il generale Rommel, muove
all’attacco e, in meno di due settimane, conquista l’intera Cirenaica ad
esclusione di Tobruk, facendo prigionieri ben 4 generali inglesi.
Questa impresa riabilita le capacità del soldato italiano che, non
appena dispone di qualche vero carro armato (e non di quelle
scatolette da 1 e 3 tonnellate), di artiglieria motorizzata e di un buon
comandante, non ha nulla da invidiare al soldato inglese. Lo stesso
Rommel, sorpreso dal buon comportamento delle divisioni italiane in
Libia, scrive sul suo diario: ”C’era da sentirsi rizzare i capelli in testa
pensando con quale armamento il Duce mandava a combattere le sue
truppe...”. Eppure Hitler, nonostante questi brillanti e rapidi successi
in Iugoslavia, Grecia e Libia, che gli fanno ritrovare anche una
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qualche fiducia nel grosso esercito italiano, non muta i suoi progetti
russi per dedicarsi al Medio Oriente, che potrebbe essere la vera
chiave di volta per sconfiggere definitivamente l’Inghilterra e trascura
buone possibilità anche di occupare l’Iraq e la Siria, ma si limita a far
conquistare, dopo una sanguinosissima battaglia, l’isola di Creta.
Nulla gli fa mutare il suo progetto “Barbarossa”, nemmeno il suo
ambasciatore a Mosca che gli dice: Sono convinto che Stalin è pronto
a farci concessioni ancora maggiori. E’ già stato segnalato ai nostri
inviati economici che, se noi lo chiediamo tempestivamente, la Russia
potrebbe fornirci ogni anno fino a 5 milioni di tonnellate di grano”.
Non ci riesce nemmeno il competentissimo Segretario del Ministero
degli Esteri che, il 28 aprile 1941, scrive: “Posso riassumere in una
sola frase il mio punto di vista circa un conflitto russo-tedesco. Se
ogni città russa ridotta in cenere valesse per noi quanto una nave da
guerra britannica affondata, sarei un sostenitore della guerra russotedesca
durante la prossima estate; ma sono convinto che noi
trionferemmo della Russia soltanto sul piano militare, mentre
dall’altro lato rimarremmo sconfitti sul piano economico. Si può forse
considerare una prospettiva attraente quella di dare al sistema
comunista un colpo mortale e si potrebbe anche dire che è nella
logica delle cose riunire il continente euroasiatico contro il mondo
anglosassone ed i suoi adepti. Ma l’unico fattore decisivo sta nel
sapere se questo progetto affretterà o meno la sconfitta
dell’Inghilterra. Dobbiamo distinguere due possibilità: A)
L’Inghilterra è prossima al collasso. Se accettiamo questa ipotesi,
facendoci un nuovo nemico noi incoraggeremo l’Inghilterra a
resistere. La Russia non è affatto un alleato potenziale degli inglesi.
L’Inghilterra non può aspettarsi nulla di buono dalla Russia. La
Russia non spera affatto di differire il crollo dell’Inghilterra.
Distruggendo la Russia, noi non distruggiamo alcuna speranza
inglese. B) Se non crediamo nel crollo imminente dell’Inghilterra,
allora viene spontaneo di pensare che noi dobbiamo, con l’uso della
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forza, trarre i nostri alimenti dal territorio sovietico. Sono
perfettamente convinto che avanzeremo vittoriosamente fino a Mosca
e oltre. Dubito assai però che saremo in grado di trar profitto da ciò
che avremo conquistato di fronte alla ben nota resistenza passiva
degli slavi. Non scorgo nello Stato russo alcuna opposizione
effettivamente capace di succedere al sistema comunista, di fare causa
comune con noi e di esserci utile. Noi dovremmo pertanto ritenere
probabile la continuazione del sistema staliniano nella Russia
Orientale e in Siberia e una ripresa delle ostilità nella primavera del
1942. La finestra sul Pacifico rimarrebbe sbarrata. Un attacco
tedesco contro la Russia avrebbe il solo risultato d’infondere nei
britannici nuova fiducia. Esso sarebbe interpretato nell’Isola come
prova che i tedeschi sono incerti circa l’esito della lotta contro la
Gran Bretagna. Con ciò noi non soltanto ammetteremmo che la
guerra si avvia a continuare per molto tempo, ma in realtà
contribuiremmo a prolungarla invece di abbreviarla”.
A sua volta l’ambasciatore tedesco a Mosca il 7 maggio dice:
“Stalin ha assunto la Presidenza del Consiglio dei Commissari del
Popolo. La ragione di questo cambiamento può essere cercata nei
recenti errori di politica estera, come l’offerta di garanzie alla
Iugoslavia, che hanno portato ad un raffreddamento della cordialità
dei rapporti tedesco-sovietici, per la cui creazione e per il cui
mantenimento Stalin si è consapevolmente battuto. Con la sua nuova
carica Stalin assume la responsabilità di tutti gli atti del suo Governo,
sia all’interno che all’estero(...). Sono convinto che Stalin si servirà
della sua nuova posizione per collaborare personalmente al
mantenimento e allo sviluppo delle buone relazioni fra l’URSS e la
Germania”.
Nulla da fare: Hitler è deciso! Prima dell’attacco dice a tutti i
comandanti: “I metodi impiegati contro i Russi debbono essere diversi
da quelli impiegati contro l’Occidente. La lotta contro l’URSS deve
condursi alla maniera russa. Non avendo i sovietici firmato la
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convenzione dell’Aja, il trattamento dei loro prigionieri non deve
uniformarsi a detta convenzione, e i cosiddetti commissari non
dovranno essere considerati prigionieri di guerra”.
Preceduto da una dichiarazione di guerra consegnata
all’ambasciatore russo a Berlino alle 4 del mattino del 22 giugno
1941, un esercito di 3.050.000 soldati, fra tedeschi e loro alleati,
invade la Russia. Sono 12 armate con 145 divisioni tedesche, delle
quali 19 corazzate, e 23 divisioni alleate (finlandesi, slovacche e
rumene) per un totale di 168 divisioni. Contro vi sono ben 4.700.000
soldati sovietici, suddivisi in 186 divisioni, che non si attendevano
assolutamente un attacco tedesco, giunto così inaspettato per loro,
nonostante i ripetuti tentativi di Churchill di mettere sull’avviso uno
Stalin assolutamente incredulo. Ciò consente ai 2.600 aerei tedeschi di
distruggere molti dei 5.000 aerei sovietici, direttamente nei vari
aeroporti.
Churchill, ancora una volta lucido e prontissimo, non frappone
indugi e, d’accordo con Roosevelt, offre aiuti di materiali ed armi a
Stalin, che li accetta.
Nei mesi estivi i successi tedeschi in territorio russo sono
clamorosi e l’avanzata è rapida. Hitler, con la prospettiva sempre più
reale della vittoria, crede che tutto gli sia possibile anche
l’eliminazione totale degli ebrei europei, che aveva dovuto sospendere
a causa delle proteste dell’opinione pubblica. Ora ha dato un altro
nome alla terribile operazione: la chiama “soluzione finale” e
Himmler, nell’estate del 1941, convoca a Berlino Hoss, il comandante
di Auschwitz, e gli dice: “Il Führer ha ordinato la soluzione finale
della questione ebraica e noi, le SS, dobbiamo eseguire tale ordine
(...) Ho scelto Auschwitz per tale compito (...). Sarà un compito
oneroso e difficile e richiederà il suo impegno personale più totale.
Lei manterrà il più stretto riserbo in merito a tale ordine, anche nei
confronti dei suoi superiori (....) Ciascun ebreo su cui riusciamo a
mettere le mani deve essere sterminato, senza eccezione alcuna. Se
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non riusciamo a distruggere ora il fondamento biologico
dell’ebraismo, un giorno gli ebrei distruggeranno il popolo tedesco”.
Nel frattempo in autunno i russi riescono a contrapporsi più
validamente all’avanzata tedesca e addirittura tentano qualche
contrattacco. Hitler non riesce a conquistare Mosca: l’avanzata delle
sue truppe si ferma il 2 dicembre 1941, a soli 10 chilometri dalla
capitale.
Sembra di essere tornati ad un anno e mezzo prima, quando
l’Inghilterra sembrava a portata di mano per l’invasione che non
avvenne. Così, ora, in Russia Mosca è lì, ma i tedeschi non riescono a
farla loro. E i Russi, come gli Inglesi, non chiedono né la pace né
l’armistizio, mentre alcuni alti comandanti germanici scongiurano i
diplomatici di far capire ad Hitler “che tutto l’andamento della guerra
in Russia è pura follia, che l’esercito tedesco è sottoposto a un’usura
che non può reggere e che infine egli sta conducendo la Germania
verso la rovina”.
Come se non bastasse, il Giappone, il 7 dicembre 1941, attacca gli
Stati Uniti a Pearl Harbor nelle isole Hawaii e chiede a Germania e
Italia, in virtù del trattato che le lega, di dichiarare guerra alla
potentissima nazione americana dove Roosevelt, ricevendo Churchill
a Washington, ha stabilito la produzione per il 1942 di: 45.000 aerei
da combattimento, 45.000 carri armati, 20.000 cannoni antiaerei,
14.900 cannoni anticarro e 500.000 mitragliatrici che si andranno a
sommare ai 15.000 aerei e 5.000 carri armati e ai 25.000 aerei e ai
24.000 carri armati che saranno prodotti rispettivamente da Inghilterra
e Russia contro i 23.000 aerei e i 20.000 carri armati che sono previsti
in Germania sempre per il 1942, mentre la previsione di produzione
giapponese di armi è molto più bassa e scarsamente rilevante è quella
italiana!
MUSSOLINI, dopo i grandi insuccessi della fine del 1940 e
dell’inizio del 1941, deve accettare, probabilmente con sollievo, il
ruolo subalterno nei confronti di Hitler che, comunque salva sempre le
195
forme e continua ad usare un tono rispettoso verso di lui. Ma, nella
sostanza, è ormai il Führer che decide la politica militare anche nei
quadranti nei quali Mussolini aveva voluto condurre la sua guerra
parallela.
Dopo l’aprile 1941 le truppe italiane controllano parte della
Iugoslavia e della Grecia e fervono le discussioni con il capo croato
Pavelic sul re italiano da dare alla Croazia e su quanto territorio
annettere direttamente all’Italia. Di tanto in tanto re Vittorio Emanuele
III interviene nelle discussioni, per chiedere che venga creato, in
omaggio alla moglie montenegrina, il regno del Montenegro.
Il Duce sembra divenuto più realistico, ma subito torna
all’abitudine del bluff quando i suoi paracadutisti, che sono in tutto
150, occupano l’isola greca di Cefalonia. Infatti dice a Ciano: “Poiché
abbiamo ormai un buon nucleo di paracadutisti, potremo, anche se
sono solo un reggimento, dire che ne abbiamo una divisione”.
Il 28 maggio, dopo un forte discorso di Roosevelt contro l’Asse,
Mussolini si scaglia contro il Presidente Americano dicendo: “Nella
storia non si è mai visto un popolo retto da un paralitico. Si sono
avuti re calvi, re grossi, re belli e magari stupidi, ma mai re che per
andare in gabinetto, al bagno, o a tavola avessero bisogno di essere
retti da altri uomini”.
Solo due giorni dopo, nonostante la conquista di Creta proceda
bene, il Duce ce l’ha con i tedeschi per la loro invadenza anche a
Zagabria e dice: “Ci lascino tranquilli e si ricordino che noi per loro
abbiamo perso un impero (infatti gli inglesi hanno conquistato
l’Etiopia oltre alla Somalia e all’Eritrea). Ho una spina nel cuore per
il fatto che la Francia battuta ha il suo impero intatto e noi abbiamo
perso il nostro”. A sua volta il gerarca Bottai, intervenendo in un
dibattito sull’America, dice: “Roosevelt è il vero dittatore: il nostro
sistema, come quelli sempre fioriti sulle sponde del Mediterraneo,
sarebbe invece una tirannia”.
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Quando il 10 giugno 1941 ricorre il primo anniversario dell’entrata
in guerra dell’Italia, Mussolini si confessa: “Non ha importanza che i
tedeschi riconoscano sulla carta i nostri diritti sulla Croazia, quando
in pratica si prendono tutto e a noi lasciano un mucchietto di ossa.
Sono canaglie in malafede e vi dico che così non potrà durare a
lungo. Non so nemmeno se gli intrighi tedeschi permetteranno ad
Aimone Aosta di salire veramente sul trono croato. Io, del resto, ho la
nausea dei tedeschi da quando List fece l’armistizio con la Grecia alle
nostre spalle ed i fanti della divisione Casale, forlivesi che odiano la
Germania, trovarono al ponte di Perati un soldato germanico, a
gambe larghe, che sbarrava loro il cammino e rubava il frutto della
vittoria. E personalmente ne ho le tasche piene di Hitler e del suo
modo di fare. Questi colloqui preceduti da una chiamata col
campanello non mi piacciono: col campanello si chiamano i
camerieri. Poi che razza di colloqui sono? Debbo per 5 ore assistere
ad un monologo abbastanza noioso ed inutile. Ha parlato per ore e
ore di Hess, della Bismarck, di cose più o meno afferenti alla guerra,
ma senza un ordine del giorno, senza sviscerare il problema, senza
prendere una decisione. Io intanto continuo le fortificazioni del Vallo
alpino. Un giorno serviranno. Per il momento non c’è niente da fare.
Bisogna urlare con i lupi. Ed è così che oggi alla Camera farò una
sviolinata alla Germania. Ma il mio cuore è pieno d’amaro”.
Alle 3 del mattino del 22 giugno Hitler fa recapitare una lunga
lettera a Mussolini nella quale spiega in toni abbastanza dimessi le
ragioni del suo attacco alla Russia. E’ un’azione tanto inaspettata che
Ciano tutta la mattinata non riesce a trovare nessuno all’ambasciata
sovietica: erano tutti al bagno a Fregene! Passano solo pochi giorni e
già giungono notizie di grandi successi tedeschi: ben 1.700 aeroplani
russi distrutti in una sola notte!
L’umore del Duce è tornato cangiante come nei tempi
dell’invasione tedesca in Polonia, quando non sapeva risolversi a
intervenire o meno nel conflitto e provava paura per tutto. Così il 2
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luglio, quando Hitler lo invita al suo Quartier Generale, è entusiasta e,
il 5 luglio, dice al Consiglio dei Ministri: “L’America interverrà, ma è
scontato, la Russia sarà battuta in un breve lasso di tempo e ciò farà
recedere la Gran Bretagna dalla sua intransigenza. Odio l’Inghilterra
perché mi ha fatto perdere l’Impero, ma lo riconquisterò ad ogni
costo”. Poi, solo un giorno dopo, il suo umore cambia e dice: “Io
prevedo come inevitabile una crisi tra Italia e Germania. Ormai è
evidente che si preparano a chiederci il confine a Salorno, e forse a
Verona. Ed ormai mi pongo seriamente il quesito se per il nostro
futuro non è più auspicabile una vittoria inglese che una vittoria
tedesca. Intanto gli inglesi volano sulla Germania anche di giorno, e
ciò mi fa piacere perché, siccome bisognerà batterci con i tedeschi,
non si deve creare il mito della loro invincibilità. Ciò nonostante ho
poca fiducia nella nostra razza: al primo bombardamento che
distruggesse un campanile famoso o un quadro di Giotto, gli italiani
si faranno prendere da una crisi di sentimento artistico e alzeranno le
braccia. Dobbiamo ringraziare Graziani: è a lui che dobbiamo se il
nostro prestigio va a farsi fottere, anzi è già fottuto”.
A proposito di bombardamenti, quelli inglesi imperversano
sull’Italia e in particolare su Napoli, e Mussolini dice: “Sono lieto che
Napoli abbia delle notti così severe. La razza diventerà più dura. La
guerra farà dei napoletani un popolo nordico”.
I mesi successivi portano alti e bassi militari in Libia e sul mare,
oltre a notevoli problemi per le forze d’occupazione italiane in
Montenegro e in Grecia, dove le popolazioni sono alla fame. Poi, il 30
settembre, Mussolini è felice ed orgoglioso dei successi conseguiti dai
circa 80.000 uomini che costituiscono il corpo di spedizione italiano
in Russia. Immediatamente parte per un giro d’ispezione in Russia,
dove sembra che un ufficiale tedesco avrebbe detto di lui: “Ecco il
nostro Gauleiter per l’Italia”. Di ritorno il Duce si lamenta con
Ciano: “Il primo disco era quello dell’Italia, alleata fedele, su di un
piano di parità, signora del Mediterraneo come la Germania era la
198
signora del Baltico. Poi è venuto il secondo disco, quello dopo le
vittorie. Cioè: l’Europa sarà dominata dalla Germania. Gli Stati vinti
saranno delle vere e proprie colonie. Gli Stati associati saranno
provincie confederate. Tra queste la più importante è l’Italia. Bisogna
accettare questo stato di cose perché ogni tentativo di reazione ci
farebbe declassare dalla condizione di provincia confederata a quella
ben peggiore di colonia. Anche se domani chiedessero Trieste nello
spazio vitale germanico, bisognerebbe piegare la testa. Infine c’è la
possibilità di un terzo disco: quello che verrà inciso se la resistenza
anglo-americana renderà utile per i tedeschi la nostra collaborazione.
Ma ciò è di là da venire”.
Dopo altre settimane, mentre i tedeschi incominciano a segnare il
passo davanti a Mosca, qualche gerarca fascista incomincia a dire che
“il Duce è decaduto intellettualmente e fisicamente perché è il
prodotto della sifilide”.
A novembre Hitler invia una lunga lettera a Mussolini e lo esorta a
fare attenzione a eventuali sbarchi inglesi in Corsica, in Sicilia e in
Sardegna, poi invia in Italia il Maresciallo Kesselring per prendere il
comando delle forze di stanza nel meridione del Paese e nelle isole
Ioniche.
La sudditanza italiana aumenta, rafforzata anche da un nuovo
rovescio militare in mare: si tratta della flotta che, scortando un
convoglio, non solo perde tutti i piroscafi scortati, ma anche un paio di
cacciatorpediniere. Puntuale, Mussolini si lamenta dicendo: “Sarei
fiero anch’io di mandare un telegramma come quello spedito da
Churchill al suo ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne cerco
l’occasione”. Non prende però alcun provvedimento a carico
dell’ammiraglio Brivolesi, che era stato giudicato da altri militari
inidoneo al comando di una flotta. Provvede, invece, il Sottocapo di
Stato Maggiore Sansonetti, mettendo in giro la fantasiosa notizia che
un sommergibile italiano ha affondato due piroscafi nemici da
diecimila tonnellate, che poi diventano trentamila. Ma ormai, nel caos
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dirigenziale che aumenta, si dice anche che alcuni ammiragli sono
intoccabili, perché debbono il posto alla protezione della giovane e
bella favorita del Duce, Claretta Petacci.
Alla fine di novembre Ciano partecipa alla riunione Anticomintern
in Germania e annota sul suo diario: “I tedeschi erano i padroni di
casa e lo facevano sentire anche se con noi usavano un garbo del
tutto speciale. Ormai questa egemonia europea è stabilita: sarà bene
o male, questo è un altro discorso: ma c’è. Quindi conviene sedere
alla destra del padrone di casa. E noi siamo alla destra”. E questa
posizione viene confermata dalla battaglia di Marmarica in Libia,
dove i soldati italiani si comportano molto bene, costringendo i
tedeschi a esaltare il valore militare italiano.
Improvvisamente il 3 dicembre 1941 l’ambasciatore giapponese
chiede udienza a Mussolini e gli dice che i negoziati per
l’eliminazione dell’embargo commerciale americano stanno fallendo.
Chiede quindi che l’Italia dichiari guerra agli Stati Uniti appena il
conflitto americano-giapponese scoppierà. Il Duce si mostra
stranamente contento e ritrova gli antichi accenti quando afferma:
“Ecco che si arriva alla guerra dei continenti: quello che avevo
previsto sino da settembre del 1939”. A sua volta Ciano è convinto, e
non è certo il solo, che Roosevelt sia riuscito a realizzare l’abile e
subdola manovra a lungo architettata: non potendo ancora entrare in
guerra contro Hitler per le resistenze isolazioniste del suo Paese, ha
tanto provocato il Giappone da farsi dichiarare guerra, con la
conseguenza di coinvolgere anche la Germania e l’Italia.
Nella Russia di STALIN, nel giugno del 1941, girano voci d’un
attacco tedesco e Molotov, il giorno 13, fa presente all’ambasciatore
germanico che: “I circoli responsabili di Mosca hanno ritenuto
necessario dichiarare che si tratta di una grossolana manovra
propagandistica delle forze schierate contro l’URSS e contro la
Germania, che hanno interesse ad allargare e a inasprire la guerra”.
Poi, il giorno prima del grande attacco, sempre Molotov dice
200
all’ambasciatore tedesco: “Il Governo sovietico non riesce a capire le
ragioni dell’insoddisfazione tedesca. Se la questione iugoslava aveva
a suo tempo dato origine a tale malcontento, sono convinto di aver
chiarito definitivamente, con la precedente nota, la questione la quale
per di più è ormai cosa passata. Sarei grato se mi poteste indicare le
ragioni che hanno provocato l’attuale situazione nei rapporti tra la
Germania e la Russia sovietica”. Infine, quando all’alba del 22
giugno l’ambasciatore tedesco si presenta da Molotov con la
dichiarazione di guerra, si sente rispondere: “E’ la guerra. I vostri
aeroplani hanno bombardato poco fa una diecina di villaggi indifesi.
Siete convinti che ci siamo meritato questo?”.
A sua volta Stalin rimane tanto sconvolto e sorpreso dall’attacco
tedesco che, per quasi un mese, scompare dalla scena al contrario di
Churchill che, estremamente felice di aver automaticamente acquisito
un nuovo e potente alleato, si precipita a scrivere al dittatore russo. La
risposta gli giunge solo il 19 luglio, quando Stalin sembra aver
superato lo choc, e dice: “Lasciate che vi esprima la mia gratitudine
per i due messaggi personali che mi avete indirizzato. I vostri
messaggi rappresentarono il punto di partenza di trattative tra i nostri
due governi che sboccarono successivamente in un accordo. Ora,
come voi dite assai giustamente, l’URSS e la Gran Bretagna sono
diventate alleate di fatto nella lotta contro la Germania hitleriana. Io
sono certo che nonostante le difficoltà i nostri due Stati saranno
abbastanza forti da schiacciare il comune nemico. Non è forse fuor di
luogo ricordare che la situazione delle truppe sovietiche al fronte
rimane assai tesa. Le conseguenze dell’inaspettata violazione del
patto di non aggressione da parte di Hitler, così come l’improvviso
attacco contro l’Unione Sovietica (fatti che entrambi avvantaggiarono
le truppe tedesche) fanno ancora sentire tutto il loro peso sugli
eserciti sovietici. E’ facile immaginare che la situazione delle forze
tedesche sarebbe stata di gran lunga più favorevole qualora le truppe
sovietiche avessero dovuto sostenere l’attacco del nemico non nelle
201
regioni di Kiscinev, Leopoli, Brest Litovsk. Kaunas e Viborg, ma in
quelle di Odessa, Kamenez-Podolski, Minsk e nei dintorni di
Leningrado. Sembra a me pertanto che la situazione militare
dell’URSS, così come quella della Gran Bretagna, risulterebbe di
gran lunga migliore se si potesse costituire un fronte contro Hitler in
Occidente, nella Francia settentrionale e al nord, nell’Artico. Un
fronte nella Francia settentrionale non soltanto obbligherebbe Hitler
a spostare forze dall’est, ma al tempo stesso gli renderebbe
impossibile l’invasione della Gran Bretagna. La creazione di un
simile fronte sarebbe accolta con favore sia dall’esercito britannico,
sia da tutti gli abitanti dell’Inghilterra meridionale. Io mi rendo
perfettamente conto delle difficoltà implicite nella creazione di tale
fronte; credo tuttavia che debba essere costituito nonostante la
difficoltà. Questo è il momento più propizio per crearlo, perché
attualmente le forze di Hitler sono in gran parte impegnate nell’est ed
egli non ha ancora avuto la possibilità di consolidare le posizioni
occupate ad Oriente. Ancora più facile è la creazione di un fronte nel
nord. In questo settore da parte vostra sarebbero necessarie soltanto
operazioni navali ed aeree, senza sbarco di truppe e di artiglieria. A
tali operazioni parteciperebbero le forze terrestri, navali ed aeree
sovietiche. Noi accoglieremmo con piacere l’invio da parte vostra di
un contingente della forza di una divisione leggera o poco più di
volontari norvegesi che potrebbe essere impiegata nella Norvegia
settentrionale per organizzare la rivolta contro i tedeschi”.
Churchill risponde a tambur battente, chiarendo che: i tedeschi
hanno in Francia 40 divisioni e tutta la costa è fortificata con minuzia
teutonica; nella zona di Dunkerque hanno diecine di cannoni di portata
tanto lunga che attraversa tutta la Manica; dovunque è pieno di
riflettori; quindi, per ora, non ci sarà l’apertura di nessun altro secondo
fronte, ma l’invio di aiuti quanto più numerosi possibili; Stalin non
deve dimenticare che, in effetti, un secondo fronte già esiste ed è
202
quello fondamentale della rotta dell’Atlantico, dove si svolge una dura
lotta per l’integrità dei convogli dall’America.
Il dittatore russo incomincia subito a mostrare il suo brutto
carattere chiedendo, con una certa arroganza, un minimo mensile di
400 aeroplani, 500 carri armati, e 30.000 tonnellate d’alluminio,
altrimenti l’URSS sarà sconfitta.
Quando giunge il dicembre del 1941, quindi appena sei mesi dopo
l’attacco tedesco e nonostante il nemico sia alle porte di Mosca, Stalin
considera che la guerra è vinta, anche se con lunghe scadenze. Difatti
si dilunga con Eden su come dovranno essere le frontiere dell’Europa
post-bellica: “Restaurazione dell’Austria, distacco delle province del
Reno dalla Prussia e loro costituzione in Stato indipendente o
protettorato, creazione di uno Stato bavarese indipendente o
protettorato, la Prussia orientale alla Polonia, zona dei Sudeti alla
Cecoslovacchia, ricostituzione della Iugoslavia con aggiunta di
territori da togliere all’Italia, ricostituzione dell’Albania come Stato
indipendente, il Dodecaneso alla Turchia, alla Grecia vanno alcune
isole dell’Egeo; inclusione perenne degli Stati Baltici nell’URSS e
della parte di Polonia occupata nel 1939”.
CHURCHILL, nonostante abbia 67 anni, continua nella sua
straordinaria ed efficacissima attività. Nulla gli sfugge:
l’organizzazione militare, i rifornimenti, l’analisi competente delle
battaglie, le possibili alleanze e i coinvolgimenti con in primissimo
piano quello indispensabile di Roosevelt senza il cui appoggio la
guerra, con ogni probabilità, non avrebbe potuto essere condotta
avanti nemmeno fino all’errore di Hitler di aprire il secondo, immenso
e usurante fronte in Russia. Anche lui è ormai un vero dittatore, e non
demorde dalle sue idee, anche quando, qualche volta, causa notevoli
perdite e precipitosi reimbarchi di truppe inglesi, come in Grecia
nell’aprile del 1941.
Il “mastino” inglese sa tenere al proprio posto i capi delle sue forze
armate di ogni ordine e grado, come avviene con la lettera del 24
203
aprile, quando polemizza con il Comandante in Capo del
Mediterraneo e dice, tra l’altro: “...Quanto alla vostra tesi del
combattimento aereo, voi dovreste procurarvi informazioni precise,
perché senza di esse non si può emettere alcun giudizio. (...) La
distribuzione generale delle forze tra i vari teatri d’operazione è
compito del Comitato di Difesa da me presieduto, e non del Ministero
dell’Aviazione, che si limita a dare esecuzione alle nostre decisioni.
(...) Mi sono preso la briga di darvi questo resoconto completo a
causa della mia ammirazione per i successi da voi riportati, delle
vostre molteplici preoccupazioni, della mia simpatia per voi dati i
molteplici rischi che con la vostra flotta dovete affrontare”.
La macchina bellica inglese, con il possente aiuto di Roosevelt e
dell’industria americana, diviene ogni giorno che passa più poderosa,
e Hitler, involontariamente, la aiuta, impegnando la parte
preponderante delle sue forze in Russia, invece di appoggiare in modo
ben più massiccio Mussolini in Libia e nel Mediterraneo, che
rappresenterebbe il vero punto debole inglese se attaccato con forze
moderne e davvero preponderanti. Invece Churchill si può, con una
certa tranquillità, imbarcare sulla corazzata Prince of Wales per
incontrarsi a Terranova in agosto, per ben 6 giorni, con il Presidente
Americano. I due hanno il tempo e gli elementi per esaminare la
complessa situazione mondiale, i progetti in chiaro e le intenzioni
segrete. Alla fine mettono a punto la “Carta Atlantica” che dice: “Il
Presidente USA e il Primo Ministro, signor Churchill, in occasione
del loro incontro reputano opportuno far conoscere alcuni principi
comuni, ispiratori della politica dei rispettivi Paesi, sui quali essi
fondano le loro speranze per un migliore avvenire del mondo. 1) I
loro Paesi non mirano ad alcun ingrandimento territoriale o di altra
natura. 2) Essi non desiderano assistere ad alcun mutamento
territoriale che non sia conforme ai desideri liberamente espressi dai
popoli interessati. 3) Essi rispettano il diritto di tutti i popoli a
scegliersi la forma di governo da cui intendono essere retti;
204
desiderano inoltre veder restaurati i diritti sovrani e l’autonomia di
quei popoli che ne sono stati privati con la forza. 4) Essi si
sforzeranno di assicurare, con il dovuto rispetto per i loro obblighi
esistenti, a tutti gli Stati, grandi o piccoli, vincitori o vinti, la
partecipazione, su piede di parità, al commercio, e l’accesso alle
materie prime del mondo necessarie alla loro prosperità economica.
5) Essi desiderano promuovere la massima collaborazione tra tutte le
nazioni nel campo economico nell’intento di assicurare a tutti
condizioni migliori di lavoro, il progresso economico e la sicurezza
sociale. 6) Dopo la distruzione definitiva della tirannide nazista, essi
sperano di veder instaurata una pace che consenta a tutte le nazioni
di vivere sicure entro i loro confini e dia certezza che tutti gli uomini
in tutti i Paesi possano vivere la loro vita liberi dal timore o del
bisogno. 7) Una pace del genere dovrebbe consentire a tutti gli
uomini di attraversare senza ostacoli i mari e gli oceani. Cool Essi
ritengono che tutte le nazioni del mondo, per ragioni ad un tempo
materiali e spirituali, debbano addivenire alla rinuncia dell’impiego
della forza. Poiché non sarà possibile conservare in avvenire la pace
qualora armamenti terrestri, navali e aerei continuano ad essere
impiegati da nazioni che minacciano, o possono minacciare, di
compiere aggressioni al di là delle proprie frontiere, essi ritengono
che, in attesa della creazione di un più vasto e duraturo sistema di
sicurezza collettivo, il disarmo di tali nazioni sia indispensabile. Essi
inoltre appoggeranno e incoraggeranno tutte le altre misure pratiche
che possano alleviare ai popoli amanti della pace il peso schiacciante
degli armamenti”.
Anche in questa occasione, nonostante sembri largamente debitore
di Roosevelt, Churchill si fa rispettare e, senza peli sulla lingua, fa
notare che la Gran Bretagna ha tenuto fede al principio del libero
commercio per ottant’anni, sebbene le tariffe doganali degli Stati Uniti
aumentassero continuamente.
205
I due protagonisti preparano e inviano un messaggio comune a
Stalin, proponendogli una riunione da tenersi a Mosca allo scopo di
decidere rapidamente in merito alla distribuzione di tutte le risorse
comuni.
Quando quattro mesi dopo, esattamente il 7 dicembre 1941, il
Giappone attacca d’improvviso gli Stati Uniti nelle isole Hawaii,
affondando con i propri aerei ben 6 corazzate e molto naviglio minore
e abbattendo oltre 120 aeroplani americani, Churchill si trova insieme
all’ambasciatore americano Winant. Si precipita a telefonare a
Roosevelt e gli chiede:
“Signor Presidente, cos’è questa faccenda del Giappone?”.
“E’ proprio vera. Ci hanno attaccato a Pearl Harbor. Ora ci
troviamo nella stessa barca”.
“Questo semplifica le cose. Dio sia con voi”.
Quindi Churchill passa il ricevitore a Winant e a Harriman, che
anche è con loro. I due ricevono il colpo con serenità, né sprecano
parole in rimproveri o deprecazioni. Anzi, il Primo Ministro inglese ha
quasi l’impressione che fossero stati liberati da una lunga sofferenza.
Churchill nelle sue memorie scrive: “Nessun americano se l’avrà a
male se dico che fu una grande gioia per me avere gli Stati Uniti al
nostro fianco. Non potevo prevedere il corso degli eventi. Non
pretendo di essere stato in possesso di dati precisi per valutare il
potenziale bellico del Giappone. In quel momento sapevo solo che gli
Stati Uniti erano impegnati nella guerra, impegnati fino al collo, per
la vita o per la morte. Avevamo vinto, dopo tutto! Il destino di Hitler
era segnato. Il destino di Mussolini era segnato. In quanto ai
giapponesi, sarebbero stati ridotti in polvere. Tutto il resto era
soltanto una questione di intelligente impiego delle forze schiaccianti
a nostra disposizione. L’Impero Britannico, l’Unione Sovietica, ed
ora gli Stati Uniti, accomunati in uno sforzo unico con tutte le loro
energie, superavano, secondo i miei calcoli, di due e anche tre volte la
potenza dei loro antagonisti”.
206
In effetti chi si libera davvero da una lunga sofferenza è proprio
Churchill. Ora, egli pensa, tutti si accorgeranno che solo gli sciocchi
potevano misconoscere la forza degli Stati Uniti. Egli ha sempre
sostenuto che chi avesse studiato con attenzione la storia della Guerra
Civile americana, avrebbe convenuto con Edward Grey che gli USA
assomigliano “a una grande caldaia: una volta acceso il fuoco, non vi
sono limiti alla potenza che essa può generare”.
ROOSEVELT è da tempo perfettamente consapevole che
primario interesse degli Stati Uniti è sostenere in tutti i modi la Gran
Bretagna. E, nonostante le forti tendenze isolazioniste del popolo degli
Stati Uniti, incomincia a farlo immediatamente dopo lo scoppio della
guerra, alla quale vorrebbe partecipare direttamente, mentre deve
limitarsi a farlo per procura, ma sempre di più coinvolgendo il suo
Paese. Infatti, dopo la legge “Affitti e Prestiti”, dà anche ordine ad
unità della flotta americana di scortare i convogli per l’Inghilterra fino
ad un certo punto dell’Atlantico. Ciò causa una serie di incidenti con
sommergibili tedeschi che, però, hanno ricevuto ordini precisi da
Hitler di evitare di attaccare navi statunitensi.
C’è nelle sfere dirigenti americane grande ammirazione per
Churchill, ma non tutti sono d’accordo con la strategia militare
adottata dal Primo Ministro inglese. Infatti, quando nel luglio 1941
giunge a Londra il diretto inviato di Roosevelt, Hopkins,
accompagnato da alti ufficiali americani, questi ultimi manifestano
l’opinione che il Medio Oriente rappresenta per l’Impero Britannico
una posizione indifendibile: meglio sarebbe dedicare i sacrifici gravosi
effettuati per difenderlo nella Battaglia dell’Atlantico che, per loro,
dopo quella d’Inghilterra, è ben più vitale per il risultato finale
dell’intero conflitto. Ma Roosevelt, che concorda in pieno con la
politica militare di Churchill, ha preventivamente ammonito i suoi
collaboratori che il nemico va combattuto ovunque si trova e il
“mastino” inglese ha buon gioco nel far prevalere la sua opinione.
207
Il Presidente Americano è sempre più desideroso di poter
direttamente affrontare con le sue forze armate Hitler e, per farlo,
escogita la subdola strategia di ridurre all’esasperazione il Giappone
con l’embargo sul petrolio ed imponendogli di ritirare tutte le truppe
nipponiche dalla Cina e dall’Indocina e di non riconoscere altro
governo cinese se non quello di Chiang Kai Shek, inviso ai
giapponesi.
Roosevelt è cosciente dell’attuale forza militare del Giappone, che
ha una flotta formidabile (più forte nel Pacifico di quella inglese e
americana messe insieme) con, oltre alle normali navi da battaglia, due
supercorazzate da 70.000 tonnellate e molte efficienti portaerei. Ma sa
anche che i nipponici non dispongono di attrezzature industriali e
materie prime per sostenere una guerra lunga e per rimpiazzare, con
rapidità, i mezzi distrutti o usurati.
In questa lotta dei nervi del gatto contro il topo, Roosevelt finisce
per averla vinta e i giapponesi attaccano la flotta americana a Pearl
Harbor. Ma, forse, conoscendo gli americani da tempo i cifrari
giapponesi, la sorpresa non è proprio tale. Il popolo americano, però,
non lo sa e giustamente s’indigna e plaude alla guerra contro il
Giappone.
Roosevelt ne è felice e attende, in virtù del Patto Tripartito, la
dichiarazione di guerra da parte di Hitler e Mussolini. Ma il Führer
nicchia: non ha alcuna intenzione di avere, dopo l’Inghilterra e la
Russia, anche gli Stati Uniti come avversari diretti. Allora Roosevelt
forza i tempi dichiarando, il 9 dicembre, alla radio: “Ricordate sempre
che la Germania e l’Italia, indipendentemente da qualsiasi
dichiarazione di guerra, si considerano in guerra con gli Stati Uniti in
questo momento, esattamente come si trovano in guerra con
l’Inghilterra e la Russia. Noi non possiamo limitare la nostra azione
ad eliminare il Giappone se, ciò compiuto, troveremo che il resto del
mondo è dominato da Hitler e Mussolini”. Un colpo magistrale!
Perché Hitler, ancora una volta, commette l’errore di trascurare lo
208
studio dell’opinione pubblica americana che avrebbe posto difficoltà
insormontabili alla dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti
alla Germania e all’Italia senza che questi due Paesi l’avessero
presentata per primi. Invece Hitler, convinto dell’ineluttabilità della
cosa e temendo di essere preceduto, l’11 dicembre fa consegnare a
Cordell Hull la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, poi pronuncia
un discorso rabbioso davanti al Parlamento: “...Lo considero un
demente: proprio come lo era Wilson (...). Dapprima egli incita alla
guerra, poi ne falsifica le cause, poi si avvolge odiosamente nella
veste dell’ipocrisia cristiana e lentamente, ma fermamente, conduce
l’umanità alla guerra non senza invocare Dio a testimone dell’onestà
del suo attacco, nel modo proprio del vecchio massone. (...) Roosevelt
si è reso colpevole di una serie di crimini delle peggiore specie contro
le leggi internazionali. Al sequestro illegale di navi e di altre
proprietà di cittadini tedeschi ed italiani si aggiunge la minaccia
contro coloro che sono stati privati della loro libertà, che sono stati
internati e depredati. Il crescendo degli attacchi di Roosevelt è giunto
al punto di ordinare alla Marina americana di attaccare e affondare
ogni nave che batta bandiera tedesca o italiana, in aperta violazione
del diritto internazionale. I ministri americani si vantano di aver
distrutto in questo modo criminale sottomarini tedeschi. Incrociatori
americani hanno attaccato mercantili tedeschi e italiani, li hanno
catturati e ne hanno fatto prigionieri gli equipaggi.(...) Capisco fin
troppo bene che fra le idee di Roosevelt e le mie vi è la distanza che
corre tra due mondi. Roosevelt viene da una famiglia ricca e
appartiene ad una classe che nelle democrazie ha vita facile. Io ero
soltanto il figlio di una piccola, povera famiglia e ho dovuto farmi
strada col mio lavoro e le mie forze. Quando scoppiò la guerra,
Roosevelt occupava una posizione che gli permise di conoscere solo le
piacevoli conseguenze di essa, sfruttate dagli affaristi, mentre gli altri
davano il proprio sangue. Io invece fui soltanto uno di coloro che,
come semplici soldati, eseguivano gli ordini e, naturalmente, tornai
209
dalla guerra povero, così com’ero nell’autunno del 1914. Condivisi la
sorte di milioni, mentre Franklin Roosevelt condivise solo le fortune
dei cosiddetti ‘diecimila’ delle classi superiori. Dopo la guerra,
Roosevelt si diede a speculazioni finanziarie. Fece guadagni di
milioni approfittando dell’inflazione, della miseria degli altri, mentre
io giacevo in un ospedale. (...) Il nazionalsocialismo venne al potere
in Germania lo stesso anno in cui Roosevelt fu eletto presidente (...)
Egli si trovò alla testa di uno Stato in misere condizioni economiche e
io mi trovai alla testa del Reich minacciato di estrema rovina grazie
alla democrazia (...) Mentre sotto la guida del nazionalsocialismo in
Germania si ebbe un risveglio senza precedenti della vita economica,
culturale e artistica, il presidente Roosevelt non riuscì ad apportare il
minimo miglioramento alla situazione del suo paese (...) Ciò non
sorprende se si tiene presente che gli uomini da lui chiamati perché lo
sostenessero, o, per meglio dire, gli uomini che lo avevano fatto salire
al potere, appartenevano all’elemento ebraico, elemento che ha
interesse solo alla disgregazione, mai all’ordine (...) Le leggi di
Roosevelt sul New Deal erano completamente sbagliate. Non v’è
dubbio che la continuazione di questa politica economica, in tempo di
pace, avrebbe condotto alla rovina il presidente, malgrado tutta la
sua abilità dialettica. (...) Allora egli capì che l’unica salvezza stava
nel distogliere l’attenzione pubblica dai problemi interni e rivolgerla
alla politica estera (...) Così sono incominciati gli sforzi del
presidente per provocare dei conflitti (...) Ora è stato preso dalla
paura che, se si giunga alla pace in Europa, il suo sperperamento di
milioni di dollari per gli armamenti sarà considerato una pura frode,
dato che nessuno attaccherà l’America: perciò egli stesso ha cercato
di provocare un attacco contro il suo paese. (...) Penso che voi tutti
proviate un sollievo, ora che finalmente uno Stato ha preso l’iniziativa
di insorgere contro questa deformazione della verità e del diritto,
ignobile e unica nella storia. (...) Il fatto che il governo giapponese,
che per anni ha negoziato con quest’uomo, alla fine si sia seccato di
210
venir preso in giro da lui in modo così indegno, riempie noi tutti di
soddisfazione(...) Ho comunque disposto che vengano consegnati i
passaporti all’incaricato d’affari americano, unitamente a una nota in
cui sono spiegate le ragioni per le quali il Reich si considera da oggi
in stato di guerra con gli Stati Uniti”.
Un Roosevelt felice e in piena forma accetta di ricevere, a fine
dicembre, Churchill negli Stati Uniti e insieme, dopo una lunga serie
di contatti, firmano il testo definitivo della dichiarazione comune
degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito della Gran Bretagna
e Irlanda del Nord, dell’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche, della Cina, dell’Australia, del Belgio, del Canada, della
Costa Rica, di Cuba, della Cecoslovacchia, della Repubblica
Dominicana, di San Salvador, della Grecia, del Guatemala, di
Haiti, dell’Honduras, dell’India, del Lussemburgo, dei Paesi Bassi,
della Nuova Zelanda, del Nicaragua, della Norvegia, del Panama,
della Polonia, del Sud Africa e della Iugoslavia.
In esso si dice: “I sottoscritti Governi, avendo accettato un comune
programma di propositi e principi contenuto nella dichiarazione del
Presidente degli Stati Uniti e del Primo Ministro della Gran Bretagna
in data 14 agosto 1941, nota col nome di Carta Atlantica, essendo
convinti che è indispensabile una vittoria completa sui loro nemici per
assicurare la vita, la libertà e l’indipendenza e la libertà di religione e
per preservare i diritti dell’uomo e la giustizia sia nei loro territori sia
in quelli altri, e consci di partecipare alla lotta comune contro le forze
selvagge e brutali che cercano di soggiogare il mondo, dichiarano: 1)
Ciascun governo s’impegna a usare tutte le sue risorse, militari o
economiche, contro quei firmatari del patto Tripartito e loro associati
con i quali si trova in guerra. 2) Ciascun governo s’impegna a
cooperare con i governi firmatari della presente dichiarazione e a non
concludere separatamente armistizio o pace con i nemici. A questa
dichiarazione possono aderire tutte le nazioni che contribuiscono o
211
contribuiranno materialmente alla lotta per il conseguimento della
vittoria sull’hitlerismo”.
Di fronte a questa grande unione poco contano per Roosevelt la
perdita delle sue corazzate del Pacifico e la notizia delle numerose
recenti perdite inglesi, come la portaerei Ark Royal e la corazzata
Barham, colpite dai tedeschi, o le grandi navi da battaglia Prince of
Wales e Repulse, affondate dai giapponesi, o le corazzate Queen
Elisabeth e Valiant, gravemente danneggiate nel porto di Alessandria
da reparti speciali della Marina italiana. Egli ha finalmente ottenuto di
potersi battere direttamente con Hitler, che è il suo vero avversario, al
punto da dichiarare: “L’Atlantico per primo”. E, ovviamente, non ha,
come ora anche il coriaceo Churchill, il minimo dubbio che la vittoria
è già sua: è solo una questione di tempo!
212
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Bruno
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I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Empty
MessaggioTitolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 12:29 pm

CAP. XIII
CHURCHILL E ROOSEVELT DAI GRAVI ROVESCI IN
ESTREMO ORIENTE E DAI DIFFICILI RAPPORTI CON
STALIN AI SUCCESSI CONTRO HITLER E MUSSOLINI IN
AFRICA
ROOSEVELT non teme i Giapponesi nonostante, per
perseguire il suo scopo di combattere per primo Hitler, sia costretto a
subire la, forse imprevista, perdita delle Filippine e di altri arcipelaghi
nel Pacifico e l’alleanza con Stalin, che certamente non ama. Teme
invece la teutonica organizzazione hitleriana e quindi, in perfetto
accordo col suo amico Churchill, aiuta fortemente Stalin che impegna
in Russia buona parte del potentissimo esercito germanico. Attraverso
percorsi impervi, marittimi e terrestri, incomincia ad inviare una gran
massa di materiali ed armi al dittatore russo. In tre anni, anche a
mezzo di ben 2.660 navi (di cui 2.531 giungeranno a destinazione),
essi ammonteranno a oltre 15 milioni di tonnellate così suddivise:
13.303 carri armati, 15.000 aerei, 427.284 autocarri, 35.170
motociclette, 2.328 carri per traino di artiglieria, 1.966 locomotive,
9,920 carri piatti, 10.000 vagoni merci, 120 carri cisterna, 35 vagoni
per carichi pesanti, 2.670.170 tonnellate di altri prodotti bellici
compresi additivi per rendere adatta la benzina sovietica agli aerei
americani, e tanto altro ancora comprese le attrezzature per montare
un’intera fabbrica di pneumatici.
Nel febbraio 1942, mentre le truppe americane si battono nelle
Filippine contro i giapponesi, il Presidente americano consola
Churchill per la perdita della piazzaforte inglese di Singapore, che era
considerata imprendibile: “Capisco perfettamente come la caduta di
Singapore abbia vivamente colpito voi e il popolo britannico. Essa
rappresenta una magnifica occasione per la ben nota categoria di
213
coloro che criticano senza far nulla, ma non è il caso di preoccuparsi
della gravità dei nostri rovesci passati, che io non sottovaluto neppure
per un momento; dobbiamo però continuamente guardare innanzi alle
prossime mosse da compiere per colpire il nemico. Spero che non vi
perderete d’animo in queste difficili settimane, poiché sono certissimo
che voi godete sempre tutta la fiducia delle masse del popolo
britannico. Voglio sappiate che spesso penso a voi, d’altra parte, so
che non esiterete a rivolgervi a me qualora riteniate ch’io possa fare
qualcosa (...) Fatemi avere vostre notizie”.
Ma i Giapponesi diventano sempre più intraprendenti e le loro
imprese stupiscono per audacia ed organizzazione. Dopo aver
occupato l’intera barriera di isole delle Indie Orientali Olandesi, il
Siam e l’intera Malacca britannica, occupano anche l’intera Birmania
e sembrano puntare sull’India e, principalmente, su Ceylon da dove
possono tentare la saldatura con le forze di Hitler. La capitale
Colombo subisce una pesante incursione aerea, mentre addirittura gli
inglesi sono costretti a sgombrare il porto di Calcutta e a subire forti
perdite di naviglio militare.
Eppure Roosevelt non cambia idea: il vero nemico rimane
Hitler! Egli considera suoi amici più importanti quelli che combattono
il dittatore tedesco, come appare chiaramente da una lettera personale
a Churchill: “Caro Winston, certo immaginerete che ho riflettuto
intorno alle vostre difficoltà (...). Eccovi l’opinione di questo stratega
dilettante. Non serve a nulla preoccuparsi ancora, sia pure per poco,
di Singapore o delle Indie Olandesi: esse sono perdute. L’Australia va
invece tenuta e, come vi ho già telegrafato, intendiamo tenerla.
L’India deve essere tenuta e voi dovete pensarci; ma, per parlare più
francamente, io non mi preoccupo tanto di questo problema come
fanno parecchi altri. I giapponesi possono sbarcare sulla costa
occidentale della Birmania; possono pure bombardare Calcutta ma
non riesco a vedere come possono trasportare truppe in numero tale
da compiere più di qualche incursione contro le zone costiere. Penso
214
inoltre che possiate tenere Ceylon e spero che possiate trasferire in
quelle acque un maggior numero di sommergibili, i quali sono più
preziosi di un’intera flotta di superficie. Spero che rafforzerete
decisamente il Vicino Oriente in misura maggiore di quanto non lo sia
oggi. Voi dovete difendere l’Egitto, il Canale di Suez, la Siria, l’Iran e
la strada del Caucaso da Hitler. Infine conto d’inviarvi entro alcuni
giorni un piano più preciso per un attacco comune contro lo stesso
continente europeo. Prima di ricevere questa lettera sarete stato già
informato del mio colloquio con Litvinov. Attendo una risposta da
Stalin tra breve. So che non ve la prenderete se con rude sincerità vi
dico di ritenere di poter personalmente trattare con Stalin meglio del
vostro Foreign Office sia del mio Dipartimento di Stato. Stalin odia a
morte tutta la vostra gente altolocata; ritiene di trovarsi meglio con
me e naturalmente spero che continuerà a pensarla in tal modo. La
mia marina ha decisamente trascurato i preparativi per la guerra
contro i sommergibili al largo delle nostre coste; certo sapete meglio
di me che la maggior parte degli ufficiali di marina ha rinunciato in
passato a occuparsi di navi di tonnellaggio inferiore alle 2.000
tonnellate. Voi imparaste la lezione due anni fa; noi dobbiamo ancora
impararla. Per il primo maggio conto di avere in servizio un sistema
di pattuglie costiere abbastanza efficiente da Terranova alla Florida e
da un capo all’altro delle Indie Occidentali. Ho mendicato, preso in
prestito e rubato tutte le unità di qualsiasi tipo di lunghezza superiore
ai 25 metri, e ho costituito con esse un comando separato sotto la
direzione dell’ammiraglio Andrews. So che non perderete in vostro
buon umore e la vostra grande forza di volontà, ma so anche che non
ve la prenderete se vi dico che dovete strappare qualche foglietto dal
vostro taccuino. Una volta al mese io me ne vado a Hyde Park per 4
giorni, mi caccio in un buco e mi ci chiudo dentro; mi chiamano a
telefono solo se capita qualcosa di veramente importante. Desidero
che facciate un esperimento analogo, mettendovi per svago a
costruire casette o a dipingere un altro quadro. Porgete i miei saluti
215
più cordiali alla signora Churchill; mia moglie e io desideriamo
molto vederla. Vostro come sempre”.
Anche se Roosevelt non mette al servizio del fronte del Pacifico il
suo maggior impegno, quasi come per un accadimento naturale, i
Giapponesi vengono sconfitti dagli Americani in maggio nel Mar dei
Coralli e in giugno alle Midway. Poi, nell’agosto 1942, con il primo
sbarco americano a Guadalcanal, inizia la controffensiva delle forze
armate di Roosevelt che segna l’esaurimento della spinta
espansionistica dei figli del Sol Levante.
Ma in giugno, proprio quando Churchill è in visita da Roosevelt,
giunge un telegramma che il Presidente americano consegna al Primo
Ministro inglese senza proferire parola. C’è una grave notizia:
“Tobruk si è arresa; 25.000 uomini sono caduti prigionieri”.
Churchill è sbalordito e chiede conferma all’ammiraglio Harwood che
così risponde da Alessandria: “Tobruk è caduta e la situazione è così
peggiorata che Alessandria può evidentemente essere attaccata
dall’aviazione nel prossimo futuro; in vista dell’imminente periodo di
luna piena, invio tutte le unità della Flotta del Mediterraneo orientale
a sud del Canale di Suez in attesa degli eventi. Conto di far uscire la
Queen Elisabeth dal bacino verso la fine di questa settimana”.
Ora Churchill è addirittura ammutolito: a Singapore 85.000 uomini
si erano arresi a forze giapponesi inferiori; a Tobruk una guarnigione
di 33.000 uomini aveva deposto le armi di fronte a forze italo-tedesche
5 volte inferiori!
Il Presidente americano, nonostante la grande irritazione che prova,
interviene e non pronuncia una sola parola spiacevole, ma si limita a
chiedere: “Cosa possiamo fare per aiutarvi?”.
“Darci tutti i carri armati Sherman che potete e spedirli nel Medio
Oriente al più presto possibile”.
Roosevelt gira la richiesta al generale Marshall che risponde: “La
produzione dei carri Sherman è cominciata solo da pochissimo. Le
prime centinaia di esemplari sono state distribuite alle nostre
216
divisioni corazzate che hanno dovuto finora accontentarsi di
materiale antiquato. E’ una cosa terribile strappare le armi di mano
ad un soldato; ma se il bisogno britannico è così grande, si dovranno
cedere tali carri; noi potremmo inoltre far avere loro un centinaio di
cannoni semoventi da 105 millimetri”.
Quando nei primi giorni di novembre 1942 gli americani e gli
inglesi sbarcano con potentissimi mezzi nell’Africa francese ed
esattamente a Casablanca e Algeri (Operazione Torch) e solo da poco
gli inglesi con mezzi altrettanto potenti hanno sconfitto gli italotedeschi
ad El-Alamein in Egitto, Roosevelt scrive a Churchill: “Sono
felicissimo per le ultime notizie sulla vostra splendida campagna in
Egitto e per i successi che hanno accompagnato i nostri sbarchi
comuni nell’Africa nord-occidentale; ciò favorisce le nostre mosse
che si dovrebbero compiere se e quando tutta la costa meridionale del
Mediterraneo sarà liberata e sotto il nostro controllo. E’ sperabile
che voi a Londra con i vostri Capi di Stato Maggiore e io qui a
Washington con lo Stato Maggiore Combinato siamo in grado di
riesaminare tutte le possibilità, tra queste un’offensiva in direzione di
Sardegna, Sicilia, penisola italiana, Grecia e altre regioni balcaniche,
e l’eventuale collaborazione della Turchia a un attacco attraverso il
Mar Nero contro il fianco della Germania...”.
HITLER all’inizio del 1942 è deluso: forse in qualche angolino
della sua mente si affaccia il sospetto di aver sbagliato. Forse nel
ritenere che gli inglesi, una volta rimasti soli, si sarebbero accontentati
di una pace onorevole? O forse ha puntato troppo sulla potenza della
sua aviazione? O nel ritenere che con la forza delle sue divisioni
corazzate sarebbe riuscito trionfatore là dove fallì Napoleone? O nella
valutazione che i suoi alleati Giapponesi avrebbero, primo o poi,
dichiarato guerra agli Inglesi attaccandoli ferocemente nell’Estremo
Oriente senza coinvolgere direttamente gli Americani? O forse che
quest’ultimi non avrebbero così generosamente ed efficacemente
rifornito gli Inglesi prima e i Russi poi? O che Mussolini avrebbe da
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solo conquistato subito l’Egitto e Suez, senza impegolarsi in una
guerra inutile e catastrofica con la Grecia? Comunque sia, su tutti i
suoi possibili errori, emerge quello di aver sottovalutato Churchill, che
è riuscito a resistere e a coalizzargli tutti contro!
Ma perché ha invaso la Russia? Facile, era il sogno della sua vita!
Cacciare i Russi in Asia e sostituirli con popolazioni germaniche, fare
insomma dei territori conquistati un Eden, l’Impero Tedesco dell’Est.
Questa tesi l’aveva confermata il 27 luglio 1941, quando definì i
confini da raggiungere con una linea che scorreva per due o trecento
chilometri ad est degli Urali con la Germania che avrebbe dovuto
mantenere questa linea per l’eternità e non permettere ad alcuna
potenza militare di stabilirsi ad ovest di essa. Disse anche: “Dovrebbe
essere possibile controllare questa regione orientale con 250.000
uomini più un organico di buoni amministratori. Impariamo dagli
inglesi che, con 250.000 uomini in tutto, compresi 50.000 soldati,
governano 400 milioni di indiani. Questo spazio russo dovrà sempre
essere dominato dai tedeschi. Niente sarebbe da parte nostra errore
più grave che cercare di istruire le masse indigene. Prenderemo la
parte meridionale dell’Ucraina, soprattutto la Crimea, e ne faremo
una colonia esclusivamente tedesca. Non vi sarà alcun pericolo nel
cacciar via la popolazione che attualmente vi risiede. Il colono
tedesco sarà il contadino-soldato, e a tal fine ricorrerò a militari di
carriera (...) A quanti fra loro sono figli di contadini il Reich darà una
fattoria fornita di tutto. Il terreno non ci costerà nulla, dovremo solo
costruire le fattorie (...) I contadini-soldati saranno muniti di armi, in
modo che al minimo segnale di pericolo possano trovarsi al loro
posto quando li chiameremo”.
Poi ribadì il 17 ottobre 1941: “Noi popoleremo questo deserto
russo (...) Stravolgeremo la sua natura di steppa asiatica, lo
europeizzeremo. A tale scopo abbiamo avviato la costruzione di
strade che condurranno alla parte più meridionale della Crimea e del
Caucaso. Tali strade saranno costellate per tutta la loro estensione da
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città tedesche, e intorno a tali città si stabiliranno i nostri coloni. Per
quanto riguarda i due o tre milioni di uomini necessari a realizzare
questo compito, li troveremo più facilmente di quanto si possa
pensare. Verranno dalla Germania, dalla Scandinavia, dai Paesi
occidentali e dall’America. Io non ci sarò più per poter vedere tutto
ciò, ma tra vent’anni l’Ucraina sarà già una casa per venti milioni di
abitanti, oltre alle popolazioni indigene (...). Non ci insedieremo nelle
città russe, le lasceremo andare in pezzi senza muovere un dito. E
soprattutto, nessun rimorso a tal riguardo! Non abbiamo
assolutamente alcun obbligo nei confronti di questa gente.
Combattere con le catapecchie, scacciar via le mosche, trovare
insegnanti tedeschi, portare i giornali: ciò non sarà affar nostro! Ci
limiteremo forse a istallare un trasmettitore radio, controllato da noi.
Per il resto, insegneremo loro quanto basta per capire i nostri segnali
stradali, così da non farsi travolgere dai nostri veicoli. Per essi la
parola libertà deve significare il diritto di lavarsi nei gioni festivi (...).
Esiste un solo dovere: germanizzare questo paese mediante
l’immigrazione di tedeschi e guardare agli elementi indigeni come a
dei pellerossa. In questo affare andrò diritto per la mia strada, con
estremo sangue freddo”.
Poi, dieci giorni dopo, Hitler aggiunse sull’argomento: “Nessuno
ci porterà mai via l’Est (...). Ben presto forniremo grano a tutta
l’Europa, e carbone, acciaio, legname. Per sfruttare l’Ucraina
(questo nuovo impero indiano) in modo appropriato abbiamo bisogno
soltanto della pace ad Occidente. Il mio obbiettivo è quello di
sfruttare i vantaggi derivanti dall’egemonia continentale (...). Quando
saremo padroni dell’Europa godremo di una posizione dominante nel
mondo. Centotrenta milioni di persone nel Reich, novanta in Ucraina.
Aggiungete a questi gli altri Stati della nuova Europa, e arriveremo a
400 milioni a fronte dei 130 milioni di americani”.
Purtroppo per lui i Russi, dopo la gran confusione delle prime
settimane, hanno dimostrato, sotto la guida di Stalin, un’insospettabile
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resistenza ed hanno contrattaccato. Comunque lui, Hitler, ritiene
comunque, dopo aver personalmente preso il posto del maresciallo
Brauchitsch, di aver superato Napoleone, perché è riuscito ad uscire
senza grave danno dall’inverno precoce e dalla violenza russa ed ha
esorcizzato la fobia dell’accerchiamento, che tanto affligge i suoi
generali. Ora, nel 1942, ha dato ordine di attaccare nel Caucaso, con
obiettivo i preziosi pozzi petroliferi.
In agosto 1942 il Führer potrebbe essere nuovamente soddisfatto
perché in Russia i pozzi di petrolio sono ormai vicini, e in Africa
Rommel ha conquistato El-Alamein a pochi chilometri dal Alessandria
d’Egitto, e nell’Atlantico i suoi sommergibili fanno più che mai strage
del traffico anglo-americano. Però ai pozzi non è ancora giunto,
Alessandria ancora non è caduta, e gli Inglesi e i Russi continuano ad
essere sufficientemente riforniti.
Alla fine dell’anno Hitler non può fare a meno di registrare solo
avvenimenti negativi: la grave sconfitta in Egitto e la fuga in Libia; lo
sbarco americano in Africa; l’accerchiamento da parte russa
dell’armata di von Paulus e la ritirata dall’ansa del Don e dalla linea
del Terek nel Caucaso.
Nel gennaio 1942 anche MUSSOLINI considera la situazione
militare in Russia molto seria per l’Asse e giudica Hitler mendace nei
suoi bollettini di guerra. Dice: “Ha voluto confonder le idee con le
grandi cifre, come quel bestione di Roosevelt, e i risultati sono stati
sinistri. Del resto sono due bestioni analoghi figli di razze di muli”.
A differenza degli altri 4 protagonisti, Mussolini, come già
avveniva prima della guerra, non riesce mai a conoscere con esattezza
le forze militari e produttive del suo Paese. Ad esempio, in febbraio,
Cavallero presenta al Duce una tabella dalla quale risulta che in Italia
si producono 280 cannoni anticarro al mese. Ma, messo finalmente
alle strette, Cavallero confessa che sono possibilità teoriche. Nella
realtà se ne producono 160 e non 280! E Mussolini dice a Ciano:
220
“Non l’ho messo alla porta perché, dopo tanti cambiamenti, mi sono
accorto che sono tutti egualmente bugiardi”.
Nel frattempo il Duce si mostra sempre più nippofilo e sempre
meno germanofilo, e il Generale Gambara, che si era comportato
molto bene durante la Guerra di Spagna, lo imita e a mensa, in Libia,
dice: “Spero di vivere quanto basta per comandare un’armata
italiana che marci su Berlino”. E non è certo il solo. Anche il
segretario dell’Ambasciata italiana di Berlino invia questo rapporto:
“Molto si è parlato di ordine nuovo, ma niente è stato fatto per
realizzarlo. L’Europa intera oggi langue sotto l’occupazione tedesca:
i nemici si sono moltiplicati all’infinito anche se per ora non possono
che tacere ed odiare. In Germania si pensa all’eventualità di una
sconfitta, perciò si vuole che tutti i Paesi del continente siano esauriti
per essere anche in tale ipotesi relativamente più forti”. Al che il
Duce commenta: “Per la fine del 1943 voglio avere 15 divisioni
pronte e perfette nella valle del Po”.
Fra la fine di aprile e l’inizio di maggio 1942, Mussolini, con
Ciano, si reca a Salisburgo per incontrare Hitler. Da parte tedesca c’è
molta cordialità, ma a Ciano il Führer appare stanco forse a causa dei
terribili mesi invernali per le truppe tedesche in Russia. Ciò
nonostante Hitler è il solito mattatore e parla in continuazione
ossessivamente, mentre Mussolini tace e guarda meccanicamente
l’orologio, il generale Jodl si addormenta e Keitel, pur barcollando,
riesce a tenere sù la testa e gli occhi aperti. L’oggetto principale dello
sproloquiare del dittatore tedesco è il suo genio, che gli ha permesso
di vincere il gelo russo al contrario di Napoleone nel 1812. Poi
Ribbentrop dice che le perdite tedesche sono state forti: ammontano a
270.000 morti. Ma il generale italiano Marras sostiene
sommessamente che sono molte di più: sarebbero 700.000 i morti e,
comprendendo anche i mutilati, i congelati e i malati gravi, si giunge
alla cifra spaventosa di quasi 3 milioni!
221
Come al solito Mussolini è cangiante: si mostra contento del
viaggio e dice a Ciano: “La macchina tedesca è ancora
formidabilmente possente, ma ha subito una forte usura. Adesso
compirà un nuovo imponente sforzo: bisogna che lo scopo sia
raggiunto”.
Qualche giorno dopo il generale Cavallero traccia il programma
italiano di guerra per il Mediterraneo: alla fine del mese Rommel
attaccherà in Libia e prenderà Tobruk; successivamente tutte le forze
saranno concentrate per l’attacco a Malta, che rende impossibile i
rifornimenti in Libia dall’Italia.
Mussolini si reca in Sardegna per ispezionare le truppe e rimane
soddisfatto sia per il morale che per gli armamenti dei soldati italiani.
Tornato a Roma, nomina Gariboldi capo del corpo di spedizione
italiano in Russia, che ha ormai raggiunto la consistenza di ben
300.000 uomini. Il Duce, però, ha qualche preoccupazione per la
situazione a Lubiana, per la Croazia e per la Grecia, dove occorre
rinforzare i corpi d’occupazione italiani che debbono continuamente
tenere a freno le popolazioni inquiete e ribelli.
Quando in giugno le truppe italo-tedesche avanzano
impetuosamente in Africa e una brillante azione aereonavale infligge
nel Mediterraneo pesanti perdite agli inglesi, Mussolini è stranamente
misurato nei giudizi, ed è incerto se dare il via al previsto sbarco a
Malta o se autorizzare Rommel ad inseguire in Egitto le truppe
britanniche, fino a quando non riceve una lettera di Hitler che dice:
“Fino ad ora ho sempre fatto a lungo e completamente inseguire ogni
nemico battuto quando è stato consentito dalle nostre possibilità. L’8°
armata inglese è praticamente distrutta. Se adesso le nostre forze non
proseguono fino all’estremo limite del possibile nel cuore stesso
dell’Egitto ne deriverà un cambiamento della situazione a nostro
sfavore. Questa volta l’Egitto può, sotto certe condizioni, essere
strappato all’Inghilterra. Le conseguenze di un colpo simile saranno
d’importanza mondiale! La nostra offensiva per la quale ci apriamo
222
la strada mediante la conquista di Sebastopoli contribuirà a portare
alla caduta di tutta la costruzione orientale dell’Impero inglese. Se io,
Duce, in quest’ora storica che non si ripeterà posso darvi un
consiglio, è questo: ordinate il proseguimento delle operazioni fino al
completo annientamento delle truppe britanniche”
Ovviamente Mussolini acconsente: nomina i generali Cavallero e
Bastico marescialli e si reca, accompagnato da un gran seguito di
ufficiali, gerarchi e giornalisti, in Libia dove una nave da guerra ed un
cavallo bianco bellissimo sono pronti per condurre il Duce trionfante
ad Alessandria. Ma Rommel, inseguito il nemico fino ad El Alamein,
è costretto a fermarsi con l’esercito consunto dai combattimenti e
dall’affannosa corsa. Ciò nonostante Mussolini e Hitler sono ottimisti
e predispongono l’assetto futuro dell’Egitto: Rommel comandante
militare e Mazzolini delegato civile. Nel frattempo, nonostante la
presenza del Duce o, forse, proprio per questa, si sviluppa un contrasto
violento fra italiani e tedeschi, dovuto al prepotente ed arrogante
accaparramento di questi ultimi di tutto il bottino. Né Mussolini fa
nulla per placare le acque o per arbitrare la disputa. Solo molti giorni
dopo esser tornato a Roma, esattamente il 19 luglio 1942, scrive a
Hitler per lamentarsi anche della sistematica spoliazione della Grecia
da parte dei soliti tedeschi, e dice a Ciano: “Forse molti tedeschi
deplorano di non aver potuto invadere anche l’Italia per portarci via
tutto. Però avrebbero perso la guerra”.
Il Duce è furioso con i militari che lo hanno illuso di poter entrare
da trionfatore ad Alessandria e lo hanno fatto fare una brutta figura
come l’anno prima in Albania, quando si dava per certo un furioso
attacco e una violenta avanzata italiana prima che intervenissero i
tedeschi, dei quali si è divenuti, ormai, semplici collaboratori al punto,
dice Mussolini, che “il popolo si domanda ormai quale fra i due
padroni, l’inglese o il tedesco, sia da preferire”.
In agosto, mentre le speranze di una nuova e definitiva avanzata di
Rommel su Alessandria si alternano ad immediate smentite, a
223
Mussolini tornano i crampi allo stomaco: la vecchia ulcera si è
risvegliata. Anche il punto fatto dall’esperto Casero sulla produzione
aeronautica italiana, in confronto con quella tedesca e Alleata,
contribuisce, e non poco, ai dolori del Duce, perché risulta del tutto a
sfavore, e di molto, dell’Italia.
A settembre il dittatore italiano è sempre più magro e sofferente,
nonostante le cure di molti medici di fama: contribuisce ad avvilirlo la
formidabile resistenza russa a Stalingrado, che dimostra quale grande
attaccamento il popolo abbia per il regime stalinista o, forse, fino a
qual punto i tedeschi siano stati capaci di farsi odiare. Invece, in Italia
anche la marina mercantile, di cui un terzo era andata stupidamente
perduta all’inizio della guerra perché colta in porti nemici, è allo
stremo per i continui affondamenti nel Canale di Sicilia, dove Malta è
tornata più forte di prima. Inoltre, come se non bastasse, il Capo del
Servizio Segreto comunica al Duce che tutte le informazioni indicano
che americani ed inglesi si preparano a sbarcare in forze nell’Africa
Settentrionale.
Nei primi giorni di novembre, dopo una furiosa, lunga ed eroica
resistenza, specialmente da parte dei soldati italiani, contro forze
immensamente più numerose e molto meglio attrezzate, le truppe
italo-tedesche sono costrette a ripiegare da El-Alamein, lasciando un
mare di morti. Sono ormai talmente esigue da far ritenere di dover
sgombrare tutta la Libia, Tripoli compresa. E il Duce dichiara: “Sotto
alcuni aspetti ciò rappresenta un vantaggio poiché la quarta sponda è
costata la marina mercantile, e potremo meglio concentrarci nella
difesa del territorio metropolitano”.
Poi lo stesso Mussolini, quando due giorni dopo viene a sapere del
grande sbarco americano in Algeria e Marocco, dove i francesi poco si
sono opposti, ha un’impennata d’orgoglio e parla subito di voler
effettuare lo sbarco in Corsica e l’occupazione della Francia libera.
La notte del 9 novembre Ribbentrop telefona e dice che è
necessario che Mussolini e Ciano vadano subito a Monaco. Ma il
224
Duce non sta bene e parte il solo Ciano che, al ritorno, ordina:
occupazione totale della Francia, sbarco in Corsica e testa di ponte in
Tunisia. E gli Italiani sbarcano in Corsica con una flotta
di...motovelieri! Mentre l’armata italiana al confine francese impiega
più di 5 ore solo per incominciare a entrare nel Paese confinante, dove
non viene attivata alcuna resistenza.
Nemmeno a metà dicembre 1942 Mussolini va in Germania per la
sua ulcera e, forse, nemmeno Hitler lo vuole, perché si troverebbe in
qualche difficoltà alla presenza del “collega” dittatore, ora che anche a
lui tutto va male, specialmente in Russia.
Nella foresta di Gorlitz, dove Ciano si è recato per incontrare i
tedeschi, l’atmosfera è pesante, e fra il diplomatico tedesco Hewel,
che è un vecchio compagno di Hitler, e l’italiano Panza avviene
questo colloquio: “Signor Hewell, il nostro esercito ha avuto molte
perdite?”.
“Niente affatto: stanno scappando”.
“Come voi tedeschi l’anno scorso a Mosca?”.
“Esattamente”.
STALIN nel 1942 continua a guidare con mano sempre più sicura
le sorti dell’Unione Sovietica, nonostante una grossa fetta del suo
Paese sia occupata da quasi 4 milioni di soldati nemici.
Contenuti e contrattaccati i tedeschi, trasferite le fabbriche vicino o
al di là degli Urali e rimessele rapidamente in funzione, il dittatore
russo si preoccupa di accaparrarsi, a volte con eccessiva arroganza,
quanti più aiuti è possibile dagli Stati Uniti, nonostante la Russia non
abbia a disposizione naviglio per il trasporto dalle basi angloamericane.
Oltre tutto la rotta per il porto russo di Arcangelo è
difficile e minacciata dall’aviazione, dai sommergibili e da potenti
navi di superficie tedesche di stanza in Norvegia. Eppure Stalin riesce
ad ottenere quanto vuole, come risulta evidente dalla sua lettera a
Churchill del 6 maggio 1942: “Ho una richiesta da farvi. Circa 90
navi, cariche di svariati materiali bellici assai importanti per l’URSS,
225
sono ferme attualmente in Islanda o in viaggio tra l’America e
l’Islanda. Credo che vi sia il pericolo che la partenza di tali navi
venga a lungo ritardata per la difficoltà di organizzare i convogli
scortati da forze navali britanniche. Sono pienamente consapevole
delle difficoltà connesse con tali operazioni e dei sacrifici compiuti
dalla Gran Bretagna a questo proposito. Sento tuttavia di dovervi fare
formale richiesta di prendere tutte le misure possibili per assicurare
l’arrivo nell’URSS durante il mese di maggio di tutti i materiali
poiché ciò è estremamente importante per il nostro fronte”.
Ma ciò che Stalin vuole con tutte le sue forze è l’apertura da parte
degli Alleati di un secondo fronte in Europa. L’ha già chiesto nel 1941
ed ora pretende che venga assolutamente attuato entro il 1942. E poi,
come se non bastasse, il dittatore sovietico non cede su alcun punto
durante la formulazione dei patti di collaborazione, presente e futura.
In particolare vuole che vengano riconosciute dagli Stati Uniti e
dall’Inghilterra le frontiere che l’URSS ha acquisito (ed ora perso)
quando, dopo il Patto con Hitler del 1939, ha incamerato mezza
Polonia e gli Stati Baltici. Così nel maggio 1942 il Ministro degli
Esteri Molotov si reca a Londra e a Washington perché venga sancito
quanto Stalin chiede sulle frontiere. Churchill, forse, potrebbe
scandalizzarsi, alzare la voce e opporsi al sacrificio di Stati che erano
indipendenti prima dell’inizio del Conflitto: in fondo sono i Sovietici
che stanno ottenendo materie prime ed armi. Invece si mostra
stranamente acquiescente e induce Eden, che negli anni Trenta era
stato tanto inflessibile con Mussolini e Hitler, a formulare la proposta
di sostituire ad un accordo territoriale un trattato di alleanza generale
per vent’anni, da rendere pubblico senza riferimenti alle frontiere. Il
patto viene firmato e Stalin, il 28 maggio, scrive a Churchill: “Vi
ringrazio vivamente per gli auguri manifestati in occasione della
firma del nostro nuovo trattato. Sono certo che avrà moltissima
importanza per il futuro rafforzamento delle relazioni amichevoli fra
l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna e i nostri due Paesi e gli Stati
226
Uniti, e garantirà la più stretta collaborazione fra noi dopo la fine
vittoriosa della guerra. Spero che il vostro incontro con Molotov di
ritorno dagli USA, offrirà l’occasione per concludere quei lavori
rimasti in sospeso sul secondo fronte...”.
A Molotov viene rilasciato il seguente promemoria: “Stiamo
compiendo i preparativi necessari per uno sbarco sul Continente
nell’agosto o nel settembre 1942. Come già è stato spiegato, il
maggiore ostacolo a un grosso corpo di spedizione sta nella scarsità
degli speciali mezzi da sbarco. E’ chiaro tuttavia che non servirebbe
né alla causa russa né a quella degli Alleati nel loro complesso il fatto
che, per amore dell’azione ad ogni costo, ci avventurassimo in
qualche operazione che terminasse in un disastro e desse al nemico la
possibilità di vantarsi di averci sconfitti. E’ impossibile dire in
anticipo se la situazione sarà tale, all’epoca indicata, da rendere
l’operazione fattibile. Non possiamo pertanto fare alcuna promessa in
proposito, ma non esiteremo ad attuare i nostri piani qualora
appaiano pratici e sensati”.
Ma nonostante il contenuto del promemoria e le gravi sconfitte
inglesi in Libia e in Egitto, Stalin continua a pretendere l’apertura del
secondo fronte. Così Churchill, dopo essere stato in ispezione al
Cairo, parte il 10 agosto 1942 alla volta di Mosca. Insieme a lui v’è
l’inviato speciale di Roosevelt, Harriman. Stalin non è all’aeroporto:
si è limitato a incaricare Molotov di fare gli onori di casa. Solo più
tardi il dittatore russo li riceve nella magnificenza del Cremlino e li
trattiene a colloquio per 4 ore. La riunione è ristretta a Churchill,
Harriman, Stalin, Molotov e Voroscilov, con i rispettivi ambasciatori
ed interpreti, ed è tutt’altro che tranquilla. Infatti, quando il Primo
Ministro inglese incomincia a dire che gli angloamericani stanno
preparando una gigantesca azione sul Continente per il 1943, Stalin si
sente truffato e chiede imperiosamente lo sbarco per il 1942, né si
convince quando Churchill, mettendo in mostra la solita calma che
caratterizza i suoi rapporti con il dittatore russo, gli spiega perché non
227
è possibile. Stalin immediatamente replica: “Le nostre vedute circa la
guerra sono diverse. Chi non è pronto a correre rischi non può
vincere una guerra. Perché avete tanta paura dei tedeschi?.
E Churchill: “Vi siete mai chiesto perché Hitler non ha invaso
l’Inghilterra nel 1940? Perché una simile impresa gli faceva paura.
Non è facile attraversare la Manica in nessuno dei due versi”.
E Stalin: “Non accetto le vostre argomentazioni. Non vi è nessuna
analogia fra i due casi”.
A questo punto Churchill, senza raccogliere le provocazioni, ma
con l’abilità del prestigiatore che tira fuori la sorpresa nel momento
giusto, presenta l’operazione Torch con la quale gli angloamericani si
propongono di sbarcare entro ottobre nell’Africa del Nord, e Stalin si
lascia sfuggire: “Che Dio benedica questa impresa”. Poi,
immediatamente pentito, solleva una serie di difficoltà politiche: la
Francia libera, De Gaulle, e così via. Ma, poco dopo, sembra convinto
ed enumera lui stesso i vantaggi della Torch: “Colpirete Rommel alle
spalle; spaventerete la Spagna; provocherete scontri armati fra
tedeschi e francesi in Francia; esporrete l’Italia a tutte le durezze
della guerra”.
Il giorno dopo nuovo incontro e violenti litigi, perché Stalin
sembra che abbia dimenticato tutto, o che abbia ricevuto rimproveri
per il suo entusiasmo relativo all’operazione Torch. Il terzo giorno
nuovo colpo di scena: il dittatore russo è di buon umore durante il
pranzo ufficiale e fa uso di tanta abilità dialettica che confonde
Churchill, al punto da costringerlo a chiedergli scusa per l’intervento
militare inglese del 1920 a favore dei russi bianchi. “Mi avete
perdonato?”, dice l’inglese, e si sente rispondere: “Tutto ciò è ormai
roba passata e il passato appartiene a Dio”.
Più tardi Stalin invita Churchill nella sua abitazione privata, dove
compaiono due donne: una è l’anziana governante e l’altra, Svetlana, è
l’unica figlia femmina del dittatore. Da tempo in Russia e nelle
ambasciate si favoleggiava dei tumultuosi rapporti di Stalin con i
228
familiari. Si diceva che Svetlana era l’unico essere umano il cui affetto
egli si sforzava di conservare, chiamandola la sua padroncina, ma
impedendole tassativamente ogni manifestazione d’indipendenza, ogni
rapporto appena amichevole con uomini e riducendola, molto spesso,
in lacrime disperate. Con le due mogli che aveva avuto le cose erano
andate molto peggio. Ekaterina Svanidze gli aveva dato un figlio,
Jakov, che era stato fatto prigioniero dai tedeschi all’inizio della
guerra e il padre l’aveva ripudiato, al punto da rifiutare una proposta
di scambio di prigionieri, mentre il fratello, la cognata e la sorella di
Ekaterina erano stati accusati di spionaggio dal dittatore e fatti fucilare
senza pietà. Uguale sorte era toccata alle sorelle ed ai cognati delle
seconda moglie di Stalin, Nadezda Allilueva, che, dopo avergli dato
due figli, Svetlana e Vasilij, s’era suicidata nel 1932, dopo che il
marito l’aveva rudemente offesa durante un pranzo ufficiale al
Cremlino, perché aveva osato avanzare qualche timida protesta sul
disumano trattamento riservato ai contadini.
Dopo essersi seduti Churchill, Stalin e compagnia, incominciano a
bere in abbondanza diverse marche di vini eccellenti e Molotov subito
viene sottoposto dal dittatore russo a pungenti ed impietose prese in
giro. Poi, improvvisamente, Stalin dirige i suoi strali su Churchill
chiedendogli, in riferimento a un convoglio inglese quasi interamente
distrutto dai tedeschi nell’Artide: “E’ vero che la marina britannica è
assolutamente priva di senso dell’onore?”.
E’ strano, ma per l’ennesima volta, quasi per una forma di
sudditanza psicologica, il “mastino” non perde la calma e risponde:
“Voi dovete credermi se vi dico che tutto fu compiuto nel modo
migliore; ed io ho una lunga esperienza in fatto di marina e di guerra
sul mare”.
Al che Stalin: “Con ciò intendete dire che io non ne capisco
nulla”.
E Churchill: “La Russia è un animale terrestre, gli inglesi invece
sono animali marini”.
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La mezzanotte è ormai passata e i due protagonisti finalmente
conversano in distensione, quando Churchill chiede con una punta di
malizia: “Ditemi, le difficoltà di questa guerra vi hanno causato
preoccupazioni tanto gravi come quelle provocate dalla costituzione
delle fattorie collettive?”.
“Oh, no, la collettivizzazione c’impose una lotta ben più terribile”.
“Penso che vi sia riuscita così dura per il fatto che non avevate a
che fare con poche migliaia di aristocratici o di grandi latifondisti,
ma con milioni di umili contadini”
“Dieci milioni. Fu una lotta terribile che durò ben 4 anni. Era
assolutamente necessario per la Russia se volevamo evitare le carestie
periodiche e arare la terra con i trattori; noi dovevamo meccanizzare
la nostra agricoltura. Quando li davamo ai contadini, i trattori
diventavano tutti inutilizzabili nel giro di alcuni mesi. Soltanto le
fattorie collettive dotate di officine di riparazione potevano farli
funzionare. Ci adoperammo in tutti i modi per spiegare la cosa ai
contadini, ma discutere con loro non serviva a nulla. Dopo che voi
avete detto tutto il possibile a un contadino, egli vi risponde che deve
andare a casa a consultarsi con la moglie e con il suo Pop. Dopo che
ha discusso la questione con loro, il contadino risponde
invariabilmente che non ne vuole sapere delle fattorie collettive e che
preferisce fare a meno dei trattori”.
“Erano questi i cosiddetti kulaki?”.
“Sì, fu davvero un’impresa molto dura e difficile, ma necessaria”.
“E che accadde?”.
“Oh, bene, parecchi di essi accettarono di entrare nelle nostre
fattorie. Ad alcuni furono assegnate terre da coltivare in proprio nelle
provincie di Tomsk o di Irkutsk o ancora più a nord, ma la grande
maggioranza dei kulaki era molto impopolare e fu liquidata dai
dipendenti (...). Non soltanto abbiamo notevolmente aumentato la
quantità della produzione, ma abbiamo anche enormemente
migliorato la qualità del grano. Un tempo si coltivavano tutte le
230
specie; ora nessuno, da un capo all’altro del nostro Paese, può
seminare grano diverso dal tipo standard sovietico. Coloro che non si
attengono alle disposizioni in materia incorrono in pene severe; ciò
comporta un altro notevole aumento nella produzione cerealicola”.
CHURCHILL costituisce, con la sua generosa, fattiva e frenetica
attività, il vero cardine su cui ruota la grande alleanza contro l’Asse, o,
per meglio dire, contro l’hitlerismo. Certamente, ormai non è il più
importante capo della coalizione, ma rimane il collante di tutto, dentro
e fuori il suo Paese, dove sovrintende, in modo inflessibile, sulle forze
armate e sulla produzione bellica. Inoltre, anche se qualche Paese del
Commonwealth mostra tendenze centrifughe, attratto dai più possenti
Stati Uniti, Churchill riesce a tenerlo a freno e a farlo allineare alla
volontà britannica. E’ il caso dell’Australia, con il suo inquieto Primo
Ministro Curtin e di qualche altro.
Alla fine delle cangianti vicissitudini del 1942, che si chiude
comunque in modo trionfale per gli Alleati, viene organizzata la
Conferenza di Casablanca e Churchill scrive a Roosevelt il 30
dicembre: “ 1) Il giorno di Natale ho inviato in Africa settentrionale il
generale di brigata Jacob a consultarsi con i generali Reisehower e
Bedell Smith, vi telegraferà i risultati della loro ricognizione. 2)
Ritengo che il meglio che possiamo fare è di accettare queste
proposte; poiché il tempo stringe, io proseguo nella presunzione che
voi approverete. 3) E’ mia intenzione di far partire dal Regno Unito
verso il 4 gennaio la nave Bubolo, particolarmente adatta come sede
di un quartier generale, con gli ufficiali di Stato Maggiore di grado
inferiore della mia delegazione, gli addetti al cifrario, i segretari, ecc.
La Bubolo getterà l’ancora nel porto e funzionerà da nave avviso. 4)
Voi proponete che alcuni dei nostri consiglieri militari ci precedano
di alcuni giorni per sgombrare il terreno. Sono interamente d’accordo
e farò in modo che i capi dello Stato Maggiore britannico giungano in
aereo al luogo dell’incontro nel giorno in cui i capi dello Stato
Maggiore americano saranno in grado di recarvisi. Potete farmi
231
sapere la data? 5) Sarebbe pure molto utile se mi poteste far
conoscere al più presto possibile il vostro programma personale,
affinché anch’io possa fare i miei preparativi. 6) Molti ringraziamenti
per la nomina di Macmillan. Sono d’accordo circa quanto dite in
merito alla suprema autorità di Eisenhower”.
Nella Conferenza di Casablanca, su precisa volontà di Roosevelt, i
due protagonisti stabiliranno il principio fiero ma pericoloso, al quale
si atterranno inflessibilmente, della “resa incondizionata” di
Germania, Giappone e Italia.
232
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 6:24 pm

CAP. XIV
MENTRE STALIN TRIONFA AD ORIENTE E CHURCHILL E
ROOSEVELT INVADONO LA SICILIA, MUSSOLINI VIENE
ARRESTATO E L’ITALIA CHIEDE L’ARMISTIZIO
SUSCITANDO LA VIOLENTA REAZIONE DI HITLER
Fra la fine del 1942 e i primi mesi del 1943 la guerra di
MUSSOLINI, unitamente a quella tedesca, va a rotoli nell’Africa del
nord e in Russia, dove l’armata italiana deve registrare ben 74.000
morti su 229.000 effettivi ed un completo disfacimento, riscattato da
vari episodi di vivido eroismo.
Nel frattempo a Roma, il Duce, fra violenti dolori gastrici, si
occupa anche del regalo da fare a Goring per il suo cinquantesimo
compleanno e, sempre più lontano dalla realtà, non vuole pesare sul
patrimonio artistico statale, ma comunica a Ciano che regalerà al
tedesco l’unico quadro di un certo valore che possiede personalmente:
un autoritratto di Mancini.
Gli alti e bassi dell’umore mussoliniano sono ormai
consuetudinari. Così, mentre il 23 gennaio 1943 al Consiglio dei
Ministri, dichiara: “Questa guerra durerà ancora 3 o 4 anni”, registra
senza protestare le affermazioni di alcuni militari che dicono:
“L’unica via di salvezza per l’Italia, l’esercito e lo stesso Regime è
quella della pace separata”.
Il 5 febbraio Mussolini, dopo aver sostituito Cavallero con
Ambrosio alla testa dell’esercito, cede alle continue e sommesse
pressioni tedesche e convoca Ciano per comunicargli che lo rimuove
da Ministro degli Esteri per nominarlo ambasciatore presso la Santa
Sede. Poi, tre giorni dopo, gli dice: “Adesso devi considerare che hai
un periodo di riposo. Poi tornerà il tuo turno. L’avvenire tuo è nelle
mie mani e per questo ti puoi considerare tranquillo. Se ci avessero
233
lasciato tre anni di tempo avremmo potuto fare la guerra in
condizioni ben differenti o forse non sarebbe stato affatto necessario
farla”.
Quando in giugno gli Alleati, con il completo dominio
aeronavale, conquistano l’isola di Pantelleria al costo di solo 2 feriti e
facendo ben 10.000 prigionieri, il Duce, dopo aver autorizzato la resa
e respinto la richiesta di Hitler di far fucilare l’ammiraglio Pavesi che
ne comandava la guarnigione, dichiara: “Un giorno dimostrerò che
questa guerra non si poteva, non si doveva evitare, pena il nostro
suicidio (...) Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare in
Sicilia sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del
bagnasciuga (...) Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della
Patria, 46 milioni di italiani, meno trascurabili scorie, sono in
potenza e in atto 46 milioni di combattenti che credono nella vittoria
perché credono nella forza eterna della Patria”. Ma, a parte la
generale sfiducia sulle sorti della guerra, l’Italia ha in Sicilia 300.000
uomini male armati e quasi del tutto privi della possibilità di spostarsi
rapidamente, perché dotati di pochi automezzi. Inoltre hanno solo 100
carri armati che non siano le famigerate “scatolette di sardine”. A loro
volta i tedeschi hanno nell’isola 2 divisioni con 165 carri armati.
Anche in questo caso, così importante perché si tratta del territorio
metropolitano, qualcosa non funziona nell’organizzazione e nei
comandi mussoliniani, se si pensa che l’Italia ha molte altre divisioni,
meglio armate e motorizzate, sul continente e in Corsica, Francia,
Iugoslavia, Grecia e altrove.
In luglio, dopo lo sbarco alleato nell’isola, che risulta
immediatamente vincente, Hitler telegrafa a Mussolini in questi
termini: “Sino ad oggi nessun attacco nemico ha avuto luogo contro
Augusta (comandante l’ammiraglio Primo Leonardi). Gli inglesi non
ci sono mai stati. Ciò nonostante il presidio italiano ha fatto saltare
cannoni e munizioni e incendiato un grande deposito di carburante
(...) Molti soldati isolati o in piccoli gruppi si aggirano per la
234
campagna: taluni hanno gettato le armi e le uniformi indossando abiti
civili”.
Il Duce ha un soprassalto di energia. Chiede ad Ambrosio
spiegazioni e si sente rispondere che “I fatti si riducono ad episodi di
particolari reparti della piazza di Augusta sottoposti ad intenso
bombardamento aereo e navale. Episodi di tal genere si verificano in
tutti gli eserciti. E si può rilevare che la stessa divisione Goring,
affacciatasi a Gela, è stata costretta a ripiegare”. Così la possibile
severa purga si esaurisce nel punire solo il capomanipolo Catanzaro,
che comandava una batteria nei pressi di Catania, dove sembra che gli
addetti abbiano abbandonato il posto, a carico del quale il Duce
ordina: “Se le cose stanno come riferite, il comandante sia fucilato”.
Nel frattempo nel Paese e nelle sfere dirigenziali ancor più si è
diffusa le realistica sensazione che la guerra sia irrimediabilmente
perduta, nonostante girino voci che i tedeschi stiano mettendo a punto
efficacissime armi nuove. In ogni caso molti ritengono che Mussolini
non sia più in grado di esercitare un lucido ed autorevole comando.
Militari fedeli al re e financo alcuni autorevoli gerarchi fascisti
congiurano per provocare la definitiva caduta del Duce, che viene
indotto a convocare il Grande Consiglio Fascista, di cui fanno parte i
membri vitalizi, chiamati quadrumviri, i presidenti del Senato e della
Camera, i ministri, il presidente dell’Accademia d’Italia, il Capo di
Stato Maggiore della Milizia, il presidente del Tribunale Speciale, i
presidenti delle Confederazioni fasciste, e altri membri per meriti
speciali come Bottai, Ciano, Buffarini Guidi, Farinacci, de Stefani,
Alfieri, Marinelli e Rossoni.
Il Gran Consiglio viene convocato il 24 luglio 1943, dopo che
Mussolini si è incontrato a Feltre con Hitler e dopo il bombardamento
angloamericano del Quartiere San Lorenzo di Roma. Nessuno
s’adopera per rinviarlo o annullarlo, nonostante Grandi, che presto si
rivelerà come capo della rivolta o del complotto contro il Duce, abbia,
con coraggio e lealtà, mostrato due giorni prima a Mussolini l’ordine
235
del giorno che intende far approvare. In esso si chiede: “L’immediato
ripristino di tutte le funzioni statali attribuendo alla Corona, al Gran
Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni, le
responsabilità stabilite dalle leggi costituzionali e statutarie italiane;
inoltre ridare al re l’effettivo comando delle Forze Armate che è ora
di Mussolini”.
E’ strano che il Duce non eviti la sua caduta politica. Lo può
fare nel corso del Gran Consiglio sospendendolo d’autorità, oppure il
giorno dopo, facendo arrestare chi ha votato in favore dell’ordine del
giorno Grandi, che è stato approvato con 19 sì (compreso quello di
Ciano) 8 no e un astenuto. Ma forse il dittatore, malato d’ulcera e
sconfitto com’è dalla guerra, vuole liberarsi delle responsabilità attuali
e di quelle che si presentano ancora più gravi nell’immediato futuro.
Infatti, nel corso della riunione, egli dice contraddittoriamente: “In
questo momento io sono l’uomo più detestato, anzi odiato, d’Italia, il
che è logico. La verità è che nessuna guerra è popolare all’inizio: lo
diventa se va bene e se va male diventa impopolarissima. (...) Non ho
mai diretto tecnicamente le operazioni militari tranne quella navale di
Pantelleria nel 1942. Il risultato fu una netta vittoria. (...) Solo Stalin
e il Mikado possono dare l’ordine di resistere fino all’ultimo uomo.
(...) I siciliani hanno accolto gli anglosassoni come salvatori. (...) E’
questo il momento di stringere le fila, e assumersi le responsabilità
necessarie. Non ho alcuna difficoltà a cambiare uomini, a girar la
vite. Nel 1917 furono perdute provincie del Veneto, ma nessuno parlò
di resa, allora si parlò di portare il Governo in Sicilia. Oggi, qualora
fosse inevitabile, lo porterò nella valle del Po. (...) Se fossi stato
curato un po’ peggio dal mio medico, forse oggi non avreste il fastidio
di questa seduta.(...) Chi chiede la fine della dittatura sa di volere la
fine del fascismo. Io ho 60 anni e so cosa vogliono dire certe cose. Del
resto la mia meravigliosa ventura è durata già vent’anni”.
Invece lo stanco dittatore chiede udienza al re, che la fissa,
contrariamente al solito, a villa Savoia e non al Quirinale, e si reca ad
236
incontrarlo praticamente senza scorta, perché rimasta fuori. Il re,
vestito da maresciallo, è sulla porta, mentre nell’interno stazionano
due ufficiali. Giunto nel salotto il re, agitato e con il volto pallido e
tirato, dice: “Caro Duce, le cose non vanno più. L’Italia è in tocchi.
L’esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi.
Gli alpini cantano una canzone nella quale dicono che non vogliono
più fare la guerra per conto di Mussolini. Il voto del Gran Consiglio è
tremendo. Diciannove voti per l’ordine del giorno Grandi: fra di essi
quattro collari dell’Annunziata. Voi non vi illudete certamente sullo
stato d’animo degli italiani nei vostri riguardi. In questo momento voi
siete l’uomo più odiato d’Italia. Voi non potete contare più su di un
solo amico. Uno vi è rimasto, io. Per questo vi dico che non dovete
avere preoccupazioni per la vostra incolumità personale, che farò
proteggere. Ho pensato che l’uomo della situazione è, in questo
momento, il maresciallo Badoglio. Egli comincerà col formare un
ministero di funzionari per l’amministrazione e per continuare la
guerra. Fra sei mesi vedremo. Tutta Roma è già a conoscenza
dell’ordine del giorno del Gran Consiglio e tutti attendono un
cambiamento”.
A queste parole il dittatore, il tiranno, il padrone assoluto dell’Italia
per oltre vent’anni, si limita a rispondere: “Voi prendete una decisione
di una gravità estrema. La crisi in questo momento significa far
credere al popolo che la pace è in vista, dal momento che viene
allontanato l’uomo che ha dichiarato la guerra. Il colpo al morale
dell’esercito sarà serio. Se i soldati, alpini o no, non vogliono più fare
la guerra per Mussolini non ha importanza, purché siano disposti a
farla per voi. La crisi sarà considerata un trionfo del binomio
Churchill-Stalin, soprattutto di quest’ultimo, che vede il ritiro di un
antagonista da venti anni in lotta contro di lui. Mi rendo conto
dell’odio del popolo. Non ho avuto difficoltà a riconoscerlo stanotte
in pieno Gran Consiglio. Non si governa così a lungo e non
s’impongono tanti sacrifici senza che ciò provochi risentimenti più o
237
meno fugaci e duraturi. Ad ogni modo io auguro buona fortuna
all’uomo che prenderà in mano la situazione”.
Alle diciassette e venti, dopo appena dieci minuti di colloquio, il re
accompagna Mussolini sulla soglia della villa e gli stringe a lungo la
mano. Il Duce scende la scalinata e viene avvicinato dal capitano dei
carabinieri Vigneri che gli dice: “Duce, in nome di Sua Maestà il re vi
preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze da parte
della folla”. Il Duce rifiuta, poi si convince e si dirige verso la sua
automobile, ma l’ufficiale, decisamente, lo indirizza verso
un’autoambulanza in attesa e, presolo per il gomito, lo aiuta a salire.
L’auto parte, seguita da un autocarro pieno di 50 carabinieri, uscendo
da villa Savoia attraverso un ingresso secondario.
Mussolini viene condotto in caserma, dove gli promettono, con
l’avallo di una marea di messaggi mendaci di autorevoli personaggi, la
libertà in Romagna alla Rocca delle Caminate. Invece una nave da
guerra lo conduce da prigioniero nell’isola di Ponza, dove viene
trattenuto dal 27 luglio al 7 agosto. Successivamente viene trasferito
all’isola della Maddalena (dal 7 al 27 agosto) e, infine, in montagna,
in un rifugio di Campo Imperatore.
In tutte queste località l’ex dittatore si comporta come un alto
funzionario dello Stato stanco e depresso, ma finalmente in pensione.
Nel frattempo, già subito dopo il clamoroso arresto, viene diffuso il
seguente comunicato: “Il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni
del cavaliere Benito Mussolini e nomina in sua vece il maresciallo
d’Italia Pietro Badoglio”. E l’Italia è in festa: tutti coloro che
occupano posizioni di un qualche rilievo, tranne il presidente
dell’agenzia di stampa Stefani che si suicida, si dimenticano con
eccezionale velocità del Duce e del fascismo, che tanto hanno
osannato. Anche il popolo si comporta nello stesso modo e dovunque
vengono distrutti busti marmorei, statue e fotografie del deposto
dittatore. Fasci littori, distintivi e tessere del Partito Fascista finiscono
238
nelle fogne, mentre il nuovo governo cerca disperatamente di ottenere
l’armistizio.
A proposito della repentina caduta del Duce, CHURCHILL
scrive: “Così finirono i 21 anni della dittatura di Mussolini in Italia,
durante i quali egli aveva sollevato il popolo italiano dal bolscevismo,
in cui avrebbe potuto sprofondare nel 1919 per portarlo in una
posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima. Un
nuovo impulso era stato dato alla vita nazionale. L’impero Italiano
nell’Africa settentrionale fu fondato. Molte importanti opere
pubbliche in Italia furono completate. Nel 1935 il Duce con la sua
forza di volontà aveva sopraffatto la Lega delle Nazioni -“cinquanta
nazioni capeggiate da una sola”- ed era riuscito a conquistare
l’Abissinia. Il suo regime era troppo costoso, senza dubbio, per il
popolo italiano, ma è innegabile che attrasse, nel suo periodo di
successo, un grandissimo numero d’italiani. Egli era, come ebbi a
scrivergli in occasione del crollo della Francia, “il legislatore
d’Italia”. L’alternativa al suo regime avrebbe potuto essere un’Italia
comunista, che non sarebbe stata fonte di pericoli e sciagure di natura
diversa per il popolo italiano e l’Europa. L’errore fatale di Mussolini
fu la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna dopo
le vittorie di Hitler nel giugno 1940. Se non lo avesse commesso,
avrebbe potuto tenere benissimo l’Italia in una posizione d’equilibrio,
corteggiata e ricompensata dalle due parti, derivando inusitata
ricchezza e prosperità dalle lotte di altri Paesi. Anche quando le sorti
della guerra apparvero manifeste, Mussolini sarebbe stato bene
accetto agli Alleati. Egli aveva molto da dare per abbreviare la
durata del conflitto. Avrebbe potuto scegliere con abilità e
intelligenza il momento più adatto per dichiarare la guerra a Hitler.
Invece prese la strada sbagliata. Non aveva mai compreso a pieno la
forza dell’Inghilterra e neppure le tenaci sue qualità di resistenza e di
potenza marinara. Così provocò la propria rovina. Le grandi strade
239
che egli costruì resteranno un monumento al suo prestigio personale e
al suo governo”.
La guerra degli inglesi è ormai divenuta abbastanza facile, per
merito dell’alleanza pienamente operante con i due colossi, USA e
URSS. I mezzi bellici non solo sono di qualità migliore, ma
preponderanti come in Sicilia, dove operano ben 4.000 modernissimi
aerei, contro i 1.850 italo-tedeschi che debbono suddividersi fra tutta
l’Italia e la Francia. Eppure Churchill non perde nessuna occasione e il
26 luglio 1943 si precipita a telegrafare a Roosevelt: “I mutamenti
annunciati in Italia preludono probabilmente a proposte di pace.
Consultiamoci per intraprendere azione comune. La fase attuale può
essere soltanto transitoria. Ma ad ogni modo Hitler si deve sentire
molto solo, ora che Mussolini è deposto e allontanato. Nessuno può
essere veramente certo che tutto ciò non vada più innanzi ancora”. Il
Presidente americano non è da meno, perché un suo messaggio
s’incrocia con quello di Churchill: “Per combinazione mi trovavo a
Shagri La quest’oggi quando è arrivata la notizia da Roma, ma
questa volta sembra proprio che sia vera. Se dovesse sortirne qualche
elemento favorevole a noi dobbiamo assicurarci l’uso di tutti i mezzi
di trasporto e del territorio italiano contro i tedeschi nel nord e contro
l’intera penisola balcanica, come anche l’uso d’aeroporti d’ogni
genere. La mia idea è che si debba avvicinarci quanto più possibile a
una resa senza condizioni, seguita da un buon trattamento nei
riguardi delle masse popolari italiane; ma penso anche che il Diavolo
Grosso debba esserci consegnato con i suoi complici. In nessun caso i
nostri comandanti di prima linea dovranno fissare condizioni generali
senza la vostra e la mia approvazione. Fatemi conoscere le vostre
idee in merito”.
In breve i due alleati stendono un piano, nel quale si prevede di:
avere immediatamente le “perle italiane”, ossia Corfù e la Flotta, che
possiede ancora ben 6 corazzate, di cui due supermoderne, la
liberazione di tutti i prigionieri Alleati in Italia, e lo scontro delle forze
240
armate italiane e della popolazione contro i tedeschi. Ma il 28 luglio
Churchill, temendo un’eccessiva generosità del Presidente americano
nei confronti dell’Italia, gli scrive: “1) Ci sono 74.000 prigionieri
britannici in Italia, oltre a 30.000 fra iugoslavi e greci. Non possiamo
dichiararci d’accordo su qualsivoglia promessa di rilasciare
centinaia di migliaia di prigionieri italiani ora nelle nostre mani, a
meno che i nostri uomini e quelli degli alleati non siano salvati dagli
orrori della prigionia in Germania e restituiti. 2) Inoltre, in aggiunta
agli italiani fatti prigionieri in Tunisia e in Sicilia, abbiamo almeno
250.000 italiani catturati da Wawell due anni fa e dislocati un po’ in
tutto il mondo. Riteniamo troppo offrire la restituzione di una così
grande quantità di prigionieri fatti nelle prime fasi della guerra, né lo
riteniamo necessario...”. Non contento, il “mastino” inglese vuole
tenere al suo posto Eisenhower, il comandante militare supremo, e il
29 luglio scrive ancora a Roosevelt: “...Riteniamo inoltre che le
condizioni di resa debbano riguardare le esigenze civili oltre che
quelle militari, e che sarebbe molto meglio che venissero stabilite ed
inviate dai nostri due Governi, anziché dal generale sul campo...”.
Un paio di settimane dopo i due protagonisti s’incontrano alla
Conferenza di Quebec, dove discutono di tutto e, prevalentemente, del
grande sbarco in Francia, previsto per il 1944. Dalla città canadese
dirigono insieme le caotiche vicende delle trattative per l’armistizio
con l’Italia, che sono rese particolarmente difficili dalla presenza sul
suolo italiano di molte ed agguerrite divisioni tedesche. Il 18 agosto
scrivono ad Eisenhower: “Noi e i Capi di Stato Maggiore disponiamo
onde mandiate immediatamente a Lisbona due ufficiali del vostro
comando, uno statunitense ed uno inglese, che dovranno presentarsi
all’ambasciatore britannico. Debbono portare con sé i termini
armistiziali convenuti, che vi sono già stati mandati. L’ambasciatore
avrà predisposto un incontro col generale Castellano (...) Ad esso
verrà comunicato che la resa incondizionata dell’Italia viene
accettata nel quadro stabilito. Si dovrà dirgli che i termini non
241
comprendono condizioni politiche, economiche o finanziarie che
verranno comunicate successivamente per altro tramite...”. Mentre
Castellano, per non dar nell’occhio ai tedeschi, ritarda il suo rientro in
Italia, il 26 agosto appare sulla scena di Lisbona un altro inviato
italiano, il generale Zanussi, accompagnato, come sua referenza, dal
generale inglese decorato con la Victoria Cross, Carton de Viart che è
prigioniero degli italiani. Anche Zanussi viene inviato ad Algeri per
conferire con Eisenhower e dove vi è anche Castellano. Fra una
grande confusione, di cui sono colpevoli entrambe le parti, si
stabiliscono le condizioni per l’annuncio dell’armistizio. Inizialmente
si ritiene che gli Italiani, con l’appoggio di una divisione Alleata
aereotrasportata, possano difendere Roma e l’Italia centrale. In tal
senso Roosevelt e Churchill scrivono il 2 settembre a Stalin: “Il
generale Castellano ci ha comunicato che gli italiani accettano e che
egli verrà a firmare, ma non sappiamo con certezza se questo si
riferisca alle brevi clausole militari di cui avete già preso conoscenza,
o a più comprensive e complete clausole in merito alle quali era
specificatamente indicata la vostra adesione alla firma. 2) La nostra
situazione militare laggiù è insieme critica e incoraggiante. La nostra
invasione della Penisola è imminente. E il pesante colpo di maglio
chiamato Avalanche (sbarco a Salerno) calerà intorno alla prossima
settimana. Le difficoltà del Governo e del popolo italiano nel liberarsi
dalle grinfie di Hitler potrebbero rendere necessaria un’impresa
ancora più audace, perché Eisenhower avrà bisogno di tutto l’aiuto
italiano che riuscirà ad ottenere. L’accettazione italiana dei termini si
basa soprattutto sul fatto che noi manderemo una divisione
aviotrasportata a Roma per aiutare gli italiani a tenere a bada i
tedeschi, che hanno raccolto forze corazzate nei pressi della Capitale
e potrebbero sostituire il Governo Badoglio con un Governo tipo
Quisling probabilmente sotto Farinacci. La situazione evolve così
rapidamente che riteniamo Eisenhower debba avere l’autorità di non
rimandare l’accordo con gli italiani per una differenza di clausole
242
brevi e lunghe. E’ chiaro che le clausole brevi sono comprese in
quelle lunghe, e che si basano sulla resa incondizionata, ponendone
l’interpretazione nelle mani del supremo comando alleato. 3)
Riteniamo pertanto che contiate sul fatto che Eisenhower firmi a
vostro nome un armistizio breve, se questo fosse necessario, per
evitare ulteriori viaggi del generale Castellano a Roma, con relativi
rischi ed incertezze pregiudizievoli per le operazioni militari...”.
Il giorno dopo, esattamente il 3 settembre 1943, in un paese
vicino Siracusa, Castellano per il maresciallo Badoglio e il generale
Bedell Asmith per Eisenhower firmano l’armistizio. Subito gli Alleati
invadono la Calabria e Churchill scrive a Stalin: “Il generale
Castellano, dopo molti contrasti, ha firmato l’armistizio breve e sta
ora studiando coi generali Eisenhower e Alexander il modo migliore
per metterlo in atto. Questo porterà certo a combattimenti immediati
fra le forze italiane e tedesche, e noi aiuteremo gli italiani (...) Non
posso prevedere cosa accadrà a Roma e in tutt’Italia. Scopo
dominante deve essere uccidere tedeschi, e indurre gli italiani ad
uccidere tedeschi nel maggior numero possibile in questo settore della
guerra. Resto a Quebec finché la faccenda non sia risolta. Vogliate
frattanto cogliere le mie più calde congratulazioni per la vostra serie
di vittorie e di penetrazioni sul fronte principale”.
Per il progettato sbarco della divisione aviotrasportata il
generale americano Taylor si reca a Roma il 7 settembre e si trova
immerso in un caos indescrivibile oltre che in un’apparente
indifferenza dei sommi capi militari italiani. Gli viene detto che,
ormai, i tedeschi hanno forze imponenti e agguerritissime e che
controllano gli aeroporti intorno alla Capitale, mentre l’esercito
italiano è demoralizzato e manca di munizioni. Così, per una strana
volontà italiana, l’arrivo delle truppe alleate intorno Roma viene
annullato e Badoglio chiede di poter rinviare l’annuncio
dell’armistizio, la cui data è ancora ignorata dagli italiani per una
colpevole diffidenza del comando alleato.
243
Quando Eisenhower viene informato della situazione da Taylor,
l’8 settembre, telegrafa ai capi di Stato Maggiore Collegati: “Ho
conchiuso testé una conferenza coi comandanti superiori e ho deciso
di non accettare il mutato atteggiamento italiano. Intendiamo
procedere in armonia col piano annunciato dell’armistizio, e con la
relativa propaganda e altre misure. Il maresciallo Badoglio viene
informato attraverso il nostro diretto collegamento che questo
strumento di resa accettato dal suo rappresentante accreditato
presumibilmente con buona fede d’ambo le parti è considerato valido
e impegnativo, e che noi non riconosceremo nessuna deviazione della
nostra intesa originaria”.
Immediatamente Roosevelt e Churchill rispondono: “Il
Presidente e il Primo Ministro sono d’avviso che, firmato ormai
l’accordo, voi ne facciate quel pubblico annuncio che faciliti le vostre
operazioni militari”.
Alle ore 18,00 la radio trasmette in tutto il mondo, compresa
l’Italia, l’avvenuto armistizio, lasciando in un profondo scoramento il
Governo di Roma. Ma ormai non c’è più nulla da fare: Badoglio in
persona si reca a Radio Roma e dice al microfono: “Il governo
italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta
contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare
ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al
generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente
ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da
parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad
eventuali ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza”.
Con colpevole leggerezza Badoglio, unitamente ai maggiori
responsabili del Governo e delle Forze Armate, ad incominciare dal
re, dimentica d’inviare tempestive, chiare e dettagliate istruzioni ai
quasi 2 milioni di soldati italiani che, in quel momento, sono così
distribuiti: 1.100.000 in Italia, 230.000 in Francia e Corsica, 300.000
in Iugoslavia, 105.000 in Albania, 210.000 in Grecia e 50.000 nelle
244
isole italiane del Mar Egeo. Si può notare che queste forze sono
numerose ma, come è avvenuto in tutta la guerra, troppo diluite, male
armate, pochissimo motorizzate e corazzate ed ora anche del tutto non
informate e prive di istruzioni, al punto da ritenere, nella grande
maggioranza dei casi, i tedeschi ancora alleati. Contro di esse
muovono tempestivamente forze minori tedesche, ma ben attrezzate,
informate e comandate. Combattimenti, anche con la partecipazione di
qualche migliaio di civili, avvengono intorno Roma e si concludono in
3 giorni con un’altra resa, questa volta firmata ai germanici dal
generale di secondo piano Giaccone, poichè il Governo, il re e tutti i
più alti generali sono ormai sulla via di Pescara. Il vecchio maresciallo
Caviglia, vincitore di Vittorio Veneto, costituisce una gloriosa
eccezione, perché si precipita a Roma per prendere il comando, ma
non riesce ad ottenere le necessarie credenziali dall’ormai lontano
Badoglio.
Nel frattempo, in piena osservanza dei patti armistiziali, la
grande flotta da guerra italiana si dirige verso Malta senza alcuna
protezione aerea e la nuova possente corazzata Roma, appena uscita
dai cantieri di Genova, viene colpita e affondata da una fortunata
bomba tedesca che s’infila in un fumaiolo. Quasi a compensarla, il 10
settembre Churchill telegrafa all’ammiraglio Cunningham: “Se la
flotta italiana arriverà nei nostri porti dopo aver scrupolosamente
osservato le condizioni di armistizio, e sostenuto l’attacco di
rappresaglia dei bombardieri germanici, confido che consulterete il
generale Eisenhower, onde la ‘magnifica preda’ sia ricevuta con
generosità e cortesia. Sono certo che ciò avverrà in armonia con i
vostri sentimenti. Si dovranno prendere riprese cinematografiche
della resa dell’intera flotta di quella che è stata una vittoriosa Grande
Potenza, della cortese accoglienza da parte britannica, dell’affettuoso
trattamento di feriti, ecc.”.
Il 12 settembre Churchill, che pensa proprio a tutto e
continuamente impartisce tempestive disposizioni, scrive ancora a
245
Cunningham: “ Al più presto possibile dovreste inviarmi rapporto
sulle artiglierie d’ogni specie della flotta italiana, a partire dalle più
importanti unità. Senza preoccuparvi di completare il tutto, mandate
immediatamente la relazione all’Ammiragliato, che la trasmetta agli
Stati Uniti, specificando le particolari necessità delle unità più grandi
e moderne. Io posso probabilmente provvedere qui a una rapida
soluzione”.
Poi, ancora non contento, l’efficientissimo “mastino” inglese,
nonostante la non verde età di 69 anni, il 13 settembre scrive al
generale Wilson: “La conquista di Rodi da parte vostra in questo
momento, con l’aiuto italiano, sarebbe uno splendido contributo alla
guerra nel suo insieme. Comunicatemi i vostri piani in proposito. Non
potreste improvvisare la necessaria guarnigione traendola dalle forze
del Medio Oriente? Quali sono in totale le forze di cui disponete?”.
Mentre bande partigiane si formano e incominciano ad agire
nell’Italia centrosettentrionale, il 12 settembre 90 paracadutisti
tedeschi liberano, o forse catturano, Mussolini e lo portano da Campo
Imperatore a Monaco e quindi da Hitler. Da qui ripartirà per dirigere,
ormai solo come un qualsiasi Quisling, la neofondata Repubblica
Sociale Italiana che, sotto la protezione tedesca, si oppone dal Nord al
Governo Badoglio di Brindisi che agisce sotto il controllo Alleato.
HITLER nel febbraio 1943 è sconfortato: la sua armata si è
arresa a Stalingrado e il suo comandante, von Paulus, con essa.
Secondo il Führer avrebbe invece “dovuto uccidersi con l’ultima
cartuccia. E’ insensato che un generale non sappia fare ciò che una
femmina oltraggiata fa, ossia suicidarsi come 20.000 persone fanno
ogni anno in Germania”.
In aprile Hitler s’incontra con Mussolini a Salisburgo e ne ha
una pessima impressione. Ormai il Duce si nutre solo di latte
zuccherato e la sua famosa imponenza non esiste più. Comunque il
dittatore tedesco dice al collega italiano che ha riletto la storia di
Verdun e che loro due, insieme, faranno di Tunisi la Verdun italiana.
246
Ma non è così: la guerra va decisamente male e non si capisce se
Hitler crede davvero nelle sue tanto sbandierate armi segrete. D’altra
parte cosa potrebbe fare? Non certo chiedere l’armistizio, quando
ormai gli Alleati hanno stabilito il principio della resa incondizionata e
lui verrebbe sicuramente processato e fucilato per crimini di guerra.
Quando in luglio Mussolini viene arrestato, Hitler si mostra ad
alcuni suoi generali in preda a un prolungato e spaventoso scoppio di
furore, che viene giudicato “uno sbalorditivo e sconvolgente sfoggio
di confusione mentale e mancanza di equilibrio”. Ma il Führer non ha
tutti i torti se il suo ambasciatore in Italia considera la votazione del
Gran Consiglio e quello che ne è seguito “nulla di allarmante”.
Invece Hitler, urlando “Tradimento, tradimento!”, non vuole
riconoscere il Governo Badoglio e occupare subito l’Italia, ma ne
viene dissuaso. Ciò nonostante il dittatore provvede immediatamente
ad inviare altre divisioni in Italia e a dare ordine alle sue truppe, di
stanza in Alto Adige, di comportarsi come se quel territorio fosse già
stato annesso alla Germania. Infine, quando gli perviene la notizia
ufficiale che l’armistizio è stato firmato, fa occupare Roma e
intensificare la ricerca della prigione di Mussolini, che viene
individuata. Immediatamente un nutrito numero di paracadutisti libera
il Duce che il 15 settembre, dopo Monaco, viene condotto a
Rastemburg da Hitler che ne è profondamente deluso: al suo cospetto,
come si attendeva, non c’è un Mussolini ferocemente intenzionato a
vendicarsi, ma uno squallido uomo rassegnato, stanco e sottomesso
che si convince, quasi in esecuzione di un ordine, a mettersi alla testa
di un neogoverno fascista, la cui sede è stabilita dai tedeschi a Salò, un
paesino sul lago di Garda.
STALIN passa ormai, anche per merito dei continui aiuti di
materiali ed armi americane, di successo in successo e continua a far
retrocedere le truppe di Hitler, che sono ancora tanto fortemente
attestate in Russia. Il 13 luglio, su imitazione di quanto Churchill fa da
247
tanto tempo a Londra, crea a Mosca il Comitato della Germania
Libera.
A luglio la notizia della caduta di Mussolini lo riempie di
felicità perché, forse, a parte Hitler in guerra, è stato il suo maggiore e
più temuto avversario, che lo aveva anche sconfitto militarmente in
Spagna. Quando poi, nemmeno un mese dopo, l’Italia inizia i contatti
con gli angloamericani per ottenere l’armistizio, il dittatore russo è
molto attento che ogni atto riguardante la capitolazione dell’ex
nazione fascista sia sempre compilato anche con l’autorizzazione e la
firma dei sovietici.
ROOSEVELT è più che mai sulla cresta dell’onda e capo,
ufficiosamente riconosciuto, della coalizione alleata contro Hitler e
Mussolini. Quando il Duce cade e viene arrestato e l’Italia chiede
l’armistizio, vuole che il dittatore venga consegnato agli Alleati per
processarlo, ma Hitler non ne dà il tempo, perché provvede a far
condurre il collega in Germania.
Nel frattempo le forze americane del Pacifico, al comando del
generale Mac Arthur, aiutano con ogni mezzo Chiang Kai Shek in
Cina e occupano la Nuova Georgia.
248
CAP. XV
DALL’INCONTRO DI TEHERAN FRA ROOSEVELT, STALIN
E CHURCHILL AL GRANDE SBARCO IN NORMANDIA
Giunto al novembre del 1943, ROOSEVELT si avvicina a
festeggiare il secondo anniversario dell’entrata in guerra del suo Paese
da lui fortemente voluta e ottenuta con la sua consumata abilità di
grande politico. Ormai le sorti del conflitto sono già decise e bisogna
solo mettere meglio a punto e concludere, nel modo migliore e più
rapido, l’attività bellica con lo sguardo rivolto al “dopo” che deve
realizzare i grandi obbiettivi rooseveltiani di abolire per sempre i
grandi imperi coloniali europei, abbattere la concorrenza commerciale
giapponese e assicurare agli Stati Uniti la leadership mondiale.
In relazione a questi scopi, di cui il primo è in chiara
opposizione con gli interessi inglesi, il Presidente americano manifesta
un comportamento sempre più sicuro e dominante, e le sue decisioni
ora prevalgono quasi sempre su quelle del Primo Ministro inglese.
Roosevelt, dopo aver voluto ed ottenuto che il comando delle
operazioni del Mediterraneo fosse affidato al generale americano
Eisenhower, pretende che anche l’operazione dello sbarco in Francia,
denominata Overlord, abbia un comandante supremo statunitense. Si
accendono così vivi contrasti con l’orgoglioso “mastino” inglese che,
riesce, con l’uso continuo di molta pazienza e accorta diplomazia, ad
ottenere di non perdere del tutto la faccia aggiudicando al generale
inglese Alexander il comando delle operazioni belliche nel
Mediterraneo. Deve, però, rinunciare a far intervenire le truppe alleate
in Egeo e nei prediletti Balcani dove i tedeschi, che hanno disarmato
gli italiani dopo l’armistizio, rimangono peraltro fortemente impegnati
da forze partigiane sempre più decise e meglio organizzate.
249
La pazienza di Churchill, che da assoluto antagonista di Hitler
nei primi anni di guerra è retrocesso ormai al terzo posto, viene messa
ancor più duramente alla prova da nuovi contrasti, questa volta con
Stalin, sui convogli alleati che devono seguire la rotta artica per
giungere nel porto russo di Arcangelo e sul duro trattamento riservato
dai russi ai marinai inglesi. Stalin è irremovibile e arrogante: il suo
Paese, le sue forze armate ed anche le sue industrie, sia pure con il
grande aiuto di mezzi americani, sono riusciti a contenere da oltre due
anni la spaventosa forza terrestre di Hitler e, da qualche mese, la
stanno addirittura respingendo e sconfiggendo.
Da tempo Roosevelt e Churchill, che si sono incontrati più
volte, desiderano una conferenza a tre. Finalmente ciò coincide anche
con la volontà di Stalin che, però, è assolutamente inflessibile sulla
località da lui scelta, la capitale dell’Iran Teheran. Roosevelt,
nonostante la consideri troppo lontana e gli crei problemi per la firma
delle proposte di legge del Congresso, finisce con l’accettare, perché il
russo è divenuto il suo più importante interlocutore, come dimostra
nella lettera inviata a Churchill il 12 novembre 1943: “Ho appena
saputo che lo zio Joe (Stalin) verrà a Teheran. Gli ho telegrafato
immediatamente che ho sistemato la faccenda costituzionale e che
perciò mi recherò a Teheran per un breve incontro con lui. Gli ho
espresso tutta la mia soddisfazione. Si conchiude così una situazione
difficilissima e credo che noi si possa essere soddisfatti. Per quanto
mi riguarda il Cairo (dove il Presidente si incontrerà con Churchill e
il Presidente cinese Chiang Kai-Shek), ho sempre sostenuto, come
sapete, che sarebbe stato un errore gravissimo se lo zio Joe avesse
creduto che ci siamo accordati alle sue spalle su problemi di carattere
militare. Negli incontri preliminari del Cairo gli Stati Maggiori
collegati si troveranno nella fase dei progetti. Questo è tutto. Non
sarà un danno né per voi né per me, se Molotov e un rappresentante
militare sovietico si troveranno essi pure al Cairo. Non si
accorgeranno di essere ’portati per mano’. Non avranno con sé né lo
250
Stato Maggiore né Ufficio Operazioni. Portiamoli pure nelle alte
sfere. Solo 5 ore fa ho ricevuto il telegramma dello zio Joe con la
conferma di Teheran. Senza dubbio Molotov e il rappresentante
militare vi giungeranno con noi tra il 27 e il 30, dopo che avremo
concluso le nostre conversazioni con lo zio Joe torneranno con noi al
Cairo, aggiungendo forse una delegazione all’unico rappresentante
militare che ha accompagnato Molotov nel primo viaggio. Ritengo
essenziale che questo programma venga eseguito. Posso assicurarvi
che non ci saranno difficoltà”.
Nella città iraniana Roosevelt accetta l’invito russo di
alloggiare, per motivi di sicurezza, nel grande edificio dell’ambasciata
sovietica dov’è anche Stalin, mentre Churchill s’insedia
nell’ambasciata britannica che è poco lontana.
Il feeling americano-russo inizia immediatamente perché, senza
frapporre indugi, Stalin, evitando di invitare Churchill, si reca a
conoscere e a salutare Roosevelt che lo vede come “un omino pieno di
dignità, calmo, dignitoso, chiuso in un’uniforme sontuosa color
senape abbottonata fino al collo con appuntato sul petto come unica
decorazione una stella d’oro” e subito incomincia a chiacchierare con
lui, alla presenza del solo interprete russo, per offrirgli “un segno di
fiducia”. Alla fine del colloquio il Presidente americano comunica al
figlio Elliott questo giudizio sul dittatore russo: “Sembra fiducioso,
molto sicuro di sé; si muove con lentezza; un uomo che decisamente fa
grande effetto”.
Anche Stalin viene colpito dalla personalità dell’americano e ne
coglie subito la differenza di misura rispetto a Churchill. Infatti
confida ad un suo collaboratore: “Anche se siamo alleati, non
abbiamo dimenticato che gente siano gli inglesi, che tipo sia
Churchill. Nulla di più piacevole per loro che ingannare i loro alleati.
Durante tutta la prima guerra mondiale non hanno mai cessato di
trarre in inganno i russi e i francesi. Churchill? Churchill è il tipo di
individuo che, se non fate attenzione, vi tira fuori un copeco dal
251
taschino. E Roosevelt? Roosevelt non è così. Lui vi caccia in tasca
tutta la mano, ma solo per prendere le monete più grosse...Ma
Churchill! Anche per un copeco...”.
Il 28 novembre 1943 incomincia la conferenza vera e propria e
Roosevelt ne assume la presidenza. Dopo aver illustrato l’azione
americana nel Pacifico, conferma per il 1944 il grande sbarco angloamericano
nella Francia del nord, per il quale necessita una
preparazione tanto lunga ed accurata da condizionare il rapido
sviluppo della guerra in Italia. Chiede quindi a Stalin se preferisce che
si proceda anche ad un’azione nell’Egeo e nei Balcani ed a uno sbarco
di minor importanza nella Francia meridionale, operazioni che, però,
avrebbero comportato un rinvio, sia pur breve, dell’operazione
principale.
Il russo afferma con decisione che la guerra in Italia, pur
importante, non è adatta per l’invasione della Germania essendovi, al
confine, la barriera naturale delle Alpi. Per lui, e lo sostiene dal 1941,
bisogna sbarcare in Francia con tutti i mezzi possibili.
Churchill cerca d’inserirsi nel dialogo per sostenere che
l’azione nell’Egeo e nei Balcani sarebbe importante per indurre la
Turchia ad entrare in guerra al loro fianco. Ma Stalin non dà alla cosa
alcuna importanza, al punto da non ribattere affatto e chiedergli
invece: “Ho ragione di pensare che l’invasione della Francia
verrebbe intrapresa con 35 divisioni?”
“Sì, con divisioni particolarmente efficienti”.
“Avete intenzione di effettuare tale operazione con le forze che
si trovano attualmente in Italia?”.
“No, sette divisioni sono già state ritirate dall’Italia e
dall’Africa settentrionale in vista della loro partecipazione
all’operazione Overlord. Sono necessarie per completare il numero di
35. Rimangono nel Mediterraneo circa 22 divisioni pronte ad operare
in Italia o in altre direzioni. Alcune di queste potrebbero essere
impiegate o per un’azione contro la Francia meridionale o per
252
avanzare dall’alto Adriatico in direzione del Danubio. Poi in Francia
toccherà agli Americani continuare ad inviare nuove truppe sino a
che il loro corpo di spedizione in Europa non raggiunga le 60
divisioni. Inoltre l’aviazione americana sarà presto raddoppiata o
triplicata”.
La conversazione riprende più tardi al pranzo offerto da
Roosevelt, durante il quale Stalin dice: “La Germania può risorgere
rapidamente e preparare una nuova guerra. Dopo Versailles la pace
era apparsa assicurata, ma la Germania si è ripresa presto.
Dobbiamo pensare alle limitazioni da imporre alla capacità
produttiva germanica, perché il tedesco è un popolo capace,
industrioso e pieno di risorse e non basta, come dice Churchill,
proibire tassativamente alla Germania di avere un’aviazione sia civile
che militare e di mantenere in vita uno Stato Maggiore Generale. Non
si può proibire anche l’esistenza di fabbriche di orologi e di altri
elementi necessari per la costruzione delle bombe. I tedeschi
producevano fucili per ragazzi che venivano usati per insegnare a
centinaia di migliaia di adulti il modo di sparare. Non basta trattare
la Prussia con severità maggiore e costituire, come voi proponete, con
Baviera, Austria e Ungheria una confederazione pacifica. Nelle
divisioni tedesche di oggi ci sono moltissimi lavoratori che
combattono in osservanza agli ordini ricevuti. Io ho impartito l’ordine
di fucilare tutti i prigionieri tedeschi provenienti dal partito comunista
che alla domanda perché combattono per Hitler rispondono che lo
fanno per spirito di disciplina”.
In conclusione della seconda giornata della Conferenza ,nella
quale si riuniscono i militari, si va sempre più delineando una stretta
intesa fra russi e americani ed un comune disinteresse per gli inglesi.
Ad esempio quando Marshall afferma: “Negli ultimi due anni ho
dovuto farmi una competenza in materia di oceani e ho dovuto quindi
rifarmi da capo. Prima dell’attuale guerra, non avevo mai sentito
nominare i mezzi da sbarco tranne che come battelli di gomma. Ora
253
invece non penso ad altro”. Voroscilov commenta con ammirazione:
“Se ci pensate ci riuscirete”. Addirittura Roosevelt quella mattina
declina l’invito di Churchill a far colazione insieme prima della
riunione, dicendo che non vuole far pensare a Stalin che si
preparassero a tramare contro di lui, ma poi, invece, ha un nuovo
colloquio privato col dittatore russo, al quale illustra il suo piano per il
governo postbellico del mondo, composto dai cosiddetti “quattro
poliziotti”, ovverosia gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Gran
Bretagna e la Cina. Ma Stalin non lo condivide e dice: “Questo
progetto non sarà gradito alle piccole nazioni europee. A parte il fatto
che dubito che la Cina possa diventare una grande potenza, anche se
lo fosse le nazioni europee si sentirebbero offese al solo pensiero che
la Cina possa decidere in merito ai loro problemi. Propongo invece la
creazione di un comitato per l’Europa, composto da USA, URSS,
Gran Bretagna e possibilmente da un altro Paese europeo, e di un
comitato per l’Estremo Oriente”. Roosevelt replica che il progetto di
Stalin è simile a quello di Churchill, che prevede 3 comitati regionali:
uno per l’Europa, uno per l’Estremo Oriente ed uno per le Americhe.
Ma il vero problema attuale sono gli sbarchi che, per essere
attuati, hanno bisogno di larga disponibilità appunto di mezzi da
sbarco e, in particolare, degli LST (Landing Ship Tanhs) capaci di
trasportare 40 carri armati ciascuno. Si stabilisce quindi, con
precedenza assoluta, di incrementarne al massimo la produzione che
già procede alacremente.
Una sera a cena, con i russi anfitrioni, Stalin incomincia a
prendere in giro pesantemente Churchill e continua a lungo, senza che
Roosevelt intervenga minimamente all’imbarazzo, a malapena
mascherato, del suo collega inglese. Ad un certo momento il dittatore
russo dice: “Lo Stato Maggiore Tedesco deve essere liquidato. Tutta
la potenza dei formidabili eserciti di Hitler dipende da 50.000 uomini
fra ufficiali e tecnici. Quando la guerra sarà finita li fucileremo
tutti!”. Al che Churchill, che già non ne poteva più, insorge: “Il
254
Parlamento e il popolo del Regno Unito non tollereranno mai
esecuzioni in massa. Anche se, cedendo per un attimo alle passioni
della guerra, essi permettessero che si cominciasse, non
mancherebbero di rivoltarsi energicamente contro i responsabili una
volta che il primo massacro avesse luogo. I sovietici non devono farsi
alcuna illusione su questo punto”. Ma Stalin continua a sviluppare le
sue idee e la sua presa in giro, e insiste: “Se ne devono fucilare
50.000!”. Al che Churchill dichiara angosciato: “Preferirei piuttosto
essere preso e portato immediatamente in giardino e subito fucilato
che disonorare me stesso e il mio Paese con una simile infamia”.
A questo punto, finalmente, interviene Roosevelt, ma non per
aiutare Churchill, bensì per dare ancor più peso alla presa in giro.
Infatti dice: “Non se ne devono fucilare 50.000, ma solo 49.000”. E,
mentre Eden fa segni disperati al suo Primo Ministro per fargli
comprendere la burla, Elliott Roosevelt aggiunge: “Approvo il
progetto del Maresciallo Stalin e sono certo che l’esercito americano
lo appoggerà”.
Immediatamente Churchill, più esasperato che mai, si alza di
scatto e abbandona la sala per un’altra vicina, immersa nella
penombra, dove viene raggiunto da un bonario e sorridente Stalin che,
battendogli la mano sulla spalla, gli dice che si è trattato solo di uno
scherzo, e l’inglese, pur non essendone del tutto convinto, ritorna a
sedersi intorno al tavolo.
Ma Roosevelt è ancora desideroso di stabilire con Stalin un
rapporto amichevole e, essendo nell’altra sala, ancora non ha visto
sorridere il dittatore russo. Così, un altro giorno, organizza una nuova
sceneggiata ancora a spese di Churchill, così come lo stesso Presidente
racconta più tardi ad un’amica con queste parole: “Quella mattina,
mentre mi avviavo alla sala della conferenza, ci imbattemmo in
Winston, ed io ebbi appena un attimo per dirgli ‘Winston, spero che
non me ne vorrete di ciò che sto per fare’ Winston Churchill spostò il
sigaro da un angolo all’altro della bocca e grugnì. Devo dire che più
255
tardi si comportò molto bene. Quasi subito dopo che eravamo entrati
nella sala delle riunioni, diedi inizio al mio piano. Parlai a
quattr’occhi con Stalin. Non dissi nulla che non gli avessi già detto in
precedenza, ma l’atmosfera mi sembrò cameratesca e confidenziale,
tanto che gli altri russi si avvicinarono per ascoltarci. Ma nemmeno
allora comparve su quel volto un sorriso. Poi, alzando la mano alla
bocca come per coprire un bisbiglio (che naturalmente era destinato
ad essere udito e tradotto dall’interprete), ‘Winston stamattina’, dissi,
‘è di cattivo umore; si è alzato con la luna di traverso’. Un vago
barlume di sorriso gli passò negli occhi, ed io conclusi che ero sulla
buona strada. Appena mi fui seduto al tavolo della conferenza,
cominciai a stuzzicare Churchill a proposito della sua ‘britannicità’,
John Bull, dei suoi sigari, delle sue abitudini. E subito si notarono i
primi effetti su Stalin. Winston diventò rosso e si accigliò, e quando
più lo faceva, tanto più Stalin sorrideva. Alla fine il Maresciallo
scoppiò in una sghignazzata profonda, pesante, e per la prima volta in
tre giorni vidi la luce. Continuai nel gioco finché egli rise con me, e fu
allora che lo apostrofai come Uncle Joe. Il giorno prima mi avrebbe
giudicato impertinente, ma quel giorno rise, mi si avvicinò e mi
strinse la mano. Da quel momento in poi i nostri rapporti furono
personali e anche Stalin qualche volta si lasciò andare a qualche
motto di spirito. Il ghiaccio era rotto, e ora parlavamo come uomini e
fratelli”.
Forse quell’essere preso come vittima di scherzi e sceneggiate,
senza che riesca a dare adeguate risposte, sono il sintomo per
Churchill della profonda frustrazione dovuta all’andamento della
conferenza, oppure dell’essere troppo gentiluomo, o del peso dei 70
anni suonati, o, infine, dei prodromi della polmonite che lo coglie di lì
a pochi giorni e lo costringe ad una lunga sosta in Africa.
Dopo l’armistizio italiano, CHURCHILL fa, il 21 settembre
1943, una lunga dichiarazione in Parlamento. Fra l’altro dice:
“Possiamo soffermarci a valutare l’atto del Governo italiano avallato
256
dalla nazione italiana. Hitler non ci ha lasciato dubbi sul fatto che
egli considera la condotta italiana proditoria e ignobile allo stremo:
egli è buon giudice in queste cose. Altri possono sostenere che
tradimento e ingratitudine si ebbero quando la cricca fascista,
capeggiata da Mussolini, usò del proprio arbitrario potere allo scopo
di colpire per guadagni materiali la Francia in agonia, diventando
così nemica dell’impero britannico, che aveva per tanti anni favorito
la causa della libertà d’Italia. Quello fu il delitto. Sebbene non si
possa annullarlo e sebbene nazioni, che lasciano che i loro diritti
siano sovvertiti dai tiranni, debbano scontare con gravi pene i crimini
di questi tiranni, pure non posso considerare il gesto italiano in
questa congiuntura altro che naturale e umano. Possa questo gesto
provare d’essere il primo d’una serie d’atti di redenzione. Il popolo
italiano ha già sofferto terribilmente. Il fiore dei suoi uomini è stato
gettato via in Africa e in Russia, i suoi soldati sono stati abbandonati
sul campo di battaglia, le sue ricchezze sono state sperperate, il suo
impero irrimediabilmente perduto. Ora la sua bella Patria deve
diventare campo di battaglia per le retroguardie germaniche.
Sofferenze ancora più grandi lo attendono. Gli italiani stanno per
essere depredati e atterriti al furore della vendetta di Hitler. Tuttavia
poiché le armate dell’Impero britannico e degli USA avanzano in
Italia, il popolo italiano verrà salvato dal suo stato di servitù e di
degradazione e soccorso a suo tempo nel riprendere il posto che gli
spetta di diritto tra le libere democrazie del mondo moderno. Non
posso toccare l’argomento Italia senza porre a me stesso la domanda:
‘Applicheresti questa tesi anche al popolo tedesco?’. Rispondo: il
caso è diverso. Due volte nel periodo della nostra vita, e tre volte
compresa quella dei nostri padri, i tedeschi hanno sprofondato il
mondo nelle loro guerre d’espansione e di aggressione. Essi fondono
in sé nel modo più terribile le caratteristiche del guerriero e dello
schiavo. Non stimano la libertà e lo spettacolo di questa negli altri
riesce loro odioso. Ogni qual volta divengono forti si pongono alla
257
ricerca della loro preda e seguiranno con una disciplina di ferro
chiunque li guidi contro di essa. Il cuore della Germania si chiama
Prussia. Là è la fonte della ricorrente pestilenza. Ma noi non
vogliamo la guerra contro le razze in quanto tali. Noi combattiamo la
tirannide e tentiamo di salvarci dalla distruzione. Sono convinto che i
popoli inglese, americano e russo, che hanno patito immense
distruzioni, carneficine e pericoli, per due volte in un quarto di secolo,
dalla libidine teutonica di dominio, provvederanno questa volta a
rendere impossibile alla Prussia o alla Germania tutta, di farsi
ancora loro contro con segreto spirito di vendetta e piani lungamente
preparati. La tirannide nazista e il militarismo prussiano sono i due
elementi principali della vita tedesca che vanno assolutamente
distrutti. Devono essere sradicati se l’Europa e il mondo vogliono
salvarsi da un terzo e ancor più spaventoso conflitto...”.
Dopo la Conferenza di Teheran e la lunga degenza per la
polmonite, Churchill si trova, fra le mille altre preoccupazioni ed
incombenze, a dover affrontare la cessione di alcune navi della flotta
da guerra italiana imperiosamente chiesta da Stalin. Non è un
problema di facile risoluzione, perché, da sempre, i britannici sono
golosi di belle navi e perché non ci si dovrebbe subito inimicare il
nuovo governo italiano, né bisognerebbe correre rischi di
autoaffondamento da parte dei marinai italiani, né, ancora, si può
irritare Roosevelt, che vuole immediatamente accontentare il dittatore
russo. Ed ecco che il “mastino” inglese, nuovamente in forma,
propone al Presidente americano di sostituire per qualche tempo le
navi italiane da dare ai Russi con navi inglesi e americane, e Roosevelt
lo incarica di proporre lo scambio a Stalin che, il 29 gennaio 1944,
risponde: “Devo dichiarare anzitutto che, dopo la vostra comune
risposta affermativa alla richiesta da me formulata a Teheran per la
consegna di parte della flotta italiana entro il mese di gennaio, io
ritenevo che la questione fosse chiusa e non mi passò mai per il capo
l’idea che tale decisione, presa ed approvata da noi tre, potesse
258
essere riveduta in qualsiasi modo. E questo tanto più per il fatto che
nel frattempo, come fu allora concordato, la faccenda avrebbe dovuto
essere completamente sistemata con gli italiani; apprendo ora invece
che le cose non stanno così e che della consegna non si è neppure
fatto cenno agli italiani. Tuttavia, per non complicare la questione
che ha tanta importanza per la nostra lotta comune contro la
Germania, il Governo sovietico è disposto ad accettare la vostra
proposta di trasferire in Russia la nave da battaglia Royal Sovereign
e un incrociatore, ed è disposto anche ad accettare d’impiegare
temporaneamente tali navi, alle dipendenze del nostro Alto Comando
sino al momento in cui le unità italiane concordate non siano
trasferibili in URSS. Accettiamo ugualmente di ricevere dalla Gran
Bretagna e dagli Stati Uniti 40.000 tonnellate di naviglio mercantile
da sostituire poi con navi italiane. E’ importante che non si
verifichino altri rinvii e che tutto il naviglio ci venga consegnato entro
il mese di febbraio. Nella vostra risposta non si accenna però
minimamente alla consegna all’Unione Sovietica di 8
cacciatorpediniere e di 4 sommergibili italiani, consegna che avete
approvato Teheran. Senonchè questa faccenda dei cacciatorpediniere
e dei sommergibili senza i quali la consegna di una nave da battaglia
e di un incrociatore diventerebbe priva di significato, è di capitale
importanza per l’URSS. Dal momento che l’intera flotta italiana è
sotto vostro controllo, il mantenimento dell’impegno preso a Teheran
non dovrebbe presentare alcuna difficoltà. Sono disposto ad accettare
in cambio delle unità italiane un ugual numero di navi britanniche o
americane. Ad ogni modo la consegna completa non può
assolutamente venir rinviata”.
Ormai, nonostante i salti mortali di Churchill, la sua autorità, e
quella della Gran Bretagna, vengono sempre più schiacciate dai suoi
grandi alleati, i cui Paesi hanno un potenziale acquisito e una
possibilità di crescita decisamente superiore a quello inglese. Il
Roosevelt accomodante e bonario del 1939 e 1940 è completamente
259
cambiato e Stalin diventa sempre di più un osso duro. Di conseguenza
anche la gestione dei rapporti con il Governo Badoglio diventa
difficile e Churchill è costretto ad inviare al Presidente americano
un’infinità di lettere, per tentare di poter mantenere quanto ha
promesso. Ne è prova il telegramma del 14 marzo 1944: “Il vostro
telegramma mi preoccupa. Esso rappresenta una deviazione rispetto
all’accordo dell’11 febbraio, da voi cortesemente confermato in un
telegramma successivo come un affare concluso. Sulla base delle
vostre prime assicurazioni, io ho redatto le mie dichiarazioni in
Parlamento. Inoltre i russi hanno annunciato di aver inviato un
ambasciatore regolarmente accreditato presso il Governo italiano,
con il quale noi ci troviamo formalmente ancora in stato di guerra.
Ritengo che non sarebbe saggio, senza ulteriore esame, accettare il
programma dei cosiddetti sei partiti e chiedere l’immediata
abdicazione del re e la nomina del signor Croce a luogotenente del
regno. Comunque io consulterò il gabinetto di guerra circa quella che
voi giustamente definite una decisione politica della massima
importanza. Noi siamo in guerra con l’Italia dal giugno del 1940 e
l’Impero britannico ha perduto in questa lotta 232.000 uomini senza
contare le navi. Sono certo che il nostro parere in proposito sarà
tenuto da voi nella considerazione che merita prima di liberarci
dell’utilissimo Governo del re e di Badoglio, che sta facendo del suo
meglio per guadagnarsi la nostra fiducia e per venirci in aiuto in tutti
i modi come la dichiarazione di guerra che ha fatto alla Germania, la
Flotta a nostra disposizione e le truppe italiane che combattono al
nostro fianco. Vi prego di ricordare che io ho assunto personalmente
degli impegni davanti al Parlamento e che ogni divergenza diverrà
certamente di dominio pubblico”.
Finalmente, dopo lunghi mesi di acerrima lotta e uno sbarco ad
Anzio nel Lazio, gli Alleati entrano in Roma il 4 giugno 1944 e
Churchill invia al generale Alexander il seguente telegramma: “...Vi
saremo grati se vorrete elogiare a nome nostro i comandanti e le
260
truppe degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda, Sud
Africa, India, Francia, Polonia e Italia che si sono distinte su tutto il
fronte. Condividiamo le vostre speranze di nuovi successi nel corso
dell’inseguimento senza tregue del nemico sconfitto”.
Solo due giorni dopo gli anglo-americani sbarcano in
Normandia, con l’impiego di ben 5.000 navi, tantissimi mezzi anfibi e
da sbarco e 15.000 aereoplani e si accingono ad affrontare le residue
forze di Hitler.
STALIN non potrebbe essere più soddisfatto di quello che è.
Infatti è riuscito ad imporsi prima e durante la Conferenza di Teheran
dove, per una tacita intesa, ha stabilito con Roosevelt, l’unico vero suo
interlocutore, le future sfere d’influenza mondiale. Inoltre ha ottenuto
la promessa dello sbarco in Francia entro il termine tassativo (che sarà
sforato di 6 giorni) del maggio 1944, il rispetto delle frontiere con la
Polonia acquisite nel 1939, per cui questa nazione sarà come spostata
verso ovest di ben 500 chilometri, la promessa di ricevere circa un
terzo della flotta militare italiana e la chiara visione di poter ottenere
ancora dell’altro nell’immediato dopoguerra.
Ora, nella prima metà del 1944, le armate hitleriane non gli
fanno più alcuna paura e ripiegano dovunque, davanti all’avanzata
inarrestabile delle truppe sovietiche.
Invece HITLER, nonostante ciò che dichiara ufficialmente e
con particolare riferimento alle armi segrete, non spera più nella
vittoria, ma non ha vie d’uscita e continua ad impartire tassativi ordini
ai suoi generali di combattere dovunque con estrema decisione. A tal
proposito, dall’Italia, il generale inglese Alexander scrive a Churchill
il 20 marzo 1944: “La tenacia dei paracadutisti tedeschi è davvero
eccezionale, ove si consideri che sono stati sottoposti al più grande
concentramento di fuoco mai prima attuato, per ben sei ore, ad opera
dell’intera aviazione del Mediterraneo e di gran parte dei nostri 800
pezzi di artiglieria. Stento a credere che vi siano altre truppe al
261
mondo che avrebbero potuto resistere a tale tempesta di fuoco e poi
passare all’attacco con la ferocia da essi dimostrata...”.
Ciò nonostante la situazione degli eserciti del dittatore tedesco è
disperata alla fine di marzo 1944. Le 200 divisioni dislocate sul fronte
orientale non possono assolutamente sperare di potersi opporre a
lungo alla marea russa quando questa tornerà, tra breve, a salire.
Dovunque, comprese in Iugoslavia e in Grecia, dove agiscono
agguerrite e ben organizzate bande partigiane, Hitler è esposto al
pericolo di un imminente disastro. Eppure i suoi scienziati mettono a
punto varie armi segrete, fra le quali grossi siluri aerei, aeroplani senza
pilota, piccoli razzi a lunga gittata e grandi razzi a media gittata. Ma
gli inglesi e gli americani vigilano e ne vengono a conoscenza,
provvedendo ad effettuare un potentissimo bombardamento su
Peenemunde che arresta gli sviluppi delle armi a lunga gittata. Per
quelle a più breve gittata, con rampe di lancio nella Francia
meridionale, vengono eseguiti bombardamenti di disturbo da parte
dell’attivissima aviazione alleata, che ha la prevalenza in tutti i cieli,
nonostante la produzione tedesca di aerei da caccia rimanga molto
attiva.
Il MUSSOLINI liberato, o catturato, dai soldati di Hitler nel
settembre 1943 e posto qualche tempo dopo a capo di quel simulacro
di Stato chiamato Repubblica Sociale Italiana, non è altro che un
qualsiasi Quisling e solo l’ombra del brillante dittatore degli anni
Trenta quando, forse, era l’unica vera star della politica mondiale. Ora
alloggia, come il suo Governo, sulle sponde del lago di Garda in due
ville: una con la moglie e i figli e l’altra con l’amante Claretta Petacci.
Quando Hitler gli consegna alcuni dei gerarchi, compreso il
genero Galeazzo Ciano, che gli hanno votato contro nella famosa
seduta del Gran Consiglio del luglio 1943, è obbligato a processarli a
Verona. La inevitabile condanna a morte vede la prediletta
primogenita di Mussolini, Edda, battersi con tutte le sue energie per
ottenere la grazia per il marito Galeazzo. Si reca dal padre e, al suo
262
rifiuto di accontentarla, gli urla: “Pazzi, siete tutti pazzi! La guerra è
perduta. Tu lo sai benissimo, e in queste condizioni tu lasci che
uccidano Galeazzo. La guerra è perduta, è inutile che vi facciate
illusioni. L’ho detto in faccia anche a Hitler. I tedeschi resisteranno
ancora qualche mese, non di più. Tu lo sai, vero, quanto io abbia
desiderato la loro e la nostra vittoria, ma adesso non c’è più niente da
fare. Te ne rendi conto? Tu vuoi condannare Galeazzo in queste
condizioni?”. Poi va via e cerca, in un mare di intrighi e di spie o
presunte tali, di barattare con i nazisti i diari del marito per la sua vita.
Infine scrive al padre firmandosi non più Edda Mussolini, ma Edda
Ciano: “Duce, ho atteso fino ad oggi che tu mi mostrassi un minimo
sentimento di umanità e di giustizia. Ora basta! Se Galeazzo non sarà
in Svizzera entro 3 giorni secondo le condizioni che ho fissato ai
tedeschi, tutto ciò che so, con le prove alla mano, lo userò senza pietà.
In caso contrario se tutti noi Ciano saremo lasciati in pace e
sicurezza, non sentirete più nulla di noi”.
Mussolini, che non avrebbe nemmeno fatto processare Ciano e
gli altri, chiede al generale tedesco Wolff, che ha il preciso incarico da
Hitler di controllare il Duce, quale sia il parere del Führer sulla grazia.
E Wolff dice, mentendo: “Hitler considera il caso Ciano come una
questione di politica interna esclusivamente italiana. Le autorità
tedesche presenti in Italia non devono occuparsene, e per questo
motivo, come comandante delle SS in Italia, non sono autorizzato ad
esprimermi”. Mussolini insiste: “ Ma, in via confidenziale, voi che ne
pensate personalmente?”.
“La questione, a mio avviso, si riduce a questo: voi, Duce,
dovreste assoggettarvi al ricatto e concedere la grazia a vostro
genero?”.
“Voi, generale, cosa fareste?”.
“ Se fossi in voi non cederei”.
“Che cosa ne pensa il Führer?”.
“Il Führer non crede che la sentenza verrà eseguita”.
263
“Quindi la mancata esecuzione diminuirebbe il mio prestigio
agli occhi del Führer?”.
“Sì, Duce, di molto”.
Nel gennaio 1944 Ciano viene fucilato insieme agli altri
gerarchi condannati, e Mussolini non rivedrà mai più la figlia.
264
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 6:32 pm

CAP. XVI
DAI PROBLEMI PER LA POLONIA E DAGLI ACCORDI FRA
CHURCHILL E STALIN PER GRECIA E ROMANIA ALLA
CONFERENZA DI YALTA E ALLA MORTE DI ROOSEVELT,
MUSSOLINI E HITLER
CHURCHILL, nella seconda metà del 1944, riprende un ruolo
più importante e decisivo nei contatti con i suoi grandi alleati, anche
approfittando dell’impegno politico di Roosevelt per ottenere il quarto
mandato presidenziale, nel quale deve concorrere con Thomas Dewey,
un avvocato quarantaduenne divenuto Governatore dello Stato di New
York per la fama conquistata come accusatore di gangster. Questi
viene informato da un appartenente delle forze armate che un
messaggio della flotta giapponese in rotta verso Pearl Harbor, un
giorno prima dell’attacco del dicembre 1941, era stato intercettato
dagli americani. Svelarlo avrebbe potuto avere effetti disastrosi perché
sarebbero crollate un mucchio di convinzioni del popolo americano
sulle cause della guerra. Il generale Marshall si precipita ad ammonire
l’avversario di Roosevelt di non farne nulla, mentre il Presidente, a
sua volta informato dal fedele Hopkins, si sorprende dell’iniziativa di
Marshall, dicendosi certo che Dewey non avrebbe comunque fornito
al nemico un’informazione segreta tanto importante. E tutto prosegue
come prima.
Invece, il 20 luglio del 1944, l’intero corso della guerra in
Europa potrebbe cambiare. Infatti una congiura di ufficiali tedeschi,
convinti che la Germania non ha più alcuna possibilità di vincere e che
bisogna solo puntare ad ottenere la pace quantomeno ad Ovest, fa
scoppiare una bomba a Rastemburg, proprio nella sala dove Hitler è in
riunione. Ma il dittatore rimane solo leggermente ferito e si reca alla
265
stazione per ricevere Mussolini che viene ad ispezionare 4 divisioni
italiane in formazione in Germania.
Nel frattempo l’offensiva estiva dei russi porta le loro armate
sulla Vistola, in Polonia, e i capi dell’esercito clandestino polacco, che
hanno prestato giuramento di fedeltà al loro Governo in esilio a
Londra, decidono di proclamare l’insurrezione generale, confortati
anche dalla notizia che la 4° armata corazzata tedesca ha ricevuto
ordine di ripiegare ad ovest della Vistola. Il generale polacco Bor ha a
sua disposizione 40.000 uomini e una riserva di viveri e munizioni per
7 giorni . I Sovietici sono a 20 minuti di volo da Varsavia, ma hanno
costituito in Polonia un Comitato di Liberazione Nazionale
Comunista, a cui intendono affidare tutto il territorio polacco liberato
e da liberare e, quindi, bisogna far presto se si vuole che Varsavia cada
nelle mani di polacchi non comunisti.
Il 31 luglio scoppia la rivolta, con una larga partecipazione della
popolazione, ma l’attività dell’aviazione russa contro le truppe
germaniche viene stranamente interrotta e il 4 agosto i Tedeschi, con
alcune divisioni, incominciano a reagire duramente ed a contrattaccare
gli insorti che, a mezzo del Governo Polacco a Londra, chiedono tanto
disperatamente il lancio di rifornimenti dall’aria che Churchill
telegrafa a Stalin: “Su urgente richiesta dell’esercito clandestino
polacco stiamo lanciando, compatibilmente con le condizioni
meteorologiche, una sessantina di tonnellate di rifornimenti e di
munizioni sul quartiere sud-occidentale di Varsavia, dove insorti
polacchi avrebbero impegnato aspri combattimenti con i tedeschi.
Essi ci comunicano inoltre che invocheranno l’aiuto russo, che
sembra vicinissimo. Sono impegnati da una divisione e mezza tedesca.
Ciò può riuscire vantaggioso per la vostra offensiva”. Il giorno dopo
(5 agosto) Stalin risponde: “Ho ricevuto il vostro messaggio circa
Varsavia. Ritengo che le notizie che vi sono state fornite dai polacchi
siano grandemente esagerate e non meritino fiducia. Si potrebbe
arrivare a questa conclusione ricordando appunto che gli emigrati
266
polacchi hanno già preteso di essere stati lì lì per conquistare Vilna
con alcune unità sparse dell’esercito metropolitano e lo hanno
persino annunciato per radio. Ma ciò non corrisponde ovviamente in
alcun modo alla realtà. L’esercito metropolitano polacco comprende
solo pochi reparti che essi chiamano impropriamente divisioni; non
hanno artiglieria, né aviazione, né carri armati. Non riesco a
immaginare come simili reparti possano conquistare Varsavia, per la
cui difesa i tedeschi hanno messo in campo 4 divisioni carriste, tra cui
la divisione Hermann Goring”.
Nonostante il voluto scetticismo di Stalin e l’assoluta
inoperosità dell’armata russa presso Varsavia, i combattimenti fra
insorti e tedeschi continuano, con l’ovvia prevalenza germanica che
isola i polacchi in armi in alcuni quartieri. A poco servono i generosi
tentativi dell’aviazione inglese, con equipaggi polacchi e britannici,
che riesce a far comparire nel cielo di Varsavia 2 aerei la notte del 4 e
altri 3 la notte dell’8 agosto.
Anche il Presidente del Consiglio del governo polacco in esilio
a Londra, Mikolajczyk, che si trova a Mosca dal 30 luglio per
raggiungere un accordo con i sovietici, che insistono per la
formazione di un Governo unificato con il Comitato di Liberazione
Comunista e per far sanzionare le frontiere spostate di centinaia di
chilometri verso Ovest, riceve gli appelli degli insorti e invoca
l’intervento dell’Armata rossa invano. Allora Churchill il 12 agosto
telegrafa nuovamente a Stalin: “Ho ricevuto il seguente angoscioso
messaggio dei polacchi di Varsavia(...): ‘Decimo giorno. Stiamo
conducendo una battaglia sanguinosa. La città è tagliata da tre
strade(...) Tutte queste strade sono saldamente tenute da carri armati
tedeschi ed è estremamente difficile attraversarle perché tutti gli
edifici sono stati incendiati dai tedeschi. Due treni corazzati fermi
sulla linea ferroviaria e l’artiglieria appostata nel sobborgo di Praga
sparano in continuazione sulla città con l’appoggio dell’aviazione.
Abbiamo ricevuto da voi solo un modesto lancio e solo una volta. Sul
267
fronte germanico-sovietico regna il silenzio dal giorno 4. Siamo
pertanto senza alcun appoggio materiale e morale, poiché salvo un
breve discorso da Londra tenuto l’ottavo giorno, non abbiamo avuto
da voi neppure un ringraziamento per la nostra azione. I soldati e la
popolazione civile alzano senza speranza gli occhi al cielo,
aspettando aiuti dagli alleati: in mezzo al fumo scorgono solo aerei
tedeschi. Sono tutti sorpresi, profondamente amareggiati e
cominciano a lanciare insulti contro questo e contro quello.(...)’ Essi
implorano mitragliatrici e munizioni. Non potreste aiutarli voi russi
un po’ di più visto che la distanza dall’Italia, da dove tentiamo di
aiutarli, è così grande?”.
Il 16 agosto Viscinkij chiede all’ambasciatore americano a
Mosca di andare da lui e gli premette che vuole evitare malintesi, poi
gli legge questa dichiarazione: “Il Governo sovietico non può
evidentemente sollevare alcuna obiezione circa il lancio di armi nella
regione di Varsavia, da parte di aerei inglesi e americani, dal
momento che si tratta di una questione americana e britannica. Esso
si oppone però energicamente a che gli aerei americani e britannici,
dopo aver lanciato armi, atterrino in territorio sovietico, dal momento
che, il Governo sovietico non intende partecipare, né direttamente né
indirettamente, all’avventura di Varsavia”.
Ma il tenace “mastino” non demorde e il 18 agosto scrive a
Roosevelt una lettera che, alla fine, dice: “3) Le gloriose e colossali
vittorie riportate in Francia dagli eserciti degli Stati Uniti e della
Gran Bretagna stanno notevolmente mutando la situazione esistente
in Europa e può darsi benissimo che la vittoria dei nostri eserciti in
Normandia sia alla fine tale da eclissare per importanza qualsiasi
successo ottenuto in precedenza dai russi. Ritengo pertanto che essi
avranno qualche riguardo per le nostre parole fintanto che ci
esprimeremo in maniera chiara e semplice. Noi rappresentiamo
nazioni che stanno battendosi per cause grandi e dobbiamo dare
consigli che veramente contribuiscano alla pace nel mondo anche a
268
rischio di offendere Stalin; e ciò tanto più che è molto probabile che
non si offenda affatto”. Così il 20 agosto parte un appello comune
scritto dal Presidente americano: “Stiamo preoccupandoci per
l’atteggiamento dell’opinione pubblica mondiale qualora gli
antinazisti di Varsavia siano effettivamente abbandonati al loro
destino. Siamo convinti che tutti dobbiamo fare quanto è in nostro
potere per salvare il maggior numero di patrioti possibile. Speriamo
che facciate lanciare immediatamente rifornimenti e munizioni ai
patrioti polacchi di Varsavia. Oppure acconsentite ad aiutare la
nostra aviazione affinché possa essa fare ciò al più presto. Speriamo
che siate d’accordo. Il fattore tempo è di estrema importanza”.
Due giorni dopo Stalin risponde: “1)Ho ricevuto il messaggio e
desidero esprimere ciò che ne penso. 2) Presto o tardi tutti
conosceranno la verità circa il gruppo di criminali che si sono
imbarcati nell’avventura di Varsavia allo scopo di impadronirsi del
potere. Costoro hanno sfruttato la buona fede degli abitanti lanciando
contro i cannoni, i carri armati e gli aerei tedeschi torme di gente
quasi inerme. Ne è nata la situazione nella quale ogni giorno di
resistenza giova, non ai polacchi ai fini della liberazione di Varsavia,
ma agli hitleriani che stanno selvaggiamente massacrando gli abitanti
della città. 3) Dal punto di vista strettamente militare, la situazione
che ne è derivata attirando maggiormente l’attenzione dei tedeschi su
Varsavia, è altrettanto svantaggiosa per l’Armata rossa quanto per i
polacchi. Le truppe sovietiche, che negli ultimi giorni hanno dovuto
sostenere nuovi poderosi attacchi da parte dei tedeschi che cercano di
passare alla controffensiva, stanno intanto facendo tutto il possibile
per infrangere i contrattacchi hitleriani e per riprendere in grande
stile l’offensiva nella zona di Varsavia. E’ certo che l’Armata rossa
non rallenterà minimamente i suoi sforzi per spezzare il cerchio
tedesco attorno a Varsavia e liberare la città in pro dei polacchi.
Questo sarà il migliore e più efficace aiuto per i polacchi antinazisti”.
269
Nel frattempo a Varsavia la battaglia continua ad infuriare
anche nelle fognature, che servono ai polacchi per trasferirsi da un
quartiere all’altro, dove i Tedeschi lanciano bombe a mano e gas.
Churchill, con la tenacia dei tempi migliori, insiste, cercando sempre
di più l’aiuto di Roosevelt che, a suo avviso, è l’unico a cui Stalin può
dare ascolto e il 25 agosto gli scrive una lettera, il cui finale dice: “Se
Stalin non risponde, io consiglierei di mandare gli aerei e stare a
vedere quello che accadrà. Non riesco a credere che sarebbero
accolti male o trattenuti. Dopo aver firmato questa lettera sono
venuto a sapere che i russi stanno cercando persino di privarvi dei
campi di aviazione dietro le loro linee, a Poltava e altrove”. Ma
Roosevelt risponde: “Ritengo che non sarebbe vantaggioso per gli
sviluppi generali e a lunga scadenza della guerra che mi unissi a voi
nell’inviare a Stalin il messaggio proposto; non ho però alcuna
obiezione da muovere all’invio da parte vostra di tale messaggio se
ritenete opportuno farlo. Sono giunto a questa conclusione dopo aver
considerato l’attuale atteggiamento di zio Joe nei confronti degli aiuti
alle forze clandestine di Varsavia, quale risulta dal suo messaggio a
voi e a me, dal suo netto rifiuto di consentire l’uso da parte nostra a
tal fine dei campi d’aviazione russi e dall’andamento delle
conversazioni in corso con noi circa l’impiego successivo di altre basi
russe”.
Churchill, nonostante tutto, continua ad operare per ottenere di
muovere la situazione: è l’orgoglio ferito, o la consapevolezza che gli
anglo-americani stanno perdendo la Polonia futura, perché in questo
modo il Governo polacco in esilio a Londra sarà privato d’ogni
credibilità verso la popolazione. Quindi telegrafa ancora più volte a
Roosevelt e, finalmente, il 5 settembre riceve questa risposta: “Mentre
rispondo ai vostri telegrammi, apprendo dal mio Ufficio
d’informazioni militari che i combattenti polacchi sono usciti da
Varsavia e che i tedeschi ormai dominano completamente la
situazione. Il problema degli aiuti ai polacchi di Varsavia è stato
270
perciò sfortunatamente risolto dai nostri indugi e dall’azione tedesca;
non sembra che si possa fare nulla per aiutarli. Per molti giorni sono
stato profondamente amareggiato della nostra incapacità di fornire
un aiuto adeguato agli eroici difensori di Varsavia; spero che insieme
potremo ancora aiutare la Polonia a entrare nel novero dei vincitori
della guerra contro i nazisti”. Ma gli insorti, seppur debolmente e in
numero ridotto, continuano a combattere in Varsavia, la loro fine è
però sicura e imminente. Solo con questa convinzione Stalin dà ordine
il 14 settembre di iniziare a far intervenire la sua artiglieria e
l’aviazione e a paracadutare qualche aiuto. Nel frattempo i tedeschi
rastrellano e distruggono casa per casa e deportano molti abitanti, fin
quando, alla fine di settembre 1944, cessa del tutto ogni resistenza, ma
prima, a Londra, si capta un radiomessaggio degli ultimi insorti:
“Questa è la dura verità. Siamo trattati peggio che i satelliti di Hitler,
peggio che l’Italia, la Romania, la Finlandia. Possa Iddio, che è
giusto, giudicare della terribile ingiustizia sofferta dalla nazione
polacca e possa Egli punire adeguatamente tutti i colpevoli. (...)
Immortale è la nazione che sa far prova di così generale eroismo.
Infatti coloro che sono morti hanno vinto, e coloro che continuano a
vivere combatteranno ancora, vinceranno e testimonieranno una volta
di più che la Polonia vivrà finché vivranno i polacchi”. Sessanta
giorni è durata la lotta di Varsavia, dei 40.000 uomini dell’esercito
clandestino ne sono morti 15.000, più 200.000 civili su di un milione
di abitanti!
Mentre le forze avversarie della Germania e del Giappone
avanzano trionfanti ovunque, Churchill sente sempre di più la
necessità di un incontro diretto con Stalin per cercare un accordo, oltre
che sulla Polonia, anche per la Grecia minacciata nel suo futuro
democratico dalla forte attività di partigiani comunisti. Ma Stalin non
vuole muoversi da Mosca e Roosevelt è impegnato nella campagna
elettorale ed è molto più interessato all’organizzazione dell’ONU che
della sorte di alcune nazioni europee. Quindi, con il beneplacito
271
americano e l’invito russo, Churchill giunge a Mosca il 9 ottobre 1944
e, su immediata richiesta di Stalin, impone al Primo Ministro polacco
di raggiungerlo immediatamente per trattare con i membri del
Comitato polacco comunista di Lublino.
Il vecchio politico inglese sente che il momento è favorevole
per ottenere ciò che gli sta a cuore per la Grecia e dice a Stalin:
“Sistemiamo le nostre faccende nei Balcani. I vostri eserciti si trovano
in Romania e in Bulgaria, dove noi abbiamo interessi, missioni e
agenti. Non procediamo ad offerte e controfferte stiracchiate. Per
quanto riguarda la Gran Bretagna e la Russia, che ne direste se
aveste una maggioranza del 90% in Romania e noi una percentuale
analoga in Grecia e partecipassimo invece su piede di perfetta parità
in Iugoslavia?”. Poi, mentre si effettua la traduzione, scrive su mezzo
foglio di carta: “Romania: Russia 90%, Gli Altri 10%. Grecia: Gran
Bretagna (d’intesa con gli Stati Uniti) 90%, Russia 10%. Iugoslavia e
Ungheria: 50% e 50%. Bulgaria: Russia 75%, Gli altri 25%”. Stalin
prende il foglietto, lo legge, vi traccia un grosso “visto” e lo restituisce
a Churchill. Nei giorni successivi si parla di tutti gli altri problemi e,
particolarmente, di quello polacco che, però, non segna molti
progressi per l’opposizione dei polacchi di Londra. Comunque
Churchill è soddisfatto: ritiene che gli accordi conclusi sui Balcani
siano quanto di meglio si possa fare, anche in considerazione del
comportamento del capo dei partigiani iugoslavi, Tito, e dell’arrivo
nella nazione adriatica di truppe russe e bulgare agli ordini di un
comandante russo. Inoltre Stalin conferma la decisione, tanto gradita a
Roosevelt, di attaccare il Giappone dopo la caduta di Hitler.
L’accordo del foglietto mostra tutta la sua validità quando, nel
novembre 1944, gli estremisti comunisti dell’E.A.M. pur essendo
rappresentati nel Governo provvisorio di Papandreu, si accingono ad
iniziare una consistente rivolta. Per scongiurarla si sarebbe dovuto
disarmare i partigiani greci e costituire un nuovo esercito nazionale e
una nuova polizia sotto il diretto controllo del Governo di Atene. Ma,
272
ciò nonostante, i rivoltosi s’impadroniscono della maggior parte della
capitale, meno il centro, custodito dalle truppe inglesi, e Churchill, il 9
dicembre, si precipita a scrivere al generale Wilson in Italia: “1)
Dovreste inviare altri rinforzi ad Atene senza il più piccolo indugio. Il
prolungarsi dei combattimenti presenta parecchi pericoli. Vi ho già
avvertito della suprema importanza politica di questo conflitto.
Almeno altre due brigate dovrebbero affrettarsi verso il teatro della
battaglia. 2) Oltre quanto sopra, perché la marina non aiuta
continuamente invece di limitarsi a sbarcare qualche piccolo reparto
nei momenti di crisi? Mi avete assicurato formalmente di aver inviato
soldati in numero sufficiente”.
Nel frattempo l’opinione pubblica americana, guidata dai grandi
giornali, condanna violentemente l’operato di Churchill, che viene
accusato di contraddire, intervenendo contro i partigiani, i principi per
i quali s’era entrati in guerra. Anche il Dipartimento di Stato
americano dirama una dichiarazione molto critica nei confronti del
“mastino” e i giornali inglesi definiscono la sua politica come
reazionaria. Ma, in tutto questo fracasso, Stalin si attiene strettamente
agli accordi e vieta ai grandi giornali russi di scrivere neppure una
parola contro Churchill e l’azione delle truppe britanniche in Grecia.
Anche Roosevelt non rivolge rimproveri diretti a Winston, lo fa
invece Hopkins, con questa lettera del 16 dicembre: “L’opinione
pubblica americana vi diventa sempre più sfavorevole a causa della
situazione greca e della vostra dichiarazione in Parlamento circa gli
Stati Uniti e la Polonia. Con la battaglia impegnata come è
impegnata in Europa e in Asia, con la necessità di dedicare ogni
energia da parte di tutti alla sconfitta del nemico, confesso di sentirmi
assai turbato per lo sviluppo diplomatico degli avvenimenti che getta
in pasto al pubblico parecchie delle nostre difficoltà. Io non so che
cosa il Presidente o Stettinius potranno dire in pubblico, ma può darsi
benissimo che uno di essi, o entrambi, debba proclamare in termini
273
inequivocabili la nostra decisione di fare tutto il possibile per
l’avvento di un mondo libero e sicuro”.
Per quanti sforzi facciano le truppe inglesi, non riesce facile
domare i greci, che si rivelano sempre di più duri combattenti. Il 21
dicembre il maresciallo Alexander scrive a Churchill: “...la mia
maggiore preoccupazione è di farvi conoscere esattamente quale sia
la vera situazione e che cosa possiamo o non possiamo fare. Questo è
il mio dovere. Voi volete conoscere quali siano gli effettivi delle forze
britanniche in Grecia e quali complementi potrei inviare dal fronte
italiano se vi fossi costretto dalle circostanze. Nell’ipotesi che l’ELAS
continui a combattere, ritengo che potremo rastrellare la zona Atene-
Pireo e quindi difenderla con sicurezza, ma ciò non varrà a
sconfiggere le truppe dell’ELAS né a costringerle alla resa. Non
siamo forti abbastanza per spingerci più lontano e per intraprendere
operazioni nell’entroterra. Durante l’occupazione i tedeschi tennero
da sei a sette divisioni sulla penisola ellenica, oltre all’equivalente di
quattro nelle isole. E ciononostante furono incapaci di mantenere
sgombre in permanenza le linee di comunicazione; io temo che non
incontreremo minori forze, minore decisione di quelle che essi
incontrarono.(...)”.
Il 24 dicembre, mentre Churchill è in casa con una lieta brigata
di bambini e di familiari intorno all’albero natalizio, dono di
Roosevelt, la situazione greca è tanto preoccupante da far decidere il
“mastino” a lasciar tutto e a precipitarsi ad Atene per incontrarsi con
l’Arcivescovo, sul quale punta per giungere ad un accordo con i
ribelli.
Il 26 dicembre Churchill così scrive a Roosevelt: “Eden e io
siamo venuti qui per vedere che cosa possiamo fare per sistemare
l’imbroglio greco. Criterio ispiratore della nostra azione: il re non
ritorna sinché non sia stato tenuto un plebiscito con risultati a lui
favorevoli. Per il resto non possiamo abbandonare coloro che hanno
impugnato le armi per la nostra causa e dobbiamo, se necessario,
274
combattere sino all’ultimo al loro fianco. Si deve sempre tener
presente che non cerchiamo nulla in Grecia, né vantaggi territoriali,
né d’altro genere. Abbiamo dato molto e daremo ancora di più, se lo
potremo...”.
In effetti l’Arcivescovo, nominato reggente, si conferma la
chiave di volta di un accordo e, a metà di gennaio 1945, le truppe
britanniche controllano tutta l’Attica, mentre quelle dell’ELAS si
ritirano lontane da Atene, Salonicco e Patrasso. Il giogo comunista,
specialmente in virtù dell’accordo del foglietto, viene così
scongiurato.
Quando Churchill si reca a Mosca nell’ottobre 1944, STALIN è
molto affabile con lui, perché le armate anglo-americane stanno già
avanzando in territorio tedesco e sono più vicine a Berlino di quelle
sovietiche. Ma nel lasso di tempo intercorso fra l’incontro di Mosca e
la Conferenza di Yalta, tenuta nel febbraio 1945 e nella quale per la
seconda volta s’incontrano i tre grandi, l’Armata Rossa è entrata dalla
Polonia in territorio tedesco ed è ad un centinaio di chilometri da
Berlino.
Come per Teheran nel 1943 si scatena un conflitto di volontà
per la scelta del luogo in cui tenere la Conferenza, che si è resa
indispensabile per prendere precisi accordi su tutto prima del crollo di
Hitler, che sembra imminente. Churchill propone un ventaglio di
località quasi del tutto intatte e con ampie disponibilità logistiche
come: Edimburgo, Nassau, Malta, Atene, Cipro, Il Cairo,
Gerusalemme e Roma. Ma Stalin non molla, non vuole assolutamente
lasciare il suolo russo, e propone Yalta sul mar Nero. Solo Roosevelt,
fra l’altro sempre più malandato in salute, potrebbe opporsi e non lo
fa, costringendo così Churchill ad adeguarsi. Si deve quindi
organizzare un vero ponte aereo per atterrare nell’aeroporto di
Eupatolia, dal quale ancora 200 chilometri e una catena di montagne li
separano da Yalta, che viene raggiunta dopo un ulteriore faticoso
viaggio di sei ore, estremamente dannoso non solo per Roosevelt, ma
275
anche per il suo fidato collaboratore Hopkins, che si trova in ancor più
precarie condizioni di salute. Inoltre la disponibilità di stanze è molto
limitata, al punto che la delegazione inglese deve ammassarsi fra il
palazzo Vorontsov e due sanatori, con quattro o cinque persone per
stanza e un bagno per venti. Anche la delegazione americana,
alloggiata nel palazzo Livadia, è sistemata male, con una densità di
otto persone per stanza, ma qualche bagno in più.
I tre grandi hanno obiettivi diversi da raggiungere con la
Conferenza. Roosevelt vuole impegnare Stalin a prendere parte alla
guerra contro il Giappone e, principalmente, raggiungere un chiaro
accordo per l’istituzione dell’ONU. Churchill vuole gettare le basi per
proseguire, anche dopo la fine della guerra, il rapporto speciale che
lega l’Inghilterra agli Stati Uniti, di cui vuole mantenere il
coinvolgimento negli affari europei che è premessa per ripristinare gli
equilibri di potere in Europa e, quindi, vuole opporsi con tutte le sue
forze all’ampliamento della zona d’influenza sovietica nel nord
Europa o, comunque, mantenere una Germania non completamente
smembrata e ricreare una Francia grande potenza. A sua volta Stalin
vuole sicurezza per il futuro, ottenibile ampliando le frontiere interne
fino ad includere territori, in un modo o in un altro, da sempre
sottomessi al dominio russo e, al di fuori di esso, la creazione di una
vasta aerea di Paesi con regimi analoghi e sottomessi a quello
sovietico.
La Conferenza inizia con l’esame della situazione militare e
Stalin la fa pesare, poiché è divenuta stagnante ad occidente, contro la
scatenata avanzata russa di 500 chilometri in 20 giorni. Poi si passa a
discutere dell’assetto postbellico della Germania e Stalin pone il
quesito dello smembramento e di quanti governi essa dovrà avere in
futuro, uno solo o più di uno. Ma Churchill, preoccupato per tutti gli
Stati satelliti della Russia che già si possono prevedere, ha cambiato
idea sullo smembramento e abilmente riesce a non menzionare tale
parola nel comunicato finale, e a demandare a un comitato di tre
276
persone (che non si riunirà mai) presieduto da Eden, il compito di
studiarne le possibilità e i modi.
Questo è forse l’unico successo degli angloamericani,
unitamente all’assegnazione di un pezzetto di zona di occupazione
della Germania ai francesi, perché, da quel momento, Stalin assurge al
ruolo di assoluto mattatore. Infatti, dopo un mucchio di sterili riunioni,
il dittatore riesce a far accettare che le frontiere russe occidentali
giungano fino alla linea Curzon ed a Leopoli inclusa. Per
compensazione quelle polacche ad est inglobano parte della Prussia e
ad ovest giungono fino all’Oder, Stettino inclusa. Ma il risultato più
importante che Stalin consegue è l’imporre agli angloamericani la
formazione del nuovo Governo polacco, che sarà composto dagli
uomini del Comitato di Lublino, completamente asservito ai russi. Ma
non finisce qui il successo di Stalin: chiede ed ottiene, per entrare in
guerra contro il Giappone, le isole Kurili, la metà dell’isola di Sakhlin,
Port Arthur, Dairen e la cogestione delle ferrovie est-asiatiche e sudmancesi.
Infine, come graziosa concessione, accetta di aderire
all’ONU, accontentandosi che l’URSS sia rappresentata solo da tre
seggi e non dai sedici chiesti in un primo tempo.
Si giunge così all’ultima sera della Conferenza di Yalta e la
commozione che anima Roosevelt, sempre più fiaccato nel fisico, e
Churchill, che si avvicina ai 71 anni, coinvolge in parte anche Stalin,
che sente di essere giunto all’apogeo della sua carriera politica,
iniziata tanti anni prima fra gli stenti della più grande miseria. Il
“mastino” alza il calice e dice: “...Io cammino per il mondo con
maggior coraggio e speranza quando mi trovo in rapporto di amicizia
e intimità con questo grand’uomo, Stalin, la cui fama si è sparsa non
solo per tutta la Russia, ma nel mondo intero”. E il dittatore russo
risponde: “...Alla salute dell’uomo che nasce una volta ogni cento
anni, e che ha valorosamente sostenuto la bandiera della Gran
Bretagna. Ho detto quello che sento, quello che ho in cuore, e di cui
sono consapevole”. E Churchill: “La mia speranza per il futuro è
277
nell’illustre Presidente degli Stati Uniti e nel maresciallo Stalin, in cui
troveremo i campioni della pace, e che dopo aver abbattuto il nemico
ci guideranno a proseguire la missione contro la miseria, la
confusione, il caos e l’oppressione..”. E Stalin: “Io parlo da vecchio;
ecco perché parlo tanto. Ma voglio bere alla salute della nostra
alleanza, che non abbia a perdere il suo carattere d’intimità, di libera
espressione di vedute. Nella storia della diplomazia non conosco
nessuna stretta alleanza di Grandi Potenze simile a questa, in cui gli
alleati abbiano avuto l’opportunità di esprimere così francamente le
loro idee. Io so che alcuni ambienti considerano tale osservazione
ingenua. In un’alleanza gli alleati non dovrebbero mai ingannarsi a
vicenda. Forse questo è ingenuo? I diplomatici esperti potranno dire:
‘E perché non ingannare il mio alleato?’. Ma io da uomo ingenuo,
penso che sia bene non ingannare il mio alleato anche se è uno
sciocco. Forse la nostra alleanza è così salda appunto perché non ci
inganniamo a vicenda; oppure perché non è tanto facile ingannarci?
Propongo un brindisi alla saldezza della nostra alleanza tripartita.
Possa essere forte e stabile; possiamo noi essere più franchi che sia
possibile”. Poi, in un altro momento, Stalin dice a Churchill: “La
guerra finlandese cominciò nel modo seguente. La frontiera finnica
era a una ventina di chilometri da Leningrado. I russi chiesero ai
finlandesi di arretrarla di trenta chilometri, in cambio di concessioni
territoriali a nord. I finlandesi rifiutarono. Allora alcune guardie di
frontiera russe furono fatte segno a colpi d’arma da fuoco da parte
finnica e uccise. I reparti delle guardie di frontiera si lagnarono con
le truppe dell’Armata rossa, che aprirono il fuoco sui finnici. Mosca
ricevette una richiesta di istruzioni. Queste portavano l’ordine di
rispondere al fuoco. Una cosa tirò l’altra e si fu in guerra. I russi non
volevano una guerra contro la Finlandia. (...) Se i britannici e i
francesi avessero mandato a Mosca nel 1939 una missione con uomini
che volevano davvero un accordo con la Russia, il Governo sovietico
non avrebbe firmato il patto con Ribbentrop. Egli disse ai russi che
278
britannici e americani erano solo commercianti e non avrebbero mai
combattuto. (...) Se noi, le tre Grandi Potenze, ora stiamo insieme,
nessun’altra Potenza potrà farci nulla”.
ROOSEVELT nel febbraio 1945 lascia Yalta soddisfatto. Poi,
nel Mediterraneo, sulla nave da guerra Quincy, riceve la visita del re
dell’Egitto, di quello dell’Arabia Saudita e dell’imperatore d’Etiopia,
suscitando i sospetti di Churchill che era stato avvisato dell’iniziativa
all’ultimo momento. Ed è chiaro l’intento del Presidente americano di
voler proseguire, nonostante dia l’impressione di conservare solo un
sottilissimo legame con la vita, nel suo piano di scalzare l’Inghilterra
in favore degli Stati Uniti. Inoltre Roosevelt ha sempre provato
piacere di incontrarsi con teste coronate, delle quali subiva un certo
fascino, come dimostra la lettera che invia alla moglie: “Una
settimana fantastica. Il re d’Egitto, idem dell’Arabia e l’imperatore
d’Etiopia!...”. Li colma di doni: un aereo a Faruk, 4 automobili a
Selassiè e un aereo a Ibn Saud che, però, rifiuta seccamente di far
entrare in Palestina un certo numero di ebrei.
Durante la traversata dell’Atlantico a bordo dell’incrociatore
qualche dubbio sulla bontà degli accordi raggiunti con Stalin
incomincia a serpeggiare nella mente di Roosevelt che, però, tutto
sommato, non si pente, perché ritiene di aver conseguito comunque la
desiderata leadership per gli Stati Uniti. Ma la salute sempre più
carente lo costringe, per la prima volta, il 2 marzo 1945, a tenere il
discorso su Yalta al Congresso seduto. Infatti esordisce dicendo:
“Spero che mi scuserete se, contrariamente al solito, preferisco
rimanere a sedere mentre vi espongo ciò che desidero dirvi, ma penso
che vi renderete conto che mi è più facile parlare senza avere dieci
libbre di acciaio intorno alle gambe; e poi sono tornato da un viaggio
di quattordicimila miglia”. E prosegue: “Se il mio viaggio è stato
fruttuoso o no, dipende da voi (...) se non vi trovate d’accordo sulle
conclusioni generali raggiunte in una località che si chiama Yalta e
non date loro il vostro sostegno, l’incontro non avrà dato risultati
279
duraturi. (...) La Conferenza di Crimea dovrebbe segnare la fine del
sistema dell’azione unilaterale, delle alleanze esclusive, delle sfere
d’influenza, degli equilibri di potere e di tutti gli altri espedienti che
nei secoli si sono tentati e hanno sempre fallito. Noi ci proponiamo di
sostituire a tutti questi espedienti un organismo universale al quale
tutte le Nazioni amanti della pace avranno finalmente la possibilità di
aderire”. E il Congresso approva l’operato del Presidente, maneggiato
ancora una volta dalla sua abilità e spregiudicatezza che ha ottenuto il
tramonto della leadership mondiale dell’Europa, violando proprio
quelle norme della Carta Atlantica che egli stesso aveva dettato.
Però qualche violenta reazione si ha in America, quando si
viene a sapere dei tre seggi spettanti all’Urss nell’ONU e il diritto di
veto dei membri permanenti del suo Consiglio di Sicurezza. Tutto ciò
viene ritenuta una grande vittoria di Stalin, alla quale si aggiunge la
chiara subordinazione alla Russia della nuova Polonia che, in qualche
modo, ha costituito la merce di scambio nella oscura e non ben
delineata trattativa per la spartizione del mondo in zone d’influenza
che, d’altra parte, non fanno altro che prendere realisticamente atto
delle rispettive conquiste militari.
Ma ciò che sta davvero a cuore al declinante Roosevelt è
l’ONU, che deve trovare la sua consacrazione e decisione nella
Conferenza di San Francisco, per la quale Stalin designa come capo
delegazione il poco conosciuto Gromyko e non il ben più prestigioso
Molotov, senza che Roosevelt riesca a far cambiare idea al dittatore
russo. I rapporti fra i tre grandi si vanno deteriorando e sembrano
giungere alla rottura quando Stalin, apertamente, accusa Roosevelt di
aver iniziato dirette trattative con i tedeschi in Svizzera, in virtù delle
quali le truppe germaniche oppongono scarsa resistenza agli angloamericani
e sempre più tenace ai sovietici. Il Presidente s’incollerisce
profondamente, ma non ha la forza fisica per stendere la risposta, che
viene redatta da Marshall per suo conto. Porta la data del 5 aprile 1945
e si conclude con: “...Francamente, non posso evitare un senso di
280
acerbo risentimento verso i vostri informatori, quali che siano, per
siffatti bassi svisamenti delle mie azioni o di quelle dei miei fidi
subordinati”.
Giungono dalla Russia delle tiepide scuse e da Londra questa
lettera di Churchill, datata 11 aprile: “Mi par di capire che più di
questo non ci sia verso di ottenere da loro, e certo questa è la loro
massima approssimazione ad una scusa. Tuttavia, prima di prendere
in considerazione risposte di sorta da parte del Governo di Sua
Maestà, vogliate dirmi come pensate che si dovrebbe trattare la
faccenda stando affiancati”. Ma Roosevelt risponde a Stalin in
maniera conciliante e invita Churchill a fare altrettanto. Seppure
l’incomprensione con il dittatore russo sembra esser divenuta
insuperabile e anche il principio dell’ONU sembra tramontato,
Roosevelt non si avvilisce, perché gli Stati Uniti hanno ormai quasi
pronta la bomba atomica, e forse, quest’arma terribile, usata come
deterrente, avrebbe indotto anche Stalin a più miti consigli. Ma
improvvisamente, il 12 aprile a Warm Springs in Georgia, mentre
posa per un ritratto, Roosevelt ha un repentino collasso e muore poche
ore dopo, senza aver ripreso conoscenza. Ha 63 anni compiuti da poco
più di due mesi.
Churchill, che aveva scambiato con lui ben 1.700 messaggi e lo
aveva frequentato per un totale di 120 giorni, suddivisi in 9 incontri,
immediatamente fa aggiornare la seduta della Camera dei Comuni,
cosa mai avvenuta prima per la morte di un Capo di Stato straniero, e
telegrafa alla signora Roosevelt: “Vogliate accettare le mie più sentite
condoglianze nel vostro grave lutto, che è anche lutto della nazione
britannica e della causa della libertà in ogni terra. Io mi sento legato
a voi tutti da tanta simpatia nel vostro cordoglio. In quanto a me, ho
perso una cara e preziosa amicizia forgiatasi al fuoco della guerra.
Confido che possiate trovar conforto nella grandezza della sua opera
e nella gloria del Suo nome”.
281
Tutte le nazioni, in un modo o in un altro, dedicano commenti o
azioni in memoria di Roosevelt. In Russia vengono esposte bandiere
listate a lutto. In Cina Chiang Kai-Shek non fa colazione, si alza senza
toccare cibo e si ritira per nascondere il dolore. In Giappone il Primo
Ministro esprime “profonda simpatia” agli americani. Ma in Germania
la radio dice: “Roosevelt passerà alla storia come l’uomo per cui
istigazione la guerra attuale dilagò in una Seconda Guerra Mondiale,
e come il Presidente che riuscì infine a portare al potere il suo più
grande avversario: l’Unione Sovietica bolscevica”. Infine in Italia
Mussolini parla di Roosevelt in termini spregiativi.
Nei primi mesi del 1944 la salute di MUSSOLINI, affidato alle
cure mediche e psicologiche di un sanitario tedesco, è sensibilmente
migliorata. Forse ciò dipende anche dal fatto che egli, ridotto com’è ad
un Quisling, non sente più su di sé la cappa opprimente della piena
responsabilità. D’altra parte la condotta di guerra, anche sul fronte
italiano, spetta ai tedeschi e quella contro i partigiani, che diventano
sempre più numerosi ed agguerriti, è più di competenza di altri che
sua. Si tratta dei generali tedeschi Rahn e Wolff, del segretario del
partito Pavolini, del ministro degli interni Buffarini-Guidi, del capo
della milizia Ricci, del capo della polizia Tamburini e dei capi delle
tante bande armate che, pur essendo in qualche modo inquadrate negli
effettivi della Repubblica Sociale, operano in assoluta anarchia
commettendo, in gara con i tedeschi, eccidi e soprusi. Le bande più
tristemente note sono: la Koch, la Muti, la X Mas e le Brigate Nere.
La nuova situazione, dopo tanti anni di comando assoluto,
permette a Mussolini, a parte due visite a Hitler in Germania
nell’aprile e nel luglio del 1944, di dedicarsi a migliorare la sua
conoscenza del tedesco, di incominciare a tradurre l’Anello di Wagner
e di riaffermare le credenze socialiste della sua giovinezza, che gli
fanno progettare, insieme a Nicola Bombacci, che era stato uno dei
fondatori del partito comunista in Italia, di far rilevare dallo Stato tutte
le imprese industriali con più di cento addetti.
282
Quello che più lo preoccupa, mentre per i risultati della guerra
in corso passa continuamente dall’assoluta fiducia della vittoria di
Hitler per merito delle armi segrete al più nero pessimismo e
viceversa, è la sua immagine da lasciare alla storia.
Egli, pur ammettendo di aver commesso degli errori, dovuti
principalmente dall’essere caduto nella trappola dell’eccessiva
adulazione, è fiducioso di essere ricordato sui testi futuri come uno dei
più grandi uomini della storia. Proprio in tale visione pubblica, senza
firma, 19 articoli sul Corriere della Sera riguardanti gli avvenimenti
del periodo 1940-1943 e fa tirare il giornale in un milione di copie.
Nel frattempo la sua piccola storia giornaliera fa registrare
nell’ottobre 1944 una vera e propria aggressione della moglie Rachele
ai danni dell’amante Claretta. Nel dicembre 1944, Mussolini tiene il
suo ultimo discorso in pubblico al teatro Lirico di Milano. Ci sono
migliaia di persone, affluite anche dalla provincia, in teatro e fuori.
Mussolini sale sul palco. È smagrito e rimpicciolito, la divisa è
vecchia e disadorna, ma gli occhi sono sempre magnetici. Dice:
“...Noi vogliamo difendere con le unghie e con i denti la valle del Po:
noi vogliamo che la valle del Po resti repubblicana in attesa che tutta
l’Italia sia repubblicana. E Milano deve dare gli uomini, le armi, la
volontà e il segnale della riscossa”. Esce dalla sala in un delirio di
applausi e altri ne riceve mentre percorre le vie della città, fra edifici
distrutti dalle bombe, per tornare sul Garda.
Ma ormai, all’inizio del 1945, è chiaro anche per lui, nonostante
il continuo mutare di opinione e decisione, che tutto è perso, e i dolori
allo stomaco riprendono incessanti.
Una cosa è certa nello sfacelo che, nell’aprile 1945, prende le
forze tedesche in Italia e quelle della Repubblica Sociale, è che
Mussolini ha la possibilità di salvarsi, lui solo e la famiglia. Infatti il
sottosegretario all’aeronautica Bonomi ha disposto che un trimotore
S79 fosse tenuto pronto vicino Brescia per condurre Mussolini in
Spagna, dove sarebbe stato accolto da gente fidata. Ma su quell’aereo,
283
essendosi Mussolini rifiutato di farlo, salgono e prendono il volo, il 22
aprile 1945, i genitori e la sorella di Claretta Petacci, la moglie
dell’ambasciatore tedesco a Lisbona e l’avvocato Mancini, che porta
una documentazione dei crediti italiani nei riguardi della Spagna.
L’aereo atterra regolarmente a Barcellona. Claretta, invece, è rimasta
con Mussolini. In una lettera alla sorella dice: “Io seguo il mio
destino, che è il suo. Non lo abbandonerò mai, qualunque cosa
avvenga”.
Forse la giovane donna è l’unica che ha idee chiare in
un’atmosfera allucinata. Infatti il 22 aprile Mussolini, che è a Milano,
riceve il Ministro dell’Educazione Nazionale, che discute con lui sulla
nuova legge sui maestri e il potenziamento dell’Università di Trieste.
Il 24 aprile il generale Diamanti presenta a Mussolini il figlio, che
desidera una fotografia con autografo, mentre i dirigenti della radio gli
sottopongono un programma di lavoro e il dirigente della Mondadori
gli presenta il libro di Settimelli dal titolo “Trent’anni di commenti a
Mussolini”. E al Duce, che ormai non mangia e non dorme quasi più e
che mostra una notevole carenza di energia e intelligenza, giunge,
dulcis in fundo, l’ultima lettera di Hitler, che dice: “La lotta per
l’essere e il non essere ha raggiunto il suo momento culminante.
Impiegando grandi masse e materiali il bolscevismo e il giudaismo si
sono impegnati a fondo per riunire sul territorio tedesco le loro forze
distruttive al fine di precipitare nel caos il nostro continente. Tuttavia
nel suo spirito di tenace sprezzo della morte il popolo tedesco e quanti
altri sono animati dai medesimi sentimenti si scaglieranno alla
riscossa, per quanto dura sia la lotta, e con il loro impareggiabile
eroismo faranno mutare il corso della guerra in questo storico
momento in cui si decidono le sorti dell’Europa per i secoli a venire”.
Il 25 aprile, Mussolini, dopo aver avuto presso l’arcivescovo di
Milano Schuster uno sterile colloquio con i rappresentanti dei
partigiani per trattare la resa, detta le sue due ultime lettere e sembra
voglia suicidarsi con una pistola tratta da un cassetto. Poi si dirige
284
verso la Valtellina, dove avrebbe dovuto esserci un gruppo cospicuo
di soldati e fascisti fedelissimi, con i quali combattere l’ultima
battaglia. Ma a Como scopre di essere stato nuovamente e per
l’ennesima volta ingannato. Allora, il 26 aprile, l’auto si dirige verso
il confine svizzero, dove c’è una larvata speranza di porsi in salvo e da
lì utilizzare i documenti preziosi, forse lettere segrete di Churchill, per
trattare con gli Alleati. Con lui ci sono Buffarini Guidi, Pavolini (con
un’autoblindo), il tenente tedesco Bizer, cui Hitler aveva ordinato di
non lasciare mai Mussolini e altri. A Menaggio il Duce viene
raggiunto da Claretta, il fratello e la moglie di questi, e ne rimane
tanto commosso, nonostante l’abulia che da vari giorni lo pervade
intensamente, che dice: “Questa donna, che ha già subito il carcere e
che ha perso tutto per colpa mia, ha voluto seguirmi anche adesso...”.
Poi la colonna si unisce ad un convoglio di camion tedeschi
diretti in Austria e un loro ufficiale lo convince ad indossare un
cappotto ed un elmetto germanico, per non farlo riconoscere dai
partigiani che, invece, lo scoprono a Dongo. Dopo altri pellegrinaggi,
ormai da prigioniero, il 28 aprile 1945 viene fucilato. Gli mancano
poco più di 3 mesi per compiere 62 anni.
Solo Claretta, che lo ha chiesto insistentemente, viene fucilata con
lui. I due corpi, unitamente a quelli di altri gerarchi fucilati in altri
luoghi, vengono trasportati a Milano e appesi per i piedi ad un
distributore di benzina in piazzale Loreto, dove vengono lordati e
dileggiati.
HITLER, dopo l’attentato del 20 luglio 1944, incomincia a dire di
aver capito solo ora la bontà dell’azione di Stalin quando, liquidando
il proprio Stato Maggiore, aveva dato spazio a uomini freschi
traboccanti di energia che non datavano dai tempi dello zar. In un
accesso di rabbia violenta conclude: “Adesso capisco perché tutti i
miei grandi piani per la Russia di questi ultimi anni erano destinati a
fallire. Per puro tradimento! Se non fosse stato per quei traditori
avremmo vinto già da molto tempo. Ecco la mia giustificazione
285
dinanzi alla storia”. Poi, non potendo far piazza pulita nell’esercito
per motivi di ovvia opportunità, impone ai generali di accettare le
Waffen SS come partner a pieno titolo e comanda a tutti, ufficiali e
soldati delle tre armi, il saluto nazista obbligatorio. In sostanza il
luglio 1944 segna la fine dell’alleanza fra Hitler e l’élite conservatrice
tedesca, impersonificata dal corpo ufficiali, e la prevalenza netta del
Partito e di Himmler.
Per i successivi 4 mesi dall’attentato il dittatore tedesco si ritira nel
suo bunker della Prussia orientale, fatto di un gran blocco di cemento
armato senza finestre e privo di ventilazione, sempre più intento a
studiare mappe e a dispensare ordini, lontano dai campi di battaglia e
senza mai cambiare occupazione e compagnia, costretto ogni sera a
prendere per dormire droghe, sostituite di giorno da sedativi per
contenere l’ansia e il nervosismo, che sempre di più lo attanagliano.
Solo verso settembre, in preda a ricorrenti dolori di stomaco e di
violenti mal di gola e da quasi totale afonia, si decide a tornare a
Berlino, dove si sottopone ad un intervento chirurgico alle corde
vocali perfettamente riuscito. Ma, pur avendo solo 55 anni, a chiunque
possa incontrarlo da vicino sembra un vecchio dalla voce roca, il
colorito olivastro, le mani tremanti e una gamba rigida.
In una conferenza di questo periodo con alcuni generali finalmente
il Führer chiarisce quali sono le sue reali speranze per il futuro: “Non
è ancora venuto il momento di una decisione politica (...) Sarebbe
puerile e ingenuo attendersi che sia possibile conseguire accordi
politici favorevoli in un momento di pesanti sconfitte militari. Tale
momento giunge solo quando si vince (...) Ma verrà il tempo in cui la
tensione fra gli Alleati diverrà tale da provocare una rottura. Nella
storia tutte le coalizioni si sono prima o poi dissolte. L’unica cosa da
fare è aspettare il momento opportuno per quanto dura possa essere
l’attesa. (...) Vivo al solo fine di dirigere tale battaglia perché so che
se non sarà sostenuta da una volontà di ferro non potrà mai essere
vinta...”.
286
Nel frattempo, è la fine di settembre 1944, la Wehrmacht raduna
ordinatamente le sue forze lungo la frontiera occidentale tedesca e gli
anglo-americani non riescono, durante tutto l’inverno, a sfondare.
Hitler ne approfitta per sfornare, attraverso una mobilitazione generale
di tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, nuove divisioni, seppur dimezzate
negli effettivi, mentre la produzione bellica raggiunge il più alto
livello dall’inizio della guerra, nonostante la carenza di petrolio e di
oli sintetici. Ma ben maggiori sarebbero potute essere le forze
disponibili per difendere il territorio nazionale se il Führer avesse
richiamato le 109 divisioni schierate in Norvegia, negli Stati Baltici,
in Italia, in Iugoslavia e in Ungheria. Non vuole assolutamente farlo,
per non dare l’impressione ai nemici di ritenere la guerra
irrimediabilmente persa. Nella sua mente il concetto di difesa non
esiste e continua ad essere orientato in termini di solo attacco. Ne dà
un’immediata prova quando, nel dicembre 1944, decide di
contrattaccare nelle Ardenne, nonostante l’opposizione di Guderian,
capo di Stato Maggiore, al quale urla: “Non ho bisogno che lei mi
insegni. Dirigo l’esercito tedesco sul campo da cinque anni e in tutto
questo tempo ho acquisito un’esperienza diretta maggiore di quella
che un qualunque ‘signore’ dello Stato Maggiore potrebbe mai
sperare di avere”.
L’attacco viene sferrato il 16 dicembre e ottiene un notevole
successo, ma già il 25 risulta chiaro che bisogna ritirarsi sulle
posizioni di partenza, se non si vuol subire una dura lezione, e
Guderian invita Hitler a trasferire molte divisioni in Polonia, dove
sembra imminente un formidabile attacco russo sulla Vistola. Il
Führer, per tutta risposta, afferma: “E’ il più grande bluff dai tempi di
Gengis Khan. Chi è che mette in giro tutte queste sciocchezze?”, e
ordina un secondo attacco nelle Ardenne, miseramente fallito, al punto
che l’8 gennaio le truppe tedesche debbono ritirarsi, avendo perso
100.000 uomini, 600 carri armati e 1.600 aerei. Guderian insiste
ancora per meglio difendere l’Est, ma Hitler non lo ascolta e il
287
generale scrive: “Egli si era fatto un’immagine del mondo tutta sua,
ed ogni avvenimento doveva rientrare in siffatto universo
immaginario. Il mondo doveva essere così come lui se lo era dipinto;
ma quello era il quadro di tutt’altro pianeta”. I Russi sferrano
l’offensiva e il 17 gennaio prendono Varsavia, il 19 Cracovia e Lòdz,
e, alla fine di gennaio, attraversano l’Oder e si trovano a 80 chilometri
da Berlino.
Ciò nonostante Hitler continua a dare ordini e a parlare della
riconquista della superiorità dell’aviazione tedesca, da ottenersi con
l’intensificazione della produzione del nuovo caccia a reazione. Il
capo dell’aeronautica tedesca, Goring, che cerca di defilarsi, viene
costretto a questa conversazione da Hitler: “Pensate che nel loro
intimo i britannici siano entusiasti a proposito dello sviluppo della
situazione ad Oriente?”.
“Certamente non si aspettavano che li avremmo respinti mentre
i sovietici stanno conquistando l’intera Germania. Se si va avanti
così, tra pochi giorni riceveremo un telegramma”.
Ma in febbraio invece del telegramma, che dovrebbe proporre
l’accordo sognato da Hitler fra anglo-americani e tedeschi contro i
Russi, giunge il risultato della Conferenza di Yalta, nel quale si intima
nuovamente ai Germanici la resa incondizionata.
Hitler non se ne dà minimamente per inteso, continua a parlare
delle armi segrete che avrebbero rovesciato le sorti della guerra, con
particolare riferimento, ed è la prima volta che lo fa, alla bomba
atomica. E molti membri del Partito ci credono con tutte le loro forze,
al punto da affermare: “Hitler ha qualche asso nella manica che tirerà
fuori all’ultimo momento. E allora ci sarà la svolta. Permettere al
nemico di entrare così profondamente nel nostro territorio non è altro
che una trappola”. In realtà, però, ormai il dittatore non spera in altro
che in un miracolo, come avvenne per Federico II. Il re, nella guerra
dei Sette Anni nella metà del Settecento, dovette fronteggiare ben 4
eserciti: l’austriaco, il russo, il francese e lo svedese, ed ebbe numerosi
288
successi, ma alla fine lui stesso scrisse che soltanto la Provvidenza lo
avrebbe potuto salvare dal disastro e dal suicidio. L’imperatrice russa
morì e le successe il nipote, lo zar Pietro III, grande ammiratore di
Federico II. Insperatamente il nuovo zar rinunciò alla conquista di
territori e firmò un trattato di pace con la Prussia, mettendole a
disposizione le sue truppe per sconfiggere l’Austria, e Federico II fu
salvo!
In attesa del miracolo, Hitler, di tanto in tanto, parla della guerra e
di chi ha sbagliato: “Avevo sempre sostenuto che dovessimo a tutti i
costi evitare una guerra su due fronti, e potete essere certi che ho
meditato a lungo e con ansia su Napoleone e la sua esperienza in
Russia. Perché allora, ci si potrebbe chiedere, questa guerra contro la
Russia, e perché il momento da me scelto? (...) E il mio incubo
personale era la paura che Stalin potesse rubarmi l’iniziativa. (...) La
guerra con la Russia era diventata inevitabile, qualsiasi cosa
facessimo, e rinviarla significava soltanto che avremmo dovuto
combatterla in seguito in condizioni meno favorevoli. La cosa
disastrosa di questa guerra è il fatto che per la Germania essa è
incominciata al tempo stesso troppo presto e troppo tardi. (...) Se il
destino avesse concesso ad una Gran Bretagna vecchia e
arteriosclerotica un nuovo Pitt invece di questo ubriacone mezzo
americano, Churchill, manovrato dagli ebrei, il nuovo Pitt avrebbe
immediatamente capito che la tradizionale politica britannica di
equilibrio del potere sarebbe ora stata applicata su scala mondiale.
Invece di fomentare la rivalità fra Stati europei la Gran Bretagna
avrebbe dovuto fare tutto il possibile per giungere ad una unificazione
dell’Europa. Alleata ad una Europa unita, ella avrebbe in tal modo
mantenuto la possibilità di fungere da arbitro negli affari mondiali.
(...) Ma avevo sottovalutato la forza della dominazione ebraica
sull’Inghilterra di Churchill. (...) Sono stato l’ultima speranza
dell’Europa (...) Con la sconfitta del Reich e in attesa della nascita
dei nazionalismi asiatico, africano e forse anche sudamericano,
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resteranno al mondo soltanto due grandi potenze in grado di
confrontarsi: Stati Uniti e Russia sovietica. Tanto la legge della storia
che della geografia obbligheranno queste due potenze a una prova di
forza, o militare, oppure in campo economico ed ideologico. Queste
stesse leggi rendono inevitabile che entrambe tali potenze diventino
nemiche dell’Europa. Ed è altrettanto certo che entrambe troveranno,
presto o tardi, desiderabile cercare il sostegno della sola grande
nazione sopravvissuta in Europa, la nazione tedesca”.
Ormai, nell’aprile 1945 Hitler ha quasi completamente perso il
controllo degli avvenimenti giornalieri ed emana ordini sempre più
caotici e contraddittori con la situazione reale. Poi si rinchiude nel
bunker della Cancelleria e in questa sua decisione Speer, il suo
strettissimo collaboratore, vi scorge un valore simbolico: “funge da
suggello alla totale scissione di Hitler dalla tragedia che incombeva
all’esterno. Egli smise di avere con essa qualsiasi rapporto. Quando
parlava della fine, intendeva la sua, non quella della nazione. Egli
giunse all’ultima stazione nel suo lungo viaggio di dissociazione dalla
realtà, una realtà che si era rifiutato di conoscere fin da ragazzo.
All’epoca trovai un nome a quel mondo irreale del bunker. Lo
chiamavo ‘l’isola del defunto’”.
A dimostrazione di quanto siano giuste le valutazioni di Speer,
il 12 aprile giunge la notizia della morte di Roosevelt, e Goebbels
telefona tutto agitato a Hitler, dicendogli: “Mio Führer! Mi
congratulo! Roosevelt è morto. E’ scritto nelle stelle che la seconda
metà di aprile segnerà una svolta in nostro favore”. Anche il
dittatore sembra crederci, ma nulla cambia nella coalizione contro di
lui. Anzi, truppe americane e russe si incontrano sull’Elba e i russi
attaccano direttamente Berlino, contrastati ferocemente dai tedeschi,
nonostante abbiano contro il fuoco di ben 9.000 mortai. E’ il 20 aprile
quando i russi entrano nella città e cercano di giungere nel centro.
Proprio in questo giorno il Führer compie 56 anni e dà diversi
ordini, ma, due giorni dopo, s’accorge che sono stati del tutto
290
inascoltati. La sua ira scoppia furibonda. Con urla altissime accusa
tutti, anche le SS, d’ingannarlo. Poi dice che la guerra è perduta e non
gli resta che morire. Egli attenderà a Berlino la fine e chi, fra i
collaboratori, non vuole rimanere può andarsene al Sud.
Eva Braun, la donna che convive col dittatore, afferma che vuole
rimanere e ne riceve come ricompensa un bacio sulle labbra. E’ la
prima volta che accade alla presenza di terzi, perché i rapporti di
Hitler con le donne e il sesso sono sempre stati oggetto di pettegolezzi
e di sospetti. Nella sua vita egli aveva provato solo per due donne un
interesse non passeggero, ed entrambe erano di vent’anni più giovani
di lui. La prima era stata Geli, la figlia della sua sorellastra che, nel
1928, era andata a fargli da governante. Geli aveva 17 anni e Hitler
39. Il dittatore se ne infatuò subito e ne fece la sua compagna fissa per
tre anni. La ragazza era felice di accompagnare lo zio nei suoi comizi
durante il periodo 1929/31, quando lui incominciava a diventare
famoso. Ma il futuro dittatore era geloso e possessivo all’eccesso e lei
ne soffriva. Un giorno Adolf scoprì che la giovane donna s’era data al
suo autista e le fece una scenata violenta, proibendole di frequentare
altri uomini e la scuola di canto di Vienna. Nel settembre 1931 Geli si
suicidò, lasciando Adolf inconsolabile e con dei rimorsi. La stanza di
Geli fu mantenuta esattamente come lei l’aveva lasciata e sempre,
vicino al letto del dittatore, c’era la fotografia di lei alla parete. Poco
dopo comparve Eva Braun, una bionda avvenente con un viso tondo
ed occhi blu, che lavorava presso un famoso studio fotografico. Adolf
le faceva dei complimenti e le inviava dei fiori, null’altro. Allora la
ragazza inscenò, nell’autunno del 1932, un tentativo di suicidio e
praticamente costrinse Hitler, ancora scioccato da quanto era accaduto
a Geli e timoroso di un nuovo scandalo, a farne la sua cara amica. Ma
la donna non era felice, perché Adolf la teneva al di fuori della sua
vita ufficiale e le proibiva di fumare, danzare e frequentare altri
uomini. Solo con l’inizio della guerra lei incominciò a comparire
vicino a lui in qualche riunione privata. Un giorno lui dichiarò, alla
291
presenza di Eva che: “Un uomo dotato di grande intelligenza
dovrebbe scegliersi una donna stupida e rozza. Immaginate se, oltre a
tutto il resto, io avessi una donna che interferisca nel mio lavoro (...)
Non potrei mai sposarmi. Pensate a quanti problemi sorgerebbero se
avessi dei bambini! Alla fine cercherebbero di fare di mio figlio il mio
successore. Le possibilità che una persona come me abbia un figlio
capace sono poche. Pensate al figlio di Goethe, una persona che non
vale assolutamente nulla! Molte donne sono attratte da me per il fatto
che non sono sposato. Questo accadeva soprattutto al tempo della
nostra battaglia. Succede la stessa cosa che con un attore di cinema:
quando si sposa, per le donne che lo adorano egli perde un certo
qualcosa. Da quel momento egli non è più l’idolo che era prima”. Ma
forse egli è solo incapace di avere rapporti sessuali normali, infatti uno
dei suoi compagni più intimi della metà degli anni Trenta sosteneva
che il Führer fosse impotente e che la sua grande energia nervosa non
avesse una normale valvola di sfogo, e concludeva: “Nel deserto
sessuale in cui viveva, soltanto una volta egli fu quasi sul punto di
trovare una donna, Geli, e mai trovò neanche l’uomo che potesse
dargli un po’ di sollievo. (...) Mia moglie si fece subito un’idea ben
precisa di lui, era certa che fosse asessuato”. Invece Erich Fromm, da
un’analisi a posteriori, dice: “...Credo che tutto quello che si possa
dire è che i suoi desideri sessuali fossero di tipo fondamentalmente
voyeuristrico e sadico-anale con le donne che lui riteneva inferiori, e
invece di tipo masochistico con quelle che ammirava”.
Ora, a Berlino, mentre Hitler bacia Eva, la situazione precipita e
i Sovietici incominciano a bombardare con i cannoni la Cancelleria.
Mentre lontano qualche capo germanico intreccia trattative per la
resa, il 29 aprile giunge a Hitler la notizia della fine di Mussolini e,
proprio in quella notte, il Führer sposa la sua compagna alla presenza
di Bormann e Goebbels. E’ il 30 aprile 1945. Dopo aver pranzato in
compagnia, Hitler ordina al suo autista di portare duecento litri di
benzina in giardino. Poi si ritira con la moglie nel suo appartamento.
292
Si sente un solo colpo d’arma da fuoco: la porta viene aperta e i
cadaveri degli sposi vengono trovati. Lui si è sparato alla tempia e lei
si è avvelenata. I corpi sono portati nel giardino e, cosparsi di benzina,
vengono incendiati. Hitler da dieci giorni ha compiuto 56 anni.
293
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CAP. XVII
DALLA CORTINA DI FERRO ALLA MORTE DI STALIN E A
QUELLA DI CHURCHILL
STALIN, con la sua notevole capacità diplomatica e,
principalmente, con le grandi vittorie militari che portano i suoi
eserciti ad occupare tutte le capitali degli antichi Stati dell’Europa
centrale e orientale come Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest,
Belgrado, Bucarest e Sofia, domina la Conferenza di Potsdam nel
luglio del 1945. Qui egli si deve confrontare non più con Roosevelt,
ma con Truman, che lo ha sostituito, e, dopo alcuni giorni, con Attlee,
che prende il posto di Churchill, incredibilmente battuto nelle elezioni
inglesi. Non è quindi difficile al dittatore russo assicurarsi carta bianca
per la soluzione del problema polacco, nonché una vasta area di
occupazione in Germania, che va addirittura al di là di quanto ha
occupato militarmente.
Inoltre, pur non essendo più necessaria la partecipazione sovietica
alla guerra contro il Giappone, perché gli Stati Uniti hanno ormai
pronta e sperimentata la bomba atomica, pretende di farlo e, per pochi
giorni di guerra, di ottenere quanto gli era stato promesso: la
restituzione delle concessioni territoriali in Cina, l’isola di Sahalin e la
possibilità di stabilire un regime comunista nella Corea del Nord, oltre
a sostenere i comunisti cinesi nella loro guerra contro le forze di
Chiang Kai-Shek.
Certamente, in particolar modo per gli americani, la guerra
strenuamente e validamente combattuta contro le potentissime armate
di Hitler, ha contribuito, per tutto il periodo bellico e per qualche
tempo dopo, a trasmettere un’immagine di Stalin solo positiva. Egli è
apparso come il difensore della patria minacciata e dell’Europa
294
democratica, facendo accantonare le caratteristiche ideologiche del
suo regime.
Di contro la linea adottata dopo la guerra implica una più chiara
visione di chi sia in realtà Stalin. Egli non si accontenta di stabilire
una sfera d’influenza ed un cordone di sicurezza per la Russia, ma
gradualmente impone regimi comunisti in tutti i Paesi occupati, tranne
la Finlandia.
Inoltre, approfittando del chiaro declino economico inglese e dello
smantellamento dell’impero, che non solo è necessario, ma anche
voluto dai laburisti al Governo, tenta di ottenere, in contraddizione
all’accordo del foglietto, di più anche in Grecia e in Turchia, dove
l’Inghilterra è impossibilitata a continuare a finanziare i governi non
comunisti. Deve però far marcia indietro, perché finalmente gli
Americani hanno preso coscienza della situazione e prendono il posto
degli Inglesi.
Stalin, che sta facendo procedere a marce forzate i suoi scienziati
per la realizzazione di una bomba atomica russa, nel 1948 tenta una
prova di forza, bloccando gli accessi alle zone occidentali di Berlino,
custodite dagli anglo-americani, ma un efficace ponte aereo e la decisa
presa di posizione degli Stati Uniti, che è l’unico Paese che può
contrastare vittoriosamente l’Unione Sovietica, lo porta ad
accantonare il blocco, ma non certo a mettere fine alla “guerra
fredda”, caratterizzata dal timore dell’Europa occidentale per
l’espansionismo sovietico.
Anche nella politica interna Stalin mostra nuovamente il suo vero
volto. Dopo tanti sacrifici sopportati dai cittadini russi prima e durante
la guerra, è diffusa la speranza di poter tornare a condurre una vita
normale. Ma Stalin afferma che l’industria pesante deve continuare ad
avere l’assoluta priorità: non c’è spazio per una qualsiasi forma, pur
modestissima, di consumismo. Anche nell’agricoltura si continua
come prima o peggio: la collettivizzazione è confermata e ampliata. In
sostanza il popolo sovietico deve continuare a lavorare ancor più
295
duramente per realizzare il prossimo piano quinquennale e deve
raggiungere la produzione annuale di 60 milioni di tonnellate di
acciaio, 60 milioni di tonnellate di petrolio e 500 milioni di tonnellate
di carbone.
Ma quello che più colpisce nella condotta del potere di Stalin è il
trattamento riservato all’enorme numero di cittadini sovietici che
erano caduti sotto il dominio tedesco durante la guerra. Come se
fossero infettati molti milioni di loro sono deportati nell’Asia centrale
e in Siberia, o spediti in speciali campi di concentramento, non meno
di 100, ognuno capace di contenere 10.000 uomini che devono essere
severamente processati prima di tornare alle proprie case.
Come un vero tiranno Stalin ha un potere perverso su tutto, anche
su chi occupa posizioni di vertice come il maresciallo Zucov, che ha
concluso la guerra come secondo del dittatore. Stalin è geloso e, forse,
timoroso della fama che il militare gode presso il popolo sovietico e le
Potenze alleate. Lo convoca al Cremlino e gli dice: “Beria mi ha
appena inviato un rapporto sui suoi contatti sospetti con gli americani
e i britannici. Pensa che lei diverrà una spia al loro soldo. Io non
credo affatto a tale sciocchezza, ma sarebbe meglio che per un po’ lei
si allontani da Mosca. Ho proposto la sua nomina a comandante del
distretto militare di Odessa”.
Nonostante il culto indiscusso che viene tributato a Stalin da tutto
il movimento comunista, si verificano alcune difficoltà per la sua
politica: nel 1948, quando la Iugoslavia esce dalla sfera diretta di
potere sovietico, e nel 1949, quando il comunismo cinese si rende
indipendente e avanza qualche fondata pretesa di rompere il
monopolio sovietico sulla direzione del blocco dei Paesi comunisti.
Eppure, dietro le invisibili mura elevate da Stalin per tenere isolata
l’Unione Sovietica dal mondo occidentale, si verifica nel 1949/50 una
eccezionale ripresa economica, in parte dovuta al denaro ed alle
fabbriche incamerati e trasferiti in Russia a titolo di riparazione per
danni di guerra, ma indubbiamente il merito maggiore va al piano
296
quinquennale e agli enormi sacrifici del popolo sovietico, che riceve
finalmente un considerevole aumento dei salari effettivi, aumento che,
però, non riesce a spendere, perché scarseggiano i prodotti di consumo
e il sistema di distribuzione è quanto mai primitivo.
Si sviluppano frattanto l’antisemitismo del regime, il sadismo di
Stalin e la sua paura di subire un avvelenamento. Egli, infatti, non
tocca cibo che non sia stato prima assaggiato da altri. Poi, durante le
cene angosciose che il dittatore dà in continuazione, egli incomincia a
raccontare sempre le stesse storielle e tutti debbono ridere ed
applaudire e continuare a bere su suo pressante invito, fino ad
ubriacarsi e a coprirsi di ridicolo. A tal proposito Kruscev scrive: “Per
chissà quale motivo egli provava gusto ad umiliare gli altri. Ricordo
che una volta Stalin mi fece ballare il Gopak. Dovetti accovacciarmi,
lanciare in fuori alternativamente le gambe e cercare di assumere
un’espressione divertita. Ma come in seguito dissi a Mikojan: ‘quando
Stalin dice di ballare, chi è saggio balla’. La cosa più importante era
occupare il tempo di Stalin così che non soffrisse di solitudine. Egli
era oppresso dalla solitudine, e ne aveva paura”.
Nel frattempo il dittatore incomincia ad essere titubante nelle
decisioni e, come dice Kruscev, “il governo cessò virtualmente di
funzionare. Ciascun membro dell’orchestra suonava il proprio
strumento ogni qual volta ne aveva voglia senza alcuna direzione
corale da parte del direttore”. Ciò dipende dalla salute sempre più
precaria di Stalin e dagli effetti sul suo sistema nervoso dovuti al
tentativo di abbandonare il vizio del fumo che aveva fin da ragazzo.
La sua accentuata instabilità psicologica si manifesta
clamorosamente nell’annuncio dell’arresto di un certo numero di
medici, in maggioranza ebrei, sotto l’accusa di aver adottato, sotto
l’istigazione dei servizi segreti occidentali, metodi di cura distruttivi
nei riguardi di alte personalità sovietiche. Ciò fa temere l’imminenza
di un nuovo eccidio di dimensioni tali da incidere a fondo, come
297
avvenne negli anni Trenta, sulla fisionomia dei vertici della società e
dello Stato sovietici.
Non ha però modo di poter attuare quanto si propone. Infatti, la
sera del 28 febbraio 1953, guarda un film in compagnia del gruppo di
vertice sovietico ed è di buon umore, perché ubriaco, tanto che non
mette termine alla riunione prima delle sei del mattino del 1° marzo.
Nel periodo che intercorre da quell’ora alle tre del mattino del 2 marzo
egli subisce un attacco cardiaco. Le guardie hanno paura di
disturbarlo, poi, preoccupate, chiamano alcuni dirigenti del Partito e i
medici, che diagnosticano una paralisi. Per tre giorni e mezzo Stalin
rimane in vita e, di tanto in tanto, riprende conoscenza, ma non è in
grado di parlare. La figlia Svetlana così descrive le ultime ore di
Stalin: “L’agonia fu terribile. Dio concede una morte serena solo ai
giusti. Egli letteralmente soffocò fino a morire dinanzi ai nostri occhi.
In quello che sembrava l’ultimo istante, aprì improvvisamente gli
occhi e lanciò uno sguardo su tutti i presenti nella stanza. Era uno
sguardo terribile da folle, o forse furibondo e pieno di paura di
morire...”. Stalin ha 73 anni compiuti da poco più di due mesi.
CHURCHILL riceve, verso la fine di aprile 1945, quando
Roosevelt è già morto e sono imminenti i drammatici decessi di
Mussolini e Hitler, il messaggio più cordiale che Stalin gli avesse mai
scritto: “Vi ringrazio della comunicazione del 25 aprile circa
l’intenzione di Himmler di arrendersi sul fronte occidentale.
Considero la vostra proposta di presentare a Himmler una richiesta
di resa incondizionata su tutti i fronti, conpreso il fronte sovietico,
come l’unica corretta. Conoscendovi, non avevo alcun dubbio che
avreste agito in questa maniera. Vi prego di agire nel senso indicato
dalla vostra proposta, e l’Armata rossa manterrà la sua pressione su
Berlino negli interessi della nostra causa comune. Debbo dichiarare,
per vostra informazione, che ho dato analoga risposta al Presidente
Truman, il quale mi ha pure rivolto la stessa domanda.
298
Churchill risponde: “Sono compiaciuto di sapere che non
dubitavate del modo in cui avrei agito, e in cui sempre agirò, verso il
vostro glorioso Paese e voi stesso. A questo proposito la condotta
britannica e, ne sono sicuro, quella americana proseguiranno
secondo le linee da voi approvate e noi tutti e tre seguiteremo a
tenerci pienamente informati a vicenda”.
Dopo di allora, però, fra Churchill e Stalin prevalgono, e in
maniera crescente, i contrasti. Anche fra il “mastino” e Truman non
sono tutte rose e fiori, come dimostra la lettera del 4 giugno 1945:
“Sono certo che capirete la ragione per cui tengo ansiosamente a una
data anteriore. Guardo con profonda sfiducia il ritiro dell’esercito
americano alla nostra linea d’occupazione nel settore centrale, che ha
per effetto di portare la potenza sovietica nel cuore dell’Europa
occidentale e di far calare una cortina di ferro tra noi e tutto quanto
si trova ad est. Speravo che questo ritiro, se proprio doveva essere
fatto, fosse accompagnato dalla sistemazione di molte grandi cose che
sarebbero il vero fondamento della pace mondiale. Non si è ancora
sistemato nulla di veramente importante, e voi e io dovremo sostenere
gravi responsabilità per l’avvenire. Spero quindi ancora che la data
venga anticipata”. Ma ormai Churchill e l’Inghilterra sono davvero
l’ultima ruota del carro: USA e URSS vanno avanti senza tenere molto
conto di Churchill che, ed è il colmo, viene sconfitto nelle elezioni
inglesi ed esce ufficialmente di scena nel luglio 1945.
Quando, però, il “mastino” si reca per vari mesi negli Stati Uniti da
privato cittadino, visita la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e
tiene, nel marzo 1946 a Fulton nel Missouri, una conferenza. Dice:
“Un’ombra è calata sulla scena di recente così vivamente illuminata
dalla vittoria degli Alleati. Nessuno sa cosa intendono fare
nell’immediato futuro la Russia e la sua organizzazione comunista
internazionale, ne quali siano i limiti, ammesso che esistano, delle
loro tendenze espansionistiche e del loro proselitismo. Nutro
l’ammirazione e la considerazione più vive per il valoroso popolo
299
russo e per il mio camerata del tempo di guerra, il maresciallo Stalin.
Esistono una simpatia ed una benevolenza profonde in Gran
Bretagna, ed anche qui, nei riguardi dei popoli di tutte le Russie,
nonché la determinazione di perseverare, ad onta di numerose
divergenze e ripulse, nel conseguimento dell’amicizia durevole. Ci
rendiamo conto dell’esigenza della Russia di sentirsi sicura sulle
proprie frontiere occidentali mediante l’eliminazione di ogni
possibilità di un’aggressione tedesca. Diamo il benvenuto alla Russia
nel suo giusto posto tra le più grandi nazioni del mondo. Siamo lieti di
vederne la bandiera sui mari. Soprattutto siamo lieti che abbiano
luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i
nostri popoli a entrambi i lati dell’Atlantico. E tuttavia mio dovere,
poiché ne sono certo voi desiderate che io vi esponga i fatti quali li
vedo, prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in
Europa. Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, nell’Adriatico, un sipario
di ferro è calato sul continente. Dietro di esso si trovano tutte le
capitali degli antichi Stati dell’Europa centrale e orientale. Tutte
queste famose città e le popolazioni intorno ad esse si trovano in
quella che debbo chiamare la sfera sovietica, e tutte sono soggette, in
una forma o nell’altra, non solo all’influenza sovietica ma ad
un’altissima e in molti casi crescente misura di controllo da Mosca.
La sola Atene in Grecia, con le sue glorie immortali, è libera di
decidere il proprio avvenire mediante elezioni, con osservatori
britannici, americani e francesi. Il Governo polacco dominato dai
russi è stato incoraggiato ad avanzare enormi e ingiuste pretese sulla
Germania, e sta avendo luogo in questo momento un’espulsione in
massa di milioni di tedeschi, su scala atroce e mai sognata prima
d’oggi. I partiti comunisti, che erano assai piccoli in tutti quegli Stati
orientali d’Europa, sono stati innalzati ad un predominio e ad un
potere di gran lunga sproporzionati al numero dei loro aderenti e
stanno tentando ora dovunque di conquistare il dominio totalitario.
Governi polizieschi prevalgono quasi in ogni caso e fino a questo
300
momento, tranne che in Cecoslovacchia, non esiste una democrazia
autentica. La Turchia e la Persia sono entrambe profondamente
allarmate e turbate dalle rivendicazioni avanzate e dalla pressione
esercitata su di esse dal Governo di Mosca. A Berlino, i russi stanno
tentando di organizzare un partito quasi-comunista nella loro zona
della Germania occupata favorendo in modo particolare gruppi di
capi politici tedeschi con tendenze di sinistra. Al termine dei
combattimenti, nello scorso giugno, gli eserciti americano e
britannico si sono ritirati ad ovest, in base ai termini del precedente
accordo, per una profondità che in taluni punti arriva ai 240
chilometri e su un fronte di quasi 650 chilometri, allo scopo di
consentire ai nostri alleati russi di occupare quella vasta distesa di
territorio che le democrazie occidentali avevano conquistato. Se ora il
Governo sovietico tenterà, mediante un’azione unilaterale, di creare
nelle sue zone una Germania favorevole al comunismo, ciò
determinerà nuove gravi difficoltà nelle zone britannica e americana,
e darà ai tedeschi sconfitti il modo di porsi all’asta tra i sovieti e le
democrazie occidentali. Qualsiasi conclusione si possa trarre da
questi fatti, e si tratta di fatti, non è questa la libera Europa per
edificare la quale noi combattemmo. Né è un’Europa che contenga gli
elementi essenziali di una stabile pace”.
E’ una delle ultime zampate di Churchill, anche perché il Primo
Ministro inglese Attlee, di fronte a forti reazioni mondiali, alla
dichiarazione di Stalin alla Pravda che accusa l’ex primier inglese di
invocare la guerra contro l’Unione Sovietica paragonandolo a Hitler, e
a interrogazioni di deputati alla Camera dei Comuni, dichiara
seccamente: “Non sono tenuto ad esprimere alcun giudizio su un
discorso pronunciato in un Paese straniero da un privato cittadino”.
Dopo vari anni di quasi silenzio, nel 1951 il “mastino” torna al
Governo come Primo Ministro e caratterizza la sua Amministrazione
con l’attenuazione della politica economica dirigista del precedente
governo di stampo laburista del quale, però, mantiene le principali
301
riforme. In politica estera, essendo ormai la tensione fra Americani e
Russi giunta a livelli altissimi, tenta di mitigare i contrasti con
l’Unione Sovietica. E quando il 9 marzo 1953 Radio Mosca dà
l’annuncio della morte di Stalin, Churchill spera di poter avviare un
dialogo con i successori ai quali invia un messaggio di cordoglio e
condoglianze per la scomparsa del vecchio leader. Nello stesso anno
gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura.
Nell’aprile del 1955 Churchill si ritira dalla vita politica per il
notevole declino, ha 81 anni, delle sue condizioni di salute. Quasi
dieci anni dopo, il 10 gennaio 1965, viene colto da un violento colpo
apoplettico e, due settimane dopo, muore. Da circa un mese e mezzo
ha compiuto 90 anni.
I funerali di Stato, decretati in onore di Churchill, erano stati
concessi in Inghilterra, a parte i sovrani, solo a Nelson e al duca di
Wellington. Nel messaggio al Parlamento, la regina lo definisce “Un
eroe nazionale” e Attlee dice di lui che è “il più grande inglese del
nostro tempo e a mio giudizio il più grande cittadino del mondo del
nostro tempo”.
302
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I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Empty
MessaggioTitolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 6:37 pm

CAP. XVIII
COMPARAZIONI SINTETICHE DEI CINQUE
PROTAGONISTI
Data di nascita e luogo di nascita:
Churchill: 30 novembre 1874 a Blenheim nell’Oxfordshire (circa
80 chilometri da Londra), Gran Bretagna.
Stalin: 21 dicembre 1879 a Gori nella Georgia (circa 2.000
chilometri da Mosca), Russia.
Roosevelt: 30 gennaio 1882 a Hyde Park nello Stato di New York
(pochi chilometri da New York), Stati Uniti.
Mussolini: 29 luglio 1883 a Predappio nella Romagna (circa 350
chilometri da Roma e 300 da Milano), Italia.
Hitler: 20 aprile 1889 a Braunau am Inn nel Tirolo (circa 500
chilometri da Vienna), Austria.
Condizione sociale dei genitori:
Churchill: nobile/alto borghese (il padre è un lord figlio di un
duca; la madre è un’americana figlia del proprietario del New York
Times).
Stalin: operaia (il padre è calzolaio e operaio in fabbrica; la madre
è cameriera).
Roosevelt: alto borghese ( il padre è capitalista e imparentato con il
Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt).
Mussolini: operaia/piccolo borghese ( il padre è fabbro; la madre è
maestra elementare).
Hitler: borghese ( il padre è un funzionario di dogana).
303
Anno di morte del padre:
Churchill ha 21 anni quando, nel 1895, muore il padre.
Stalin ha 11 anni quando, nel 1890, muore il padre.
Roosevelt ha 18 anni quando, nel 1900, muore il padre.
Mussolini ha 27 anni quando, nel 1910, muore il padre.
Hitler ha 14 anni quando, nel 1903, muore il padre.
Mogli, figli e relazioni:
Churchill: nel 1908 a 34 anni sposa Clementine Hozier dalla quale
ha 5 figli.
Stalin: nel 1906 a 27 anni sposa Ekaterina Svanidze dalla quale ha
un figlio. Nel 1919 sposa Nadezda Allilueva (che si suicida nel 1932
per violenti contrasti con Stalin) dalla quale ha altri due figli, un
maschio e una femmina, Svetlana, che gli suscita una morbosa gelosia.
Roosevelt: nel 1905 a 23 anni sposa Eleanor Roosevelt dalla quale
ha 6 figli. E’ nota la sua lunga e appassionata relazione, iniziata nel
1913, con la segretaria Lucy Mercer che ha 9 anni meno di Roosevelt.
Mussolini: nel 1915 a 32 anni sposa Rachele Guidi (con la quale
convive dal 1909) e ha 5 figli. Sono note numerose relazioni con altre
donne dalle quali, forse, ha avuto altri figli. La più lunga è quella con
Clara Petacci che ha 29 anni meno di Mussolini e si fa fucilare con lui.
Hitler: nel 1945 a 56 anni (poche ore prima di suicidarsi con lei)
sposa Eva Braun con la quale convive da 13 anni e che ha una ventina
di anni meno di lui. Non ha figli. E’ nota una strana relazione di Hitler
nel 1928 con la figlia, di 22 anni più giovane di lui, di una sua
sorellastra. La ragazza si suicida 3 anni dopo per disperazione.
Titolo di studio:
Churchill: brevetto d’ufficiale al Royal Military College di
Sandhurst nel 1895 a 21 anni.
304
Stalin: nessun diploma di scuola superiore, ma la frequenza di 5
anni di seminario a Tiflis (interrotta nel 1899 a 19 anni e sei mesi)
equivalenti all’intero liceo e ad un anno di università.
Roosevelt: primo livello di laurea alla Harvard University nel 1904
a 22 anni.
Mussolini: diploma di maestro elementare al collegio Giosuè
Carducci di Forlimpopoli nel 1901 a 18 anni.
Hitler: nessun diploma di scuola superiore, lascia la scuola nel
1905 a 16 anni.
Primo lavoro esercitato:
Churchill: secondo luogotenente di cavalleria ad Aldershot nel
1895 a 21 anni.
Stalin: impiegato dell’Osservatorio Geofisico a Tiblis nel 1899 a
20 anni.
Roosevelt: praticante avvocato nello studio legale Carter-Ledyard-
Milburn a New York nel 1905 a 23 anni.
Mussolini: supplente maestro nella scuola elementare a Gualtieri
nel 1902 a 19 anni.
Hitler: pittore commerciale a Vienna nel 1910 a 21 anni.
Inizio dell’attività politica:
Churchill: candidato deputato, sconfitto alle elezioni suppletive a
Oldham nel 1899 a 25 anni.
Stalin: capo agitatore di operai a Batum nel 1901 a 22 anni.
Roosevelt: candidato senatore, vincente allo Stato di New York nel
1910 a 28 anni.
Mussolini: segretario del Circolo Socialista a Gualtieri nel 1902 a
19 anni.
Hitler: oratore propagandista nel Partito Tedesco dei Lavoratori
(DAP) a Monaco nel 1919 a 30 anni.
305
Capo di un partito:
Churchill: in pratica capo del partito conservatore nel 1940 a 66
anni.
Stalin: del partito comunista russo nel 1924 a 45 anni.
Roosevelt: praticamente capo del partito democratico nel 1932 a 50
anni.
Mussolini: del fascio autonomo di azione rivoluzionaria nel 1915 a
32 anni.
Hitler: del Dap nel 1920 a 31 anni.
Tempo intercorrente fra l’inizio dell’attività politica e la
nomina a capo di un partito:
Churchill: 51 anni.
Stalin: 23 anni.
Roosevelt: 22 anni.
Mussolini: 13 anni.
Hitler: 1 anno.
Prima elezione a deputato o simile:
Churchill: deputato conservatore al Parlamento nel 1890 a 26 anni.
Stalin: membro del Comitato Esecutivo del Soviet a Pietrogrado
nel 1917 a 38 anni.
Roosevelt: senatore dello Stato di New York nel 1910 a 28 anni.
Mussolini: deputato del Blocco Nazionale al Parlamento nel 1921 a
38 anni.
Hitler: deputato al Parlamento nel 1932 a 43 anni (non era stato
eletto prima perché ancora mancante della cittadinanza germanica).
Primo incarico governativo:
Churchill: sottosegretario alle colonie nel Governo liberale di
Lloyd George nel 1906 a 32 anni.
Stalin: commissario delle nazionalità nel 1918 a 39 anni.
306
Roosevelt: sottosegretario alla marina durante la presidenza Wilson
nel 1913 a 31 anni.
Mussolini: primo ministro nel 1922 a 39 anni.
Hitler: primo ministro nel 1933 a 44 anni.
Primo Ministro o Capo dell’esecutivo:
Churchill: nel 1940 a 66 anni.
Stalin: nel 1941 a 62 anni (ma già dal 1930, a 51 anni, è il padrone
incontrastato del suo Paese).
Roosevelt: nel 1933 a 51 anni.
Mussolini: nel 1922 a 39 anni.
Hitler: nel 1933 a 44 anni.
Tempo intercorrente fra la prima elezione a deputato e la
nomina a primo ministro o capo dell’esecutivo:
Churchill: 50 anni.
Stalin: 24 anni.
Roosevelt: 23 anni.
Mussolini: 1 anno.
Hitler: 1 anno.
Tempo intercorrente fra il primo incarico governativo e la
nomina a primo ministro o capo dell’esecutivo:
Churchill: 34 anni.
Stalin: 23 anni.
Roosevelt: 20 anni.
Mussolini: 0 anni.
Hitler: 0 anni.
307
Capo dello Stato o simile:
Churchill: mai (c’è il re).
Stalin: nel 1941 a 62 anni.
Roosevelt: nel 1933 a 51 anni.
Mussolini: nel 1943 a 60 anni (della Repubblica Sociale Italiana,
nel Regno d’Italia c’è il re).
Hitler: nel 1934 a 45 anni.
Prima incarcerazione.
Churchill: viene ristretto in carcere per la prima e unica volta in
Sud Africa nel 1899 a 25 anni.
Stalin: a Batum nel 1902 a 23 anni ( ha il record degli arresti)..
Roosevelt: mai.
Mussolini: a Berna nel 1904 a 21 anni.
Hitler: a Monaco nel 1923 a 34 anni.
Ruolo svolto nella Prima Guerra Mondiale:
Churchill: inizialmente è primo lord dell’ammiragliato, poi deve
dimettersi per la disastrosa spedizione ai Dardanelli e per 6 mesi
comanda, come ufficiale, un battaglione in Francia, infine (1917) è
ministro delle munizioni.
Stalin: nessuno perché confinato in Siberia.
Roosevelt: è al governo come segretario alla Marina.
Mussolini: è, dal 1915 al 1917, soldato e poi sergente al fronte;
viene congedato dopo essere stato ferito e torna alla direzione del suo
giornale.
Hitler: soldato e poi caporale, viene ferito per due volte e si
guadagna la Croce di Ferro di prima classe.
Scrittura del primo libro pubblicato:
Churchill: “Col corpo di spedizione nel Malakand”, nel 1898 a 24
anni.
308
Stalin: “Il marxismo e la questione nazionale”, nel 1913 a 34 anni.
Roosevelt: mai.
Mussolini: “Claudia Particella l’amante del cardinale”, nel 1909 a
26 anni.
Hitler: “Mein Kampf (La mia battaglia)”, nel 1924 a 35 anni.
Direttore di giornale e giornalismo non scolastico:
Tutti i 5 protagonisti sono stati giornalisti, quantomeno pubblicisti,
mentre sono stati direttori di giornale, per la prima volta, solo:
Stalin: “Pravda” a Pietroburgo nel 1912 a 33 anni.
Mussolini: “L’avvenire del lavoratore” a Trento nel 1909 a 26
anni.
Incontri reciproci:
Churchill: Roosevelt nel periodo 1914/18 e dopo il 1939,
Mussolini fra il 1924 e il 1930, Stalin dopo il 1940.
Stalin: Churchill e Roosevelt separatamente e insieme dopo il
1940.
Roosevelt: Churchill, Stalin.
Mussolini: Churchill fra il 1924 e il 1929, Hitler dal 1934 al 1945.
Hitler: Mussolini.
Data, luogo, età e causa della morte:
Churchill: 10 gennaio 1965 a Hyde Park Gate, a 90 anni compiuti,
per colpo apoplettico.
Stalin: 6 marzo 1953 a Mosca, a 73 anni compiuti, per attacco
cardiaco e blocco celebrale.
Roosevelt: 12 aprile 1945 a Warm Springs, a 63 anni compiuti, per
emorragia celebrale.
Mussolini: 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, a 3 mesi dal
compimento del 62° anno di età, per fucilazione da parte dei partigiani
italiani.
309
Hitler: 30 aprile 1945 a Berlino, a 56 anni compiuti, per suicidio.
Attività nei seguenti anni presi a campione:
1890
Churchill (16 anni) è nella scuola di Harrow dove, tranne che in
storia, non brilla negli studi.
Stalin (11 anni) ha perso il padre dispotico e manesco e può
continuare a frequentare il collegio teologico.
Roosevelt (8 anni) studia privatamente con una maestra tedesca ed
è avvolto dall’affetto di entrambi i genitori.
Mussolini (7 anni) frequenta la seconda elementare nel paese
natale e vive nella più assoluta libertà di piccolo teppista repressa solo
da qualche cinghiata paterna.
Hitler (1 anno) vive, attentamente curato dalla madre, nella linda
casa del padre funzionario statale.
1895
Churchill (21 anni) perde il padre severo che, oltre ad essere lord,
è anche un importante esponente del mondo politico inglese. Poco
dopo consegue il brevetto d’ufficiale e il grado di secondo
luogotenente in un reggimento di cavalleria.
Stalin (16 anni) studia intensamente nel seminario di Tiblis e
sviluppa idee rivoluzionarie.
Roosevelt (13 anni) studia in casa e, con il padre, si dedica alla
caccia, alla pesca, all’equitazione e al golf.
Mussolini (12 anni) conclude le scuole elementari e inizia le medie
nel collegio Carducci di Forlinpopoli.
Hitler (6 anni) inizia a studiare a scuola e si mostra brillante ma
testardo.
310
1900
Churchill (26 anni) è deputato del Partito Conservatore.
Stalin (21 anni) è impiegato presso l’Osservatorio di Tiblis.
Roosevelt (18 anni) è studente universitario della facoltà di Legge.
Mussolini (17 anni) è studente del penultimo anno dell’istituto
Magistrale.
Hitler (11 anni) è studente della scuola elementare.
1903
Churchill (29 anni) è deputato del Partito Conservatore.
Stalin (24 anni) è clandestino e ha documenti falsi, pubblica
articoli sui giornali marxisti.
Roosevelt (21 anni) sta per laurearsi in legge.
Mussolini (20 anni) è in Svizzera dove fa il muratore e il
commesso ed è attivista del Partito Socialista oltre a scrivere sul
giornale “Avvenire del lavoratore”.
Hitler ( 14 anni) è di malavoglia studente dell’istituto tecnico.
1905
Churchill (31 anni) è deputato del Partito Liberale.
Stalin (26 anni) è un clandestino perché evaso dal confino in
Siberia e, oltre a continuare ad organizzare l’attività rivoluzionaria dei
lavoratori, aderisce alla corrente bolscevica del Partito Operaio
Socialdemocratico.
Roosevelt (23 anni) fa i primi passi come avvocato e si sposa.
Mussolini (22 anni) sta compiendo il servizio militare a Verona.
Hitler (16 anni) si ritira definitivamente dalla scuola.
1908
Churchill (34 anni) è Ministro degli Interni e collabora
strettamente con Lloyd George.
311
Stalin (29 anni) è a Baku dove dirige gli “espropri proletari”.
Roosevelt (26 anni) esercita la professione forense.
Mussolini (25 anni) abbandona l’insegnamento per dedicarsi
interamente alla politica.
Hitler (19 anni) è a Vienna dove viene respinto per la seconda
volta dall’Accademia di Belle Arti e si ritira in una totale solitudine.
1910
Churchill (36 anni) è Primo Lord dell’Ammiragliato e fa
incrementare le costruzioni navali.
Stalin (31 anni) continua a dirigere gli “espropri proletari”.
Roosevelt (28 anni) è senatore dello Stato di New York.
Mussolini (27 anni) è segretario della Federazione Socialista
Forlivese e direttore del giornale “Lotta di classe”.
Hitler (21 anni) è nella più assoluta povertà e solitudine.
1915
Churchill (41 anni) è Primo Lord dell’Ammiragliato e caldeggia la
disastrosa spedizione ai Dardanelli.
Stalin (36 anni) è relegato in Siberia al di sopra del Circolo Polare
Artico in un paesino lontanissimo dalla ferrovia Transiberiana mentre
la Russia è in guerra contro gli Imperi Centrali.
Roosevelt (33 anni) è Segretario Aggiunto alla Marina e caldeggia
la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra, ma Wilson non lo
appoggia.
Mussolini (32 anni) è direttore/proprietario del “Popolo d’Italia” e
si batte per l’entrata in guerra dell’Italia che avviene di lì a poco, poi
il futuro Duce va soldato al fronte.
Hitler (26 anni) è portaordini tedesco sul fronte francese dove si
comporta con abnegazione e coraggio.
312
1918
Churchill (44 anni) è Ministro delle Munizioni.
Stalin (39 anni) è Commissario delle Nazionalità nel primo
governo sovietico.
Roosevelt (36 anni) è ancora Segretario Aggiunto alla Marina.
Mussolini (35 anni) è alla guida del suo giornale e teorizza il
superamento del socialismo.
Hitler (29 anni) è sconvolto per la sconfitta della Germania che
attribuisce agli ebrei e ai socialdemocratici e decide di entrare in
politica per riscattare la patria tedesca.
1920
La bufera della Grande Guerra ha causato ben 1.700.000 morti e
4.950.000 feriti russi, 908.000 morti e 2.090.000 feriti della Gran
Bretagna, 650.000 morti e 947.000 feriti italiani, 117.000 morti e
204.000 feriti americani, 1.358.000 morti e 4.266.000 feriti francesi,
1.774.000 morti e 4.216.000 feriti tedeschi, 1.200.000 morti e
3.620.000 feriti austro-ungarici. Inoltre l’Impero Asburgico si è
dissolto, la Germania è stata notevolmente ridimensionata, sono nate
varie nazioni con diversi e consistenti gruppi etnici, e la Rivoluzione
Comunista Russa si è consolidata.
Churchill (46 anni) è Ministro alle Colonie.
Stalin (41 anni) è Commissario Speciale al fronte nella guerra
russo-polacca.
Roosevelt (38 anni) è candidato democratico alla vicepresidenza
degli Stati Uniti e viene battuto, quindi, scoraggiato, si ritira dalla
politica.
Mussolini (37 anni) è capo dei Fasci di Combattimento e sposta
decisamente verso destra l’asse della sua politica.
Hitler (31 anni) è il capo del DAP e lo ribattezza Partito
Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi.
313
1923
Churchill (49 anni) non è più ministro e, addirittura, viene battuto
alle elezioni.
Stalin (44 anni) è assistente di fiducia di Lenin e Segretario del
Comitato Centrale del Partito.
Roosevelt (41 anni) combatte contro la poliomielite che lo ha
aggredito da due anni.
Mussolini (40 anni) è Primo Ministro e inizia a “fascisteggiare” lo
Stato.
Hitler (34 anni) è stato condannato a cinque anni di fortezza e sta
scrivendo Mein Kampf.
1925
Churchill (51 anni) è Cancelliere dello Scacchiere nel Governo
conservatore di Baldwin.
Stalin (46 anni) è il capo assoluto del Partito che governa l’URSS.
Roosevelt (43 anni) ha ripreso l’attività forense e inizia a speculare
in borsa, guadagnando cifre considerevoli.
Mussolini (42 anni) è l’assoluto Duce e dittatore dell’Italia.
Hitler (36 anni) è capo assoluto del NSDAP e stenta ad affermarsi
per vie legali, come si è ripromesso.
1928
Churchill (54 anni) è ancora Cancelliere dello Scacchiere.
Stalin (49 anni) fa espellere Trotzkij dall’URSS.
Roosevelt (46 anni) viene eletto Governatore dello Stato di New
York.
Mussolini (45 anni) ha un potere personale quasi assoluto.
Hitler (39 anni) con il suo partito non ha ancora una consistente
forza elettorale.
314
1930
Churchill (56 anni) non ha alcun incarico governativo.
Stalin (51 anni) è il padrone assoluto dell’URSS, pur non
ricoprendo alcuna carica ufficiale nel Governo.
Roosevelt (48 anni) è il Governatore dello Stato di New York e
fronteggia efficacemente la disastrosa crisi economica.
Mussolini (47 anni) è sempre di più il Duce assoluto degli Italiani
e una star a livello mondiale. Conferma il suo prestigio prendendo
validi provvedimenti per superare la crisi economica e avviando una
serie di lavori e leggi per modernizzare il Paese.
Hitler (41 anni) non ha ancora raggiunto il potere, ma nelle
elezioni il suo Partito guadagna il 18% dei voti e si attesta come
seconda forza politica della Germania.
1932
Churchill (58 anni) è ancora senza incarichi governativi e
denuncia con lungimiranza i grandi pericoli del riarmo sotterraneo
tedesco, che si contrappone ad un certo lassismo inglese.
Stalin (53 anni) determina con la collettivizzazione dell’agricoltura
la morte di oltre 5 milioni di contadini, ma anche l’industrializzazione
del Paese.
Roosevelt (50 anni) è designato candidato democratico alla
presidenza degli USA.
Mussolini (49 anni) festeggia il decennale della Marcia su Roma e
si gloria dei grandi successi d’immagine che l’Italia coglie in cielo, in
terra e in mare.
Hitler (43 anni) sta per essere nominato Cancelliere del Reich e
continua a chiedere di essere ricevuto da Mussolini, che ancora non
l’accontenta.
315
1935
Churchill (61 anni) dapprima è preoccupatissimo di un eventuale
scontro navale italo-inglese, poi, con l’avvento dell’Home Fleet nel
Mediterraneo, si lamenta dell’imbelle comportamento del governo
inglese.
Stalin (56 anni) sollecita attraverso i “Fronti Popolari” un’alleanza
contro il nazifascismo, ma è del tutto assente dalla crisi italo-inglese.
Roosevelt (53 anni) è tutto preso dalla politica interna e si limita ad
invitare Mussolini a scongiurare la guerra.
Mussolini (52 anni) fa il possibile per ottenere il preventivo
assenso franco-inglese alla sua conquista dell’Etiopia. Poi mostra di
non temere le sanzioni votate dalla Lega delle Nazioni e un’eventuale
scontro armato con la Gran Bretagna.
Hitler (46 anni) offre materie prime all’Italia e, al tempo stesso,
fornisce armi all’Etiopia. Infine ammira ancora di più Mussolini per il
coraggio mostrato nei riguardi della Società delle Nazioni.
1937
Churchill (63 anni) è del tutto isolato nel mondo politico inglese
per la sua presa di posizione contro l’abdicazione del re e, ciò
nonostante, ha uno scontro verbale con l’ambasciatore tedesco a
Londra.
Stalin (58 anni) dalla Russia muove i fili della politica e
dell’azione bellica dei repubblicani-comunisti in Spagna, battendosi,
in questo modo, indirettamente contro Mussolini che appoggia i
franchisti.
Roosevelt (55 anni) si disinteressa della Spagna e di altri problemi
internazionali, occupato com’è a domare la Corte Suprema del suo
Paese.
316
Mussolini (54 anni) si gloria del successo delle truppe italiane a
Malaga in Spagna e cerca di ridurre Franco completamente ai suoi
voleri, senza riuscirvi.
Hitler (48 anni) ha la soddisfazione di far aderire Mussolini
all’idea dell’Asse Berlino-Roma e di convincerlo a recarsi in visita
ufficiale in Germania.
1938
Churchill (64 anni) fa di tutto per far assumere al governo inglese
una più decisa presa di posizione contro l’invadenza sempre maggiore
di Italia e Germania.
Stalin (59 anni) sta subendo sconfitte contro i fascisti in Spagna e
offre ai franco-inglesi la sua partecipazione e i suoi aiuti contro i
tedeschi, ricavandone rifiuti e l’esclusione dalla Conferenza di
Monaco.
Roosevelt (56 anni) finalmente si occupa dell’Europa, ma
Chamberlain cortesemente rifiuta il suo intervento.
Mussolini (55 anni) determina le dimissioni di Eden e continua ad
essere corteggiato da ogni parte. Poi, dopo il trionfo nella Conferenza
di Monaco, viene considerato il salvatore della pace.
Hitler (49 anni) ottiene l’Austria e i Sudeti e diviene sempre più
tracotante.
1939 (prima metà)
Churchill (65 anni) è ancora privo di incarichi governativi e passa
dall’indignazione alla gioia, e poi nuovamente all’indignazione per le
dichiarazioni e il comportamento di Chamberlain. Nei suoi discorsi e
nei suoi scritti valuta in modo abbastanza esatto la potenziale
pericolosità di Hitler, mentre esagera su quella di Mussolini, da lui
accreditato di poter attaccare con efficacia Grecia, Turchia, Malta e
l’intera flotta inglese.
317
Stalin (60 anni) in politica estera passa da un insuccesso all’altro e
i suoi militari in Spagna subiscono determinanti sconfitte.
Roosevelt (57 anni) blocca le esportazioni di materie prime
statunitensi al Giappone e scrive sterili messaggi ai capi dell’Asse.
Mussolini (56 anni) è irritato per la conquista hitleriana della
Boemia e, come rivalsa, occupa con titubanza l’Albania.
Hitler (50 anni) senza esitazioni occupa la Boemia e la fa da
padrone sull’ex Cecoslovacchia, ma quando minaccia la Polonia ha
una temporanea perplessità per i decisi impegni assunti
dall’Inghilterra.
1939 (seconda metà)
Churchill (65 anni) non appena scoppia la guerra, a furor di
popolo, torna al Governo con la carica di Primo Lord
dell’Ammiragliato.
Stalin (60 anni) firma il Patto con Hitler e s’impadronisce di quasi
metà Polonia, della Lettonia, dell’Estonia e della Lituania senza colpo
ferire, mentre in Finlandia le sue truppe, pur di tanto superiori per
numero, non si mostrano molto valide.
Roosevelt (57 anni) dichiara la neutralità degli Stati Uniti e invia
una lettera a Churchill, iniziando una corrispondenza molto importante
per il futuro della guerra.
Mussolini (56 anni) dopo esser venuto a conoscenza delle reali
condizioni del suo esercito, viene colto da timori e frustrazioni e
dichiara la non belligeranza.
Hitler (50 anni) conclude un patto con Stalin e invade la Polonia,
causando la Seconda Guerra Mondiale.
1940
Churchill (66 anni) è divenuto Primo Ministro e governa la Gran
Bretagna e le sue forze armate con grande coraggio e competenza.
318
Stalin (61 anni) è molto ossequioso nei confronti di Hitler, fin
quando questi non perde la Battaglia d’Inghilterra.
Roosevelt (58 anni) appoggia e rifornisce di tutto l’Inghilterra, poi
inventa la geniale legge Affitti e Prestiti che solleva la nazione amica
da ogni immediato pagamento.
Mussolini (57 anni) entra in guerra, pur sapendo
dell’impreparazione delle sue forze armate che comanda caoticamente,
conducendole a gravi insuccessi.
Hitler (51 anni) sconfigge rapidamente la Francia, ma non riesce a
battere l’aviazione inglese, ciò determina la decisione di rinviare
l’invasione della Gran Bretagna.
1941
Churchill (67 anni) è felice, nonostante i rovesci in Grecia e in
Libia e sul mare, perché Hitler ha commesso l’errore di attaccare la
Russia e di dichiarare guerra agli Stati Uniti.
Stalin (62 anni) rimane scioccato dall’attacco di Hitler alla Russia,
poi reagisce, difendendosi strenuamente, confortato dagli ingenti aiuti,
d’armi e di materiali, da parte americana e inglese.
Roosevelt (59 anni) vara la legge Affitti e Prestiti e riesce a farsi
attaccare dal Giappone e, di conseguenza, a farsi dichiarare guerra da
Hitler.
Mussolini (58 anni) occupa parte della Grecia e della Iugoslavia in
virtù del possente aiuto di Hitler, ma diviene subalterno del Führer.
Hitler (52 anni) passa da un successo militare all’altro, ma non
riesce a conquistate Mosca. Inoltre è costretto a dichiarare guerra agli
Stati Uniti.
319
1942
Churchill (68 anni) è sempre il membro più attivo nell’alleanza
contro Hitler, ma ormai non ne è il più importante e deve spesso
sottostare alle impennate di Stalin e alle decisioni di Roosevelt.
Stalin (63 anni) dopo aver resistito a nuovi attacchi tedeschi, passa
a un’efficace controffensiva e insiste violentemente affinché inglesi e
americani aprano un secondo fronte in Europa.
Roosevelt (60 anni) ha ormai la leadership degli angloamericani e
conferma, con entusiasmo, di dare la preferenza al fronte atlantico
rispetto a quello del Pacifico. Di conseguenza intensifica le forniture
di armi e materiali alla Russia e all’Inghilterra.
Mussolini (59 anni) si lamenta in privato dell’arroganza tedesca,
ma si esalta quando può occupare parte della Iugoslavia, della Grecia
e dell’Egitto, prestandosi al ridicolo dell’inutile attesa in Libia per
entrare ad Alessandria su di un cavallo bianco.
Hitler (53 anni) è meno sicuro della vittoria, nonostante qualche
nuovo successo che, a fine anno, si trasforma in dura sconfitta.
1943
Churchill (69 anni) è più che mai attivo e dirige, con mano decisa
da Quebec, le trattative per la resa dell’Italia.
Stalin (64 anni) continua a far arretrare e sconfiggere le armate
tedesche e gioisce alla caduta del suo vecchio avversario Mussolini.
Roosevelt (61 anni) registra solo successi e vorrebbe Mussolini in
mani Alleate per processarlo.
Mussolini (60 anni) come fu il primo fra i 5 protagonisti a
raggiungere il potere, ora è il primo a perderlo con una strana e
fatalistica rassegnazione.
Hitler (54 anni) sta prendendo coscienza che la guerra è persa, ma
si batte con furore e si meraviglia che Mussolini non faccia altrettanto.
320
1944 (prima metà)
Churchill (70 anni) dopo gli insuccessi e le prese in giro di
Teheran, si barcamena fra Roosevelt e Stalin che gli hanno tolto il
primato.
Stalin (65 anni) è più che mai soddisfatto per i successi militari e
politici che sta raccogliendo.
Roosevelt (62 anni) ha ormai l’assoluto primato fra gli alleati
occidentali e dà il via al grande sbarco in Normandia.
Mussolini (61 anni) dirige come un qualsiasi Quisling la
Repubblica Sociale Italiana ed è solo l’ombra del dittatore degli anni
Trenta. E’ probabile che neghi la grazia a Ciano per non deludere
Hitler.
Hitler (55 anni) sa di aver perso la guerra nonostante le armi
segrete e dà ordine alle sue truppe di resistere ferocemente perché non
ha vie d’uscita.
1944 (seconda metà)
Churchill (70 anni) riprende un ruolo più importante e tenta
invano di far intervenire i Russi in aiuto degli insorti di Varsavia.
Successivamente conclude a Mosca un accordo nel quale,
praticamente, cede a Stalin Romania e Bulgaria per ottenere la
preminenza in Grecia.
Stalin (65 anni) è più affabile con Churchill, ma freddamente
attende la totale soppressione degli insorti di Varsavia che non sono
comunisti per potere, in futuro, più facilmente dominare la Polonia
con elementi locali di sicura fede comunista.
Roosevelt (62 anni) è assorbito dalle elezioni e dà più spazio a
Churchill, ma non prende mai posizione contro Stalin.
Mussolini (61 anni) lascia mano libera ai suoi maggiori
collaboratori e a bande armate della Repubblica Sociale che si battono
contro i partigiani e commettono atrocità.
321
Hitler (55 anni) subisce un attentato e se la cava, riportando solo
leggere ferite. Continua pallidamente a credere nelle armi segrete e
ordina un contrattacco che fa eseguire nelle Ardenne.
1945
Churchill (71 anni) dopo essere riuscito a contenere e ad
allontanare parzialmente dalla Grecia il comunismo, partecipa alla
Conferenza di Yalta, ottenendo qualche risultato positivo. Ciò
nonostante a luglio perde le elezioni e la carica di Primo Ministro.
Stalin (66 anni) domina a Yalta e le sue armate conquistano
Berlino.
Roosevelt (63 anni) muore improvvisamente per collasso il 12
aprile.
Mussolini (62 anni) muore fucilato dai partigiani il 28 aprile.
Hitler (56 anni) muore suicida il 30 aprile.
1951
Churchill (77 anni) è tornato primo ministro e si adopera per
attenuare la crescente tensione fra Americani e Russi, dovuta alla
cortina di ferro e alla guerra fredda.
Stalin (72 anni) isola sempre di più se stesso, la Russia e i Paesi
satelliti. Teme d’essere avvelenato e prova gusto ad umiliare in
pubblico i suoi più importanti collaboratori.
1953
Churchill (79 anni) quando apprende della morte di Stalin, spera
di avviare un dialogo con i successori, senza però trovare validi
riscontri.
Stalin (74 anni) muore per attacco cardiaco ed ha un’agonia di
quattro giorni.
322
1965
Churchill (91 anni) muore per un violento colpo apoplettico e la
sua agonia dura due settimane.
Attività alla stessa età:
15 anni:
Churchill: 1889, frequenta la Harrow School e non va molto bene,
tranne che in storia.
Stalin: 1894, inizia a frequentare il seminario di Tiflis.
Roosevelt: 1897, è al suo primo anno della dura scuola di Croton
nel Massachusetts.
Mussolini: 1898, frequenta con profitto il collegio Carducci di
Forlimpopoli.
Hitler: 1904, la madre, vedova da poco, lo costringe a frequentare
il collegio di Teeyr dove il ragazzo continua ad andar male.
20 anni:
Churchill: 1894, è al Royal Military College quando apprende che
il padre ha solo sei mesi di vita.
Stalin: 1899, tutto preso dalla sua passione politica, lascia il
seminario.
Roosevelt: 1902, studia ad Harvard e scrive articoli progressisti sul
periodico dell’università.
Mussolini: 1903, è in Svizzera dove lavora come commesso, scrive
per un giornale e segue alcune lezioni all’università di Losanna.
Hitler: 1909, vive come un barbone a Vienna solo e senza soldi
25 anni:
Churchill: 1899, in Inghilterra si presenta alle elezioni e le perde
poi, è in Sud Africa come giornalista dove viene messo in prigione dai
Boeri.
323
Stalin: 1904, è un clandestino, scrive articoli per fogli marxisti e
organizza i lavoratori.
Roosevelt: 1907, esercita la professione legale.
Mussolini: 1908, insegna, come professore di francese, nel collegio
Calvi di Oneglia.
Hitler: 1914, entra da volontario nell’esercito germanico e viene
mandato al fronte in Francia.
30 anni:
Churchill: 1904, è deputato liberale da 4 anni.
Stalin: 1909, a Baku dirige i cosiddetti “espropri Proletari”.
Roosevelt: 1912, è senatore dello Stato di New York e vive ad
Albany, capitale dello Stato.
Mussolini: 1913, è molto attivo politicamente e direttore del
quotidiano Avanti! che porta al raddoppio della tiratura.
Hitler: 1919, a Monaco inizia la sua carriera politica nel DAP.
35 anni:
Churchill: 1909, è Primo Lord dell’Ammiragliato.
Stalin: 1914, è al confino in uno sperduto paese della Siberia.
Roosevelt: 1917, è segretario alla Marina nel governo del
Presidente Wilson.
Mussolini: 1918, è alla guida del suo giornale su posizioni
nazionaliste.
Hitler: 1924, esce il suo libro Mein Kampf mentre lui si rafforza
come capo del partito NSDAP.
40 anni:
Churchill: 1914, è ancora Primo Lord dell’Ammiragliato quando
scoppia la guerra e viene confermato.
Stalin: 1919, è Commissario Speciale del Governo e viene inviato
nei punti più caldi del fronte della guerra civile.
324
Roosevelt: 1922, lotta coraggiosamente contro la poliomielite che
lo ha aggredito improvvisamente.
Mussolini: 1923, è Primo Ministro e incomincia a “fascisteggiare”
lo Stato.
Hitler: 1929, inizia a ricevere aiuti dagli industriali e il suo Partito
raccoglie il 18% dei voti.
45 anni:
Churchill: 1919, è Ministro della Guerra e dell’Aviazione ed
insiste per l’intervento armato contro la Russia rivoluzionaria e
comunista.
Stalin: 1924, morto Lenin, conquista la guida assoluta del Partito.
Roosevelt: 1927, è rimasto semiparalitico ma è tornato in piena
attività non politica e guadagna cifre considerevoli, speculando con
spregiudicatezza nel mondo finanziario.
Mussolini: 1928, gode di un potere personale quasi assoluto come
dittatore e favorisce l’esaltazione della sua personalità.
Hitler: 1934, morto Hindemburg, diviene Führer e Cancelliere del
Reich accorpando nella sua persona i massimi poteri della Germania.
50 anni
Churchill: 1924, cambia partito, viene eletto deputato conservatore
e ottiene la carica di Cancelliere dello Scacchiere.
Stalin: 1929, dittatore assoluto, avvia l’industrializzazione rapida e
la collettivizzazione forzata nelle campagne.
Roosevelt: 1932, viene designato candidato democratico alla
presidenza degli Stati Uniti e per la prima volta adopera l’espressione
New Deal.
Mussolini: 1933, propone un patto a 4 fra Italia, Francia,
Inghilterra e Germania per assicurare la pace in Europa.
Hitler:1939, conclude un patto con Stalin e invade la Polonia
causando la dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna.
325
55 anni
Churchill: 1929, perde ogni incarico governativo e assume
posizioni di rigido estremismo imperialistico.
Stalin: 1934, a costo di milioni di morti, è riuscito a far divenire
l’URSS una potenza industriale e nel Paese il culto della sua
personalità raggiunge livelli enormi.
Roosevelt: 1937, privilegia decisamente la politica interna rispetto
a quella estera e riesce a “domare” la Corte Suprema che viene
definita “Corte Roosevelt”.
Mussolini: 1938, già colmo di successi interni ed internazionali,
con la Conferenza di Monaco raggiunge il suo apogeo.
Hitler: 1944, le continue sconfitte che deve accusare da più di un
anno lo hanno ridotto a un vecchio con la voce roca e le mani
tremanti.
60 anni
Churchill: 1934, da anni non ha più incarichi di governo, ma
continua ad occuparsi di politica mondiale, di riarmo e di disarmo.
Stalin: 1939, firma un patto con Hitler e s’impadronisce di mezza
Polonia e degli Stati Baltici.
Roosevelt: 1942, è in guerra contro il Giappone e contro Italia e
Germania e privilegia il maggior sforzo bellico del suo Paese contro
queste ultime due.
Mussolini: 1943, dopo il voto del Gran Consiglio, viene fatto
arrestare dal re, che nomina al suo posto il maresciallo Badoglio.
Hitler: 1949, è morto suicida da 4 anni.
65 anni
Churchill: 1939, scoppiata la guerra torna al governo come Primo
Lord dell’Ammiragliato.
Stalin: 1944, è trionfante in guerra contro Hitler e prepara
accortamente le frontiere e le zone d’influenza del dopo conflitto.
326
Roosevelt: 1947, è morto da 2 anni per emorragia celebrale.
Mussolini: 1948, è morto fucilato da 3 anni.
70 anni
Churchill: 1944, la guerra volge a favore degli Alleati, ma ora è
preoccupato per l’invadenza di Stalin.
Stalin: 1949, ha chiuso l’URSS e i suoi satelliti in una “cortina di
ferro” ed è in corso una “guerra fredda” con gli Occidentali.
75 anni
Churchill: 1949, non ha da 4 anni incarichi governativi.
Stalin: 1954, è morto da 1 anno per attacco cardiaco.
80 anni
Churchill: 1954, è da 3 anni tornato Primo Ministro. Si ritirerà nel
1955 e morirà nel 1965 per un colpo apoplettico.
327
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MessaggioTitolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18)   I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) EmptyMer Ott 22, 2014 6:40 pm

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
ALLILUYEVA SVETLANA, Venti lettere a un amico, Mondadori
1967.
ANDRIOLA FABIO, Carteggio segreto Mussolini-Churchill, Piemme
1996.
BERNERI CAMILLO, Mussolini grand’attore, Chessa 1983.
BERNOTTI ROMEO, Cinquant’anni nella marina militare, Mursia
1971.
BOCCA GIORGIO, Mussolini socialfascista, Garzanti 1983.
BOCCA GIORGIO, La repubblica di Mussolini, Mondadori Editore
1994.
BRACHER K.D., La dittatura tedesca, Il Mulino 1983.
BRAGADIN MARC’ANTONIO, Che ha fatto la Marina?,Garzanti
1955.
BULLONK ALAN, Hitler e Stalin, Garzanti 1995.
CARTIER RAYMOND, La seconda guerra mondiale (2 volumi),
Mondadori Editore 1968.
CHURCHILL WISTON, La seconda guerra mondiale (6 volumi),
Mondadori Editore 1948/53.
CIANO GALEAZZO, Diario 1937-1943, Rizzoli 1980.
CROCKER GEORGE, Lo stalinista Roosevelt, Edizioni del Borghese
1963.
CRUSCEV, Kruscev ricorda, Sugar, 1970.
DE FELICE RENZO, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi Editore
1965.
DE FELICE RENZO, Mussolini il fascista, Einaudi Editore 1970.
DE FELICE RENZO, Mussolini il duce, Einaudi Editore 1974.
DE FELICE RENZO, Mussolini l’alleato, Einaudi Editore 1990.
DEIGHTON LEN, La guerra lampo, Longanesi & C 1981.
DEUTSCHE ISAAC, Stalin, Longanesi 1983.
EINAUDI MARIO, La rivoluzione di Roosevelt, Einaudi 1959.
FEST JOACHIM, Hitler, Rizzoli 1974.
FORTUNA-UBOLDI, Sbrindellato scalzo in groppa a un ciuco, ma
col casco d’Africa ancora in capo,Mondadori Editore 1976.
328
FROMM ERICH, Anatomia della distruttività umana, Mondadori
Editore 1978.
GALLI GIORGIO, Hitler e in nazismo magico, Rizzoli 1989.
GERVASO ROBERTO, Claretta, Rizzoli 1982.
GILBERT MARTIN, Churchill, Mondadori Editore 1992.
GREEN GERALD, Olocausto, Sansoni 1980.
HILLGRUBER ANDREAS, La strategia militare di Hitler, Rizzoli
1968.
HITLER ADOLF, La mia battaglia, Bompiani 1939.
HITLER ADOLF, Idee sul destino del mondo (3 volumi), Edizioni di
A.R. 1980.
KIRKPATRIK IVONE, Mussolini, Dall’Oglio 1981.
MANCHESTER WILLIAM, Churchill, l’ultimo leone, Frassinelli
1985.
MASER WERNER, Hitler segreto, Garzanti 1974.
MCGREGOR BURNS JAMES, Roosevelt, Dall’Oglio.
MONTALBANO GIUSEPPE, Stalin, Togliatti,Gramsci. I crimini di
Stalin, Krinon 1988.
MONTANELLI INDRO, L’Italia di Giolitti, Rizzoli 1974.
MONTANELLI INDRO, L’Italia in camicia nera, Rizzoli 1976.
MONTANELLI-CERVI, L’Italia littoria, Rizzoli 1979.
MONTANELLI-CERVI, L’Italia dell’Asse, Rizzoli 1980.
MONTANELLI-CERVI, L’Italia della disfatta, Rizzoli 1982.
MONTANELLI CERVI, L’Italia della guerra civile, Rizzoli 1983.
MONTELATICI PIER FRANCESCO, Se Hitler fosse andato a sud...,
Oceania Edizioni 1988.
MORRIS JAMES, Pax britannica, Rizzoli 1983.
MUSSOLINI BENITO, Testamento politico di Mussolini, Sentinella
d’Italia 1983.
MUSSOLINI BENITO, Mussolini contro il mito di Demos, Semtinella
d’Italia 1983.
MUSSOLINI RACHELE, La mia vita con Benito, Mondadori Editore
1948.
NOVE ALEC, Stalin e il dopo Stalin in Russia, Il Mulino 1976.
ODDATI NICOLA, Churchill, Roosevelt e il caso Sforza, Edisud
1984.
329
PAYNE ROBERT, Hitler, Dall’Oglio 1974.
ROMOLOTTI GIUSEPPE, 1919 la pace sbagliata, Mursia 1969
SERENY GITTA, In lotta con la verità, Rizzoli 1995.
SHERWOOD ROBERT, La seconda guerra mondiale nei documenti
segreti della Casa Bianca, Garzanti 1949.
SHIRER WILLIAM, Storia del terzo Reich, Einaudi 1962.
SMITH DENIS MACK, Mussolini, Rizzoli 1981
SMITH DENIS MACK, I Savoia re d’Italia, Rizzoli 1990.
SPINOSA ANTONIO, Edda una tragedia italiana, Mondadori
Editore 1993.
SPINOSA ANTONIO, I figli del duce, Rizzoli 1983.
STALIN JOSIF, Marxismo e la questione nazionale e coloniale,
Einaudi 1975.
TUCKER ROBERT, Stalin il rivoluzionario, Feltrinelli 1973.
ULAM ADAM, Stalin, Garzanti 1975.
VITALI GIORGIO, Franklin Delano Roosevelt, Mursia 1991.
ZUCCOTTI SUSAN, Olocausto in Italia, Mondadori Editore.
330
INDICE DEI NOMI
Alexander: 242, 248, 259, 260,
298
Alfieri: 234
Allilueva Nadezda: 228, 235
Ambrosio: 232, 233
Amery: 165
Andrews: 214
Anfuso: 91
Aosta: 196
Attlee: 86, 291, 298, 299
Badoglio: 88, 92, 174, 236, 237,
241, 242, 243, 245, 246, 258,
259, 324
Balabanoff:44, 45, 57
Balbo: 68
Baldwin: 51, 63, 78, 86, 88, 92,
94,97, 312
Bastico:103, 222
Battisti Cesare: 45
Bava Beccaris: 27
Beck: 127
Bedell Smith: 230, 242
Beria: 293
Bevan: 86
Bismarck: 196
Bizer: 283
Blum: 115
Bombacci: 280
Bonomi: 281
Bor: 264
Bormann: 290
Bottai: 195, 234
Brauchitsch: 219
Braun: 289, 290, 303
Brivolesi: 198
Brokie: 36
Bucharin: 72
Buffarini Guidi: 234, 280, 283
Bull: 255
Carducci: 27
Carter - Ledyard - Milburn: 38,
304
Carton De Viart: 240
Casero: 223
Cassandra: 128
Castellano: 240, 241, 242
Cavallero: 219, 221, 222, 232
Chamberlain: 32, 38, 63, 85, 93,
94, 97, 106, 107, 108, 109,
113, 115, 117, 118, 119, 124,
125, 126, 127, 128, 129,132,
134, 135, 139, 141, 146, 160,
182, 315
Chiang Kai Shek: 206, 247, 249,
279, 291
Churchill Randolph: 11,17,20,32
Ciano: 92, 99,101, 125, 129, 132,
140, 142, 143, 144, 145, 146,
158, 172, 174, 175, 177, 178,
180, 195, 196, 197, 198, 199,
220, 221, 222, 223, 224, 228,
232, 234, 235, 261, 262, 319
Ciccotti: 46
Comte: 24
Cooper: 119
Cox: 49
Crispi: 27
331
Cunningham: 168, 244
Curtin: 230
Darwin: 24
D’Annunzio: 59
D’Assia: 121, 122, 132
Davide: 103
De Bono: 80, 88
De Gasperi: 45
De Gaulle: 166, 227
Deladier: 115, 125
Delano Warren: 12
Depretis: 14
De Stefani: 234
Dewey: 263
Disraeli: 11
Dollfuss: 75, 76, 123
Dowding: 162
Drake: 132, 164
Duff: 119
Dzugasvili Jakov: 228
Dzugasvili Svetlana: 227, 228,
297, 303
Dzugasvili Vasilij: 228
Eden: 78, 82, 83, 85, 90, 93, 106,
107, 108, 109,110, 113, 119,
165, 167, 168, 202, 217, 225,
254, 272, 274, 315
Eisenhower: 231, 240, 241, 242,
243, 244, 248
Everest: 11
Facello: 46
Farinacci: 234, 241
Faruk: 277
Flandin: 90, 93, 94
Franco: 91, 95, 96, 99, 100,101,
102, 120, 130, 131, 314
Fromm: 290
Gambara: 220
Gandhi: 63
Garibaldi: 12
Gariboldi: 221
Gauleiter: 197
Geladze Ekaterina :12
Geli: 289, 290
Gengis Khan: 285
Giotto: 197
Goebbels: 288, 290
Goethe: 290
Golia: 103
Goring: 54, 70, 129, 162, 175,
232, 234, 286
Gramsci: 47
Grandi: 76,
Graziani:88, 143, 175, 177, 178,
197
Grey: 205
Gromyko: 278
Guderian: 285
Guidi Rachele: 46, 57, 303
Haldane: 35; 36
Halifax: 109, 113, 115, 117, 137
Hanisch: 47
Harriman: 205, 226
Harrison: 20
Harwood: 215
Haushoher: 54
Hess: 54, 196
Hewel: 224
Himmler: 193, 283, 295
Hindemburg: 64, 66, 323
Hitler Alois: 15, 28
Hitler Klara: 15
Hoare: 78, 79, 80, 85, 87, 88, 92,
94
Hood: 23
Hoover: 61
Hopkins: 74, 206, 263, 271, 273
Hoss: 193
332
Howe: 40, 50
Hozier: 303
Ibn Saud: 277
Inskip: 95
Jacob: 230
Jodl: 220
Juarez: 13
Kazbegi: 23
Keckoveli. 24
Keitel: 220
Kesselring: 197
Kitchener: 34, 35
Koba: 23, 41
Kruscev: 294
Lanzillo: 46
Laval: 77, 78, 79, 86, 87, 92
Lenin: 41, 42, 51, 52, 73, 312,
323
Leonardi: 233
List: 196
Litvinov: 147, 151, 214
Lloyd George: 38, 51, 84, 91,
165, 305, 310
Loraine: 144
Lothian: 94
Mac Arthur: 247
Mac Donald: 71, 77, 78,
Machiavelli: 13
Macmillan: 231
Mahdi: 35
Maltoni:13
Mancini: 232, 281
Marinelli: 234
Marinetti: 57
Marras: 178, 219
Marshall: 215, 252, 263, 278
Marx: 13,24
Matteotti: 60
Mazzini: 58
Mazzolini: 222
Mc Kinley: 22
Menelik: 27, 76
Mercer: 303
Mikojan: 294
Mikolajczyk: 265
Molotov: 145, 151, 185, 200,
225, 226, 228, 278
Muller: 53
Mussolini Alessandro:13
Mussolini Edda: 46, 57, 261, 262
Mussolini Rachele: 281
Napoleone: 164, 187, 216, 219,
220, 288
Nelson: 164, 299
Neville: 94
Nietzsche: 46
Noble: 140
Panunzio: 46
Panza: 224
Papandreu: 270
Pareto: 44
Particella Claudia: 45,
Pavelic: 195
Pavlov: 100
Pavolini: 280, 283
Peabody: 21
Petacci: 175, 198, 261, 281, 283,
303
Petain: 166
Peth: 132
Pitt: 287
Plechanov: 24
Prezzolini: 46
Raeder: 180, 181
Rafanelli: 57
Rahn: 280
Reisehower: 230
Renzetti: 70, 71
333
Ribbentropp: 97, 98, 114, 120,
132, 133, 142, 143, 145, 146,
148, 150, 152, 158, 219, 223,
276
Roatta: 100,101,102, 103,
Roehm: 54
Rohm: 72
Rommel: 190, 219, 221, 222,
227
Roosevelt Eleanor: 40, 50, 303
Roosevelt Elliott: 250, 254
Roosevelt Theodore: 21, 22, 38,
39, 49, 302
Rosebery:19
Rosemberg: 54
Rossoni: 234
Salvemini: 47
Sansonetti: 198
Sarfatti: 57
Schleincher: 72
Schuschnigg: 120, 121
Schuster: 123, 282
Selassié: 77, 87, 277
Serraut: 90
Settimelli: 282
Sheehan: 39
Simpson: 97
Smuts: 167
Soddu: 174, 176, 177
Sorel: 46, 57
Speer: 288
Starace: 174
Stefani: 237
Stettinius: 271
Strasser: 56
Svanidze Ekaterina: 41, 228, 303
Suner: 132
Taylor: 242
Thomson: 16
Togliatti: 104
Trotzkij: 52, 72, 313
Truman: 291, 295, 296
Verdi: 27
Vigneri: 237
Viscinkij: 267
Visconti Prasca: 176, 177
Von Paulus: 219, 245
Von Richthonfen: 100
Von Seeckt: 64, 65
Voroscilov: 151, 226, 252
Wagner: 29, 280
Wawell: 165, 167, 190, 239
Welles: 106, 158
Wigram: 93, 94,
Wilson: 40, 49, 208, 244, 270,
305, 311, 322
Winant: 205
Wolff: 262, 280
Yung: 65
Zanussi: 240
Zog: 133
Zucov: 293
334
INDICE
PREFAZIONE ...................................................................................... 5
CAP. I - QUANDO E DOVE E DA QUALI GENITORI E IN QUALI
AMBIENTI NASCONO I CINQUE PROTAGONISTI ...................... 9
CAP. II - DOVE STUDIANO E QUALI TITOLI SCOLASTICI
OTTENGONO I CINQUE PROTAGONISTI ................................... 15
CAP. III - QUAL E’ L’IMPATTO CON IL LAVORO E QUALI
SONO I PRIMI PASSI IN POLITICA DEI CINQUE
PROTAGONISTI ............................................................................... 30
CAP. IV - I CINQUE PROTAGONISTI DURANTE E DOPO LA
GRANDE GUERRA 1914/18 ............................................................ 48
CAP. V - QUATTRO DEI CINQUE PROTAGONISTI
CONSOLIDANO O CONQUISTANO IL POTERE ......................... 60
CAP. VI - LE AMBIZIONI DI HITLER SULL’AUSTRIA E LA
GUERRA DI MUSSOLINI IN ETIOPIA COINVOLGONO
PARZIALMENTE GLI ALTRI PROTAGONISTI ........................... 73
CAP. VII - RENANIA E SPAGNA COINVOLGONO QUATTRO
DEI CINQUE PROTAGONISTI ....................................................... 90
CAP. VIII - ROOSEVELT SI FA VIVO NELLE QUESTIONI
EUROPEE MENTRE AUSTRIA E CECOSLOVACCHIA
IMPEGNANO INTENSAMENTE QUATTRO DEI CINQUE
PROTAGONISTI ............................................................................. 106
335
CAP. IX - LE INVASIONI DI HITLER IN CECOSLOVACCHIA E
DI MUSSOLINI IN ALBANIA AVVICINANO L’EUROPA ALLA
GUERRA, MA NON RISULTANO DECISIVE ............................. 127
CAP. X - SCOPPIA LA SECONDA GUERRA MONDIALE CON
HITLER E STALIN INIZIALI PROTAGONISTI MENTRE
CHURCHILL RITORNA AL GOVERNO ...................................... 141
CAP. XI - DALLA VITTORIA IN FRANCIA DI HITLER E
DALL’INGRESSO DI MUSSOLINI IN GUERRA AI PRIMI
GRANDI INSUCCESSI ITALIANI ................................................ 160
CAP. XII - HITLER PRENDE SOTTO TUTELA MUSSOLINI,
INVADE I BALCANI, ATTACCA STALIN E DICHIARA
GUERRA A ROOSEVELT CON GRANDE SOLLIEVO DI
CHURCHILL ................................................................................... 188
CAP. XIII - CHURCHILL E ROOSEVELT DAI GRAVI ROVESCI
IN ESTREMO ORIENTE E DAI DIFFICILI RAPPORTI CON
STALIN AI SUCCESSI CONTRO HITLER E MUSSOLINI IN
AFRICA ........................................................................................... 213
CAP. XIV - MENTRE STALIN TRIONFA AD ORIENTE E
CHURCHILL E ROOSEVELT INVADONO LA SICILIA,
MUSSOLINI VIENE ARRESTATO E L’ITALIA CHIEDE
L’ARMISTIZIO SUSCITANDO LA VIOLENTA REAZIONE DI
HITLER ............................................................................................ 233
CAP. XV - DALL’INCONTRO DI TEHERAN FRA ROOSEVELT,
STALIN E CHURCHILL AL GRANDE SBARCO IN
NORMANDIA ................................................................................. 249
CAP. XVI - DAI PROBLEMI PER LA POLONIA E DAGLI
ACCORDI FRA CHURCHILL E STALIN PER GRECIA E
ROMANIA ALLA CONFERENZA DI YALTA E ALLA MORTE DI
ROOSEVELT, MUSSOLINI E HITLER ........................................ 265
336
CAP. XVII - DALLA CORTINA DI FERRO ALLA MORTE DI
STALIN E A QUELLA DI CHURCHILL ....................................... 294
CAP. XVIII - COMPARAZIONI SINTETICHE DEI CINQUE
PROTAGONISTI ............................................................................. 303
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ..................................................... 328
INDICE DEI NOMI ......................................................................... 331
337
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