| | I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) | |
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Bruno Admin
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| Titolo: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 12:29 pm | |
| L’atteggiamento, però, cambia sensibilmente quando la tenace resistenza inglese fa comprendere che la guerra sarà lunga e dura anche per i tedeschi. Il Ministro degli Esteri Molotov, nel novembre 1940 a Berlino, pretende che la Germania delimiti rigorosamente le zone di sua influenza rispetto a quelle russe e solleva la questione della striscia di territorio lituano occupato dai tedeschi. Hitler gli risponde: “Dopo la conquista dell’Inghilterra, l’Impero britannico sarà liquidato né più né meno di una gigantesca proprietà mondiale in bancarotta dall’estensione di 40 milioni di chilometri quadrati. In questa proprietà in bancarotta la Russia avrà accesso all’oceano sgombro di ghiacci e realmente libero. Sinora una minoranza di 45 milioni di inglesi ha governato 600 milioni di abitanti dell’Impero britannico. Io sto ora per schiacciare questa minoranza. Anche gli Stati Uniti non stanno facendo altro che prelevare da questa proprietà in bancarotta alcune partite particolarmente confacenti ai loro interessi”. 187 CAP. XII HITLER PRENDE SOTTO TUTELA MUSSOLINI, INVADE I BALCANI, ATTACCA STALIN E DICHIARA GUERRA A ROOSEVELT CON GRANDE SOLLIEVO DI CHURCHILL HITLER, dopo la forzata rinuncia ad invadere l’Inghilterra, si ritrova con un immenso potenziale bellico adatto a qualsiasi impresa sul continente e progetta, contravvenendo al suo principio di “uno alla volta”, di invadere la Russia entro il 15 maggio 1941 (Operazione Barbarossa). La data, attentamente studiata, gli consente di poter disporre di mesi e mesi di tempo buono per percorrere, con le proprie armate, le sconfinate distese russe senza incorrere nel “generale inverno” che sconfisse il grande Napoleone. Le recenti esperienze in Polonia e in Francia permettono di valutare in 8 settimane il tempo occorrente per ridurre il Paese di Stalin in proprio potere. Però gli imprevisti insuccessi di Mussolini sul mare e in Egitto e l’assurda impresa in Grecia, lo costringono ad inviare una sua armata aerea in Sicilia, un piccolo esercito corazzato in Libia e a intervenire in Grecia. Comunica, quindi, questi suoi progetti al Duce in un incontro a gennaio in Germania, durante il quale riesce a frenare l’irritazione per la sprovvedutezza del socio e si mostra cordiale e comprensivo, e, con le lacrime agli occhi, gli dice di aver condiviso le angosce italiane. Poi, abbandonata l’emozione, si diffonde a parlare di ciò che ha intenzione di fare contro la Grecia (operazione Marita) che consiste nell’utilizzare la posizione tedesca in Romania e quella che si accinge ad avere in Bulgaria per travolgere ogni resistenza alla frontiera nord-orientale che, d’altra parte, è abbastanza sguarnita, essendo quasi tutto l’esercito greco impegnato contro gli italiani in 188 Albania. Inoltre pensa di avvalersi dell’appoggio della Iugoslavia, alla quale ha promesso alcuni compensi territoriali. A marzo, puntualmente, la Bulgaria aderisce al Patto Tripartito mentre la Iugoslavia, sobillata abilmente da Churchill, si rifiuta di farlo, suscitando la tremenda collera di Hitler che, il 27 marzo, convoca l’Alto Comando Tedesco e dice: “L’attacco avrà inizio non appena siano pronti i mezzi e le truppe necessarie. Un aiuto militare effettivo contro la Iugoslavia dovrà essere chiesto all’Italia, all’Ungheria e, parzialmente, anche alla Bulgaria. Gli ambasciatori ungherese e bulgaro sono già stati convocati; in giornata verrà inviato un messaggio al Duce. Politicamente è di grandissima importanza che l’operazione venga effettuata con spietata durezza e che la distruzione dell’esercito sia compiuta con una campagnalampo. In questo modo s’incuterebbe alla Turchia la necessaria paura e s’influirebbe favorevolmente sulla successiva campagna contro la Grecia. Si può prevedere che i Croati si schiereranno al nostro fianco allorché attaccheremo. Ad essi verrà assicurato un trattamento politico corrispondente (successivamente l’autonomia). La guerra contro la Iugoslavia dovrebbe essere popolare in Italia, Ungheria e Bulgaria, poiché questi Stati si possono ripromettere acquisti territoriali: la costa adriatica all’Italia, il Banato all’Ungheria, e la Macedonia alla Bulgaria. Il piano presuppone che noi affrettiamo al massimo i tempi di tutta la preparazione e impieghiamo forze così ingenti da far sì che il crollo della Iugoslavia abbia luogo in brevissimo tempo(...) Il compito principale dell’aviazione è di iniziare la demolizione degli impianti a terra dell’aviazione iugoslava e di distruggere la capitale, Belgrado, con attacchi ad ondate successive”. Subito dopo Hitler telegrafa a Mussolini: “Duce, gli avvenimenti mi obbligano a comunicarvi con questo più rapido mezzo la mia opinione sulla situazione e le conclusioni che se ne possono trarre. 1) Sin dall’inizio ho considerato la Iugoslavia come un elemento pericoloso nel conflitto con la Grecia. Considerato dal punto di vista 189 puramente militare, l’intervento tedesco sul fronte di Tracia non potrebbe essere interamente giustificato sinché l’atteggiamento della Iugoslavia rimanesse incerto ed essa potesse minacciare il fianco sinistro delle colonne avanzanti sul nostro enorme fronte. 2) Per questo motivo, ho fatto tutto il possibile e mi sono onestamente sforzato per far entrare la Iugoslavia nella nostra alleanza, tenuta insieme da reciproci interessi. Sfortunatamente questi tentativi sono falliti, forse perché essi hanno avuto inizio troppo tardi per produrre risultati concreti. Le notizie odierne non lasciano alcun dubbio circa l’imminente mutamento della politica estera iugoslava. 3) Io non considero questa situazione come catastrofica; comunque essa è difficile e noi dobbiamo, per parte nostra, evitare qualunque errore se non vogliamo, alla fine, mettere in pericolo tutta la situazione. 4) Ora vi prego cordialmente, Duce, di non iniziare altre operazioni in Albania durante i prossimi pochi giorni. Ritengo necessario che voi copriate e proteggiate con tutte le forze disponibili i passi più importanti fra Iugoslavia ed Albania. Queste misure non dovrebbero essere considerate di lunga durata, ma solo precauzioni per prevenire un’eventuale crisi durante un periodo di almeno 14 giorni o 3 settimane. Ritengo inoltre necessario, Duce, che rinforziate le vostre unità alla frontiera italo-iugoslava con tutti i mezzi disponibili e con la massima rapidità. Se si manterrà il segreto su queste misure, io non dubito, Duce, che assisteremo entrambi ad un successo non inferiore a quello norvegese. Questa è la mia granitica convinzione”. Il 6 aprile 1941 le armate tedesche invadono la Grecia e la Iugoslavia. Anche le truppe italiane attaccano e conquistano rapidamente l’intera costa adriatica in Iugoslavia, Gianina, Patrasso e alcune isole in Grecia. Il 12 aprile i tedeschi sono a Belgrado e il 18, appena 12 giorni dopo l’inizio delle ostilità, gli iugoslavi firmano la resa che lascia alle forze dell’Asse ben 334.000 prigionieri! Anche la Grecia, già consunta da 6 mesi di guerra contro l’Italia, si arrende il 20 190 aprile ai tedeschi e il 23 agli italiani, e questa differenza di date causa qualche dissapore ed incidente fra gli eserciti invasori. Il mese prima, esattamente il 2 marzo 1941, in Libia il generale inglese Wavell così giudica la situazione militare: “ 1) Le ultimissime informazioni indicano che i recenti rinforzi giunti in Tripolitania comprendono due divisioni italiane di fanteria, due reggimenti italiani di artiglieria motorizzata e truppe corazzate tedesche pari, secondo stime, al massimo agli effettivi di un gruppo di brigate corazzate. 2) Da Tripoli ad Angheila al confine delle Cirenaica, intercorrono 760 chilometri e da Tripoli a Bengasi circa 1045. Vi è un’unica strada e i pozzi d’acqua sono insufficienti per oltre 650 chilometri; questi fattori, insieme con la mancanza di trasporti, limitano la portata dell’attuale minaccia del nemico. Non ritengo che con tali forze tenterà di riconquistare Bengasi. I rischi dei trasporti marittimi, le difficoltà delle comunicazioni e l’approssimarsi della stagione calda, rendono improbabile un attacco in grande stile prima della fine dell’estate. La minaccia aerea italiana contro la Cirenaica è attualmente quasi trascurabile. Viceversa i tedeschi si sono insediati ottimamente nel Mediterraneo centrale...”. La previsione risulta completamente sbagliata, perché il nuovo comandante delle truppe italo-tedesche, il generale Rommel, muove all’attacco e, in meno di due settimane, conquista l’intera Cirenaica ad esclusione di Tobruk, facendo prigionieri ben 4 generali inglesi. Questa impresa riabilita le capacità del soldato italiano che, non appena dispone di qualche vero carro armato (e non di quelle scatolette da 1 e 3 tonnellate), di artiglieria motorizzata e di un buon comandante, non ha nulla da invidiare al soldato inglese. Lo stesso Rommel, sorpreso dal buon comportamento delle divisioni italiane in Libia, scrive sul suo diario: ”C’era da sentirsi rizzare i capelli in testa pensando con quale armamento il Duce mandava a combattere le sue truppe...”. Eppure Hitler, nonostante questi brillanti e rapidi successi in Iugoslavia, Grecia e Libia, che gli fanno ritrovare anche una 191 qualche fiducia nel grosso esercito italiano, non muta i suoi progetti russi per dedicarsi al Medio Oriente, che potrebbe essere la vera chiave di volta per sconfiggere definitivamente l’Inghilterra e trascura buone possibilità anche di occupare l’Iraq e la Siria, ma si limita a far conquistare, dopo una sanguinosissima battaglia, l’isola di Creta. Nulla gli fa mutare il suo progetto “Barbarossa”, nemmeno il suo ambasciatore a Mosca che gli dice: Sono convinto che Stalin è pronto a farci concessioni ancora maggiori. E’ già stato segnalato ai nostri inviati economici che, se noi lo chiediamo tempestivamente, la Russia potrebbe fornirci ogni anno fino a 5 milioni di tonnellate di grano”. Non ci riesce nemmeno il competentissimo Segretario del Ministero degli Esteri che, il 28 aprile 1941, scrive: “Posso riassumere in una sola frase il mio punto di vista circa un conflitto russo-tedesco. Se ogni città russa ridotta in cenere valesse per noi quanto una nave da guerra britannica affondata, sarei un sostenitore della guerra russotedesca durante la prossima estate; ma sono convinto che noi trionferemmo della Russia soltanto sul piano militare, mentre dall’altro lato rimarremmo sconfitti sul piano economico. Si può forse considerare una prospettiva attraente quella di dare al sistema comunista un colpo mortale e si potrebbe anche dire che è nella logica delle cose riunire il continente euroasiatico contro il mondo anglosassone ed i suoi adepti. Ma l’unico fattore decisivo sta nel sapere se questo progetto affretterà o meno la sconfitta dell’Inghilterra. Dobbiamo distinguere due possibilità: A) L’Inghilterra è prossima al collasso. Se accettiamo questa ipotesi, facendoci un nuovo nemico noi incoraggeremo l’Inghilterra a resistere. La Russia non è affatto un alleato potenziale degli inglesi. L’Inghilterra non può aspettarsi nulla di buono dalla Russia. La Russia non spera affatto di differire il crollo dell’Inghilterra. Distruggendo la Russia, noi non distruggiamo alcuna speranza inglese. B) Se non crediamo nel crollo imminente dell’Inghilterra, allora viene spontaneo di pensare che noi dobbiamo, con l’uso della 192 forza, trarre i nostri alimenti dal territorio sovietico. Sono perfettamente convinto che avanzeremo vittoriosamente fino a Mosca e oltre. Dubito assai però che saremo in grado di trar profitto da ciò che avremo conquistato di fronte alla ben nota resistenza passiva degli slavi. Non scorgo nello Stato russo alcuna opposizione effettivamente capace di succedere al sistema comunista, di fare causa comune con noi e di esserci utile. Noi dovremmo pertanto ritenere probabile la continuazione del sistema staliniano nella Russia Orientale e in Siberia e una ripresa delle ostilità nella primavera del 1942. La finestra sul Pacifico rimarrebbe sbarrata. Un attacco tedesco contro la Russia avrebbe il solo risultato d’infondere nei britannici nuova fiducia. Esso sarebbe interpretato nell’Isola come prova che i tedeschi sono incerti circa l’esito della lotta contro la Gran Bretagna. Con ciò noi non soltanto ammetteremmo che la guerra si avvia a continuare per molto tempo, ma in realtà contribuiremmo a prolungarla invece di abbreviarla”. A sua volta l’ambasciatore tedesco a Mosca il 7 maggio dice: “Stalin ha assunto la Presidenza del Consiglio dei Commissari del Popolo. La ragione di questo cambiamento può essere cercata nei recenti errori di politica estera, come l’offerta di garanzie alla Iugoslavia, che hanno portato ad un raffreddamento della cordialità dei rapporti tedesco-sovietici, per la cui creazione e per il cui mantenimento Stalin si è consapevolmente battuto. Con la sua nuova carica Stalin assume la responsabilità di tutti gli atti del suo Governo, sia all’interno che all’estero(...). Sono convinto che Stalin si servirà della sua nuova posizione per collaborare personalmente al mantenimento e allo sviluppo delle buone relazioni fra l’URSS e la Germania”. Nulla da fare: Hitler è deciso! Prima dell’attacco dice a tutti i comandanti: “I metodi impiegati contro i Russi debbono essere diversi da quelli impiegati contro l’Occidente. La lotta contro l’URSS deve condursi alla maniera russa. Non avendo i sovietici firmato la 193 convenzione dell’Aja, il trattamento dei loro prigionieri non deve uniformarsi a detta convenzione, e i cosiddetti commissari non dovranno essere considerati prigionieri di guerra”. Preceduto da una dichiarazione di guerra consegnata all’ambasciatore russo a Berlino alle 4 del mattino del 22 giugno 1941, un esercito di 3.050.000 soldati, fra tedeschi e loro alleati, invade la Russia. Sono 12 armate con 145 divisioni tedesche, delle quali 19 corazzate, e 23 divisioni alleate (finlandesi, slovacche e rumene) per un totale di 168 divisioni. Contro vi sono ben 4.700.000 soldati sovietici, suddivisi in 186 divisioni, che non si attendevano assolutamente un attacco tedesco, giunto così inaspettato per loro, nonostante i ripetuti tentativi di Churchill di mettere sull’avviso uno Stalin assolutamente incredulo. Ciò consente ai 2.600 aerei tedeschi di distruggere molti dei 5.000 aerei sovietici, direttamente nei vari aeroporti. Churchill, ancora una volta lucido e prontissimo, non frappone indugi e, d’accordo con Roosevelt, offre aiuti di materiali ed armi a Stalin, che li accetta. Nei mesi estivi i successi tedeschi in territorio russo sono clamorosi e l’avanzata è rapida. Hitler, con la prospettiva sempre più reale della vittoria, crede che tutto gli sia possibile anche l’eliminazione totale degli ebrei europei, che aveva dovuto sospendere a causa delle proteste dell’opinione pubblica. Ora ha dato un altro nome alla terribile operazione: la chiama “soluzione finale” e Himmler, nell’estate del 1941, convoca a Berlino Hoss, il comandante di Auschwitz, e gli dice: “Il Führer ha ordinato la soluzione finale della questione ebraica e noi, le SS, dobbiamo eseguire tale ordine (...) Ho scelto Auschwitz per tale compito (...). Sarà un compito oneroso e difficile e richiederà il suo impegno personale più totale. Lei manterrà il più stretto riserbo in merito a tale ordine, anche nei confronti dei suoi superiori (....) Ciascun ebreo su cui riusciamo a mettere le mani deve essere sterminato, senza eccezione alcuna. Se 194 non riusciamo a distruggere ora il fondamento biologico dell’ebraismo, un giorno gli ebrei distruggeranno il popolo tedesco”. Nel frattempo in autunno i russi riescono a contrapporsi più validamente all’avanzata tedesca e addirittura tentano qualche contrattacco. Hitler non riesce a conquistare Mosca: l’avanzata delle sue truppe si ferma il 2 dicembre 1941, a soli 10 chilometri dalla capitale. Sembra di essere tornati ad un anno e mezzo prima, quando l’Inghilterra sembrava a portata di mano per l’invasione che non avvenne. Così, ora, in Russia Mosca è lì, ma i tedeschi non riescono a farla loro. E i Russi, come gli Inglesi, non chiedono né la pace né l’armistizio, mentre alcuni alti comandanti germanici scongiurano i diplomatici di far capire ad Hitler “che tutto l’andamento della guerra in Russia è pura follia, che l’esercito tedesco è sottoposto a un’usura che non può reggere e che infine egli sta conducendo la Germania verso la rovina”. Come se non bastasse, il Giappone, il 7 dicembre 1941, attacca gli Stati Uniti a Pearl Harbor nelle isole Hawaii e chiede a Germania e Italia, in virtù del trattato che le lega, di dichiarare guerra alla potentissima nazione americana dove Roosevelt, ricevendo Churchill a Washington, ha stabilito la produzione per il 1942 di: 45.000 aerei da combattimento, 45.000 carri armati, 20.000 cannoni antiaerei, 14.900 cannoni anticarro e 500.000 mitragliatrici che si andranno a sommare ai 15.000 aerei e 5.000 carri armati e ai 25.000 aerei e ai 24.000 carri armati che saranno prodotti rispettivamente da Inghilterra e Russia contro i 23.000 aerei e i 20.000 carri armati che sono previsti in Germania sempre per il 1942, mentre la previsione di produzione giapponese di armi è molto più bassa e scarsamente rilevante è quella italiana! MUSSOLINI, dopo i grandi insuccessi della fine del 1940 e dell’inizio del 1941, deve accettare, probabilmente con sollievo, il ruolo subalterno nei confronti di Hitler che, comunque salva sempre le 195 forme e continua ad usare un tono rispettoso verso di lui. Ma, nella sostanza, è ormai il Führer che decide la politica militare anche nei quadranti nei quali Mussolini aveva voluto condurre la sua guerra parallela. Dopo l’aprile 1941 le truppe italiane controllano parte della Iugoslavia e della Grecia e fervono le discussioni con il capo croato Pavelic sul re italiano da dare alla Croazia e su quanto territorio annettere direttamente all’Italia. Di tanto in tanto re Vittorio Emanuele III interviene nelle discussioni, per chiedere che venga creato, in omaggio alla moglie montenegrina, il regno del Montenegro. Il Duce sembra divenuto più realistico, ma subito torna all’abitudine del bluff quando i suoi paracadutisti, che sono in tutto 150, occupano l’isola greca di Cefalonia. Infatti dice a Ciano: “Poiché abbiamo ormai un buon nucleo di paracadutisti, potremo, anche se sono solo un reggimento, dire che ne abbiamo una divisione”. Il 28 maggio, dopo un forte discorso di Roosevelt contro l’Asse, Mussolini si scaglia contro il Presidente Americano dicendo: “Nella storia non si è mai visto un popolo retto da un paralitico. Si sono avuti re calvi, re grossi, re belli e magari stupidi, ma mai re che per andare in gabinetto, al bagno, o a tavola avessero bisogno di essere retti da altri uomini”. Solo due giorni dopo, nonostante la conquista di Creta proceda bene, il Duce ce l’ha con i tedeschi per la loro invadenza anche a Zagabria e dice: “Ci lascino tranquilli e si ricordino che noi per loro abbiamo perso un impero (infatti gli inglesi hanno conquistato l’Etiopia oltre alla Somalia e all’Eritrea). Ho una spina nel cuore per il fatto che la Francia battuta ha il suo impero intatto e noi abbiamo perso il nostro”. A sua volta il gerarca Bottai, intervenendo in un dibattito sull’America, dice: “Roosevelt è il vero dittatore: il nostro sistema, come quelli sempre fioriti sulle sponde del Mediterraneo, sarebbe invece una tirannia”. 196 Quando il 10 giugno 1941 ricorre il primo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, Mussolini si confessa: “Non ha importanza che i tedeschi riconoscano sulla carta i nostri diritti sulla Croazia, quando in pratica si prendono tutto e a noi lasciano un mucchietto di ossa. Sono canaglie in malafede e vi dico che così non potrà durare a lungo. Non so nemmeno se gli intrighi tedeschi permetteranno ad Aimone Aosta di salire veramente sul trono croato. Io, del resto, ho la nausea dei tedeschi da quando List fece l’armistizio con la Grecia alle nostre spalle ed i fanti della divisione Casale, forlivesi che odiano la Germania, trovarono al ponte di Perati un soldato germanico, a gambe larghe, che sbarrava loro il cammino e rubava il frutto della vittoria. E personalmente ne ho le tasche piene di Hitler e del suo modo di fare. Questi colloqui preceduti da una chiamata col campanello non mi piacciono: col campanello si chiamano i camerieri. Poi che razza di colloqui sono? Debbo per 5 ore assistere ad un monologo abbastanza noioso ed inutile. Ha parlato per ore e ore di Hess, della Bismarck, di cose più o meno afferenti alla guerra, ma senza un ordine del giorno, senza sviscerare il problema, senza prendere una decisione. Io intanto continuo le fortificazioni del Vallo alpino. Un giorno serviranno. Per il momento non c’è niente da fare. Bisogna urlare con i lupi. Ed è così che oggi alla Camera farò una sviolinata alla Germania. Ma il mio cuore è pieno d’amaro”. Alle 3 del mattino del 22 giugno Hitler fa recapitare una lunga lettera a Mussolini nella quale spiega in toni abbastanza dimessi le ragioni del suo attacco alla Russia. E’ un’azione tanto inaspettata che Ciano tutta la mattinata non riesce a trovare nessuno all’ambasciata sovietica: erano tutti al bagno a Fregene! Passano solo pochi giorni e già giungono notizie di grandi successi tedeschi: ben 1.700 aeroplani russi distrutti in una sola notte! L’umore del Duce è tornato cangiante come nei tempi dell’invasione tedesca in Polonia, quando non sapeva risolversi a intervenire o meno nel conflitto e provava paura per tutto. Così il 2 197 luglio, quando Hitler lo invita al suo Quartier Generale, è entusiasta e, il 5 luglio, dice al Consiglio dei Ministri: “L’America interverrà, ma è scontato, la Russia sarà battuta in un breve lasso di tempo e ciò farà recedere la Gran Bretagna dalla sua intransigenza. Odio l’Inghilterra perché mi ha fatto perdere l’Impero, ma lo riconquisterò ad ogni costo”. Poi, solo un giorno dopo, il suo umore cambia e dice: “Io prevedo come inevitabile una crisi tra Italia e Germania. Ormai è evidente che si preparano a chiederci il confine a Salorno, e forse a Verona. Ed ormai mi pongo seriamente il quesito se per il nostro futuro non è più auspicabile una vittoria inglese che una vittoria tedesca. Intanto gli inglesi volano sulla Germania anche di giorno, e ciò mi fa piacere perché, siccome bisognerà batterci con i tedeschi, non si deve creare il mito della loro invincibilità. Ciò nonostante ho poca fiducia nella nostra razza: al primo bombardamento che distruggesse un campanile famoso o un quadro di Giotto, gli italiani si faranno prendere da una crisi di sentimento artistico e alzeranno le braccia. Dobbiamo ringraziare Graziani: è a lui che dobbiamo se il nostro prestigio va a farsi fottere, anzi è già fottuto”. A proposito di bombardamenti, quelli inglesi imperversano sull’Italia e in particolare su Napoli, e Mussolini dice: “Sono lieto che Napoli abbia delle notti così severe. La razza diventerà più dura. La guerra farà dei napoletani un popolo nordico”. I mesi successivi portano alti e bassi militari in Libia e sul mare, oltre a notevoli problemi per le forze d’occupazione italiane in Montenegro e in Grecia, dove le popolazioni sono alla fame. Poi, il 30 settembre, Mussolini è felice ed orgoglioso dei successi conseguiti dai circa 80.000 uomini che costituiscono il corpo di spedizione italiano in Russia. Immediatamente parte per un giro d’ispezione in Russia, dove sembra che un ufficiale tedesco avrebbe detto di lui: “Ecco il nostro Gauleiter per l’Italia”. Di ritorno il Duce si lamenta con Ciano: “Il primo disco era quello dell’Italia, alleata fedele, su di un piano di parità, signora del Mediterraneo come la Germania era la 198 signora del Baltico. Poi è venuto il secondo disco, quello dopo le vittorie. Cioè: l’Europa sarà dominata dalla Germania. Gli Stati vinti saranno delle vere e proprie colonie. Gli Stati associati saranno provincie confederate. Tra queste la più importante è l’Italia. Bisogna accettare questo stato di cose perché ogni tentativo di reazione ci farebbe declassare dalla condizione di provincia confederata a quella ben peggiore di colonia. Anche se domani chiedessero Trieste nello spazio vitale germanico, bisognerebbe piegare la testa. Infine c’è la possibilità di un terzo disco: quello che verrà inciso se la resistenza anglo-americana renderà utile per i tedeschi la nostra collaborazione. Ma ciò è di là da venire”. Dopo altre settimane, mentre i tedeschi incominciano a segnare il passo davanti a Mosca, qualche gerarca fascista incomincia a dire che “il Duce è decaduto intellettualmente e fisicamente perché è il prodotto della sifilide”. A novembre Hitler invia una lunga lettera a Mussolini e lo esorta a fare attenzione a eventuali sbarchi inglesi in Corsica, in Sicilia e in Sardegna, poi invia in Italia il Maresciallo Kesselring per prendere il comando delle forze di stanza nel meridione del Paese e nelle isole Ioniche. La sudditanza italiana aumenta, rafforzata anche da un nuovo rovescio militare in mare: si tratta della flotta che, scortando un convoglio, non solo perde tutti i piroscafi scortati, ma anche un paio di cacciatorpediniere. Puntuale, Mussolini si lamenta dicendo: “Sarei fiero anch’io di mandare un telegramma come quello spedito da Churchill al suo ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne cerco l’occasione”. Non prende però alcun provvedimento a carico dell’ammiraglio Brivolesi, che era stato giudicato da altri militari inidoneo al comando di una flotta. Provvede, invece, il Sottocapo di Stato Maggiore Sansonetti, mettendo in giro la fantasiosa notizia che un sommergibile italiano ha affondato due piroscafi nemici da diecimila tonnellate, che poi diventano trentamila. Ma ormai, nel caos 199 dirigenziale che aumenta, si dice anche che alcuni ammiragli sono intoccabili, perché debbono il posto alla protezione della giovane e bella favorita del Duce, Claretta Petacci. Alla fine di novembre Ciano partecipa alla riunione Anticomintern in Germania e annota sul suo diario: “I tedeschi erano i padroni di casa e lo facevano sentire anche se con noi usavano un garbo del tutto speciale. Ormai questa egemonia europea è stabilita: sarà bene o male, questo è un altro discorso: ma c’è. Quindi conviene sedere alla destra del padrone di casa. E noi siamo alla destra”. E questa posizione viene confermata dalla battaglia di Marmarica in Libia, dove i soldati italiani si comportano molto bene, costringendo i tedeschi a esaltare il valore militare italiano. Improvvisamente il 3 dicembre 1941 l’ambasciatore giapponese chiede udienza a Mussolini e gli dice che i negoziati per l’eliminazione dell’embargo commerciale americano stanno fallendo. Chiede quindi che l’Italia dichiari guerra agli Stati Uniti appena il conflitto americano-giapponese scoppierà. Il Duce si mostra stranamente contento e ritrova gli antichi accenti quando afferma: “Ecco che si arriva alla guerra dei continenti: quello che avevo previsto sino da settembre del 1939”. A sua volta Ciano è convinto, e non è certo il solo, che Roosevelt sia riuscito a realizzare l’abile e subdola manovra a lungo architettata: non potendo ancora entrare in guerra contro Hitler per le resistenze isolazioniste del suo Paese, ha tanto provocato il Giappone da farsi dichiarare guerra, con la conseguenza di coinvolgere anche la Germania e l’Italia. Nella Russia di STALIN, nel giugno del 1941, girano voci d’un attacco tedesco e Molotov, il giorno 13, fa presente all’ambasciatore germanico che: “I circoli responsabili di Mosca hanno ritenuto necessario dichiarare che si tratta di una grossolana manovra propagandistica delle forze schierate contro l’URSS e contro la Germania, che hanno interesse ad allargare e a inasprire la guerra”. Poi, il giorno prima del grande attacco, sempre Molotov dice 200 all’ambasciatore tedesco: “Il Governo sovietico non riesce a capire le ragioni dell’insoddisfazione tedesca. Se la questione iugoslava aveva a suo tempo dato origine a tale malcontento, sono convinto di aver chiarito definitivamente, con la precedente nota, la questione la quale per di più è ormai cosa passata. Sarei grato se mi poteste indicare le ragioni che hanno provocato l’attuale situazione nei rapporti tra la Germania e la Russia sovietica”. Infine, quando all’alba del 22 giugno l’ambasciatore tedesco si presenta da Molotov con la dichiarazione di guerra, si sente rispondere: “E’ la guerra. I vostri aeroplani hanno bombardato poco fa una diecina di villaggi indifesi. Siete convinti che ci siamo meritato questo?”. A sua volta Stalin rimane tanto sconvolto e sorpreso dall’attacco tedesco che, per quasi un mese, scompare dalla scena al contrario di Churchill che, estremamente felice di aver automaticamente acquisito un nuovo e potente alleato, si precipita a scrivere al dittatore russo. La risposta gli giunge solo il 19 luglio, quando Stalin sembra aver superato lo choc, e dice: “Lasciate che vi esprima la mia gratitudine per i due messaggi personali che mi avete indirizzato. I vostri messaggi rappresentarono il punto di partenza di trattative tra i nostri due governi che sboccarono successivamente in un accordo. Ora, come voi dite assai giustamente, l’URSS e la Gran Bretagna sono diventate alleate di fatto nella lotta contro la Germania hitleriana. Io sono certo che nonostante le difficoltà i nostri due Stati saranno abbastanza forti da schiacciare il comune nemico. Non è forse fuor di luogo ricordare che la situazione delle truppe sovietiche al fronte rimane assai tesa. Le conseguenze dell’inaspettata violazione del patto di non aggressione da parte di Hitler, così come l’improvviso attacco contro l’Unione Sovietica (fatti che entrambi avvantaggiarono le truppe tedesche) fanno ancora sentire tutto il loro peso sugli eserciti sovietici. E’ facile immaginare che la situazione delle forze tedesche sarebbe stata di gran lunga più favorevole qualora le truppe sovietiche avessero dovuto sostenere l’attacco del nemico non nelle 201 regioni di Kiscinev, Leopoli, Brest Litovsk. Kaunas e Viborg, ma in quelle di Odessa, Kamenez-Podolski, Minsk e nei dintorni di Leningrado. Sembra a me pertanto che la situazione militare dell’URSS, così come quella della Gran Bretagna, risulterebbe di gran lunga migliore se si potesse costituire un fronte contro Hitler in Occidente, nella Francia settentrionale e al nord, nell’Artico. Un fronte nella Francia settentrionale non soltanto obbligherebbe Hitler a spostare forze dall’est, ma al tempo stesso gli renderebbe impossibile l’invasione della Gran Bretagna. La creazione di un simile fronte sarebbe accolta con favore sia dall’esercito britannico, sia da tutti gli abitanti dell’Inghilterra meridionale. Io mi rendo perfettamente conto delle difficoltà implicite nella creazione di tale fronte; credo tuttavia che debba essere costituito nonostante la difficoltà. Questo è il momento più propizio per crearlo, perché attualmente le forze di Hitler sono in gran parte impegnate nell’est ed egli non ha ancora avuto la possibilità di consolidare le posizioni occupate ad Oriente. Ancora più facile è la creazione di un fronte nel nord. In questo settore da parte vostra sarebbero necessarie soltanto operazioni navali ed aeree, senza sbarco di truppe e di artiglieria. A tali operazioni parteciperebbero le forze terrestri, navali ed aeree sovietiche. Noi accoglieremmo con piacere l’invio da parte vostra di un contingente della forza di una divisione leggera o poco più di volontari norvegesi che potrebbe essere impiegata nella Norvegia settentrionale per organizzare la rivolta contro i tedeschi”. Churchill risponde a tambur battente, chiarendo che: i tedeschi hanno in Francia 40 divisioni e tutta la costa è fortificata con minuzia teutonica; nella zona di Dunkerque hanno diecine di cannoni di portata tanto lunga che attraversa tutta la Manica; dovunque è pieno di riflettori; quindi, per ora, non ci sarà l’apertura di nessun altro secondo fronte, ma l’invio di aiuti quanto più numerosi possibili; Stalin non deve dimenticare che, in effetti, un secondo fronte già esiste ed è 202 quello fondamentale della rotta dell’Atlantico, dove si svolge una dura lotta per l’integrità dei convogli dall’America. Il dittatore russo incomincia subito a mostrare il suo brutto carattere chiedendo, con una certa arroganza, un minimo mensile di 400 aeroplani, 500 carri armati, e 30.000 tonnellate d’alluminio, altrimenti l’URSS sarà sconfitta. Quando giunge il dicembre del 1941, quindi appena sei mesi dopo l’attacco tedesco e nonostante il nemico sia alle porte di Mosca, Stalin considera che la guerra è vinta, anche se con lunghe scadenze. Difatti si dilunga con Eden su come dovranno essere le frontiere dell’Europa post-bellica: “Restaurazione dell’Austria, distacco delle province del Reno dalla Prussia e loro costituzione in Stato indipendente o protettorato, creazione di uno Stato bavarese indipendente o protettorato, la Prussia orientale alla Polonia, zona dei Sudeti alla Cecoslovacchia, ricostituzione della Iugoslavia con aggiunta di territori da togliere all’Italia, ricostituzione dell’Albania come Stato indipendente, il Dodecaneso alla Turchia, alla Grecia vanno alcune isole dell’Egeo; inclusione perenne degli Stati Baltici nell’URSS e della parte di Polonia occupata nel 1939”. CHURCHILL, nonostante abbia 67 anni, continua nella sua straordinaria ed efficacissima attività. Nulla gli sfugge: l’organizzazione militare, i rifornimenti, l’analisi competente delle battaglie, le possibili alleanze e i coinvolgimenti con in primissimo piano quello indispensabile di Roosevelt senza il cui appoggio la guerra, con ogni probabilità, non avrebbe potuto essere condotta avanti nemmeno fino all’errore di Hitler di aprire il secondo, immenso e usurante fronte in Russia. Anche lui è ormai un vero dittatore, e non demorde dalle sue idee, anche quando, qualche volta, causa notevoli perdite e precipitosi reimbarchi di truppe inglesi, come in Grecia nell’aprile del 1941. Il “mastino” inglese sa tenere al proprio posto i capi delle sue forze armate di ogni ordine e grado, come avviene con la lettera del 24 203 aprile, quando polemizza con il Comandante in Capo del Mediterraneo e dice, tra l’altro: “...Quanto alla vostra tesi del combattimento aereo, voi dovreste procurarvi informazioni precise, perché senza di esse non si può emettere alcun giudizio. (...) La distribuzione generale delle forze tra i vari teatri d’operazione è compito del Comitato di Difesa da me presieduto, e non del Ministero dell’Aviazione, che si limita a dare esecuzione alle nostre decisioni. (...) Mi sono preso la briga di darvi questo resoconto completo a causa della mia ammirazione per i successi da voi riportati, delle vostre molteplici preoccupazioni, della mia simpatia per voi dati i molteplici rischi che con la vostra flotta dovete affrontare”. La macchina bellica inglese, con il possente aiuto di Roosevelt e dell’industria americana, diviene ogni giorno che passa più poderosa, e Hitler, involontariamente, la aiuta, impegnando la parte preponderante delle sue forze in Russia, invece di appoggiare in modo ben più massiccio Mussolini in Libia e nel Mediterraneo, che rappresenterebbe il vero punto debole inglese se attaccato con forze moderne e davvero preponderanti. Invece Churchill si può, con una certa tranquillità, imbarcare sulla corazzata Prince of Wales per incontrarsi a Terranova in agosto, per ben 6 giorni, con il Presidente Americano. I due hanno il tempo e gli elementi per esaminare la complessa situazione mondiale, i progetti in chiaro e le intenzioni segrete. Alla fine mettono a punto la “Carta Atlantica” che dice: “Il Presidente USA e il Primo Ministro, signor Churchill, in occasione del loro incontro reputano opportuno far conoscere alcuni principi comuni, ispiratori della politica dei rispettivi Paesi, sui quali essi fondano le loro speranze per un migliore avvenire del mondo. 1) I loro Paesi non mirano ad alcun ingrandimento territoriale o di altra natura. 2) Essi non desiderano assistere ad alcun mutamento territoriale che non sia conforme ai desideri liberamente espressi dai popoli interessati. 3) Essi rispettano il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo da cui intendono essere retti; 204 desiderano inoltre veder restaurati i diritti sovrani e l’autonomia di quei popoli che ne sono stati privati con la forza. 4) Essi si sforzeranno di assicurare, con il dovuto rispetto per i loro obblighi esistenti, a tutti gli Stati, grandi o piccoli, vincitori o vinti, la partecipazione, su piede di parità, al commercio, e l’accesso alle materie prime del mondo necessarie alla loro prosperità economica. 5) Essi desiderano promuovere la massima collaborazione tra tutte le nazioni nel campo economico nell’intento di assicurare a tutti condizioni migliori di lavoro, il progresso economico e la sicurezza sociale. 6) Dopo la distruzione definitiva della tirannide nazista, essi sperano di veder instaurata una pace che consenta a tutte le nazioni di vivere sicure entro i loro confini e dia certezza che tutti gli uomini in tutti i Paesi possano vivere la loro vita liberi dal timore o del bisogno. 7) Una pace del genere dovrebbe consentire a tutti gli uomini di attraversare senza ostacoli i mari e gli oceani. Essi ritengono che tutte le nazioni del mondo, per ragioni ad un tempo materiali e spirituali, debbano addivenire alla rinuncia dell’impiego della forza. Poiché non sarà possibile conservare in avvenire la pace qualora armamenti terrestri, navali e aerei continuano ad essere impiegati da nazioni che minacciano, o possono minacciare, di compiere aggressioni al di là delle proprie frontiere, essi ritengono che, in attesa della creazione di un più vasto e duraturo sistema di sicurezza collettivo, il disarmo di tali nazioni sia indispensabile. Essi inoltre appoggeranno e incoraggeranno tutte le altre misure pratiche che possano alleviare ai popoli amanti della pace il peso schiacciante degli armamenti”. Anche in questa occasione, nonostante sembri largamente debitore di Roosevelt, Churchill si fa rispettare e, senza peli sulla lingua, fa notare che la Gran Bretagna ha tenuto fede al principio del libero commercio per ottant’anni, sebbene le tariffe doganali degli Stati Uniti aumentassero continuamente. 205 I due protagonisti preparano e inviano un messaggio comune a Stalin, proponendogli una riunione da tenersi a Mosca allo scopo di decidere rapidamente in merito alla distribuzione di tutte le risorse comuni. Quando quattro mesi dopo, esattamente il 7 dicembre 1941, il Giappone attacca d’improvviso gli Stati Uniti nelle isole Hawaii, affondando con i propri aerei ben 6 corazzate e molto naviglio minore e abbattendo oltre 120 aeroplani americani, Churchill si trova insieme all’ambasciatore americano Winant. Si precipita a telefonare a Roosevelt e gli chiede: “Signor Presidente, cos’è questa faccenda del Giappone?”. “E’ proprio vera. Ci hanno attaccato a Pearl Harbor. Ora ci troviamo nella stessa barca”. “Questo semplifica le cose. Dio sia con voi”. Quindi Churchill passa il ricevitore a Winant e a Harriman, che anche è con loro. I due ricevono il colpo con serenità, né sprecano parole in rimproveri o deprecazioni. Anzi, il Primo Ministro inglese ha quasi l’impressione che fossero stati liberati da una lunga sofferenza. Churchill nelle sue memorie scrive: “Nessun americano se l’avrà a male se dico che fu una grande gioia per me avere gli Stati Uniti al nostro fianco. Non potevo prevedere il corso degli eventi. Non pretendo di essere stato in possesso di dati precisi per valutare il potenziale bellico del Giappone. In quel momento sapevo solo che gli Stati Uniti erano impegnati nella guerra, impegnati fino al collo, per la vita o per la morte. Avevamo vinto, dopo tutto! Il destino di Hitler era segnato. Il destino di Mussolini era segnato. In quanto ai giapponesi, sarebbero stati ridotti in polvere. Tutto il resto era soltanto una questione di intelligente impiego delle forze schiaccianti a nostra disposizione. L’Impero Britannico, l’Unione Sovietica, ed ora gli Stati Uniti, accomunati in uno sforzo unico con tutte le loro energie, superavano, secondo i miei calcoli, di due e anche tre volte la potenza dei loro antagonisti”. 206 In effetti chi si libera davvero da una lunga sofferenza è proprio Churchill. Ora, egli pensa, tutti si accorgeranno che solo gli sciocchi potevano misconoscere la forza degli Stati Uniti. Egli ha sempre sostenuto che chi avesse studiato con attenzione la storia della Guerra Civile americana, avrebbe convenuto con Edward Grey che gli USA assomigliano “a una grande caldaia: una volta acceso il fuoco, non vi sono limiti alla potenza che essa può generare”. ROOSEVELT è da tempo perfettamente consapevole che primario interesse degli Stati Uniti è sostenere in tutti i modi la Gran Bretagna. E, nonostante le forti tendenze isolazioniste del popolo degli Stati Uniti, incomincia a farlo immediatamente dopo lo scoppio della guerra, alla quale vorrebbe partecipare direttamente, mentre deve limitarsi a farlo per procura, ma sempre di più coinvolgendo il suo Paese. Infatti, dopo la legge “Affitti e Prestiti”, dà anche ordine ad unità della flotta americana di scortare i convogli per l’Inghilterra fino ad un certo punto dell’Atlantico. Ciò causa una serie di incidenti con sommergibili tedeschi che, però, hanno ricevuto ordini precisi da Hitler di evitare di attaccare navi statunitensi. C’è nelle sfere dirigenti americane grande ammirazione per Churchill, ma non tutti sono d’accordo con la strategia militare adottata dal Primo Ministro inglese. Infatti, quando nel luglio 1941 giunge a Londra il diretto inviato di Roosevelt, Hopkins, accompagnato da alti ufficiali americani, questi ultimi manifestano l’opinione che il Medio Oriente rappresenta per l’Impero Britannico una posizione indifendibile: meglio sarebbe dedicare i sacrifici gravosi effettuati per difenderlo nella Battaglia dell’Atlantico che, per loro, dopo quella d’Inghilterra, è ben più vitale per il risultato finale dell’intero conflitto. Ma Roosevelt, che concorda in pieno con la politica militare di Churchill, ha preventivamente ammonito i suoi collaboratori che il nemico va combattuto ovunque si trova e il “mastino” inglese ha buon gioco nel far prevalere la sua opinione. 207 Il Presidente Americano è sempre più desideroso di poter direttamente affrontare con le sue forze armate Hitler e, per farlo, escogita la subdola strategia di ridurre all’esasperazione il Giappone con l’embargo sul petrolio ed imponendogli di ritirare tutte le truppe nipponiche dalla Cina e dall’Indocina e di non riconoscere altro governo cinese se non quello di Chiang Kai Shek, inviso ai giapponesi. Roosevelt è cosciente dell’attuale forza militare del Giappone, che ha una flotta formidabile (più forte nel Pacifico di quella inglese e americana messe insieme) con, oltre alle normali navi da battaglia, due supercorazzate da 70.000 tonnellate e molte efficienti portaerei. Ma sa anche che i nipponici non dispongono di attrezzature industriali e materie prime per sostenere una guerra lunga e per rimpiazzare, con rapidità, i mezzi distrutti o usurati. In questa lotta dei nervi del gatto contro il topo, Roosevelt finisce per averla vinta e i giapponesi attaccano la flotta americana a Pearl Harbor. Ma, forse, conoscendo gli americani da tempo i cifrari giapponesi, la sorpresa non è proprio tale. Il popolo americano, però, non lo sa e giustamente s’indigna e plaude alla guerra contro il Giappone. Roosevelt ne è felice e attende, in virtù del Patto Tripartito, la dichiarazione di guerra da parte di Hitler e Mussolini. Ma il Führer nicchia: non ha alcuna intenzione di avere, dopo l’Inghilterra e la Russia, anche gli Stati Uniti come avversari diretti. Allora Roosevelt forza i tempi dichiarando, il 9 dicembre, alla radio: “Ricordate sempre che la Germania e l’Italia, indipendentemente da qualsiasi dichiarazione di guerra, si considerano in guerra con gli Stati Uniti in questo momento, esattamente come si trovano in guerra con l’Inghilterra e la Russia. Noi non possiamo limitare la nostra azione ad eliminare il Giappone se, ciò compiuto, troveremo che il resto del mondo è dominato da Hitler e Mussolini”. Un colpo magistrale! Perché Hitler, ancora una volta, commette l’errore di trascurare lo 208 studio dell’opinione pubblica americana che avrebbe posto difficoltà insormontabili alla dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti alla Germania e all’Italia senza che questi due Paesi l’avessero presentata per primi. Invece Hitler, convinto dell’ineluttabilità della cosa e temendo di essere preceduto, l’11 dicembre fa consegnare a Cordell Hull la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, poi pronuncia un discorso rabbioso davanti al Parlamento: “...Lo considero un demente: proprio come lo era Wilson (...). Dapprima egli incita alla guerra, poi ne falsifica le cause, poi si avvolge odiosamente nella veste dell’ipocrisia cristiana e lentamente, ma fermamente, conduce l’umanità alla guerra non senza invocare Dio a testimone dell’onestà del suo attacco, nel modo proprio del vecchio massone. (...) Roosevelt si è reso colpevole di una serie di crimini delle peggiore specie contro le leggi internazionali. Al sequestro illegale di navi e di altre proprietà di cittadini tedeschi ed italiani si aggiunge la minaccia contro coloro che sono stati privati della loro libertà, che sono stati internati e depredati. Il crescendo degli attacchi di Roosevelt è giunto al punto di ordinare alla Marina americana di attaccare e affondare ogni nave che batta bandiera tedesca o italiana, in aperta violazione del diritto internazionale. I ministri americani si vantano di aver distrutto in questo modo criminale sottomarini tedeschi. Incrociatori americani hanno attaccato mercantili tedeschi e italiani, li hanno catturati e ne hanno fatto prigionieri gli equipaggi.(...) Capisco fin troppo bene che fra le idee di Roosevelt e le mie vi è la distanza che corre tra due mondi. Roosevelt viene da una famiglia ricca e appartiene ad una classe che nelle democrazie ha vita facile. Io ero soltanto il figlio di una piccola, povera famiglia e ho dovuto farmi strada col mio lavoro e le mie forze. Quando scoppiò la guerra, Roosevelt occupava una posizione che gli permise di conoscere solo le piacevoli conseguenze di essa, sfruttate dagli affaristi, mentre gli altri davano il proprio sangue. Io invece fui soltanto uno di coloro che, come semplici soldati, eseguivano gli ordini e, naturalmente, tornai 209 dalla guerra povero, così com’ero nell’autunno del 1914. Condivisi la sorte di milioni, mentre Franklin Roosevelt condivise solo le fortune dei cosiddetti ‘diecimila’ delle classi superiori. Dopo la guerra, Roosevelt si diede a speculazioni finanziarie. Fece guadagni di milioni approfittando dell’inflazione, della miseria degli altri, mentre io giacevo in un ospedale. (...) Il nazionalsocialismo venne al potere in Germania lo stesso anno in cui Roosevelt fu eletto presidente (...) Egli si trovò alla testa di uno Stato in misere condizioni economiche e io mi trovai alla testa del Reich minacciato di estrema rovina grazie alla democrazia (...) Mentre sotto la guida del nazionalsocialismo in Germania si ebbe un risveglio senza precedenti della vita economica, culturale e artistica, il presidente Roosevelt non riuscì ad apportare il minimo miglioramento alla situazione del suo paese (...) Ciò non sorprende se si tiene presente che gli uomini da lui chiamati perché lo sostenessero, o, per meglio dire, gli uomini che lo avevano fatto salire al potere, appartenevano all’elemento ebraico, elemento che ha interesse solo alla disgregazione, mai all’ordine (...) Le leggi di Roosevelt sul New Deal erano completamente sbagliate. Non v’è dubbio che la continuazione di questa politica economica, in tempo di pace, avrebbe condotto alla rovina il presidente, malgrado tutta la sua abilità dialettica. (...) Allora egli capì che l’unica salvezza stava nel distogliere l’attenzione pubblica dai problemi interni e rivolgerla alla politica estera (...) Così sono incominciati gli sforzi del presidente per provocare dei conflitti (...) Ora è stato preso dalla paura che, se si giunga alla pace in Europa, il suo sperperamento di milioni di dollari per gli armamenti sarà considerato una pura frode, dato che nessuno attaccherà l’America: perciò egli stesso ha cercato di provocare un attacco contro il suo paese. (...) Penso che voi tutti proviate un sollievo, ora che finalmente uno Stato ha preso l’iniziativa di insorgere contro questa deformazione della verità e del diritto, ignobile e unica nella storia. (...) Il fatto che il governo giapponese, che per anni ha negoziato con quest’uomo, alla fine si sia seccato di 210 venir preso in giro da lui in modo così indegno, riempie noi tutti di soddisfazione(...) Ho comunque disposto che vengano consegnati i passaporti all’incaricato d’affari americano, unitamente a una nota in cui sono spiegate le ragioni per le quali il Reich si considera da oggi in stato di guerra con gli Stati Uniti”. Un Roosevelt felice e in piena forma accetta di ricevere, a fine dicembre, Churchill negli Stati Uniti e insieme, dopo una lunga serie di contatti, firmano il testo definitivo della dichiarazione comune degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito della Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, della Cina, dell’Australia, del Belgio, del Canada, della Costa Rica, di Cuba, della Cecoslovacchia, della Repubblica Dominicana, di San Salvador, della Grecia, del Guatemala, di Haiti, dell’Honduras, dell’India, del Lussemburgo, dei Paesi Bassi, della Nuova Zelanda, del Nicaragua, della Norvegia, del Panama, della Polonia, del Sud Africa e della Iugoslavia. In esso si dice: “I sottoscritti Governi, avendo accettato un comune programma di propositi e principi contenuto nella dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti e del Primo Ministro della Gran Bretagna in data 14 agosto 1941, nota col nome di Carta Atlantica, essendo convinti che è indispensabile una vittoria completa sui loro nemici per assicurare la vita, la libertà e l’indipendenza e la libertà di religione e per preservare i diritti dell’uomo e la giustizia sia nei loro territori sia in quelli altri, e consci di partecipare alla lotta comune contro le forze selvagge e brutali che cercano di soggiogare il mondo, dichiarano: 1) Ciascun governo s’impegna a usare tutte le sue risorse, militari o economiche, contro quei firmatari del patto Tripartito e loro associati con i quali si trova in guerra. 2) Ciascun governo s’impegna a cooperare con i governi firmatari della presente dichiarazione e a non concludere separatamente armistizio o pace con i nemici. A questa dichiarazione possono aderire tutte le nazioni che contribuiscono o 211 contribuiranno materialmente alla lotta per il conseguimento della vittoria sull’hitlerismo”. Di fronte a questa grande unione poco contano per Roosevelt la perdita delle sue corazzate del Pacifico e la notizia delle numerose recenti perdite inglesi, come la portaerei Ark Royal e la corazzata Barham, colpite dai tedeschi, o le grandi navi da battaglia Prince of Wales e Repulse, affondate dai giapponesi, o le corazzate Queen Elisabeth e Valiant, gravemente danneggiate nel porto di Alessandria da reparti speciali della Marina italiana. Egli ha finalmente ottenuto di potersi battere direttamente con Hitler, che è il suo vero avversario, al punto da dichiarare: “L’Atlantico per primo”. E, ovviamente, non ha, come ora anche il coriaceo Churchill, il minimo dubbio che la vittoria è già sua: è solo una questione di tempo! 212 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 12:29 pm | |
| CAP. XIII CHURCHILL E ROOSEVELT DAI GRAVI ROVESCI IN ESTREMO ORIENTE E DAI DIFFICILI RAPPORTI CON STALIN AI SUCCESSI CONTRO HITLER E MUSSOLINI IN AFRICA ROOSEVELT non teme i Giapponesi nonostante, per perseguire il suo scopo di combattere per primo Hitler, sia costretto a subire la, forse imprevista, perdita delle Filippine e di altri arcipelaghi nel Pacifico e l’alleanza con Stalin, che certamente non ama. Teme invece la teutonica organizzazione hitleriana e quindi, in perfetto accordo col suo amico Churchill, aiuta fortemente Stalin che impegna in Russia buona parte del potentissimo esercito germanico. Attraverso percorsi impervi, marittimi e terrestri, incomincia ad inviare una gran massa di materiali ed armi al dittatore russo. In tre anni, anche a mezzo di ben 2.660 navi (di cui 2.531 giungeranno a destinazione), essi ammonteranno a oltre 15 milioni di tonnellate così suddivise: 13.303 carri armati, 15.000 aerei, 427.284 autocarri, 35.170 motociclette, 2.328 carri per traino di artiglieria, 1.966 locomotive, 9,920 carri piatti, 10.000 vagoni merci, 120 carri cisterna, 35 vagoni per carichi pesanti, 2.670.170 tonnellate di altri prodotti bellici compresi additivi per rendere adatta la benzina sovietica agli aerei americani, e tanto altro ancora comprese le attrezzature per montare un’intera fabbrica di pneumatici. Nel febbraio 1942, mentre le truppe americane si battono nelle Filippine contro i giapponesi, il Presidente americano consola Churchill per la perdita della piazzaforte inglese di Singapore, che era considerata imprendibile: “Capisco perfettamente come la caduta di Singapore abbia vivamente colpito voi e il popolo britannico. Essa rappresenta una magnifica occasione per la ben nota categoria di 213 coloro che criticano senza far nulla, ma non è il caso di preoccuparsi della gravità dei nostri rovesci passati, che io non sottovaluto neppure per un momento; dobbiamo però continuamente guardare innanzi alle prossime mosse da compiere per colpire il nemico. Spero che non vi perderete d’animo in queste difficili settimane, poiché sono certissimo che voi godete sempre tutta la fiducia delle masse del popolo britannico. Voglio sappiate che spesso penso a voi, d’altra parte, so che non esiterete a rivolgervi a me qualora riteniate ch’io possa fare qualcosa (...) Fatemi avere vostre notizie”. Ma i Giapponesi diventano sempre più intraprendenti e le loro imprese stupiscono per audacia ed organizzazione. Dopo aver occupato l’intera barriera di isole delle Indie Orientali Olandesi, il Siam e l’intera Malacca britannica, occupano anche l’intera Birmania e sembrano puntare sull’India e, principalmente, su Ceylon da dove possono tentare la saldatura con le forze di Hitler. La capitale Colombo subisce una pesante incursione aerea, mentre addirittura gli inglesi sono costretti a sgombrare il porto di Calcutta e a subire forti perdite di naviglio militare. Eppure Roosevelt non cambia idea: il vero nemico rimane Hitler! Egli considera suoi amici più importanti quelli che combattono il dittatore tedesco, come appare chiaramente da una lettera personale a Churchill: “Caro Winston, certo immaginerete che ho riflettuto intorno alle vostre difficoltà (...). Eccovi l’opinione di questo stratega dilettante. Non serve a nulla preoccuparsi ancora, sia pure per poco, di Singapore o delle Indie Olandesi: esse sono perdute. L’Australia va invece tenuta e, come vi ho già telegrafato, intendiamo tenerla. L’India deve essere tenuta e voi dovete pensarci; ma, per parlare più francamente, io non mi preoccupo tanto di questo problema come fanno parecchi altri. I giapponesi possono sbarcare sulla costa occidentale della Birmania; possono pure bombardare Calcutta ma non riesco a vedere come possono trasportare truppe in numero tale da compiere più di qualche incursione contro le zone costiere. Penso 214 inoltre che possiate tenere Ceylon e spero che possiate trasferire in quelle acque un maggior numero di sommergibili, i quali sono più preziosi di un’intera flotta di superficie. Spero che rafforzerete decisamente il Vicino Oriente in misura maggiore di quanto non lo sia oggi. Voi dovete difendere l’Egitto, il Canale di Suez, la Siria, l’Iran e la strada del Caucaso da Hitler. Infine conto d’inviarvi entro alcuni giorni un piano più preciso per un attacco comune contro lo stesso continente europeo. Prima di ricevere questa lettera sarete stato già informato del mio colloquio con Litvinov. Attendo una risposta da Stalin tra breve. So che non ve la prenderete se con rude sincerità vi dico di ritenere di poter personalmente trattare con Stalin meglio del vostro Foreign Office sia del mio Dipartimento di Stato. Stalin odia a morte tutta la vostra gente altolocata; ritiene di trovarsi meglio con me e naturalmente spero che continuerà a pensarla in tal modo. La mia marina ha decisamente trascurato i preparativi per la guerra contro i sommergibili al largo delle nostre coste; certo sapete meglio di me che la maggior parte degli ufficiali di marina ha rinunciato in passato a occuparsi di navi di tonnellaggio inferiore alle 2.000 tonnellate. Voi imparaste la lezione due anni fa; noi dobbiamo ancora impararla. Per il primo maggio conto di avere in servizio un sistema di pattuglie costiere abbastanza efficiente da Terranova alla Florida e da un capo all’altro delle Indie Occidentali. Ho mendicato, preso in prestito e rubato tutte le unità di qualsiasi tipo di lunghezza superiore ai 25 metri, e ho costituito con esse un comando separato sotto la direzione dell’ammiraglio Andrews. So che non perderete in vostro buon umore e la vostra grande forza di volontà, ma so anche che non ve la prenderete se vi dico che dovete strappare qualche foglietto dal vostro taccuino. Una volta al mese io me ne vado a Hyde Park per 4 giorni, mi caccio in un buco e mi ci chiudo dentro; mi chiamano a telefono solo se capita qualcosa di veramente importante. Desidero che facciate un esperimento analogo, mettendovi per svago a costruire casette o a dipingere un altro quadro. Porgete i miei saluti 215 più cordiali alla signora Churchill; mia moglie e io desideriamo molto vederla. Vostro come sempre”. Anche se Roosevelt non mette al servizio del fronte del Pacifico il suo maggior impegno, quasi come per un accadimento naturale, i Giapponesi vengono sconfitti dagli Americani in maggio nel Mar dei Coralli e in giugno alle Midway. Poi, nell’agosto 1942, con il primo sbarco americano a Guadalcanal, inizia la controffensiva delle forze armate di Roosevelt che segna l’esaurimento della spinta espansionistica dei figli del Sol Levante. Ma in giugno, proprio quando Churchill è in visita da Roosevelt, giunge un telegramma che il Presidente americano consegna al Primo Ministro inglese senza proferire parola. C’è una grave notizia: “Tobruk si è arresa; 25.000 uomini sono caduti prigionieri”. Churchill è sbalordito e chiede conferma all’ammiraglio Harwood che così risponde da Alessandria: “Tobruk è caduta e la situazione è così peggiorata che Alessandria può evidentemente essere attaccata dall’aviazione nel prossimo futuro; in vista dell’imminente periodo di luna piena, invio tutte le unità della Flotta del Mediterraneo orientale a sud del Canale di Suez in attesa degli eventi. Conto di far uscire la Queen Elisabeth dal bacino verso la fine di questa settimana”. Ora Churchill è addirittura ammutolito: a Singapore 85.000 uomini si erano arresi a forze giapponesi inferiori; a Tobruk una guarnigione di 33.000 uomini aveva deposto le armi di fronte a forze italo-tedesche 5 volte inferiori! Il Presidente americano, nonostante la grande irritazione che prova, interviene e non pronuncia una sola parola spiacevole, ma si limita a chiedere: “Cosa possiamo fare per aiutarvi?”. “Darci tutti i carri armati Sherman che potete e spedirli nel Medio Oriente al più presto possibile”. Roosevelt gira la richiesta al generale Marshall che risponde: “La produzione dei carri Sherman è cominciata solo da pochissimo. Le prime centinaia di esemplari sono state distribuite alle nostre 216 divisioni corazzate che hanno dovuto finora accontentarsi di materiale antiquato. E’ una cosa terribile strappare le armi di mano ad un soldato; ma se il bisogno britannico è così grande, si dovranno cedere tali carri; noi potremmo inoltre far avere loro un centinaio di cannoni semoventi da 105 millimetri”. Quando nei primi giorni di novembre 1942 gli americani e gli inglesi sbarcano con potentissimi mezzi nell’Africa francese ed esattamente a Casablanca e Algeri (Operazione Torch) e solo da poco gli inglesi con mezzi altrettanto potenti hanno sconfitto gli italotedeschi ad El-Alamein in Egitto, Roosevelt scrive a Churchill: “Sono felicissimo per le ultime notizie sulla vostra splendida campagna in Egitto e per i successi che hanno accompagnato i nostri sbarchi comuni nell’Africa nord-occidentale; ciò favorisce le nostre mosse che si dovrebbero compiere se e quando tutta la costa meridionale del Mediterraneo sarà liberata e sotto il nostro controllo. E’ sperabile che voi a Londra con i vostri Capi di Stato Maggiore e io qui a Washington con lo Stato Maggiore Combinato siamo in grado di riesaminare tutte le possibilità, tra queste un’offensiva in direzione di Sardegna, Sicilia, penisola italiana, Grecia e altre regioni balcaniche, e l’eventuale collaborazione della Turchia a un attacco attraverso il Mar Nero contro il fianco della Germania...”. HITLER all’inizio del 1942 è deluso: forse in qualche angolino della sua mente si affaccia il sospetto di aver sbagliato. Forse nel ritenere che gli inglesi, una volta rimasti soli, si sarebbero accontentati di una pace onorevole? O forse ha puntato troppo sulla potenza della sua aviazione? O nel ritenere che con la forza delle sue divisioni corazzate sarebbe riuscito trionfatore là dove fallì Napoleone? O nella valutazione che i suoi alleati Giapponesi avrebbero, primo o poi, dichiarato guerra agli Inglesi attaccandoli ferocemente nell’Estremo Oriente senza coinvolgere direttamente gli Americani? O forse che quest’ultimi non avrebbero così generosamente ed efficacemente rifornito gli Inglesi prima e i Russi poi? O che Mussolini avrebbe da 217 solo conquistato subito l’Egitto e Suez, senza impegolarsi in una guerra inutile e catastrofica con la Grecia? Comunque sia, su tutti i suoi possibili errori, emerge quello di aver sottovalutato Churchill, che è riuscito a resistere e a coalizzargli tutti contro! Ma perché ha invaso la Russia? Facile, era il sogno della sua vita! Cacciare i Russi in Asia e sostituirli con popolazioni germaniche, fare insomma dei territori conquistati un Eden, l’Impero Tedesco dell’Est. Questa tesi l’aveva confermata il 27 luglio 1941, quando definì i confini da raggiungere con una linea che scorreva per due o trecento chilometri ad est degli Urali con la Germania che avrebbe dovuto mantenere questa linea per l’eternità e non permettere ad alcuna potenza militare di stabilirsi ad ovest di essa. Disse anche: “Dovrebbe essere possibile controllare questa regione orientale con 250.000 uomini più un organico di buoni amministratori. Impariamo dagli inglesi che, con 250.000 uomini in tutto, compresi 50.000 soldati, governano 400 milioni di indiani. Questo spazio russo dovrà sempre essere dominato dai tedeschi. Niente sarebbe da parte nostra errore più grave che cercare di istruire le masse indigene. Prenderemo la parte meridionale dell’Ucraina, soprattutto la Crimea, e ne faremo una colonia esclusivamente tedesca. Non vi sarà alcun pericolo nel cacciar via la popolazione che attualmente vi risiede. Il colono tedesco sarà il contadino-soldato, e a tal fine ricorrerò a militari di carriera (...) A quanti fra loro sono figli di contadini il Reich darà una fattoria fornita di tutto. Il terreno non ci costerà nulla, dovremo solo costruire le fattorie (...) I contadini-soldati saranno muniti di armi, in modo che al minimo segnale di pericolo possano trovarsi al loro posto quando li chiameremo”. Poi ribadì il 17 ottobre 1941: “Noi popoleremo questo deserto russo (...) Stravolgeremo la sua natura di steppa asiatica, lo europeizzeremo. A tale scopo abbiamo avviato la costruzione di strade che condurranno alla parte più meridionale della Crimea e del Caucaso. Tali strade saranno costellate per tutta la loro estensione da 218 città tedesche, e intorno a tali città si stabiliranno i nostri coloni. Per quanto riguarda i due o tre milioni di uomini necessari a realizzare questo compito, li troveremo più facilmente di quanto si possa pensare. Verranno dalla Germania, dalla Scandinavia, dai Paesi occidentali e dall’America. Io non ci sarò più per poter vedere tutto ciò, ma tra vent’anni l’Ucraina sarà già una casa per venti milioni di abitanti, oltre alle popolazioni indigene (...). Non ci insedieremo nelle città russe, le lasceremo andare in pezzi senza muovere un dito. E soprattutto, nessun rimorso a tal riguardo! Non abbiamo assolutamente alcun obbligo nei confronti di questa gente. Combattere con le catapecchie, scacciar via le mosche, trovare insegnanti tedeschi, portare i giornali: ciò non sarà affar nostro! Ci limiteremo forse a istallare un trasmettitore radio, controllato da noi. Per il resto, insegneremo loro quanto basta per capire i nostri segnali stradali, così da non farsi travolgere dai nostri veicoli. Per essi la parola libertà deve significare il diritto di lavarsi nei gioni festivi (...). Esiste un solo dovere: germanizzare questo paese mediante l’immigrazione di tedeschi e guardare agli elementi indigeni come a dei pellerossa. In questo affare andrò diritto per la mia strada, con estremo sangue freddo”. Poi, dieci giorni dopo, Hitler aggiunse sull’argomento: “Nessuno ci porterà mai via l’Est (...). Ben presto forniremo grano a tutta l’Europa, e carbone, acciaio, legname. Per sfruttare l’Ucraina (questo nuovo impero indiano) in modo appropriato abbiamo bisogno soltanto della pace ad Occidente. Il mio obbiettivo è quello di sfruttare i vantaggi derivanti dall’egemonia continentale (...). Quando saremo padroni dell’Europa godremo di una posizione dominante nel mondo. Centotrenta milioni di persone nel Reich, novanta in Ucraina. Aggiungete a questi gli altri Stati della nuova Europa, e arriveremo a 400 milioni a fronte dei 130 milioni di americani”. Purtroppo per lui i Russi, dopo la gran confusione delle prime settimane, hanno dimostrato, sotto la guida di Stalin, un’insospettabile 219 resistenza ed hanno contrattaccato. Comunque lui, Hitler, ritiene comunque, dopo aver personalmente preso il posto del maresciallo Brauchitsch, di aver superato Napoleone, perché è riuscito ad uscire senza grave danno dall’inverno precoce e dalla violenza russa ed ha esorcizzato la fobia dell’accerchiamento, che tanto affligge i suoi generali. Ora, nel 1942, ha dato ordine di attaccare nel Caucaso, con obiettivo i preziosi pozzi petroliferi. In agosto 1942 il Führer potrebbe essere nuovamente soddisfatto perché in Russia i pozzi di petrolio sono ormai vicini, e in Africa Rommel ha conquistato El-Alamein a pochi chilometri dal Alessandria d’Egitto, e nell’Atlantico i suoi sommergibili fanno più che mai strage del traffico anglo-americano. Però ai pozzi non è ancora giunto, Alessandria ancora non è caduta, e gli Inglesi e i Russi continuano ad essere sufficientemente riforniti. Alla fine dell’anno Hitler non può fare a meno di registrare solo avvenimenti negativi: la grave sconfitta in Egitto e la fuga in Libia; lo sbarco americano in Africa; l’accerchiamento da parte russa dell’armata di von Paulus e la ritirata dall’ansa del Don e dalla linea del Terek nel Caucaso. Nel gennaio 1942 anche MUSSOLINI considera la situazione militare in Russia molto seria per l’Asse e giudica Hitler mendace nei suoi bollettini di guerra. Dice: “Ha voluto confonder le idee con le grandi cifre, come quel bestione di Roosevelt, e i risultati sono stati sinistri. Del resto sono due bestioni analoghi figli di razze di muli”. A differenza degli altri 4 protagonisti, Mussolini, come già avveniva prima della guerra, non riesce mai a conoscere con esattezza le forze militari e produttive del suo Paese. Ad esempio, in febbraio, Cavallero presenta al Duce una tabella dalla quale risulta che in Italia si producono 280 cannoni anticarro al mese. Ma, messo finalmente alle strette, Cavallero confessa che sono possibilità teoriche. Nella realtà se ne producono 160 e non 280! E Mussolini dice a Ciano: 220 “Non l’ho messo alla porta perché, dopo tanti cambiamenti, mi sono accorto che sono tutti egualmente bugiardi”. Nel frattempo il Duce si mostra sempre più nippofilo e sempre meno germanofilo, e il Generale Gambara, che si era comportato molto bene durante la Guerra di Spagna, lo imita e a mensa, in Libia, dice: “Spero di vivere quanto basta per comandare un’armata italiana che marci su Berlino”. E non è certo il solo. Anche il segretario dell’Ambasciata italiana di Berlino invia questo rapporto: “Molto si è parlato di ordine nuovo, ma niente è stato fatto per realizzarlo. L’Europa intera oggi langue sotto l’occupazione tedesca: i nemici si sono moltiplicati all’infinito anche se per ora non possono che tacere ed odiare. In Germania si pensa all’eventualità di una sconfitta, perciò si vuole che tutti i Paesi del continente siano esauriti per essere anche in tale ipotesi relativamente più forti”. Al che il Duce commenta: “Per la fine del 1943 voglio avere 15 divisioni pronte e perfette nella valle del Po”. Fra la fine di aprile e l’inizio di maggio 1942, Mussolini, con Ciano, si reca a Salisburgo per incontrare Hitler. Da parte tedesca c’è molta cordialità, ma a Ciano il Führer appare stanco forse a causa dei terribili mesi invernali per le truppe tedesche in Russia. Ciò nonostante Hitler è il solito mattatore e parla in continuazione ossessivamente, mentre Mussolini tace e guarda meccanicamente l’orologio, il generale Jodl si addormenta e Keitel, pur barcollando, riesce a tenere sù la testa e gli occhi aperti. L’oggetto principale dello sproloquiare del dittatore tedesco è il suo genio, che gli ha permesso di vincere il gelo russo al contrario di Napoleone nel 1812. Poi Ribbentrop dice che le perdite tedesche sono state forti: ammontano a 270.000 morti. Ma il generale italiano Marras sostiene sommessamente che sono molte di più: sarebbero 700.000 i morti e, comprendendo anche i mutilati, i congelati e i malati gravi, si giunge alla cifra spaventosa di quasi 3 milioni! 221 Come al solito Mussolini è cangiante: si mostra contento del viaggio e dice a Ciano: “La macchina tedesca è ancora formidabilmente possente, ma ha subito una forte usura. Adesso compirà un nuovo imponente sforzo: bisogna che lo scopo sia raggiunto”. Qualche giorno dopo il generale Cavallero traccia il programma italiano di guerra per il Mediterraneo: alla fine del mese Rommel attaccherà in Libia e prenderà Tobruk; successivamente tutte le forze saranno concentrate per l’attacco a Malta, che rende impossibile i rifornimenti in Libia dall’Italia. Mussolini si reca in Sardegna per ispezionare le truppe e rimane soddisfatto sia per il morale che per gli armamenti dei soldati italiani. Tornato a Roma, nomina Gariboldi capo del corpo di spedizione italiano in Russia, che ha ormai raggiunto la consistenza di ben 300.000 uomini. Il Duce, però, ha qualche preoccupazione per la situazione a Lubiana, per la Croazia e per la Grecia, dove occorre rinforzare i corpi d’occupazione italiani che debbono continuamente tenere a freno le popolazioni inquiete e ribelli. Quando in giugno le truppe italo-tedesche avanzano impetuosamente in Africa e una brillante azione aereonavale infligge nel Mediterraneo pesanti perdite agli inglesi, Mussolini è stranamente misurato nei giudizi, ed è incerto se dare il via al previsto sbarco a Malta o se autorizzare Rommel ad inseguire in Egitto le truppe britanniche, fino a quando non riceve una lettera di Hitler che dice: “Fino ad ora ho sempre fatto a lungo e completamente inseguire ogni nemico battuto quando è stato consentito dalle nostre possibilità. L’8° armata inglese è praticamente distrutta. Se adesso le nostre forze non proseguono fino all’estremo limite del possibile nel cuore stesso dell’Egitto ne deriverà un cambiamento della situazione a nostro sfavore. Questa volta l’Egitto può, sotto certe condizioni, essere strappato all’Inghilterra. Le conseguenze di un colpo simile saranno d’importanza mondiale! La nostra offensiva per la quale ci apriamo 222 la strada mediante la conquista di Sebastopoli contribuirà a portare alla caduta di tutta la costruzione orientale dell’Impero inglese. Se io, Duce, in quest’ora storica che non si ripeterà posso darvi un consiglio, è questo: ordinate il proseguimento delle operazioni fino al completo annientamento delle truppe britanniche” Ovviamente Mussolini acconsente: nomina i generali Cavallero e Bastico marescialli e si reca, accompagnato da un gran seguito di ufficiali, gerarchi e giornalisti, in Libia dove una nave da guerra ed un cavallo bianco bellissimo sono pronti per condurre il Duce trionfante ad Alessandria. Ma Rommel, inseguito il nemico fino ad El Alamein, è costretto a fermarsi con l’esercito consunto dai combattimenti e dall’affannosa corsa. Ciò nonostante Mussolini e Hitler sono ottimisti e predispongono l’assetto futuro dell’Egitto: Rommel comandante militare e Mazzolini delegato civile. Nel frattempo, nonostante la presenza del Duce o, forse, proprio per questa, si sviluppa un contrasto violento fra italiani e tedeschi, dovuto al prepotente ed arrogante accaparramento di questi ultimi di tutto il bottino. Né Mussolini fa nulla per placare le acque o per arbitrare la disputa. Solo molti giorni dopo esser tornato a Roma, esattamente il 19 luglio 1942, scrive a Hitler per lamentarsi anche della sistematica spoliazione della Grecia da parte dei soliti tedeschi, e dice a Ciano: “Forse molti tedeschi deplorano di non aver potuto invadere anche l’Italia per portarci via tutto. Però avrebbero perso la guerra”. Il Duce è furioso con i militari che lo hanno illuso di poter entrare da trionfatore ad Alessandria e lo hanno fatto fare una brutta figura come l’anno prima in Albania, quando si dava per certo un furioso attacco e una violenta avanzata italiana prima che intervenissero i tedeschi, dei quali si è divenuti, ormai, semplici collaboratori al punto, dice Mussolini, che “il popolo si domanda ormai quale fra i due padroni, l’inglese o il tedesco, sia da preferire”. In agosto, mentre le speranze di una nuova e definitiva avanzata di Rommel su Alessandria si alternano ad immediate smentite, a 223 Mussolini tornano i crampi allo stomaco: la vecchia ulcera si è risvegliata. Anche il punto fatto dall’esperto Casero sulla produzione aeronautica italiana, in confronto con quella tedesca e Alleata, contribuisce, e non poco, ai dolori del Duce, perché risulta del tutto a sfavore, e di molto, dell’Italia. A settembre il dittatore italiano è sempre più magro e sofferente, nonostante le cure di molti medici di fama: contribuisce ad avvilirlo la formidabile resistenza russa a Stalingrado, che dimostra quale grande attaccamento il popolo abbia per il regime stalinista o, forse, fino a qual punto i tedeschi siano stati capaci di farsi odiare. Invece, in Italia anche la marina mercantile, di cui un terzo era andata stupidamente perduta all’inizio della guerra perché colta in porti nemici, è allo stremo per i continui affondamenti nel Canale di Sicilia, dove Malta è tornata più forte di prima. Inoltre, come se non bastasse, il Capo del Servizio Segreto comunica al Duce che tutte le informazioni indicano che americani ed inglesi si preparano a sbarcare in forze nell’Africa Settentrionale. Nei primi giorni di novembre, dopo una furiosa, lunga ed eroica resistenza, specialmente da parte dei soldati italiani, contro forze immensamente più numerose e molto meglio attrezzate, le truppe italo-tedesche sono costrette a ripiegare da El-Alamein, lasciando un mare di morti. Sono ormai talmente esigue da far ritenere di dover sgombrare tutta la Libia, Tripoli compresa. E il Duce dichiara: “Sotto alcuni aspetti ciò rappresenta un vantaggio poiché la quarta sponda è costata la marina mercantile, e potremo meglio concentrarci nella difesa del territorio metropolitano”. Poi lo stesso Mussolini, quando due giorni dopo viene a sapere del grande sbarco americano in Algeria e Marocco, dove i francesi poco si sono opposti, ha un’impennata d’orgoglio e parla subito di voler effettuare lo sbarco in Corsica e l’occupazione della Francia libera. La notte del 9 novembre Ribbentrop telefona e dice che è necessario che Mussolini e Ciano vadano subito a Monaco. Ma il 224 Duce non sta bene e parte il solo Ciano che, al ritorno, ordina: occupazione totale della Francia, sbarco in Corsica e testa di ponte in Tunisia. E gli Italiani sbarcano in Corsica con una flotta di...motovelieri! Mentre l’armata italiana al confine francese impiega più di 5 ore solo per incominciare a entrare nel Paese confinante, dove non viene attivata alcuna resistenza. Nemmeno a metà dicembre 1942 Mussolini va in Germania per la sua ulcera e, forse, nemmeno Hitler lo vuole, perché si troverebbe in qualche difficoltà alla presenza del “collega” dittatore, ora che anche a lui tutto va male, specialmente in Russia. Nella foresta di Gorlitz, dove Ciano si è recato per incontrare i tedeschi, l’atmosfera è pesante, e fra il diplomatico tedesco Hewel, che è un vecchio compagno di Hitler, e l’italiano Panza avviene questo colloquio: “Signor Hewell, il nostro esercito ha avuto molte perdite?”. “Niente affatto: stanno scappando”. “Come voi tedeschi l’anno scorso a Mosca?”. “Esattamente”. STALIN nel 1942 continua a guidare con mano sempre più sicura le sorti dell’Unione Sovietica, nonostante una grossa fetta del suo Paese sia occupata da quasi 4 milioni di soldati nemici. Contenuti e contrattaccati i tedeschi, trasferite le fabbriche vicino o al di là degli Urali e rimessele rapidamente in funzione, il dittatore russo si preoccupa di accaparrarsi, a volte con eccessiva arroganza, quanti più aiuti è possibile dagli Stati Uniti, nonostante la Russia non abbia a disposizione naviglio per il trasporto dalle basi angloamericane. Oltre tutto la rotta per il porto russo di Arcangelo è difficile e minacciata dall’aviazione, dai sommergibili e da potenti navi di superficie tedesche di stanza in Norvegia. Eppure Stalin riesce ad ottenere quanto vuole, come risulta evidente dalla sua lettera a Churchill del 6 maggio 1942: “Ho una richiesta da farvi. Circa 90 navi, cariche di svariati materiali bellici assai importanti per l’URSS, 225 sono ferme attualmente in Islanda o in viaggio tra l’America e l’Islanda. Credo che vi sia il pericolo che la partenza di tali navi venga a lungo ritardata per la difficoltà di organizzare i convogli scortati da forze navali britanniche. Sono pienamente consapevole delle difficoltà connesse con tali operazioni e dei sacrifici compiuti dalla Gran Bretagna a questo proposito. Sento tuttavia di dovervi fare formale richiesta di prendere tutte le misure possibili per assicurare l’arrivo nell’URSS durante il mese di maggio di tutti i materiali poiché ciò è estremamente importante per il nostro fronte”. Ma ciò che Stalin vuole con tutte le sue forze è l’apertura da parte degli Alleati di un secondo fronte in Europa. L’ha già chiesto nel 1941 ed ora pretende che venga assolutamente attuato entro il 1942. E poi, come se non bastasse, il dittatore sovietico non cede su alcun punto durante la formulazione dei patti di collaborazione, presente e futura. In particolare vuole che vengano riconosciute dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra le frontiere che l’URSS ha acquisito (ed ora perso) quando, dopo il Patto con Hitler del 1939, ha incamerato mezza Polonia e gli Stati Baltici. Così nel maggio 1942 il Ministro degli Esteri Molotov si reca a Londra e a Washington perché venga sancito quanto Stalin chiede sulle frontiere. Churchill, forse, potrebbe scandalizzarsi, alzare la voce e opporsi al sacrificio di Stati che erano indipendenti prima dell’inizio del Conflitto: in fondo sono i Sovietici che stanno ottenendo materie prime ed armi. Invece si mostra stranamente acquiescente e induce Eden, che negli anni Trenta era stato tanto inflessibile con Mussolini e Hitler, a formulare la proposta di sostituire ad un accordo territoriale un trattato di alleanza generale per vent’anni, da rendere pubblico senza riferimenti alle frontiere. Il patto viene firmato e Stalin, il 28 maggio, scrive a Churchill: “Vi ringrazio vivamente per gli auguri manifestati in occasione della firma del nostro nuovo trattato. Sono certo che avrà moltissima importanza per il futuro rafforzamento delle relazioni amichevoli fra l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna e i nostri due Paesi e gli Stati 226 Uniti, e garantirà la più stretta collaborazione fra noi dopo la fine vittoriosa della guerra. Spero che il vostro incontro con Molotov di ritorno dagli USA, offrirà l’occasione per concludere quei lavori rimasti in sospeso sul secondo fronte...”. A Molotov viene rilasciato il seguente promemoria: “Stiamo compiendo i preparativi necessari per uno sbarco sul Continente nell’agosto o nel settembre 1942. Come già è stato spiegato, il maggiore ostacolo a un grosso corpo di spedizione sta nella scarsità degli speciali mezzi da sbarco. E’ chiaro tuttavia che non servirebbe né alla causa russa né a quella degli Alleati nel loro complesso il fatto che, per amore dell’azione ad ogni costo, ci avventurassimo in qualche operazione che terminasse in un disastro e desse al nemico la possibilità di vantarsi di averci sconfitti. E’ impossibile dire in anticipo se la situazione sarà tale, all’epoca indicata, da rendere l’operazione fattibile. Non possiamo pertanto fare alcuna promessa in proposito, ma non esiteremo ad attuare i nostri piani qualora appaiano pratici e sensati”. Ma nonostante il contenuto del promemoria e le gravi sconfitte inglesi in Libia e in Egitto, Stalin continua a pretendere l’apertura del secondo fronte. Così Churchill, dopo essere stato in ispezione al Cairo, parte il 10 agosto 1942 alla volta di Mosca. Insieme a lui v’è l’inviato speciale di Roosevelt, Harriman. Stalin non è all’aeroporto: si è limitato a incaricare Molotov di fare gli onori di casa. Solo più tardi il dittatore russo li riceve nella magnificenza del Cremlino e li trattiene a colloquio per 4 ore. La riunione è ristretta a Churchill, Harriman, Stalin, Molotov e Voroscilov, con i rispettivi ambasciatori ed interpreti, ed è tutt’altro che tranquilla. Infatti, quando il Primo Ministro inglese incomincia a dire che gli angloamericani stanno preparando una gigantesca azione sul Continente per il 1943, Stalin si sente truffato e chiede imperiosamente lo sbarco per il 1942, né si convince quando Churchill, mettendo in mostra la solita calma che caratterizza i suoi rapporti con il dittatore russo, gli spiega perché non 227 è possibile. Stalin immediatamente replica: “Le nostre vedute circa la guerra sono diverse. Chi non è pronto a correre rischi non può vincere una guerra. Perché avete tanta paura dei tedeschi?. E Churchill: “Vi siete mai chiesto perché Hitler non ha invaso l’Inghilterra nel 1940? Perché una simile impresa gli faceva paura. Non è facile attraversare la Manica in nessuno dei due versi”. E Stalin: “Non accetto le vostre argomentazioni. Non vi è nessuna analogia fra i due casi”. A questo punto Churchill, senza raccogliere le provocazioni, ma con l’abilità del prestigiatore che tira fuori la sorpresa nel momento giusto, presenta l’operazione Torch con la quale gli angloamericani si propongono di sbarcare entro ottobre nell’Africa del Nord, e Stalin si lascia sfuggire: “Che Dio benedica questa impresa”. Poi, immediatamente pentito, solleva una serie di difficoltà politiche: la Francia libera, De Gaulle, e così via. Ma, poco dopo, sembra convinto ed enumera lui stesso i vantaggi della Torch: “Colpirete Rommel alle spalle; spaventerete la Spagna; provocherete scontri armati fra tedeschi e francesi in Francia; esporrete l’Italia a tutte le durezze della guerra”. Il giorno dopo nuovo incontro e violenti litigi, perché Stalin sembra che abbia dimenticato tutto, o che abbia ricevuto rimproveri per il suo entusiasmo relativo all’operazione Torch. Il terzo giorno nuovo colpo di scena: il dittatore russo è di buon umore durante il pranzo ufficiale e fa uso di tanta abilità dialettica che confonde Churchill, al punto da costringerlo a chiedergli scusa per l’intervento militare inglese del 1920 a favore dei russi bianchi. “Mi avete perdonato?”, dice l’inglese, e si sente rispondere: “Tutto ciò è ormai roba passata e il passato appartiene a Dio”. Più tardi Stalin invita Churchill nella sua abitazione privata, dove compaiono due donne: una è l’anziana governante e l’altra, Svetlana, è l’unica figlia femmina del dittatore. Da tempo in Russia e nelle ambasciate si favoleggiava dei tumultuosi rapporti di Stalin con i 228 familiari. Si diceva che Svetlana era l’unico essere umano il cui affetto egli si sforzava di conservare, chiamandola la sua padroncina, ma impedendole tassativamente ogni manifestazione d’indipendenza, ogni rapporto appena amichevole con uomini e riducendola, molto spesso, in lacrime disperate. Con le due mogli che aveva avuto le cose erano andate molto peggio. Ekaterina Svanidze gli aveva dato un figlio, Jakov, che era stato fatto prigioniero dai tedeschi all’inizio della guerra e il padre l’aveva ripudiato, al punto da rifiutare una proposta di scambio di prigionieri, mentre il fratello, la cognata e la sorella di Ekaterina erano stati accusati di spionaggio dal dittatore e fatti fucilare senza pietà. Uguale sorte era toccata alle sorelle ed ai cognati delle seconda moglie di Stalin, Nadezda Allilueva, che, dopo avergli dato due figli, Svetlana e Vasilij, s’era suicidata nel 1932, dopo che il marito l’aveva rudemente offesa durante un pranzo ufficiale al Cremlino, perché aveva osato avanzare qualche timida protesta sul disumano trattamento riservato ai contadini. Dopo essersi seduti Churchill, Stalin e compagnia, incominciano a bere in abbondanza diverse marche di vini eccellenti e Molotov subito viene sottoposto dal dittatore russo a pungenti ed impietose prese in giro. Poi, improvvisamente, Stalin dirige i suoi strali su Churchill chiedendogli, in riferimento a un convoglio inglese quasi interamente distrutto dai tedeschi nell’Artide: “E’ vero che la marina britannica è assolutamente priva di senso dell’onore?”. E’ strano, ma per l’ennesima volta, quasi per una forma di sudditanza psicologica, il “mastino” non perde la calma e risponde: “Voi dovete credermi se vi dico che tutto fu compiuto nel modo migliore; ed io ho una lunga esperienza in fatto di marina e di guerra sul mare”. Al che Stalin: “Con ciò intendete dire che io non ne capisco nulla”. E Churchill: “La Russia è un animale terrestre, gli inglesi invece sono animali marini”. 229 La mezzanotte è ormai passata e i due protagonisti finalmente conversano in distensione, quando Churchill chiede con una punta di malizia: “Ditemi, le difficoltà di questa guerra vi hanno causato preoccupazioni tanto gravi come quelle provocate dalla costituzione delle fattorie collettive?”. “Oh, no, la collettivizzazione c’impose una lotta ben più terribile”. “Penso che vi sia riuscita così dura per il fatto che non avevate a che fare con poche migliaia di aristocratici o di grandi latifondisti, ma con milioni di umili contadini” “Dieci milioni. Fu una lotta terribile che durò ben 4 anni. Era assolutamente necessario per la Russia se volevamo evitare le carestie periodiche e arare la terra con i trattori; noi dovevamo meccanizzare la nostra agricoltura. Quando li davamo ai contadini, i trattori diventavano tutti inutilizzabili nel giro di alcuni mesi. Soltanto le fattorie collettive dotate di officine di riparazione potevano farli funzionare. Ci adoperammo in tutti i modi per spiegare la cosa ai contadini, ma discutere con loro non serviva a nulla. Dopo che voi avete detto tutto il possibile a un contadino, egli vi risponde che deve andare a casa a consultarsi con la moglie e con il suo Pop. Dopo che ha discusso la questione con loro, il contadino risponde invariabilmente che non ne vuole sapere delle fattorie collettive e che preferisce fare a meno dei trattori”. “Erano questi i cosiddetti kulaki?”. “Sì, fu davvero un’impresa molto dura e difficile, ma necessaria”. “E che accadde?”. “Oh, bene, parecchi di essi accettarono di entrare nelle nostre fattorie. Ad alcuni furono assegnate terre da coltivare in proprio nelle provincie di Tomsk o di Irkutsk o ancora più a nord, ma la grande maggioranza dei kulaki era molto impopolare e fu liquidata dai dipendenti (...). Non soltanto abbiamo notevolmente aumentato la quantità della produzione, ma abbiamo anche enormemente migliorato la qualità del grano. Un tempo si coltivavano tutte le 230 specie; ora nessuno, da un capo all’altro del nostro Paese, può seminare grano diverso dal tipo standard sovietico. Coloro che non si attengono alle disposizioni in materia incorrono in pene severe; ciò comporta un altro notevole aumento nella produzione cerealicola”. CHURCHILL costituisce, con la sua generosa, fattiva e frenetica attività, il vero cardine su cui ruota la grande alleanza contro l’Asse, o, per meglio dire, contro l’hitlerismo. Certamente, ormai non è il più importante capo della coalizione, ma rimane il collante di tutto, dentro e fuori il suo Paese, dove sovrintende, in modo inflessibile, sulle forze armate e sulla produzione bellica. Inoltre, anche se qualche Paese del Commonwealth mostra tendenze centrifughe, attratto dai più possenti Stati Uniti, Churchill riesce a tenerlo a freno e a farlo allineare alla volontà britannica. E’ il caso dell’Australia, con il suo inquieto Primo Ministro Curtin e di qualche altro. Alla fine delle cangianti vicissitudini del 1942, che si chiude comunque in modo trionfale per gli Alleati, viene organizzata la Conferenza di Casablanca e Churchill scrive a Roosevelt il 30 dicembre: “ 1) Il giorno di Natale ho inviato in Africa settentrionale il generale di brigata Jacob a consultarsi con i generali Reisehower e Bedell Smith, vi telegraferà i risultati della loro ricognizione. 2) Ritengo che il meglio che possiamo fare è di accettare queste proposte; poiché il tempo stringe, io proseguo nella presunzione che voi approverete. 3) E’ mia intenzione di far partire dal Regno Unito verso il 4 gennaio la nave Bubolo, particolarmente adatta come sede di un quartier generale, con gli ufficiali di Stato Maggiore di grado inferiore della mia delegazione, gli addetti al cifrario, i segretari, ecc. La Bubolo getterà l’ancora nel porto e funzionerà da nave avviso. 4) Voi proponete che alcuni dei nostri consiglieri militari ci precedano di alcuni giorni per sgombrare il terreno. Sono interamente d’accordo e farò in modo che i capi dello Stato Maggiore britannico giungano in aereo al luogo dell’incontro nel giorno in cui i capi dello Stato Maggiore americano saranno in grado di recarvisi. Potete farmi 231 sapere la data? 5) Sarebbe pure molto utile se mi poteste far conoscere al più presto possibile il vostro programma personale, affinché anch’io possa fare i miei preparativi. 6) Molti ringraziamenti per la nomina di Macmillan. Sono d’accordo circa quanto dite in merito alla suprema autorità di Eisenhower”. Nella Conferenza di Casablanca, su precisa volontà di Roosevelt, i due protagonisti stabiliranno il principio fiero ma pericoloso, al quale si atterranno inflessibilmente, della “resa incondizionata” di Germania, Giappone e Italia. 232 | |
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 6:24 pm | |
| CAP. XIV MENTRE STALIN TRIONFA AD ORIENTE E CHURCHILL E ROOSEVELT INVADONO LA SICILIA, MUSSOLINI VIENE ARRESTATO E L’ITALIA CHIEDE L’ARMISTIZIO SUSCITANDO LA VIOLENTA REAZIONE DI HITLER Fra la fine del 1942 e i primi mesi del 1943 la guerra di MUSSOLINI, unitamente a quella tedesca, va a rotoli nell’Africa del nord e in Russia, dove l’armata italiana deve registrare ben 74.000 morti su 229.000 effettivi ed un completo disfacimento, riscattato da vari episodi di vivido eroismo. Nel frattempo a Roma, il Duce, fra violenti dolori gastrici, si occupa anche del regalo da fare a Goring per il suo cinquantesimo compleanno e, sempre più lontano dalla realtà, non vuole pesare sul patrimonio artistico statale, ma comunica a Ciano che regalerà al tedesco l’unico quadro di un certo valore che possiede personalmente: un autoritratto di Mancini. Gli alti e bassi dell’umore mussoliniano sono ormai consuetudinari. Così, mentre il 23 gennaio 1943 al Consiglio dei Ministri, dichiara: “Questa guerra durerà ancora 3 o 4 anni”, registra senza protestare le affermazioni di alcuni militari che dicono: “L’unica via di salvezza per l’Italia, l’esercito e lo stesso Regime è quella della pace separata”. Il 5 febbraio Mussolini, dopo aver sostituito Cavallero con Ambrosio alla testa dell’esercito, cede alle continue e sommesse pressioni tedesche e convoca Ciano per comunicargli che lo rimuove da Ministro degli Esteri per nominarlo ambasciatore presso la Santa Sede. Poi, tre giorni dopo, gli dice: “Adesso devi considerare che hai un periodo di riposo. Poi tornerà il tuo turno. L’avvenire tuo è nelle mie mani e per questo ti puoi considerare tranquillo. Se ci avessero 233 lasciato tre anni di tempo avremmo potuto fare la guerra in condizioni ben differenti o forse non sarebbe stato affatto necessario farla”. Quando in giugno gli Alleati, con il completo dominio aeronavale, conquistano l’isola di Pantelleria al costo di solo 2 feriti e facendo ben 10.000 prigionieri, il Duce, dopo aver autorizzato la resa e respinto la richiesta di Hitler di far fucilare l’ammiraglio Pavesi che ne comandava la guarnigione, dichiara: “Un giorno dimostrerò che questa guerra non si poteva, non si doveva evitare, pena il nostro suicidio (...) Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare in Sicilia sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del bagnasciuga (...) Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della Patria, 46 milioni di italiani, meno trascurabili scorie, sono in potenza e in atto 46 milioni di combattenti che credono nella vittoria perché credono nella forza eterna della Patria”. Ma, a parte la generale sfiducia sulle sorti della guerra, l’Italia ha in Sicilia 300.000 uomini male armati e quasi del tutto privi della possibilità di spostarsi rapidamente, perché dotati di pochi automezzi. Inoltre hanno solo 100 carri armati che non siano le famigerate “scatolette di sardine”. A loro volta i tedeschi hanno nell’isola 2 divisioni con 165 carri armati. Anche in questo caso, così importante perché si tratta del territorio metropolitano, qualcosa non funziona nell’organizzazione e nei comandi mussoliniani, se si pensa che l’Italia ha molte altre divisioni, meglio armate e motorizzate, sul continente e in Corsica, Francia, Iugoslavia, Grecia e altrove. In luglio, dopo lo sbarco alleato nell’isola, che risulta immediatamente vincente, Hitler telegrafa a Mussolini in questi termini: “Sino ad oggi nessun attacco nemico ha avuto luogo contro Augusta (comandante l’ammiraglio Primo Leonardi). Gli inglesi non ci sono mai stati. Ciò nonostante il presidio italiano ha fatto saltare cannoni e munizioni e incendiato un grande deposito di carburante (...) Molti soldati isolati o in piccoli gruppi si aggirano per la 234 campagna: taluni hanno gettato le armi e le uniformi indossando abiti civili”. Il Duce ha un soprassalto di energia. Chiede ad Ambrosio spiegazioni e si sente rispondere che “I fatti si riducono ad episodi di particolari reparti della piazza di Augusta sottoposti ad intenso bombardamento aereo e navale. Episodi di tal genere si verificano in tutti gli eserciti. E si può rilevare che la stessa divisione Goring, affacciatasi a Gela, è stata costretta a ripiegare”. Così la possibile severa purga si esaurisce nel punire solo il capomanipolo Catanzaro, che comandava una batteria nei pressi di Catania, dove sembra che gli addetti abbiano abbandonato il posto, a carico del quale il Duce ordina: “Se le cose stanno come riferite, il comandante sia fucilato”. Nel frattempo nel Paese e nelle sfere dirigenziali ancor più si è diffusa le realistica sensazione che la guerra sia irrimediabilmente perduta, nonostante girino voci che i tedeschi stiano mettendo a punto efficacissime armi nuove. In ogni caso molti ritengono che Mussolini non sia più in grado di esercitare un lucido ed autorevole comando. Militari fedeli al re e financo alcuni autorevoli gerarchi fascisti congiurano per provocare la definitiva caduta del Duce, che viene indotto a convocare il Grande Consiglio Fascista, di cui fanno parte i membri vitalizi, chiamati quadrumviri, i presidenti del Senato e della Camera, i ministri, il presidente dell’Accademia d’Italia, il Capo di Stato Maggiore della Milizia, il presidente del Tribunale Speciale, i presidenti delle Confederazioni fasciste, e altri membri per meriti speciali come Bottai, Ciano, Buffarini Guidi, Farinacci, de Stefani, Alfieri, Marinelli e Rossoni. Il Gran Consiglio viene convocato il 24 luglio 1943, dopo che Mussolini si è incontrato a Feltre con Hitler e dopo il bombardamento angloamericano del Quartiere San Lorenzo di Roma. Nessuno s’adopera per rinviarlo o annullarlo, nonostante Grandi, che presto si rivelerà come capo della rivolta o del complotto contro il Duce, abbia, con coraggio e lealtà, mostrato due giorni prima a Mussolini l’ordine 235 del giorno che intende far approvare. In esso si chiede: “L’immediato ripristino di tutte le funzioni statali attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni, le responsabilità stabilite dalle leggi costituzionali e statutarie italiane; inoltre ridare al re l’effettivo comando delle Forze Armate che è ora di Mussolini”. E’ strano che il Duce non eviti la sua caduta politica. Lo può fare nel corso del Gran Consiglio sospendendolo d’autorità, oppure il giorno dopo, facendo arrestare chi ha votato in favore dell’ordine del giorno Grandi, che è stato approvato con 19 sì (compreso quello di Ciano) 8 no e un astenuto. Ma forse il dittatore, malato d’ulcera e sconfitto com’è dalla guerra, vuole liberarsi delle responsabilità attuali e di quelle che si presentano ancora più gravi nell’immediato futuro. Infatti, nel corso della riunione, egli dice contraddittoriamente: “In questo momento io sono l’uomo più detestato, anzi odiato, d’Italia, il che è logico. La verità è che nessuna guerra è popolare all’inizio: lo diventa se va bene e se va male diventa impopolarissima. (...) Non ho mai diretto tecnicamente le operazioni militari tranne quella navale di Pantelleria nel 1942. Il risultato fu una netta vittoria. (...) Solo Stalin e il Mikado possono dare l’ordine di resistere fino all’ultimo uomo. (...) I siciliani hanno accolto gli anglosassoni come salvatori. (...) E’ questo il momento di stringere le fila, e assumersi le responsabilità necessarie. Non ho alcuna difficoltà a cambiare uomini, a girar la vite. Nel 1917 furono perdute provincie del Veneto, ma nessuno parlò di resa, allora si parlò di portare il Governo in Sicilia. Oggi, qualora fosse inevitabile, lo porterò nella valle del Po. (...) Se fossi stato curato un po’ peggio dal mio medico, forse oggi non avreste il fastidio di questa seduta.(...) Chi chiede la fine della dittatura sa di volere la fine del fascismo. Io ho 60 anni e so cosa vogliono dire certe cose. Del resto la mia meravigliosa ventura è durata già vent’anni”. Invece lo stanco dittatore chiede udienza al re, che la fissa, contrariamente al solito, a villa Savoia e non al Quirinale, e si reca ad 236 incontrarlo praticamente senza scorta, perché rimasta fuori. Il re, vestito da maresciallo, è sulla porta, mentre nell’interno stazionano due ufficiali. Giunto nel salotto il re, agitato e con il volto pallido e tirato, dice: “Caro Duce, le cose non vanno più. L’Italia è in tocchi. L’esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi. Gli alpini cantano una canzone nella quale dicono che non vogliono più fare la guerra per conto di Mussolini. Il voto del Gran Consiglio è tremendo. Diciannove voti per l’ordine del giorno Grandi: fra di essi quattro collari dell’Annunziata. Voi non vi illudete certamente sullo stato d’animo degli italiani nei vostri riguardi. In questo momento voi siete l’uomo più odiato d’Italia. Voi non potete contare più su di un solo amico. Uno vi è rimasto, io. Per questo vi dico che non dovete avere preoccupazioni per la vostra incolumità personale, che farò proteggere. Ho pensato che l’uomo della situazione è, in questo momento, il maresciallo Badoglio. Egli comincerà col formare un ministero di funzionari per l’amministrazione e per continuare la guerra. Fra sei mesi vedremo. Tutta Roma è già a conoscenza dell’ordine del giorno del Gran Consiglio e tutti attendono un cambiamento”. A queste parole il dittatore, il tiranno, il padrone assoluto dell’Italia per oltre vent’anni, si limita a rispondere: “Voi prendete una decisione di una gravità estrema. La crisi in questo momento significa far credere al popolo che la pace è in vista, dal momento che viene allontanato l’uomo che ha dichiarato la guerra. Il colpo al morale dell’esercito sarà serio. Se i soldati, alpini o no, non vogliono più fare la guerra per Mussolini non ha importanza, purché siano disposti a farla per voi. La crisi sarà considerata un trionfo del binomio Churchill-Stalin, soprattutto di quest’ultimo, che vede il ritiro di un antagonista da venti anni in lotta contro di lui. Mi rendo conto dell’odio del popolo. Non ho avuto difficoltà a riconoscerlo stanotte in pieno Gran Consiglio. Non si governa così a lungo e non s’impongono tanti sacrifici senza che ciò provochi risentimenti più o 237 meno fugaci e duraturi. Ad ogni modo io auguro buona fortuna all’uomo che prenderà in mano la situazione”. Alle diciassette e venti, dopo appena dieci minuti di colloquio, il re accompagna Mussolini sulla soglia della villa e gli stringe a lungo la mano. Il Duce scende la scalinata e viene avvicinato dal capitano dei carabinieri Vigneri che gli dice: “Duce, in nome di Sua Maestà il re vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze da parte della folla”. Il Duce rifiuta, poi si convince e si dirige verso la sua automobile, ma l’ufficiale, decisamente, lo indirizza verso un’autoambulanza in attesa e, presolo per il gomito, lo aiuta a salire. L’auto parte, seguita da un autocarro pieno di 50 carabinieri, uscendo da villa Savoia attraverso un ingresso secondario. Mussolini viene condotto in caserma, dove gli promettono, con l’avallo di una marea di messaggi mendaci di autorevoli personaggi, la libertà in Romagna alla Rocca delle Caminate. Invece una nave da guerra lo conduce da prigioniero nell’isola di Ponza, dove viene trattenuto dal 27 luglio al 7 agosto. Successivamente viene trasferito all’isola della Maddalena (dal 7 al 27 agosto) e, infine, in montagna, in un rifugio di Campo Imperatore. In tutte queste località l’ex dittatore si comporta come un alto funzionario dello Stato stanco e depresso, ma finalmente in pensione. Nel frattempo, già subito dopo il clamoroso arresto, viene diffuso il seguente comunicato: “Il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni del cavaliere Benito Mussolini e nomina in sua vece il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio”. E l’Italia è in festa: tutti coloro che occupano posizioni di un qualche rilievo, tranne il presidente dell’agenzia di stampa Stefani che si suicida, si dimenticano con eccezionale velocità del Duce e del fascismo, che tanto hanno osannato. Anche il popolo si comporta nello stesso modo e dovunque vengono distrutti busti marmorei, statue e fotografie del deposto dittatore. Fasci littori, distintivi e tessere del Partito Fascista finiscono 238 nelle fogne, mentre il nuovo governo cerca disperatamente di ottenere l’armistizio. A proposito della repentina caduta del Duce, CHURCHILL scrive: “Così finirono i 21 anni della dittatura di Mussolini in Italia, durante i quali egli aveva sollevato il popolo italiano dal bolscevismo, in cui avrebbe potuto sprofondare nel 1919 per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima. Un nuovo impulso era stato dato alla vita nazionale. L’impero Italiano nell’Africa settentrionale fu fondato. Molte importanti opere pubbliche in Italia furono completate. Nel 1935 il Duce con la sua forza di volontà aveva sopraffatto la Lega delle Nazioni -“cinquanta nazioni capeggiate da una sola”- ed era riuscito a conquistare l’Abissinia. Il suo regime era troppo costoso, senza dubbio, per il popolo italiano, ma è innegabile che attrasse, nel suo periodo di successo, un grandissimo numero d’italiani. Egli era, come ebbi a scrivergli in occasione del crollo della Francia, “il legislatore d’Italia”. L’alternativa al suo regime avrebbe potuto essere un’Italia comunista, che non sarebbe stata fonte di pericoli e sciagure di natura diversa per il popolo italiano e l’Europa. L’errore fatale di Mussolini fu la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna dopo le vittorie di Hitler nel giugno 1940. Se non lo avesse commesso, avrebbe potuto tenere benissimo l’Italia in una posizione d’equilibrio, corteggiata e ricompensata dalle due parti, derivando inusitata ricchezza e prosperità dalle lotte di altri Paesi. Anche quando le sorti della guerra apparvero manifeste, Mussolini sarebbe stato bene accetto agli Alleati. Egli aveva molto da dare per abbreviare la durata del conflitto. Avrebbe potuto scegliere con abilità e intelligenza il momento più adatto per dichiarare la guerra a Hitler. Invece prese la strada sbagliata. Non aveva mai compreso a pieno la forza dell’Inghilterra e neppure le tenaci sue qualità di resistenza e di potenza marinara. Così provocò la propria rovina. Le grandi strade 239 che egli costruì resteranno un monumento al suo prestigio personale e al suo governo”. La guerra degli inglesi è ormai divenuta abbastanza facile, per merito dell’alleanza pienamente operante con i due colossi, USA e URSS. I mezzi bellici non solo sono di qualità migliore, ma preponderanti come in Sicilia, dove operano ben 4.000 modernissimi aerei, contro i 1.850 italo-tedeschi che debbono suddividersi fra tutta l’Italia e la Francia. Eppure Churchill non perde nessuna occasione e il 26 luglio 1943 si precipita a telegrafare a Roosevelt: “I mutamenti annunciati in Italia preludono probabilmente a proposte di pace. Consultiamoci per intraprendere azione comune. La fase attuale può essere soltanto transitoria. Ma ad ogni modo Hitler si deve sentire molto solo, ora che Mussolini è deposto e allontanato. Nessuno può essere veramente certo che tutto ciò non vada più innanzi ancora”. Il Presidente americano non è da meno, perché un suo messaggio s’incrocia con quello di Churchill: “Per combinazione mi trovavo a Shagri La quest’oggi quando è arrivata la notizia da Roma, ma questa volta sembra proprio che sia vera. Se dovesse sortirne qualche elemento favorevole a noi dobbiamo assicurarci l’uso di tutti i mezzi di trasporto e del territorio italiano contro i tedeschi nel nord e contro l’intera penisola balcanica, come anche l’uso d’aeroporti d’ogni genere. La mia idea è che si debba avvicinarci quanto più possibile a una resa senza condizioni, seguita da un buon trattamento nei riguardi delle masse popolari italiane; ma penso anche che il Diavolo Grosso debba esserci consegnato con i suoi complici. In nessun caso i nostri comandanti di prima linea dovranno fissare condizioni generali senza la vostra e la mia approvazione. Fatemi conoscere le vostre idee in merito”. In breve i due alleati stendono un piano, nel quale si prevede di: avere immediatamente le “perle italiane”, ossia Corfù e la Flotta, che possiede ancora ben 6 corazzate, di cui due supermoderne, la liberazione di tutti i prigionieri Alleati in Italia, e lo scontro delle forze 240 armate italiane e della popolazione contro i tedeschi. Ma il 28 luglio Churchill, temendo un’eccessiva generosità del Presidente americano nei confronti dell’Italia, gli scrive: “1) Ci sono 74.000 prigionieri britannici in Italia, oltre a 30.000 fra iugoslavi e greci. Non possiamo dichiararci d’accordo su qualsivoglia promessa di rilasciare centinaia di migliaia di prigionieri italiani ora nelle nostre mani, a meno che i nostri uomini e quelli degli alleati non siano salvati dagli orrori della prigionia in Germania e restituiti. 2) Inoltre, in aggiunta agli italiani fatti prigionieri in Tunisia e in Sicilia, abbiamo almeno 250.000 italiani catturati da Wawell due anni fa e dislocati un po’ in tutto il mondo. Riteniamo troppo offrire la restituzione di una così grande quantità di prigionieri fatti nelle prime fasi della guerra, né lo riteniamo necessario...”. Non contento, il “mastino” inglese vuole tenere al suo posto Eisenhower, il comandante militare supremo, e il 29 luglio scrive ancora a Roosevelt: “...Riteniamo inoltre che le condizioni di resa debbano riguardare le esigenze civili oltre che quelle militari, e che sarebbe molto meglio che venissero stabilite ed inviate dai nostri due Governi, anziché dal generale sul campo...”. Un paio di settimane dopo i due protagonisti s’incontrano alla Conferenza di Quebec, dove discutono di tutto e, prevalentemente, del grande sbarco in Francia, previsto per il 1944. Dalla città canadese dirigono insieme le caotiche vicende delle trattative per l’armistizio con l’Italia, che sono rese particolarmente difficili dalla presenza sul suolo italiano di molte ed agguerrite divisioni tedesche. Il 18 agosto scrivono ad Eisenhower: “Noi e i Capi di Stato Maggiore disponiamo onde mandiate immediatamente a Lisbona due ufficiali del vostro comando, uno statunitense ed uno inglese, che dovranno presentarsi all’ambasciatore britannico. Debbono portare con sé i termini armistiziali convenuti, che vi sono già stati mandati. L’ambasciatore avrà predisposto un incontro col generale Castellano (...) Ad esso verrà comunicato che la resa incondizionata dell’Italia viene accettata nel quadro stabilito. Si dovrà dirgli che i termini non 241 comprendono condizioni politiche, economiche o finanziarie che verranno comunicate successivamente per altro tramite...”. Mentre Castellano, per non dar nell’occhio ai tedeschi, ritarda il suo rientro in Italia, il 26 agosto appare sulla scena di Lisbona un altro inviato italiano, il generale Zanussi, accompagnato, come sua referenza, dal generale inglese decorato con la Victoria Cross, Carton de Viart che è prigioniero degli italiani. Anche Zanussi viene inviato ad Algeri per conferire con Eisenhower e dove vi è anche Castellano. Fra una grande confusione, di cui sono colpevoli entrambe le parti, si stabiliscono le condizioni per l’annuncio dell’armistizio. Inizialmente si ritiene che gli Italiani, con l’appoggio di una divisione Alleata aereotrasportata, possano difendere Roma e l’Italia centrale. In tal senso Roosevelt e Churchill scrivono il 2 settembre a Stalin: “Il generale Castellano ci ha comunicato che gli italiani accettano e che egli verrà a firmare, ma non sappiamo con certezza se questo si riferisca alle brevi clausole militari di cui avete già preso conoscenza, o a più comprensive e complete clausole in merito alle quali era specificatamente indicata la vostra adesione alla firma. 2) La nostra situazione militare laggiù è insieme critica e incoraggiante. La nostra invasione della Penisola è imminente. E il pesante colpo di maglio chiamato Avalanche (sbarco a Salerno) calerà intorno alla prossima settimana. Le difficoltà del Governo e del popolo italiano nel liberarsi dalle grinfie di Hitler potrebbero rendere necessaria un’impresa ancora più audace, perché Eisenhower avrà bisogno di tutto l’aiuto italiano che riuscirà ad ottenere. L’accettazione italiana dei termini si basa soprattutto sul fatto che noi manderemo una divisione aviotrasportata a Roma per aiutare gli italiani a tenere a bada i tedeschi, che hanno raccolto forze corazzate nei pressi della Capitale e potrebbero sostituire il Governo Badoglio con un Governo tipo Quisling probabilmente sotto Farinacci. La situazione evolve così rapidamente che riteniamo Eisenhower debba avere l’autorità di non rimandare l’accordo con gli italiani per una differenza di clausole 242 brevi e lunghe. E’ chiaro che le clausole brevi sono comprese in quelle lunghe, e che si basano sulla resa incondizionata, ponendone l’interpretazione nelle mani del supremo comando alleato. 3) Riteniamo pertanto che contiate sul fatto che Eisenhower firmi a vostro nome un armistizio breve, se questo fosse necessario, per evitare ulteriori viaggi del generale Castellano a Roma, con relativi rischi ed incertezze pregiudizievoli per le operazioni militari...”. Il giorno dopo, esattamente il 3 settembre 1943, in un paese vicino Siracusa, Castellano per il maresciallo Badoglio e il generale Bedell Asmith per Eisenhower firmano l’armistizio. Subito gli Alleati invadono la Calabria e Churchill scrive a Stalin: “Il generale Castellano, dopo molti contrasti, ha firmato l’armistizio breve e sta ora studiando coi generali Eisenhower e Alexander il modo migliore per metterlo in atto. Questo porterà certo a combattimenti immediati fra le forze italiane e tedesche, e noi aiuteremo gli italiani (...) Non posso prevedere cosa accadrà a Roma e in tutt’Italia. Scopo dominante deve essere uccidere tedeschi, e indurre gli italiani ad uccidere tedeschi nel maggior numero possibile in questo settore della guerra. Resto a Quebec finché la faccenda non sia risolta. Vogliate frattanto cogliere le mie più calde congratulazioni per la vostra serie di vittorie e di penetrazioni sul fronte principale”. Per il progettato sbarco della divisione aviotrasportata il generale americano Taylor si reca a Roma il 7 settembre e si trova immerso in un caos indescrivibile oltre che in un’apparente indifferenza dei sommi capi militari italiani. Gli viene detto che, ormai, i tedeschi hanno forze imponenti e agguerritissime e che controllano gli aeroporti intorno alla Capitale, mentre l’esercito italiano è demoralizzato e manca di munizioni. Così, per una strana volontà italiana, l’arrivo delle truppe alleate intorno Roma viene annullato e Badoglio chiede di poter rinviare l’annuncio dell’armistizio, la cui data è ancora ignorata dagli italiani per una colpevole diffidenza del comando alleato. 243 Quando Eisenhower viene informato della situazione da Taylor, l’8 settembre, telegrafa ai capi di Stato Maggiore Collegati: “Ho conchiuso testé una conferenza coi comandanti superiori e ho deciso di non accettare il mutato atteggiamento italiano. Intendiamo procedere in armonia col piano annunciato dell’armistizio, e con la relativa propaganda e altre misure. Il maresciallo Badoglio viene informato attraverso il nostro diretto collegamento che questo strumento di resa accettato dal suo rappresentante accreditato presumibilmente con buona fede d’ambo le parti è considerato valido e impegnativo, e che noi non riconosceremo nessuna deviazione della nostra intesa originaria”. Immediatamente Roosevelt e Churchill rispondono: “Il Presidente e il Primo Ministro sono d’avviso che, firmato ormai l’accordo, voi ne facciate quel pubblico annuncio che faciliti le vostre operazioni militari”. Alle ore 18,00 la radio trasmette in tutto il mondo, compresa l’Italia, l’avvenuto armistizio, lasciando in un profondo scoramento il Governo di Roma. Ma ormai non c’è più nulla da fare: Badoglio in persona si reca a Radio Roma e dice al microfono: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza”. Con colpevole leggerezza Badoglio, unitamente ai maggiori responsabili del Governo e delle Forze Armate, ad incominciare dal re, dimentica d’inviare tempestive, chiare e dettagliate istruzioni ai quasi 2 milioni di soldati italiani che, in quel momento, sono così distribuiti: 1.100.000 in Italia, 230.000 in Francia e Corsica, 300.000 in Iugoslavia, 105.000 in Albania, 210.000 in Grecia e 50.000 nelle 244 isole italiane del Mar Egeo. Si può notare che queste forze sono numerose ma, come è avvenuto in tutta la guerra, troppo diluite, male armate, pochissimo motorizzate e corazzate ed ora anche del tutto non informate e prive di istruzioni, al punto da ritenere, nella grande maggioranza dei casi, i tedeschi ancora alleati. Contro di esse muovono tempestivamente forze minori tedesche, ma ben attrezzate, informate e comandate. Combattimenti, anche con la partecipazione di qualche migliaio di civili, avvengono intorno Roma e si concludono in 3 giorni con un’altra resa, questa volta firmata ai germanici dal generale di secondo piano Giaccone, poichè il Governo, il re e tutti i più alti generali sono ormai sulla via di Pescara. Il vecchio maresciallo Caviglia, vincitore di Vittorio Veneto, costituisce una gloriosa eccezione, perché si precipita a Roma per prendere il comando, ma non riesce ad ottenere le necessarie credenziali dall’ormai lontano Badoglio. Nel frattempo, in piena osservanza dei patti armistiziali, la grande flotta da guerra italiana si dirige verso Malta senza alcuna protezione aerea e la nuova possente corazzata Roma, appena uscita dai cantieri di Genova, viene colpita e affondata da una fortunata bomba tedesca che s’infila in un fumaiolo. Quasi a compensarla, il 10 settembre Churchill telegrafa all’ammiraglio Cunningham: “Se la flotta italiana arriverà nei nostri porti dopo aver scrupolosamente osservato le condizioni di armistizio, e sostenuto l’attacco di rappresaglia dei bombardieri germanici, confido che consulterete il generale Eisenhower, onde la ‘magnifica preda’ sia ricevuta con generosità e cortesia. Sono certo che ciò avverrà in armonia con i vostri sentimenti. Si dovranno prendere riprese cinematografiche della resa dell’intera flotta di quella che è stata una vittoriosa Grande Potenza, della cortese accoglienza da parte britannica, dell’affettuoso trattamento di feriti, ecc.”. Il 12 settembre Churchill, che pensa proprio a tutto e continuamente impartisce tempestive disposizioni, scrive ancora a 245 Cunningham: “ Al più presto possibile dovreste inviarmi rapporto sulle artiglierie d’ogni specie della flotta italiana, a partire dalle più importanti unità. Senza preoccuparvi di completare il tutto, mandate immediatamente la relazione all’Ammiragliato, che la trasmetta agli Stati Uniti, specificando le particolari necessità delle unità più grandi e moderne. Io posso probabilmente provvedere qui a una rapida soluzione”. Poi, ancora non contento, l’efficientissimo “mastino” inglese, nonostante la non verde età di 69 anni, il 13 settembre scrive al generale Wilson: “La conquista di Rodi da parte vostra in questo momento, con l’aiuto italiano, sarebbe uno splendido contributo alla guerra nel suo insieme. Comunicatemi i vostri piani in proposito. Non potreste improvvisare la necessaria guarnigione traendola dalle forze del Medio Oriente? Quali sono in totale le forze di cui disponete?”. Mentre bande partigiane si formano e incominciano ad agire nell’Italia centrosettentrionale, il 12 settembre 90 paracadutisti tedeschi liberano, o forse catturano, Mussolini e lo portano da Campo Imperatore a Monaco e quindi da Hitler. Da qui ripartirà per dirigere, ormai solo come un qualsiasi Quisling, la neofondata Repubblica Sociale Italiana che, sotto la protezione tedesca, si oppone dal Nord al Governo Badoglio di Brindisi che agisce sotto il controllo Alleato. HITLER nel febbraio 1943 è sconfortato: la sua armata si è arresa a Stalingrado e il suo comandante, von Paulus, con essa. Secondo il Führer avrebbe invece “dovuto uccidersi con l’ultima cartuccia. E’ insensato che un generale non sappia fare ciò che una femmina oltraggiata fa, ossia suicidarsi come 20.000 persone fanno ogni anno in Germania”. In aprile Hitler s’incontra con Mussolini a Salisburgo e ne ha una pessima impressione. Ormai il Duce si nutre solo di latte zuccherato e la sua famosa imponenza non esiste più. Comunque il dittatore tedesco dice al collega italiano che ha riletto la storia di Verdun e che loro due, insieme, faranno di Tunisi la Verdun italiana. 246 Ma non è così: la guerra va decisamente male e non si capisce se Hitler crede davvero nelle sue tanto sbandierate armi segrete. D’altra parte cosa potrebbe fare? Non certo chiedere l’armistizio, quando ormai gli Alleati hanno stabilito il principio della resa incondizionata e lui verrebbe sicuramente processato e fucilato per crimini di guerra. Quando in luglio Mussolini viene arrestato, Hitler si mostra ad alcuni suoi generali in preda a un prolungato e spaventoso scoppio di furore, che viene giudicato “uno sbalorditivo e sconvolgente sfoggio di confusione mentale e mancanza di equilibrio”. Ma il Führer non ha tutti i torti se il suo ambasciatore in Italia considera la votazione del Gran Consiglio e quello che ne è seguito “nulla di allarmante”. Invece Hitler, urlando “Tradimento, tradimento!”, non vuole riconoscere il Governo Badoglio e occupare subito l’Italia, ma ne viene dissuaso. Ciò nonostante il dittatore provvede immediatamente ad inviare altre divisioni in Italia e a dare ordine alle sue truppe, di stanza in Alto Adige, di comportarsi come se quel territorio fosse già stato annesso alla Germania. Infine, quando gli perviene la notizia ufficiale che l’armistizio è stato firmato, fa occupare Roma e intensificare la ricerca della prigione di Mussolini, che viene individuata. Immediatamente un nutrito numero di paracadutisti libera il Duce che il 15 settembre, dopo Monaco, viene condotto a Rastemburg da Hitler che ne è profondamente deluso: al suo cospetto, come si attendeva, non c’è un Mussolini ferocemente intenzionato a vendicarsi, ma uno squallido uomo rassegnato, stanco e sottomesso che si convince, quasi in esecuzione di un ordine, a mettersi alla testa di un neogoverno fascista, la cui sede è stabilita dai tedeschi a Salò, un paesino sul lago di Garda. STALIN passa ormai, anche per merito dei continui aiuti di materiali ed armi americane, di successo in successo e continua a far retrocedere le truppe di Hitler, che sono ancora tanto fortemente attestate in Russia. Il 13 luglio, su imitazione di quanto Churchill fa da 247 tanto tempo a Londra, crea a Mosca il Comitato della Germania Libera. A luglio la notizia della caduta di Mussolini lo riempie di felicità perché, forse, a parte Hitler in guerra, è stato il suo maggiore e più temuto avversario, che lo aveva anche sconfitto militarmente in Spagna. Quando poi, nemmeno un mese dopo, l’Italia inizia i contatti con gli angloamericani per ottenere l’armistizio, il dittatore russo è molto attento che ogni atto riguardante la capitolazione dell’ex nazione fascista sia sempre compilato anche con l’autorizzazione e la firma dei sovietici. ROOSEVELT è più che mai sulla cresta dell’onda e capo, ufficiosamente riconosciuto, della coalizione alleata contro Hitler e Mussolini. Quando il Duce cade e viene arrestato e l’Italia chiede l’armistizio, vuole che il dittatore venga consegnato agli Alleati per processarlo, ma Hitler non ne dà il tempo, perché provvede a far condurre il collega in Germania. Nel frattempo le forze americane del Pacifico, al comando del generale Mac Arthur, aiutano con ogni mezzo Chiang Kai Shek in Cina e occupano la Nuova Georgia. 248 CAP. XV DALL’INCONTRO DI TEHERAN FRA ROOSEVELT, STALIN E CHURCHILL AL GRANDE SBARCO IN NORMANDIA Giunto al novembre del 1943, ROOSEVELT si avvicina a festeggiare il secondo anniversario dell’entrata in guerra del suo Paese da lui fortemente voluta e ottenuta con la sua consumata abilità di grande politico. Ormai le sorti del conflitto sono già decise e bisogna solo mettere meglio a punto e concludere, nel modo migliore e più rapido, l’attività bellica con lo sguardo rivolto al “dopo” che deve realizzare i grandi obbiettivi rooseveltiani di abolire per sempre i grandi imperi coloniali europei, abbattere la concorrenza commerciale giapponese e assicurare agli Stati Uniti la leadership mondiale. In relazione a questi scopi, di cui il primo è in chiara opposizione con gli interessi inglesi, il Presidente americano manifesta un comportamento sempre più sicuro e dominante, e le sue decisioni ora prevalgono quasi sempre su quelle del Primo Ministro inglese. Roosevelt, dopo aver voluto ed ottenuto che il comando delle operazioni del Mediterraneo fosse affidato al generale americano Eisenhower, pretende che anche l’operazione dello sbarco in Francia, denominata Overlord, abbia un comandante supremo statunitense. Si accendono così vivi contrasti con l’orgoglioso “mastino” inglese che, riesce, con l’uso continuo di molta pazienza e accorta diplomazia, ad ottenere di non perdere del tutto la faccia aggiudicando al generale inglese Alexander il comando delle operazioni belliche nel Mediterraneo. Deve, però, rinunciare a far intervenire le truppe alleate in Egeo e nei prediletti Balcani dove i tedeschi, che hanno disarmato gli italiani dopo l’armistizio, rimangono peraltro fortemente impegnati da forze partigiane sempre più decise e meglio organizzate. 249 La pazienza di Churchill, che da assoluto antagonista di Hitler nei primi anni di guerra è retrocesso ormai al terzo posto, viene messa ancor più duramente alla prova da nuovi contrasti, questa volta con Stalin, sui convogli alleati che devono seguire la rotta artica per giungere nel porto russo di Arcangelo e sul duro trattamento riservato dai russi ai marinai inglesi. Stalin è irremovibile e arrogante: il suo Paese, le sue forze armate ed anche le sue industrie, sia pure con il grande aiuto di mezzi americani, sono riusciti a contenere da oltre due anni la spaventosa forza terrestre di Hitler e, da qualche mese, la stanno addirittura respingendo e sconfiggendo. Da tempo Roosevelt e Churchill, che si sono incontrati più volte, desiderano una conferenza a tre. Finalmente ciò coincide anche con la volontà di Stalin che, però, è assolutamente inflessibile sulla località da lui scelta, la capitale dell’Iran Teheran. Roosevelt, nonostante la consideri troppo lontana e gli crei problemi per la firma delle proposte di legge del Congresso, finisce con l’accettare, perché il russo è divenuto il suo più importante interlocutore, come dimostra nella lettera inviata a Churchill il 12 novembre 1943: “Ho appena saputo che lo zio Joe (Stalin) verrà a Teheran. Gli ho telegrafato immediatamente che ho sistemato la faccenda costituzionale e che perciò mi recherò a Teheran per un breve incontro con lui. Gli ho espresso tutta la mia soddisfazione. Si conchiude così una situazione difficilissima e credo che noi si possa essere soddisfatti. Per quanto mi riguarda il Cairo (dove il Presidente si incontrerà con Churchill e il Presidente cinese Chiang Kai-Shek), ho sempre sostenuto, come sapete, che sarebbe stato un errore gravissimo se lo zio Joe avesse creduto che ci siamo accordati alle sue spalle su problemi di carattere militare. Negli incontri preliminari del Cairo gli Stati Maggiori collegati si troveranno nella fase dei progetti. Questo è tutto. Non sarà un danno né per voi né per me, se Molotov e un rappresentante militare sovietico si troveranno essi pure al Cairo. Non si accorgeranno di essere ’portati per mano’. Non avranno con sé né lo 250 Stato Maggiore né Ufficio Operazioni. Portiamoli pure nelle alte sfere. Solo 5 ore fa ho ricevuto il telegramma dello zio Joe con la conferma di Teheran. Senza dubbio Molotov e il rappresentante militare vi giungeranno con noi tra il 27 e il 30, dopo che avremo concluso le nostre conversazioni con lo zio Joe torneranno con noi al Cairo, aggiungendo forse una delegazione all’unico rappresentante militare che ha accompagnato Molotov nel primo viaggio. Ritengo essenziale che questo programma venga eseguito. Posso assicurarvi che non ci saranno difficoltà”. Nella città iraniana Roosevelt accetta l’invito russo di alloggiare, per motivi di sicurezza, nel grande edificio dell’ambasciata sovietica dov’è anche Stalin, mentre Churchill s’insedia nell’ambasciata britannica che è poco lontana. Il feeling americano-russo inizia immediatamente perché, senza frapporre indugi, Stalin, evitando di invitare Churchill, si reca a conoscere e a salutare Roosevelt che lo vede come “un omino pieno di dignità, calmo, dignitoso, chiuso in un’uniforme sontuosa color senape abbottonata fino al collo con appuntato sul petto come unica decorazione una stella d’oro” e subito incomincia a chiacchierare con lui, alla presenza del solo interprete russo, per offrirgli “un segno di fiducia”. Alla fine del colloquio il Presidente americano comunica al figlio Elliott questo giudizio sul dittatore russo: “Sembra fiducioso, molto sicuro di sé; si muove con lentezza; un uomo che decisamente fa grande effetto”. Anche Stalin viene colpito dalla personalità dell’americano e ne coglie subito la differenza di misura rispetto a Churchill. Infatti confida ad un suo collaboratore: “Anche se siamo alleati, non abbiamo dimenticato che gente siano gli inglesi, che tipo sia Churchill. Nulla di più piacevole per loro che ingannare i loro alleati. Durante tutta la prima guerra mondiale non hanno mai cessato di trarre in inganno i russi e i francesi. Churchill? Churchill è il tipo di individuo che, se non fate attenzione, vi tira fuori un copeco dal 251 taschino. E Roosevelt? Roosevelt non è così. Lui vi caccia in tasca tutta la mano, ma solo per prendere le monete più grosse...Ma Churchill! Anche per un copeco...”. Il 28 novembre 1943 incomincia la conferenza vera e propria e Roosevelt ne assume la presidenza. Dopo aver illustrato l’azione americana nel Pacifico, conferma per il 1944 il grande sbarco angloamericano nella Francia del nord, per il quale necessita una preparazione tanto lunga ed accurata da condizionare il rapido sviluppo della guerra in Italia. Chiede quindi a Stalin se preferisce che si proceda anche ad un’azione nell’Egeo e nei Balcani ed a uno sbarco di minor importanza nella Francia meridionale, operazioni che, però, avrebbero comportato un rinvio, sia pur breve, dell’operazione principale. Il russo afferma con decisione che la guerra in Italia, pur importante, non è adatta per l’invasione della Germania essendovi, al confine, la barriera naturale delle Alpi. Per lui, e lo sostiene dal 1941, bisogna sbarcare in Francia con tutti i mezzi possibili. Churchill cerca d’inserirsi nel dialogo per sostenere che l’azione nell’Egeo e nei Balcani sarebbe importante per indurre la Turchia ad entrare in guerra al loro fianco. Ma Stalin non dà alla cosa alcuna importanza, al punto da non ribattere affatto e chiedergli invece: “Ho ragione di pensare che l’invasione della Francia verrebbe intrapresa con 35 divisioni?” “Sì, con divisioni particolarmente efficienti”. “Avete intenzione di effettuare tale operazione con le forze che si trovano attualmente in Italia?”. “No, sette divisioni sono già state ritirate dall’Italia e dall’Africa settentrionale in vista della loro partecipazione all’operazione Overlord. Sono necessarie per completare il numero di 35. Rimangono nel Mediterraneo circa 22 divisioni pronte ad operare in Italia o in altre direzioni. Alcune di queste potrebbero essere impiegate o per un’azione contro la Francia meridionale o per 252 avanzare dall’alto Adriatico in direzione del Danubio. Poi in Francia toccherà agli Americani continuare ad inviare nuove truppe sino a che il loro corpo di spedizione in Europa non raggiunga le 60 divisioni. Inoltre l’aviazione americana sarà presto raddoppiata o triplicata”. La conversazione riprende più tardi al pranzo offerto da Roosevelt, durante il quale Stalin dice: “La Germania può risorgere rapidamente e preparare una nuova guerra. Dopo Versailles la pace era apparsa assicurata, ma la Germania si è ripresa presto. Dobbiamo pensare alle limitazioni da imporre alla capacità produttiva germanica, perché il tedesco è un popolo capace, industrioso e pieno di risorse e non basta, come dice Churchill, proibire tassativamente alla Germania di avere un’aviazione sia civile che militare e di mantenere in vita uno Stato Maggiore Generale. Non si può proibire anche l’esistenza di fabbriche di orologi e di altri elementi necessari per la costruzione delle bombe. I tedeschi producevano fucili per ragazzi che venivano usati per insegnare a centinaia di migliaia di adulti il modo di sparare. Non basta trattare la Prussia con severità maggiore e costituire, come voi proponete, con Baviera, Austria e Ungheria una confederazione pacifica. Nelle divisioni tedesche di oggi ci sono moltissimi lavoratori che combattono in osservanza agli ordini ricevuti. Io ho impartito l’ordine di fucilare tutti i prigionieri tedeschi provenienti dal partito comunista che alla domanda perché combattono per Hitler rispondono che lo fanno per spirito di disciplina”. In conclusione della seconda giornata della Conferenza ,nella quale si riuniscono i militari, si va sempre più delineando una stretta intesa fra russi e americani ed un comune disinteresse per gli inglesi. Ad esempio quando Marshall afferma: “Negli ultimi due anni ho dovuto farmi una competenza in materia di oceani e ho dovuto quindi rifarmi da capo. Prima dell’attuale guerra, non avevo mai sentito nominare i mezzi da sbarco tranne che come battelli di gomma. Ora 253 invece non penso ad altro”. Voroscilov commenta con ammirazione: “Se ci pensate ci riuscirete”. Addirittura Roosevelt quella mattina declina l’invito di Churchill a far colazione insieme prima della riunione, dicendo che non vuole far pensare a Stalin che si preparassero a tramare contro di lui, ma poi, invece, ha un nuovo colloquio privato col dittatore russo, al quale illustra il suo piano per il governo postbellico del mondo, composto dai cosiddetti “quattro poliziotti”, ovverosia gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna e la Cina. Ma Stalin non lo condivide e dice: “Questo progetto non sarà gradito alle piccole nazioni europee. A parte il fatto che dubito che la Cina possa diventare una grande potenza, anche se lo fosse le nazioni europee si sentirebbero offese al solo pensiero che la Cina possa decidere in merito ai loro problemi. Propongo invece la creazione di un comitato per l’Europa, composto da USA, URSS, Gran Bretagna e possibilmente da un altro Paese europeo, e di un comitato per l’Estremo Oriente”. Roosevelt replica che il progetto di Stalin è simile a quello di Churchill, che prevede 3 comitati regionali: uno per l’Europa, uno per l’Estremo Oriente ed uno per le Americhe. Ma il vero problema attuale sono gli sbarchi che, per essere attuati, hanno bisogno di larga disponibilità appunto di mezzi da sbarco e, in particolare, degli LST (Landing Ship Tanhs) capaci di trasportare 40 carri armati ciascuno. Si stabilisce quindi, con precedenza assoluta, di incrementarne al massimo la produzione che già procede alacremente. Una sera a cena, con i russi anfitrioni, Stalin incomincia a prendere in giro pesantemente Churchill e continua a lungo, senza che Roosevelt intervenga minimamente all’imbarazzo, a malapena mascherato, del suo collega inglese. Ad un certo momento il dittatore russo dice: “Lo Stato Maggiore Tedesco deve essere liquidato. Tutta la potenza dei formidabili eserciti di Hitler dipende da 50.000 uomini fra ufficiali e tecnici. Quando la guerra sarà finita li fucileremo tutti!”. Al che Churchill, che già non ne poteva più, insorge: “Il 254 Parlamento e il popolo del Regno Unito non tollereranno mai esecuzioni in massa. Anche se, cedendo per un attimo alle passioni della guerra, essi permettessero che si cominciasse, non mancherebbero di rivoltarsi energicamente contro i responsabili una volta che il primo massacro avesse luogo. I sovietici non devono farsi alcuna illusione su questo punto”. Ma Stalin continua a sviluppare le sue idee e la sua presa in giro, e insiste: “Se ne devono fucilare 50.000!”. Al che Churchill dichiara angosciato: “Preferirei piuttosto essere preso e portato immediatamente in giardino e subito fucilato che disonorare me stesso e il mio Paese con una simile infamia”. A questo punto, finalmente, interviene Roosevelt, ma non per aiutare Churchill, bensì per dare ancor più peso alla presa in giro. Infatti dice: “Non se ne devono fucilare 50.000, ma solo 49.000”. E, mentre Eden fa segni disperati al suo Primo Ministro per fargli comprendere la burla, Elliott Roosevelt aggiunge: “Approvo il progetto del Maresciallo Stalin e sono certo che l’esercito americano lo appoggerà”. Immediatamente Churchill, più esasperato che mai, si alza di scatto e abbandona la sala per un’altra vicina, immersa nella penombra, dove viene raggiunto da un bonario e sorridente Stalin che, battendogli la mano sulla spalla, gli dice che si è trattato solo di uno scherzo, e l’inglese, pur non essendone del tutto convinto, ritorna a sedersi intorno al tavolo. Ma Roosevelt è ancora desideroso di stabilire con Stalin un rapporto amichevole e, essendo nell’altra sala, ancora non ha visto sorridere il dittatore russo. Così, un altro giorno, organizza una nuova sceneggiata ancora a spese di Churchill, così come lo stesso Presidente racconta più tardi ad un’amica con queste parole: “Quella mattina, mentre mi avviavo alla sala della conferenza, ci imbattemmo in Winston, ed io ebbi appena un attimo per dirgli ‘Winston, spero che non me ne vorrete di ciò che sto per fare’ Winston Churchill spostò il sigaro da un angolo all’altro della bocca e grugnì. Devo dire che più 255 tardi si comportò molto bene. Quasi subito dopo che eravamo entrati nella sala delle riunioni, diedi inizio al mio piano. Parlai a quattr’occhi con Stalin. Non dissi nulla che non gli avessi già detto in precedenza, ma l’atmosfera mi sembrò cameratesca e confidenziale, tanto che gli altri russi si avvicinarono per ascoltarci. Ma nemmeno allora comparve su quel volto un sorriso. Poi, alzando la mano alla bocca come per coprire un bisbiglio (che naturalmente era destinato ad essere udito e tradotto dall’interprete), ‘Winston stamattina’, dissi, ‘è di cattivo umore; si è alzato con la luna di traverso’. Un vago barlume di sorriso gli passò negli occhi, ed io conclusi che ero sulla buona strada. Appena mi fui seduto al tavolo della conferenza, cominciai a stuzzicare Churchill a proposito della sua ‘britannicità’, John Bull, dei suoi sigari, delle sue abitudini. E subito si notarono i primi effetti su Stalin. Winston diventò rosso e si accigliò, e quando più lo faceva, tanto più Stalin sorrideva. Alla fine il Maresciallo scoppiò in una sghignazzata profonda, pesante, e per la prima volta in tre giorni vidi la luce. Continuai nel gioco finché egli rise con me, e fu allora che lo apostrofai come Uncle Joe. Il giorno prima mi avrebbe giudicato impertinente, ma quel giorno rise, mi si avvicinò e mi strinse la mano. Da quel momento in poi i nostri rapporti furono personali e anche Stalin qualche volta si lasciò andare a qualche motto di spirito. Il ghiaccio era rotto, e ora parlavamo come uomini e fratelli”. Forse quell’essere preso come vittima di scherzi e sceneggiate, senza che riesca a dare adeguate risposte, sono il sintomo per Churchill della profonda frustrazione dovuta all’andamento della conferenza, oppure dell’essere troppo gentiluomo, o del peso dei 70 anni suonati, o, infine, dei prodromi della polmonite che lo coglie di lì a pochi giorni e lo costringe ad una lunga sosta in Africa. Dopo l’armistizio italiano, CHURCHILL fa, il 21 settembre 1943, una lunga dichiarazione in Parlamento. Fra l’altro dice: “Possiamo soffermarci a valutare l’atto del Governo italiano avallato 256 dalla nazione italiana. Hitler non ci ha lasciato dubbi sul fatto che egli considera la condotta italiana proditoria e ignobile allo stremo: egli è buon giudice in queste cose. Altri possono sostenere che tradimento e ingratitudine si ebbero quando la cricca fascista, capeggiata da Mussolini, usò del proprio arbitrario potere allo scopo di colpire per guadagni materiali la Francia in agonia, diventando così nemica dell’impero britannico, che aveva per tanti anni favorito la causa della libertà d’Italia. Quello fu il delitto. Sebbene non si possa annullarlo e sebbene nazioni, che lasciano che i loro diritti siano sovvertiti dai tiranni, debbano scontare con gravi pene i crimini di questi tiranni, pure non posso considerare il gesto italiano in questa congiuntura altro che naturale e umano. Possa questo gesto provare d’essere il primo d’una serie d’atti di redenzione. Il popolo italiano ha già sofferto terribilmente. Il fiore dei suoi uomini è stato gettato via in Africa e in Russia, i suoi soldati sono stati abbandonati sul campo di battaglia, le sue ricchezze sono state sperperate, il suo impero irrimediabilmente perduto. Ora la sua bella Patria deve diventare campo di battaglia per le retroguardie germaniche. Sofferenze ancora più grandi lo attendono. Gli italiani stanno per essere depredati e atterriti al furore della vendetta di Hitler. Tuttavia poiché le armate dell’Impero britannico e degli USA avanzano in Italia, il popolo italiano verrà salvato dal suo stato di servitù e di degradazione e soccorso a suo tempo nel riprendere il posto che gli spetta di diritto tra le libere democrazie del mondo moderno. Non posso toccare l’argomento Italia senza porre a me stesso la domanda: ‘Applicheresti questa tesi anche al popolo tedesco?’. Rispondo: il caso è diverso. Due volte nel periodo della nostra vita, e tre volte compresa quella dei nostri padri, i tedeschi hanno sprofondato il mondo nelle loro guerre d’espansione e di aggressione. Essi fondono in sé nel modo più terribile le caratteristiche del guerriero e dello schiavo. Non stimano la libertà e lo spettacolo di questa negli altri riesce loro odioso. Ogni qual volta divengono forti si pongono alla 257 ricerca della loro preda e seguiranno con una disciplina di ferro chiunque li guidi contro di essa. Il cuore della Germania si chiama Prussia. Là è la fonte della ricorrente pestilenza. Ma noi non vogliamo la guerra contro le razze in quanto tali. Noi combattiamo la tirannide e tentiamo di salvarci dalla distruzione. Sono convinto che i popoli inglese, americano e russo, che hanno patito immense distruzioni, carneficine e pericoli, per due volte in un quarto di secolo, dalla libidine teutonica di dominio, provvederanno questa volta a rendere impossibile alla Prussia o alla Germania tutta, di farsi ancora loro contro con segreto spirito di vendetta e piani lungamente preparati. La tirannide nazista e il militarismo prussiano sono i due elementi principali della vita tedesca che vanno assolutamente distrutti. Devono essere sradicati se l’Europa e il mondo vogliono salvarsi da un terzo e ancor più spaventoso conflitto...”. Dopo la Conferenza di Teheran e la lunga degenza per la polmonite, Churchill si trova, fra le mille altre preoccupazioni ed incombenze, a dover affrontare la cessione di alcune navi della flotta da guerra italiana imperiosamente chiesta da Stalin. Non è un problema di facile risoluzione, perché, da sempre, i britannici sono golosi di belle navi e perché non ci si dovrebbe subito inimicare il nuovo governo italiano, né bisognerebbe correre rischi di autoaffondamento da parte dei marinai italiani, né, ancora, si può irritare Roosevelt, che vuole immediatamente accontentare il dittatore russo. Ed ecco che il “mastino” inglese, nuovamente in forma, propone al Presidente americano di sostituire per qualche tempo le navi italiane da dare ai Russi con navi inglesi e americane, e Roosevelt lo incarica di proporre lo scambio a Stalin che, il 29 gennaio 1944, risponde: “Devo dichiarare anzitutto che, dopo la vostra comune risposta affermativa alla richiesta da me formulata a Teheran per la consegna di parte della flotta italiana entro il mese di gennaio, io ritenevo che la questione fosse chiusa e non mi passò mai per il capo l’idea che tale decisione, presa ed approvata da noi tre, potesse 258 essere riveduta in qualsiasi modo. E questo tanto più per il fatto che nel frattempo, come fu allora concordato, la faccenda avrebbe dovuto essere completamente sistemata con gli italiani; apprendo ora invece che le cose non stanno così e che della consegna non si è neppure fatto cenno agli italiani. Tuttavia, per non complicare la questione che ha tanta importanza per la nostra lotta comune contro la Germania, il Governo sovietico è disposto ad accettare la vostra proposta di trasferire in Russia la nave da battaglia Royal Sovereign e un incrociatore, ed è disposto anche ad accettare d’impiegare temporaneamente tali navi, alle dipendenze del nostro Alto Comando sino al momento in cui le unità italiane concordate non siano trasferibili in URSS. Accettiamo ugualmente di ricevere dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti 40.000 tonnellate di naviglio mercantile da sostituire poi con navi italiane. E’ importante che non si verifichino altri rinvii e che tutto il naviglio ci venga consegnato entro il mese di febbraio. Nella vostra risposta non si accenna però minimamente alla consegna all’Unione Sovietica di 8 cacciatorpediniere e di 4 sommergibili italiani, consegna che avete approvato Teheran. Senonchè questa faccenda dei cacciatorpediniere e dei sommergibili senza i quali la consegna di una nave da battaglia e di un incrociatore diventerebbe priva di significato, è di capitale importanza per l’URSS. Dal momento che l’intera flotta italiana è sotto vostro controllo, il mantenimento dell’impegno preso a Teheran non dovrebbe presentare alcuna difficoltà. Sono disposto ad accettare in cambio delle unità italiane un ugual numero di navi britanniche o americane. Ad ogni modo la consegna completa non può assolutamente venir rinviata”. Ormai, nonostante i salti mortali di Churchill, la sua autorità, e quella della Gran Bretagna, vengono sempre più schiacciate dai suoi grandi alleati, i cui Paesi hanno un potenziale acquisito e una possibilità di crescita decisamente superiore a quello inglese. Il Roosevelt accomodante e bonario del 1939 e 1940 è completamente 259 cambiato e Stalin diventa sempre di più un osso duro. Di conseguenza anche la gestione dei rapporti con il Governo Badoglio diventa difficile e Churchill è costretto ad inviare al Presidente americano un’infinità di lettere, per tentare di poter mantenere quanto ha promesso. Ne è prova il telegramma del 14 marzo 1944: “Il vostro telegramma mi preoccupa. Esso rappresenta una deviazione rispetto all’accordo dell’11 febbraio, da voi cortesemente confermato in un telegramma successivo come un affare concluso. Sulla base delle vostre prime assicurazioni, io ho redatto le mie dichiarazioni in Parlamento. Inoltre i russi hanno annunciato di aver inviato un ambasciatore regolarmente accreditato presso il Governo italiano, con il quale noi ci troviamo formalmente ancora in stato di guerra. Ritengo che non sarebbe saggio, senza ulteriore esame, accettare il programma dei cosiddetti sei partiti e chiedere l’immediata abdicazione del re e la nomina del signor Croce a luogotenente del regno. Comunque io consulterò il gabinetto di guerra circa quella che voi giustamente definite una decisione politica della massima importanza. Noi siamo in guerra con l’Italia dal giugno del 1940 e l’Impero britannico ha perduto in questa lotta 232.000 uomini senza contare le navi. Sono certo che il nostro parere in proposito sarà tenuto da voi nella considerazione che merita prima di liberarci dell’utilissimo Governo del re e di Badoglio, che sta facendo del suo meglio per guadagnarsi la nostra fiducia e per venirci in aiuto in tutti i modi come la dichiarazione di guerra che ha fatto alla Germania, la Flotta a nostra disposizione e le truppe italiane che combattono al nostro fianco. Vi prego di ricordare che io ho assunto personalmente degli impegni davanti al Parlamento e che ogni divergenza diverrà certamente di dominio pubblico”. Finalmente, dopo lunghi mesi di acerrima lotta e uno sbarco ad Anzio nel Lazio, gli Alleati entrano in Roma il 4 giugno 1944 e Churchill invia al generale Alexander il seguente telegramma: “...Vi saremo grati se vorrete elogiare a nome nostro i comandanti e le 260 truppe degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda, Sud Africa, India, Francia, Polonia e Italia che si sono distinte su tutto il fronte. Condividiamo le vostre speranze di nuovi successi nel corso dell’inseguimento senza tregue del nemico sconfitto”. Solo due giorni dopo gli anglo-americani sbarcano in Normandia, con l’impiego di ben 5.000 navi, tantissimi mezzi anfibi e da sbarco e 15.000 aereoplani e si accingono ad affrontare le residue forze di Hitler. STALIN non potrebbe essere più soddisfatto di quello che è. Infatti è riuscito ad imporsi prima e durante la Conferenza di Teheran dove, per una tacita intesa, ha stabilito con Roosevelt, l’unico vero suo interlocutore, le future sfere d’influenza mondiale. Inoltre ha ottenuto la promessa dello sbarco in Francia entro il termine tassativo (che sarà sforato di 6 giorni) del maggio 1944, il rispetto delle frontiere con la Polonia acquisite nel 1939, per cui questa nazione sarà come spostata verso ovest di ben 500 chilometri, la promessa di ricevere circa un terzo della flotta militare italiana e la chiara visione di poter ottenere ancora dell’altro nell’immediato dopoguerra. Ora, nella prima metà del 1944, le armate hitleriane non gli fanno più alcuna paura e ripiegano dovunque, davanti all’avanzata inarrestabile delle truppe sovietiche. Invece HITLER, nonostante ciò che dichiara ufficialmente e con particolare riferimento alle armi segrete, non spera più nella vittoria, ma non ha vie d’uscita e continua ad impartire tassativi ordini ai suoi generali di combattere dovunque con estrema decisione. A tal proposito, dall’Italia, il generale inglese Alexander scrive a Churchill il 20 marzo 1944: “La tenacia dei paracadutisti tedeschi è davvero eccezionale, ove si consideri che sono stati sottoposti al più grande concentramento di fuoco mai prima attuato, per ben sei ore, ad opera dell’intera aviazione del Mediterraneo e di gran parte dei nostri 800 pezzi di artiglieria. Stento a credere che vi siano altre truppe al 261 mondo che avrebbero potuto resistere a tale tempesta di fuoco e poi passare all’attacco con la ferocia da essi dimostrata...”. Ciò nonostante la situazione degli eserciti del dittatore tedesco è disperata alla fine di marzo 1944. Le 200 divisioni dislocate sul fronte orientale non possono assolutamente sperare di potersi opporre a lungo alla marea russa quando questa tornerà, tra breve, a salire. Dovunque, comprese in Iugoslavia e in Grecia, dove agiscono agguerrite e ben organizzate bande partigiane, Hitler è esposto al pericolo di un imminente disastro. Eppure i suoi scienziati mettono a punto varie armi segrete, fra le quali grossi siluri aerei, aeroplani senza pilota, piccoli razzi a lunga gittata e grandi razzi a media gittata. Ma gli inglesi e gli americani vigilano e ne vengono a conoscenza, provvedendo ad effettuare un potentissimo bombardamento su Peenemunde che arresta gli sviluppi delle armi a lunga gittata. Per quelle a più breve gittata, con rampe di lancio nella Francia meridionale, vengono eseguiti bombardamenti di disturbo da parte dell’attivissima aviazione alleata, che ha la prevalenza in tutti i cieli, nonostante la produzione tedesca di aerei da caccia rimanga molto attiva. Il MUSSOLINI liberato, o catturato, dai soldati di Hitler nel settembre 1943 e posto qualche tempo dopo a capo di quel simulacro di Stato chiamato Repubblica Sociale Italiana, non è altro che un qualsiasi Quisling e solo l’ombra del brillante dittatore degli anni Trenta quando, forse, era l’unica vera star della politica mondiale. Ora alloggia, come il suo Governo, sulle sponde del lago di Garda in due ville: una con la moglie e i figli e l’altra con l’amante Claretta Petacci. Quando Hitler gli consegna alcuni dei gerarchi, compreso il genero Galeazzo Ciano, che gli hanno votato contro nella famosa seduta del Gran Consiglio del luglio 1943, è obbligato a processarli a Verona. La inevitabile condanna a morte vede la prediletta primogenita di Mussolini, Edda, battersi con tutte le sue energie per ottenere la grazia per il marito Galeazzo. Si reca dal padre e, al suo 262 rifiuto di accontentarla, gli urla: “Pazzi, siete tutti pazzi! La guerra è perduta. Tu lo sai benissimo, e in queste condizioni tu lasci che uccidano Galeazzo. La guerra è perduta, è inutile che vi facciate illusioni. L’ho detto in faccia anche a Hitler. I tedeschi resisteranno ancora qualche mese, non di più. Tu lo sai, vero, quanto io abbia desiderato la loro e la nostra vittoria, ma adesso non c’è più niente da fare. Te ne rendi conto? Tu vuoi condannare Galeazzo in queste condizioni?”. Poi va via e cerca, in un mare di intrighi e di spie o presunte tali, di barattare con i nazisti i diari del marito per la sua vita. Infine scrive al padre firmandosi non più Edda Mussolini, ma Edda Ciano: “Duce, ho atteso fino ad oggi che tu mi mostrassi un minimo sentimento di umanità e di giustizia. Ora basta! Se Galeazzo non sarà in Svizzera entro 3 giorni secondo le condizioni che ho fissato ai tedeschi, tutto ciò che so, con le prove alla mano, lo userò senza pietà. In caso contrario se tutti noi Ciano saremo lasciati in pace e sicurezza, non sentirete più nulla di noi”. Mussolini, che non avrebbe nemmeno fatto processare Ciano e gli altri, chiede al generale tedesco Wolff, che ha il preciso incarico da Hitler di controllare il Duce, quale sia il parere del Führer sulla grazia. E Wolff dice, mentendo: “Hitler considera il caso Ciano come una questione di politica interna esclusivamente italiana. Le autorità tedesche presenti in Italia non devono occuparsene, e per questo motivo, come comandante delle SS in Italia, non sono autorizzato ad esprimermi”. Mussolini insiste: “ Ma, in via confidenziale, voi che ne pensate personalmente?”. “La questione, a mio avviso, si riduce a questo: voi, Duce, dovreste assoggettarvi al ricatto e concedere la grazia a vostro genero?”. “Voi, generale, cosa fareste?”. “ Se fossi in voi non cederei”. “Che cosa ne pensa il Führer?”. “Il Führer non crede che la sentenza verrà eseguita”. 263 “Quindi la mancata esecuzione diminuirebbe il mio prestigio agli occhi del Führer?”. “Sì, Duce, di molto”. Nel gennaio 1944 Ciano viene fucilato insieme agli altri gerarchi condannati, e Mussolini non rivedrà mai più la figlia. 264 | |
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 6:32 pm | |
| CAP. XVI DAI PROBLEMI PER LA POLONIA E DAGLI ACCORDI FRA CHURCHILL E STALIN PER GRECIA E ROMANIA ALLA CONFERENZA DI YALTA E ALLA MORTE DI ROOSEVELT, MUSSOLINI E HITLER CHURCHILL, nella seconda metà del 1944, riprende un ruolo più importante e decisivo nei contatti con i suoi grandi alleati, anche approfittando dell’impegno politico di Roosevelt per ottenere il quarto mandato presidenziale, nel quale deve concorrere con Thomas Dewey, un avvocato quarantaduenne divenuto Governatore dello Stato di New York per la fama conquistata come accusatore di gangster. Questi viene informato da un appartenente delle forze armate che un messaggio della flotta giapponese in rotta verso Pearl Harbor, un giorno prima dell’attacco del dicembre 1941, era stato intercettato dagli americani. Svelarlo avrebbe potuto avere effetti disastrosi perché sarebbero crollate un mucchio di convinzioni del popolo americano sulle cause della guerra. Il generale Marshall si precipita ad ammonire l’avversario di Roosevelt di non farne nulla, mentre il Presidente, a sua volta informato dal fedele Hopkins, si sorprende dell’iniziativa di Marshall, dicendosi certo che Dewey non avrebbe comunque fornito al nemico un’informazione segreta tanto importante. E tutto prosegue come prima. Invece, il 20 luglio del 1944, l’intero corso della guerra in Europa potrebbe cambiare. Infatti una congiura di ufficiali tedeschi, convinti che la Germania non ha più alcuna possibilità di vincere e che bisogna solo puntare ad ottenere la pace quantomeno ad Ovest, fa scoppiare una bomba a Rastemburg, proprio nella sala dove Hitler è in riunione. Ma il dittatore rimane solo leggermente ferito e si reca alla 265 stazione per ricevere Mussolini che viene ad ispezionare 4 divisioni italiane in formazione in Germania. Nel frattempo l’offensiva estiva dei russi porta le loro armate sulla Vistola, in Polonia, e i capi dell’esercito clandestino polacco, che hanno prestato giuramento di fedeltà al loro Governo in esilio a Londra, decidono di proclamare l’insurrezione generale, confortati anche dalla notizia che la 4° armata corazzata tedesca ha ricevuto ordine di ripiegare ad ovest della Vistola. Il generale polacco Bor ha a sua disposizione 40.000 uomini e una riserva di viveri e munizioni per 7 giorni . I Sovietici sono a 20 minuti di volo da Varsavia, ma hanno costituito in Polonia un Comitato di Liberazione Nazionale Comunista, a cui intendono affidare tutto il territorio polacco liberato e da liberare e, quindi, bisogna far presto se si vuole che Varsavia cada nelle mani di polacchi non comunisti. Il 31 luglio scoppia la rivolta, con una larga partecipazione della popolazione, ma l’attività dell’aviazione russa contro le truppe germaniche viene stranamente interrotta e il 4 agosto i Tedeschi, con alcune divisioni, incominciano a reagire duramente ed a contrattaccare gli insorti che, a mezzo del Governo Polacco a Londra, chiedono tanto disperatamente il lancio di rifornimenti dall’aria che Churchill telegrafa a Stalin: “Su urgente richiesta dell’esercito clandestino polacco stiamo lanciando, compatibilmente con le condizioni meteorologiche, una sessantina di tonnellate di rifornimenti e di munizioni sul quartiere sud-occidentale di Varsavia, dove insorti polacchi avrebbero impegnato aspri combattimenti con i tedeschi. Essi ci comunicano inoltre che invocheranno l’aiuto russo, che sembra vicinissimo. Sono impegnati da una divisione e mezza tedesca. Ciò può riuscire vantaggioso per la vostra offensiva”. Il giorno dopo (5 agosto) Stalin risponde: “Ho ricevuto il vostro messaggio circa Varsavia. Ritengo che le notizie che vi sono state fornite dai polacchi siano grandemente esagerate e non meritino fiducia. Si potrebbe arrivare a questa conclusione ricordando appunto che gli emigrati 266 polacchi hanno già preteso di essere stati lì lì per conquistare Vilna con alcune unità sparse dell’esercito metropolitano e lo hanno persino annunciato per radio. Ma ciò non corrisponde ovviamente in alcun modo alla realtà. L’esercito metropolitano polacco comprende solo pochi reparti che essi chiamano impropriamente divisioni; non hanno artiglieria, né aviazione, né carri armati. Non riesco a immaginare come simili reparti possano conquistare Varsavia, per la cui difesa i tedeschi hanno messo in campo 4 divisioni carriste, tra cui la divisione Hermann Goring”. Nonostante il voluto scetticismo di Stalin e l’assoluta inoperosità dell’armata russa presso Varsavia, i combattimenti fra insorti e tedeschi continuano, con l’ovvia prevalenza germanica che isola i polacchi in armi in alcuni quartieri. A poco servono i generosi tentativi dell’aviazione inglese, con equipaggi polacchi e britannici, che riesce a far comparire nel cielo di Varsavia 2 aerei la notte del 4 e altri 3 la notte dell’8 agosto. Anche il Presidente del Consiglio del governo polacco in esilio a Londra, Mikolajczyk, che si trova a Mosca dal 30 luglio per raggiungere un accordo con i sovietici, che insistono per la formazione di un Governo unificato con il Comitato di Liberazione Comunista e per far sanzionare le frontiere spostate di centinaia di chilometri verso Ovest, riceve gli appelli degli insorti e invoca l’intervento dell’Armata rossa invano. Allora Churchill il 12 agosto telegrafa nuovamente a Stalin: “Ho ricevuto il seguente angoscioso messaggio dei polacchi di Varsavia(...): ‘Decimo giorno. Stiamo conducendo una battaglia sanguinosa. La città è tagliata da tre strade(...) Tutte queste strade sono saldamente tenute da carri armati tedeschi ed è estremamente difficile attraversarle perché tutti gli edifici sono stati incendiati dai tedeschi. Due treni corazzati fermi sulla linea ferroviaria e l’artiglieria appostata nel sobborgo di Praga sparano in continuazione sulla città con l’appoggio dell’aviazione. Abbiamo ricevuto da voi solo un modesto lancio e solo una volta. Sul 267 fronte germanico-sovietico regna il silenzio dal giorno 4. Siamo pertanto senza alcun appoggio materiale e morale, poiché salvo un breve discorso da Londra tenuto l’ottavo giorno, non abbiamo avuto da voi neppure un ringraziamento per la nostra azione. I soldati e la popolazione civile alzano senza speranza gli occhi al cielo, aspettando aiuti dagli alleati: in mezzo al fumo scorgono solo aerei tedeschi. Sono tutti sorpresi, profondamente amareggiati e cominciano a lanciare insulti contro questo e contro quello.(...)’ Essi implorano mitragliatrici e munizioni. Non potreste aiutarli voi russi un po’ di più visto che la distanza dall’Italia, da dove tentiamo di aiutarli, è così grande?”. Il 16 agosto Viscinkij chiede all’ambasciatore americano a Mosca di andare da lui e gli premette che vuole evitare malintesi, poi gli legge questa dichiarazione: “Il Governo sovietico non può evidentemente sollevare alcuna obiezione circa il lancio di armi nella regione di Varsavia, da parte di aerei inglesi e americani, dal momento che si tratta di una questione americana e britannica. Esso si oppone però energicamente a che gli aerei americani e britannici, dopo aver lanciato armi, atterrino in territorio sovietico, dal momento che, il Governo sovietico non intende partecipare, né direttamente né indirettamente, all’avventura di Varsavia”. Ma il tenace “mastino” non demorde e il 18 agosto scrive a Roosevelt una lettera che, alla fine, dice: “3) Le gloriose e colossali vittorie riportate in Francia dagli eserciti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna stanno notevolmente mutando la situazione esistente in Europa e può darsi benissimo che la vittoria dei nostri eserciti in Normandia sia alla fine tale da eclissare per importanza qualsiasi successo ottenuto in precedenza dai russi. Ritengo pertanto che essi avranno qualche riguardo per le nostre parole fintanto che ci esprimeremo in maniera chiara e semplice. Noi rappresentiamo nazioni che stanno battendosi per cause grandi e dobbiamo dare consigli che veramente contribuiscano alla pace nel mondo anche a 268 rischio di offendere Stalin; e ciò tanto più che è molto probabile che non si offenda affatto”. Così il 20 agosto parte un appello comune scritto dal Presidente americano: “Stiamo preoccupandoci per l’atteggiamento dell’opinione pubblica mondiale qualora gli antinazisti di Varsavia siano effettivamente abbandonati al loro destino. Siamo convinti che tutti dobbiamo fare quanto è in nostro potere per salvare il maggior numero di patrioti possibile. Speriamo che facciate lanciare immediatamente rifornimenti e munizioni ai patrioti polacchi di Varsavia. Oppure acconsentite ad aiutare la nostra aviazione affinché possa essa fare ciò al più presto. Speriamo che siate d’accordo. Il fattore tempo è di estrema importanza”. Due giorni dopo Stalin risponde: “1)Ho ricevuto il messaggio e desidero esprimere ciò che ne penso. 2) Presto o tardi tutti conosceranno la verità circa il gruppo di criminali che si sono imbarcati nell’avventura di Varsavia allo scopo di impadronirsi del potere. Costoro hanno sfruttato la buona fede degli abitanti lanciando contro i cannoni, i carri armati e gli aerei tedeschi torme di gente quasi inerme. Ne è nata la situazione nella quale ogni giorno di resistenza giova, non ai polacchi ai fini della liberazione di Varsavia, ma agli hitleriani che stanno selvaggiamente massacrando gli abitanti della città. 3) Dal punto di vista strettamente militare, la situazione che ne è derivata attirando maggiormente l’attenzione dei tedeschi su Varsavia, è altrettanto svantaggiosa per l’Armata rossa quanto per i polacchi. Le truppe sovietiche, che negli ultimi giorni hanno dovuto sostenere nuovi poderosi attacchi da parte dei tedeschi che cercano di passare alla controffensiva, stanno intanto facendo tutto il possibile per infrangere i contrattacchi hitleriani e per riprendere in grande stile l’offensiva nella zona di Varsavia. E’ certo che l’Armata rossa non rallenterà minimamente i suoi sforzi per spezzare il cerchio tedesco attorno a Varsavia e liberare la città in pro dei polacchi. Questo sarà il migliore e più efficace aiuto per i polacchi antinazisti”. 269 Nel frattempo a Varsavia la battaglia continua ad infuriare anche nelle fognature, che servono ai polacchi per trasferirsi da un quartiere all’altro, dove i Tedeschi lanciano bombe a mano e gas. Churchill, con la tenacia dei tempi migliori, insiste, cercando sempre di più l’aiuto di Roosevelt che, a suo avviso, è l’unico a cui Stalin può dare ascolto e il 25 agosto gli scrive una lettera, il cui finale dice: “Se Stalin non risponde, io consiglierei di mandare gli aerei e stare a vedere quello che accadrà. Non riesco a credere che sarebbero accolti male o trattenuti. Dopo aver firmato questa lettera sono venuto a sapere che i russi stanno cercando persino di privarvi dei campi di aviazione dietro le loro linee, a Poltava e altrove”. Ma Roosevelt risponde: “Ritengo che non sarebbe vantaggioso per gli sviluppi generali e a lunga scadenza della guerra che mi unissi a voi nell’inviare a Stalin il messaggio proposto; non ho però alcuna obiezione da muovere all’invio da parte vostra di tale messaggio se ritenete opportuno farlo. Sono giunto a questa conclusione dopo aver considerato l’attuale atteggiamento di zio Joe nei confronti degli aiuti alle forze clandestine di Varsavia, quale risulta dal suo messaggio a voi e a me, dal suo netto rifiuto di consentire l’uso da parte nostra a tal fine dei campi d’aviazione russi e dall’andamento delle conversazioni in corso con noi circa l’impiego successivo di altre basi russe”. Churchill, nonostante tutto, continua ad operare per ottenere di muovere la situazione: è l’orgoglio ferito, o la consapevolezza che gli anglo-americani stanno perdendo la Polonia futura, perché in questo modo il Governo polacco in esilio a Londra sarà privato d’ogni credibilità verso la popolazione. Quindi telegrafa ancora più volte a Roosevelt e, finalmente, il 5 settembre riceve questa risposta: “Mentre rispondo ai vostri telegrammi, apprendo dal mio Ufficio d’informazioni militari che i combattenti polacchi sono usciti da Varsavia e che i tedeschi ormai dominano completamente la situazione. Il problema degli aiuti ai polacchi di Varsavia è stato 270 perciò sfortunatamente risolto dai nostri indugi e dall’azione tedesca; non sembra che si possa fare nulla per aiutarli. Per molti giorni sono stato profondamente amareggiato della nostra incapacità di fornire un aiuto adeguato agli eroici difensori di Varsavia; spero che insieme potremo ancora aiutare la Polonia a entrare nel novero dei vincitori della guerra contro i nazisti”. Ma gli insorti, seppur debolmente e in numero ridotto, continuano a combattere in Varsavia, la loro fine è però sicura e imminente. Solo con questa convinzione Stalin dà ordine il 14 settembre di iniziare a far intervenire la sua artiglieria e l’aviazione e a paracadutare qualche aiuto. Nel frattempo i tedeschi rastrellano e distruggono casa per casa e deportano molti abitanti, fin quando, alla fine di settembre 1944, cessa del tutto ogni resistenza, ma prima, a Londra, si capta un radiomessaggio degli ultimi insorti: “Questa è la dura verità. Siamo trattati peggio che i satelliti di Hitler, peggio che l’Italia, la Romania, la Finlandia. Possa Iddio, che è giusto, giudicare della terribile ingiustizia sofferta dalla nazione polacca e possa Egli punire adeguatamente tutti i colpevoli. (...) Immortale è la nazione che sa far prova di così generale eroismo. Infatti coloro che sono morti hanno vinto, e coloro che continuano a vivere combatteranno ancora, vinceranno e testimonieranno una volta di più che la Polonia vivrà finché vivranno i polacchi”. Sessanta giorni è durata la lotta di Varsavia, dei 40.000 uomini dell’esercito clandestino ne sono morti 15.000, più 200.000 civili su di un milione di abitanti! Mentre le forze avversarie della Germania e del Giappone avanzano trionfanti ovunque, Churchill sente sempre di più la necessità di un incontro diretto con Stalin per cercare un accordo, oltre che sulla Polonia, anche per la Grecia minacciata nel suo futuro democratico dalla forte attività di partigiani comunisti. Ma Stalin non vuole muoversi da Mosca e Roosevelt è impegnato nella campagna elettorale ed è molto più interessato all’organizzazione dell’ONU che della sorte di alcune nazioni europee. Quindi, con il beneplacito 271 americano e l’invito russo, Churchill giunge a Mosca il 9 ottobre 1944 e, su immediata richiesta di Stalin, impone al Primo Ministro polacco di raggiungerlo immediatamente per trattare con i membri del Comitato polacco comunista di Lublino. Il vecchio politico inglese sente che il momento è favorevole per ottenere ciò che gli sta a cuore per la Grecia e dice a Stalin: “Sistemiamo le nostre faccende nei Balcani. I vostri eserciti si trovano in Romania e in Bulgaria, dove noi abbiamo interessi, missioni e agenti. Non procediamo ad offerte e controfferte stiracchiate. Per quanto riguarda la Gran Bretagna e la Russia, che ne direste se aveste una maggioranza del 90% in Romania e noi una percentuale analoga in Grecia e partecipassimo invece su piede di perfetta parità in Iugoslavia?”. Poi, mentre si effettua la traduzione, scrive su mezzo foglio di carta: “Romania: Russia 90%, Gli Altri 10%. Grecia: Gran Bretagna (d’intesa con gli Stati Uniti) 90%, Russia 10%. Iugoslavia e Ungheria: 50% e 50%. Bulgaria: Russia 75%, Gli altri 25%”. Stalin prende il foglietto, lo legge, vi traccia un grosso “visto” e lo restituisce a Churchill. Nei giorni successivi si parla di tutti gli altri problemi e, particolarmente, di quello polacco che, però, non segna molti progressi per l’opposizione dei polacchi di Londra. Comunque Churchill è soddisfatto: ritiene che gli accordi conclusi sui Balcani siano quanto di meglio si possa fare, anche in considerazione del comportamento del capo dei partigiani iugoslavi, Tito, e dell’arrivo nella nazione adriatica di truppe russe e bulgare agli ordini di un comandante russo. Inoltre Stalin conferma la decisione, tanto gradita a Roosevelt, di attaccare il Giappone dopo la caduta di Hitler. L’accordo del foglietto mostra tutta la sua validità quando, nel novembre 1944, gli estremisti comunisti dell’E.A.M. pur essendo rappresentati nel Governo provvisorio di Papandreu, si accingono ad iniziare una consistente rivolta. Per scongiurarla si sarebbe dovuto disarmare i partigiani greci e costituire un nuovo esercito nazionale e una nuova polizia sotto il diretto controllo del Governo di Atene. Ma, 272 ciò nonostante, i rivoltosi s’impadroniscono della maggior parte della capitale, meno il centro, custodito dalle truppe inglesi, e Churchill, il 9 dicembre, si precipita a scrivere al generale Wilson in Italia: “1) Dovreste inviare altri rinforzi ad Atene senza il più piccolo indugio. Il prolungarsi dei combattimenti presenta parecchi pericoli. Vi ho già avvertito della suprema importanza politica di questo conflitto. Almeno altre due brigate dovrebbero affrettarsi verso il teatro della battaglia. 2) Oltre quanto sopra, perché la marina non aiuta continuamente invece di limitarsi a sbarcare qualche piccolo reparto nei momenti di crisi? Mi avete assicurato formalmente di aver inviato soldati in numero sufficiente”. Nel frattempo l’opinione pubblica americana, guidata dai grandi giornali, condanna violentemente l’operato di Churchill, che viene accusato di contraddire, intervenendo contro i partigiani, i principi per i quali s’era entrati in guerra. Anche il Dipartimento di Stato americano dirama una dichiarazione molto critica nei confronti del “mastino” e i giornali inglesi definiscono la sua politica come reazionaria. Ma, in tutto questo fracasso, Stalin si attiene strettamente agli accordi e vieta ai grandi giornali russi di scrivere neppure una parola contro Churchill e l’azione delle truppe britanniche in Grecia. Anche Roosevelt non rivolge rimproveri diretti a Winston, lo fa invece Hopkins, con questa lettera del 16 dicembre: “L’opinione pubblica americana vi diventa sempre più sfavorevole a causa della situazione greca e della vostra dichiarazione in Parlamento circa gli Stati Uniti e la Polonia. Con la battaglia impegnata come è impegnata in Europa e in Asia, con la necessità di dedicare ogni energia da parte di tutti alla sconfitta del nemico, confesso di sentirmi assai turbato per lo sviluppo diplomatico degli avvenimenti che getta in pasto al pubblico parecchie delle nostre difficoltà. Io non so che cosa il Presidente o Stettinius potranno dire in pubblico, ma può darsi benissimo che uno di essi, o entrambi, debba proclamare in termini 273 inequivocabili la nostra decisione di fare tutto il possibile per l’avvento di un mondo libero e sicuro”. Per quanti sforzi facciano le truppe inglesi, non riesce facile domare i greci, che si rivelano sempre di più duri combattenti. Il 21 dicembre il maresciallo Alexander scrive a Churchill: “...la mia maggiore preoccupazione è di farvi conoscere esattamente quale sia la vera situazione e che cosa possiamo o non possiamo fare. Questo è il mio dovere. Voi volete conoscere quali siano gli effettivi delle forze britanniche in Grecia e quali complementi potrei inviare dal fronte italiano se vi fossi costretto dalle circostanze. Nell’ipotesi che l’ELAS continui a combattere, ritengo che potremo rastrellare la zona Atene- Pireo e quindi difenderla con sicurezza, ma ciò non varrà a sconfiggere le truppe dell’ELAS né a costringerle alla resa. Non siamo forti abbastanza per spingerci più lontano e per intraprendere operazioni nell’entroterra. Durante l’occupazione i tedeschi tennero da sei a sette divisioni sulla penisola ellenica, oltre all’equivalente di quattro nelle isole. E ciononostante furono incapaci di mantenere sgombre in permanenza le linee di comunicazione; io temo che non incontreremo minori forze, minore decisione di quelle che essi incontrarono.(...)”. Il 24 dicembre, mentre Churchill è in casa con una lieta brigata di bambini e di familiari intorno all’albero natalizio, dono di Roosevelt, la situazione greca è tanto preoccupante da far decidere il “mastino” a lasciar tutto e a precipitarsi ad Atene per incontrarsi con l’Arcivescovo, sul quale punta per giungere ad un accordo con i ribelli. Il 26 dicembre Churchill così scrive a Roosevelt: “Eden e io siamo venuti qui per vedere che cosa possiamo fare per sistemare l’imbroglio greco. Criterio ispiratore della nostra azione: il re non ritorna sinché non sia stato tenuto un plebiscito con risultati a lui favorevoli. Per il resto non possiamo abbandonare coloro che hanno impugnato le armi per la nostra causa e dobbiamo, se necessario, 274 combattere sino all’ultimo al loro fianco. Si deve sempre tener presente che non cerchiamo nulla in Grecia, né vantaggi territoriali, né d’altro genere. Abbiamo dato molto e daremo ancora di più, se lo potremo...”. In effetti l’Arcivescovo, nominato reggente, si conferma la chiave di volta di un accordo e, a metà di gennaio 1945, le truppe britanniche controllano tutta l’Attica, mentre quelle dell’ELAS si ritirano lontane da Atene, Salonicco e Patrasso. Il giogo comunista, specialmente in virtù dell’accordo del foglietto, viene così scongiurato. Quando Churchill si reca a Mosca nell’ottobre 1944, STALIN è molto affabile con lui, perché le armate anglo-americane stanno già avanzando in territorio tedesco e sono più vicine a Berlino di quelle sovietiche. Ma nel lasso di tempo intercorso fra l’incontro di Mosca e la Conferenza di Yalta, tenuta nel febbraio 1945 e nella quale per la seconda volta s’incontrano i tre grandi, l’Armata Rossa è entrata dalla Polonia in territorio tedesco ed è ad un centinaio di chilometri da Berlino. Come per Teheran nel 1943 si scatena un conflitto di volontà per la scelta del luogo in cui tenere la Conferenza, che si è resa indispensabile per prendere precisi accordi su tutto prima del crollo di Hitler, che sembra imminente. Churchill propone un ventaglio di località quasi del tutto intatte e con ampie disponibilità logistiche come: Edimburgo, Nassau, Malta, Atene, Cipro, Il Cairo, Gerusalemme e Roma. Ma Stalin non molla, non vuole assolutamente lasciare il suolo russo, e propone Yalta sul mar Nero. Solo Roosevelt, fra l’altro sempre più malandato in salute, potrebbe opporsi e non lo fa, costringendo così Churchill ad adeguarsi. Si deve quindi organizzare un vero ponte aereo per atterrare nell’aeroporto di Eupatolia, dal quale ancora 200 chilometri e una catena di montagne li separano da Yalta, che viene raggiunta dopo un ulteriore faticoso viaggio di sei ore, estremamente dannoso non solo per Roosevelt, ma 275 anche per il suo fidato collaboratore Hopkins, che si trova in ancor più precarie condizioni di salute. Inoltre la disponibilità di stanze è molto limitata, al punto che la delegazione inglese deve ammassarsi fra il palazzo Vorontsov e due sanatori, con quattro o cinque persone per stanza e un bagno per venti. Anche la delegazione americana, alloggiata nel palazzo Livadia, è sistemata male, con una densità di otto persone per stanza, ma qualche bagno in più. I tre grandi hanno obiettivi diversi da raggiungere con la Conferenza. Roosevelt vuole impegnare Stalin a prendere parte alla guerra contro il Giappone e, principalmente, raggiungere un chiaro accordo per l’istituzione dell’ONU. Churchill vuole gettare le basi per proseguire, anche dopo la fine della guerra, il rapporto speciale che lega l’Inghilterra agli Stati Uniti, di cui vuole mantenere il coinvolgimento negli affari europei che è premessa per ripristinare gli equilibri di potere in Europa e, quindi, vuole opporsi con tutte le sue forze all’ampliamento della zona d’influenza sovietica nel nord Europa o, comunque, mantenere una Germania non completamente smembrata e ricreare una Francia grande potenza. A sua volta Stalin vuole sicurezza per il futuro, ottenibile ampliando le frontiere interne fino ad includere territori, in un modo o in un altro, da sempre sottomessi al dominio russo e, al di fuori di esso, la creazione di una vasta aerea di Paesi con regimi analoghi e sottomessi a quello sovietico. La Conferenza inizia con l’esame della situazione militare e Stalin la fa pesare, poiché è divenuta stagnante ad occidente, contro la scatenata avanzata russa di 500 chilometri in 20 giorni. Poi si passa a discutere dell’assetto postbellico della Germania e Stalin pone il quesito dello smembramento e di quanti governi essa dovrà avere in futuro, uno solo o più di uno. Ma Churchill, preoccupato per tutti gli Stati satelliti della Russia che già si possono prevedere, ha cambiato idea sullo smembramento e abilmente riesce a non menzionare tale parola nel comunicato finale, e a demandare a un comitato di tre 276 persone (che non si riunirà mai) presieduto da Eden, il compito di studiarne le possibilità e i modi. Questo è forse l’unico successo degli angloamericani, unitamente all’assegnazione di un pezzetto di zona di occupazione della Germania ai francesi, perché, da quel momento, Stalin assurge al ruolo di assoluto mattatore. Infatti, dopo un mucchio di sterili riunioni, il dittatore riesce a far accettare che le frontiere russe occidentali giungano fino alla linea Curzon ed a Leopoli inclusa. Per compensazione quelle polacche ad est inglobano parte della Prussia e ad ovest giungono fino all’Oder, Stettino inclusa. Ma il risultato più importante che Stalin consegue è l’imporre agli angloamericani la formazione del nuovo Governo polacco, che sarà composto dagli uomini del Comitato di Lublino, completamente asservito ai russi. Ma non finisce qui il successo di Stalin: chiede ed ottiene, per entrare in guerra contro il Giappone, le isole Kurili, la metà dell’isola di Sakhlin, Port Arthur, Dairen e la cogestione delle ferrovie est-asiatiche e sudmancesi. Infine, come graziosa concessione, accetta di aderire all’ONU, accontentandosi che l’URSS sia rappresentata solo da tre seggi e non dai sedici chiesti in un primo tempo. Si giunge così all’ultima sera della Conferenza di Yalta e la commozione che anima Roosevelt, sempre più fiaccato nel fisico, e Churchill, che si avvicina ai 71 anni, coinvolge in parte anche Stalin, che sente di essere giunto all’apogeo della sua carriera politica, iniziata tanti anni prima fra gli stenti della più grande miseria. Il “mastino” alza il calice e dice: “...Io cammino per il mondo con maggior coraggio e speranza quando mi trovo in rapporto di amicizia e intimità con questo grand’uomo, Stalin, la cui fama si è sparsa non solo per tutta la Russia, ma nel mondo intero”. E il dittatore russo risponde: “...Alla salute dell’uomo che nasce una volta ogni cento anni, e che ha valorosamente sostenuto la bandiera della Gran Bretagna. Ho detto quello che sento, quello che ho in cuore, e di cui sono consapevole”. E Churchill: “La mia speranza per il futuro è 277 nell’illustre Presidente degli Stati Uniti e nel maresciallo Stalin, in cui troveremo i campioni della pace, e che dopo aver abbattuto il nemico ci guideranno a proseguire la missione contro la miseria, la confusione, il caos e l’oppressione..”. E Stalin: “Io parlo da vecchio; ecco perché parlo tanto. Ma voglio bere alla salute della nostra alleanza, che non abbia a perdere il suo carattere d’intimità, di libera espressione di vedute. Nella storia della diplomazia non conosco nessuna stretta alleanza di Grandi Potenze simile a questa, in cui gli alleati abbiano avuto l’opportunità di esprimere così francamente le loro idee. Io so che alcuni ambienti considerano tale osservazione ingenua. In un’alleanza gli alleati non dovrebbero mai ingannarsi a vicenda. Forse questo è ingenuo? I diplomatici esperti potranno dire: ‘E perché non ingannare il mio alleato?’. Ma io da uomo ingenuo, penso che sia bene non ingannare il mio alleato anche se è uno sciocco. Forse la nostra alleanza è così salda appunto perché non ci inganniamo a vicenda; oppure perché non è tanto facile ingannarci? Propongo un brindisi alla saldezza della nostra alleanza tripartita. Possa essere forte e stabile; possiamo noi essere più franchi che sia possibile”. Poi, in un altro momento, Stalin dice a Churchill: “La guerra finlandese cominciò nel modo seguente. La frontiera finnica era a una ventina di chilometri da Leningrado. I russi chiesero ai finlandesi di arretrarla di trenta chilometri, in cambio di concessioni territoriali a nord. I finlandesi rifiutarono. Allora alcune guardie di frontiera russe furono fatte segno a colpi d’arma da fuoco da parte finnica e uccise. I reparti delle guardie di frontiera si lagnarono con le truppe dell’Armata rossa, che aprirono il fuoco sui finnici. Mosca ricevette una richiesta di istruzioni. Queste portavano l’ordine di rispondere al fuoco. Una cosa tirò l’altra e si fu in guerra. I russi non volevano una guerra contro la Finlandia. (...) Se i britannici e i francesi avessero mandato a Mosca nel 1939 una missione con uomini che volevano davvero un accordo con la Russia, il Governo sovietico non avrebbe firmato il patto con Ribbentrop. Egli disse ai russi che 278 britannici e americani erano solo commercianti e non avrebbero mai combattuto. (...) Se noi, le tre Grandi Potenze, ora stiamo insieme, nessun’altra Potenza potrà farci nulla”. ROOSEVELT nel febbraio 1945 lascia Yalta soddisfatto. Poi, nel Mediterraneo, sulla nave da guerra Quincy, riceve la visita del re dell’Egitto, di quello dell’Arabia Saudita e dell’imperatore d’Etiopia, suscitando i sospetti di Churchill che era stato avvisato dell’iniziativa all’ultimo momento. Ed è chiaro l’intento del Presidente americano di voler proseguire, nonostante dia l’impressione di conservare solo un sottilissimo legame con la vita, nel suo piano di scalzare l’Inghilterra in favore degli Stati Uniti. Inoltre Roosevelt ha sempre provato piacere di incontrarsi con teste coronate, delle quali subiva un certo fascino, come dimostra la lettera che invia alla moglie: “Una settimana fantastica. Il re d’Egitto, idem dell’Arabia e l’imperatore d’Etiopia!...”. Li colma di doni: un aereo a Faruk, 4 automobili a Selassiè e un aereo a Ibn Saud che, però, rifiuta seccamente di far entrare in Palestina un certo numero di ebrei. Durante la traversata dell’Atlantico a bordo dell’incrociatore qualche dubbio sulla bontà degli accordi raggiunti con Stalin incomincia a serpeggiare nella mente di Roosevelt che, però, tutto sommato, non si pente, perché ritiene di aver conseguito comunque la desiderata leadership per gli Stati Uniti. Ma la salute sempre più carente lo costringe, per la prima volta, il 2 marzo 1945, a tenere il discorso su Yalta al Congresso seduto. Infatti esordisce dicendo: “Spero che mi scuserete se, contrariamente al solito, preferisco rimanere a sedere mentre vi espongo ciò che desidero dirvi, ma penso che vi renderete conto che mi è più facile parlare senza avere dieci libbre di acciaio intorno alle gambe; e poi sono tornato da un viaggio di quattordicimila miglia”. E prosegue: “Se il mio viaggio è stato fruttuoso o no, dipende da voi (...) se non vi trovate d’accordo sulle conclusioni generali raggiunte in una località che si chiama Yalta e non date loro il vostro sostegno, l’incontro non avrà dato risultati 279 duraturi. (...) La Conferenza di Crimea dovrebbe segnare la fine del sistema dell’azione unilaterale, delle alleanze esclusive, delle sfere d’influenza, degli equilibri di potere e di tutti gli altri espedienti che nei secoli si sono tentati e hanno sempre fallito. Noi ci proponiamo di sostituire a tutti questi espedienti un organismo universale al quale tutte le Nazioni amanti della pace avranno finalmente la possibilità di aderire”. E il Congresso approva l’operato del Presidente, maneggiato ancora una volta dalla sua abilità e spregiudicatezza che ha ottenuto il tramonto della leadership mondiale dell’Europa, violando proprio quelle norme della Carta Atlantica che egli stesso aveva dettato. Però qualche violenta reazione si ha in America, quando si viene a sapere dei tre seggi spettanti all’Urss nell’ONU e il diritto di veto dei membri permanenti del suo Consiglio di Sicurezza. Tutto ciò viene ritenuta una grande vittoria di Stalin, alla quale si aggiunge la chiara subordinazione alla Russia della nuova Polonia che, in qualche modo, ha costituito la merce di scambio nella oscura e non ben delineata trattativa per la spartizione del mondo in zone d’influenza che, d’altra parte, non fanno altro che prendere realisticamente atto delle rispettive conquiste militari. Ma ciò che sta davvero a cuore al declinante Roosevelt è l’ONU, che deve trovare la sua consacrazione e decisione nella Conferenza di San Francisco, per la quale Stalin designa come capo delegazione il poco conosciuto Gromyko e non il ben più prestigioso Molotov, senza che Roosevelt riesca a far cambiare idea al dittatore russo. I rapporti fra i tre grandi si vanno deteriorando e sembrano giungere alla rottura quando Stalin, apertamente, accusa Roosevelt di aver iniziato dirette trattative con i tedeschi in Svizzera, in virtù delle quali le truppe germaniche oppongono scarsa resistenza agli angloamericani e sempre più tenace ai sovietici. Il Presidente s’incollerisce profondamente, ma non ha la forza fisica per stendere la risposta, che viene redatta da Marshall per suo conto. Porta la data del 5 aprile 1945 e si conclude con: “...Francamente, non posso evitare un senso di 280 acerbo risentimento verso i vostri informatori, quali che siano, per siffatti bassi svisamenti delle mie azioni o di quelle dei miei fidi subordinati”. Giungono dalla Russia delle tiepide scuse e da Londra questa lettera di Churchill, datata 11 aprile: “Mi par di capire che più di questo non ci sia verso di ottenere da loro, e certo questa è la loro massima approssimazione ad una scusa. Tuttavia, prima di prendere in considerazione risposte di sorta da parte del Governo di Sua Maestà, vogliate dirmi come pensate che si dovrebbe trattare la faccenda stando affiancati”. Ma Roosevelt risponde a Stalin in maniera conciliante e invita Churchill a fare altrettanto. Seppure l’incomprensione con il dittatore russo sembra esser divenuta insuperabile e anche il principio dell’ONU sembra tramontato, Roosevelt non si avvilisce, perché gli Stati Uniti hanno ormai quasi pronta la bomba atomica, e forse, quest’arma terribile, usata come deterrente, avrebbe indotto anche Stalin a più miti consigli. Ma improvvisamente, il 12 aprile a Warm Springs in Georgia, mentre posa per un ritratto, Roosevelt ha un repentino collasso e muore poche ore dopo, senza aver ripreso conoscenza. Ha 63 anni compiuti da poco più di due mesi. Churchill, che aveva scambiato con lui ben 1.700 messaggi e lo aveva frequentato per un totale di 120 giorni, suddivisi in 9 incontri, immediatamente fa aggiornare la seduta della Camera dei Comuni, cosa mai avvenuta prima per la morte di un Capo di Stato straniero, e telegrafa alla signora Roosevelt: “Vogliate accettare le mie più sentite condoglianze nel vostro grave lutto, che è anche lutto della nazione britannica e della causa della libertà in ogni terra. Io mi sento legato a voi tutti da tanta simpatia nel vostro cordoglio. In quanto a me, ho perso una cara e preziosa amicizia forgiatasi al fuoco della guerra. Confido che possiate trovar conforto nella grandezza della sua opera e nella gloria del Suo nome”. 281 Tutte le nazioni, in un modo o in un altro, dedicano commenti o azioni in memoria di Roosevelt. In Russia vengono esposte bandiere listate a lutto. In Cina Chiang Kai-Shek non fa colazione, si alza senza toccare cibo e si ritira per nascondere il dolore. In Giappone il Primo Ministro esprime “profonda simpatia” agli americani. Ma in Germania la radio dice: “Roosevelt passerà alla storia come l’uomo per cui istigazione la guerra attuale dilagò in una Seconda Guerra Mondiale, e come il Presidente che riuscì infine a portare al potere il suo più grande avversario: l’Unione Sovietica bolscevica”. Infine in Italia Mussolini parla di Roosevelt in termini spregiativi. Nei primi mesi del 1944 la salute di MUSSOLINI, affidato alle cure mediche e psicologiche di un sanitario tedesco, è sensibilmente migliorata. Forse ciò dipende anche dal fatto che egli, ridotto com’è ad un Quisling, non sente più su di sé la cappa opprimente della piena responsabilità. D’altra parte la condotta di guerra, anche sul fronte italiano, spetta ai tedeschi e quella contro i partigiani, che diventano sempre più numerosi ed agguerriti, è più di competenza di altri che sua. Si tratta dei generali tedeschi Rahn e Wolff, del segretario del partito Pavolini, del ministro degli interni Buffarini-Guidi, del capo della milizia Ricci, del capo della polizia Tamburini e dei capi delle tante bande armate che, pur essendo in qualche modo inquadrate negli effettivi della Repubblica Sociale, operano in assoluta anarchia commettendo, in gara con i tedeschi, eccidi e soprusi. Le bande più tristemente note sono: la Koch, la Muti, la X Mas e le Brigate Nere. La nuova situazione, dopo tanti anni di comando assoluto, permette a Mussolini, a parte due visite a Hitler in Germania nell’aprile e nel luglio del 1944, di dedicarsi a migliorare la sua conoscenza del tedesco, di incominciare a tradurre l’Anello di Wagner e di riaffermare le credenze socialiste della sua giovinezza, che gli fanno progettare, insieme a Nicola Bombacci, che era stato uno dei fondatori del partito comunista in Italia, di far rilevare dallo Stato tutte le imprese industriali con più di cento addetti. 282 Quello che più lo preoccupa, mentre per i risultati della guerra in corso passa continuamente dall’assoluta fiducia della vittoria di Hitler per merito delle armi segrete al più nero pessimismo e viceversa, è la sua immagine da lasciare alla storia. Egli, pur ammettendo di aver commesso degli errori, dovuti principalmente dall’essere caduto nella trappola dell’eccessiva adulazione, è fiducioso di essere ricordato sui testi futuri come uno dei più grandi uomini della storia. Proprio in tale visione pubblica, senza firma, 19 articoli sul Corriere della Sera riguardanti gli avvenimenti del periodo 1940-1943 e fa tirare il giornale in un milione di copie. Nel frattempo la sua piccola storia giornaliera fa registrare nell’ottobre 1944 una vera e propria aggressione della moglie Rachele ai danni dell’amante Claretta. Nel dicembre 1944, Mussolini tiene il suo ultimo discorso in pubblico al teatro Lirico di Milano. Ci sono migliaia di persone, affluite anche dalla provincia, in teatro e fuori. Mussolini sale sul palco. È smagrito e rimpicciolito, la divisa è vecchia e disadorna, ma gli occhi sono sempre magnetici. Dice: “...Noi vogliamo difendere con le unghie e con i denti la valle del Po: noi vogliamo che la valle del Po resti repubblicana in attesa che tutta l’Italia sia repubblicana. E Milano deve dare gli uomini, le armi, la volontà e il segnale della riscossa”. Esce dalla sala in un delirio di applausi e altri ne riceve mentre percorre le vie della città, fra edifici distrutti dalle bombe, per tornare sul Garda. Ma ormai, all’inizio del 1945, è chiaro anche per lui, nonostante il continuo mutare di opinione e decisione, che tutto è perso, e i dolori allo stomaco riprendono incessanti. Una cosa è certa nello sfacelo che, nell’aprile 1945, prende le forze tedesche in Italia e quelle della Repubblica Sociale, è che Mussolini ha la possibilità di salvarsi, lui solo e la famiglia. Infatti il sottosegretario all’aeronautica Bonomi ha disposto che un trimotore S79 fosse tenuto pronto vicino Brescia per condurre Mussolini in Spagna, dove sarebbe stato accolto da gente fidata. Ma su quell’aereo, 283 essendosi Mussolini rifiutato di farlo, salgono e prendono il volo, il 22 aprile 1945, i genitori e la sorella di Claretta Petacci, la moglie dell’ambasciatore tedesco a Lisbona e l’avvocato Mancini, che porta una documentazione dei crediti italiani nei riguardi della Spagna. L’aereo atterra regolarmente a Barcellona. Claretta, invece, è rimasta con Mussolini. In una lettera alla sorella dice: “Io seguo il mio destino, che è il suo. Non lo abbandonerò mai, qualunque cosa avvenga”. Forse la giovane donna è l’unica che ha idee chiare in un’atmosfera allucinata. Infatti il 22 aprile Mussolini, che è a Milano, riceve il Ministro dell’Educazione Nazionale, che discute con lui sulla nuova legge sui maestri e il potenziamento dell’Università di Trieste. Il 24 aprile il generale Diamanti presenta a Mussolini il figlio, che desidera una fotografia con autografo, mentre i dirigenti della radio gli sottopongono un programma di lavoro e il dirigente della Mondadori gli presenta il libro di Settimelli dal titolo “Trent’anni di commenti a Mussolini”. E al Duce, che ormai non mangia e non dorme quasi più e che mostra una notevole carenza di energia e intelligenza, giunge, dulcis in fundo, l’ultima lettera di Hitler, che dice: “La lotta per l’essere e il non essere ha raggiunto il suo momento culminante. Impiegando grandi masse e materiali il bolscevismo e il giudaismo si sono impegnati a fondo per riunire sul territorio tedesco le loro forze distruttive al fine di precipitare nel caos il nostro continente. Tuttavia nel suo spirito di tenace sprezzo della morte il popolo tedesco e quanti altri sono animati dai medesimi sentimenti si scaglieranno alla riscossa, per quanto dura sia la lotta, e con il loro impareggiabile eroismo faranno mutare il corso della guerra in questo storico momento in cui si decidono le sorti dell’Europa per i secoli a venire”. Il 25 aprile, Mussolini, dopo aver avuto presso l’arcivescovo di Milano Schuster uno sterile colloquio con i rappresentanti dei partigiani per trattare la resa, detta le sue due ultime lettere e sembra voglia suicidarsi con una pistola tratta da un cassetto. Poi si dirige 284 verso la Valtellina, dove avrebbe dovuto esserci un gruppo cospicuo di soldati e fascisti fedelissimi, con i quali combattere l’ultima battaglia. Ma a Como scopre di essere stato nuovamente e per l’ennesima volta ingannato. Allora, il 26 aprile, l’auto si dirige verso il confine svizzero, dove c’è una larvata speranza di porsi in salvo e da lì utilizzare i documenti preziosi, forse lettere segrete di Churchill, per trattare con gli Alleati. Con lui ci sono Buffarini Guidi, Pavolini (con un’autoblindo), il tenente tedesco Bizer, cui Hitler aveva ordinato di non lasciare mai Mussolini e altri. A Menaggio il Duce viene raggiunto da Claretta, il fratello e la moglie di questi, e ne rimane tanto commosso, nonostante l’abulia che da vari giorni lo pervade intensamente, che dice: “Questa donna, che ha già subito il carcere e che ha perso tutto per colpa mia, ha voluto seguirmi anche adesso...”. Poi la colonna si unisce ad un convoglio di camion tedeschi diretti in Austria e un loro ufficiale lo convince ad indossare un cappotto ed un elmetto germanico, per non farlo riconoscere dai partigiani che, invece, lo scoprono a Dongo. Dopo altri pellegrinaggi, ormai da prigioniero, il 28 aprile 1945 viene fucilato. Gli mancano poco più di 3 mesi per compiere 62 anni. Solo Claretta, che lo ha chiesto insistentemente, viene fucilata con lui. I due corpi, unitamente a quelli di altri gerarchi fucilati in altri luoghi, vengono trasportati a Milano e appesi per i piedi ad un distributore di benzina in piazzale Loreto, dove vengono lordati e dileggiati. HITLER, dopo l’attentato del 20 luglio 1944, incomincia a dire di aver capito solo ora la bontà dell’azione di Stalin quando, liquidando il proprio Stato Maggiore, aveva dato spazio a uomini freschi traboccanti di energia che non datavano dai tempi dello zar. In un accesso di rabbia violenta conclude: “Adesso capisco perché tutti i miei grandi piani per la Russia di questi ultimi anni erano destinati a fallire. Per puro tradimento! Se non fosse stato per quei traditori avremmo vinto già da molto tempo. Ecco la mia giustificazione 285 dinanzi alla storia”. Poi, non potendo far piazza pulita nell’esercito per motivi di ovvia opportunità, impone ai generali di accettare le Waffen SS come partner a pieno titolo e comanda a tutti, ufficiali e soldati delle tre armi, il saluto nazista obbligatorio. In sostanza il luglio 1944 segna la fine dell’alleanza fra Hitler e l’élite conservatrice tedesca, impersonificata dal corpo ufficiali, e la prevalenza netta del Partito e di Himmler. Per i successivi 4 mesi dall’attentato il dittatore tedesco si ritira nel suo bunker della Prussia orientale, fatto di un gran blocco di cemento armato senza finestre e privo di ventilazione, sempre più intento a studiare mappe e a dispensare ordini, lontano dai campi di battaglia e senza mai cambiare occupazione e compagnia, costretto ogni sera a prendere per dormire droghe, sostituite di giorno da sedativi per contenere l’ansia e il nervosismo, che sempre di più lo attanagliano. Solo verso settembre, in preda a ricorrenti dolori di stomaco e di violenti mal di gola e da quasi totale afonia, si decide a tornare a Berlino, dove si sottopone ad un intervento chirurgico alle corde vocali perfettamente riuscito. Ma, pur avendo solo 55 anni, a chiunque possa incontrarlo da vicino sembra un vecchio dalla voce roca, il colorito olivastro, le mani tremanti e una gamba rigida. In una conferenza di questo periodo con alcuni generali finalmente il Führer chiarisce quali sono le sue reali speranze per il futuro: “Non è ancora venuto il momento di una decisione politica (...) Sarebbe puerile e ingenuo attendersi che sia possibile conseguire accordi politici favorevoli in un momento di pesanti sconfitte militari. Tale momento giunge solo quando si vince (...) Ma verrà il tempo in cui la tensione fra gli Alleati diverrà tale da provocare una rottura. Nella storia tutte le coalizioni si sono prima o poi dissolte. L’unica cosa da fare è aspettare il momento opportuno per quanto dura possa essere l’attesa. (...) Vivo al solo fine di dirigere tale battaglia perché so che se non sarà sostenuta da una volontà di ferro non potrà mai essere vinta...”. 286 Nel frattempo, è la fine di settembre 1944, la Wehrmacht raduna ordinatamente le sue forze lungo la frontiera occidentale tedesca e gli anglo-americani non riescono, durante tutto l’inverno, a sfondare. Hitler ne approfitta per sfornare, attraverso una mobilitazione generale di tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, nuove divisioni, seppur dimezzate negli effettivi, mentre la produzione bellica raggiunge il più alto livello dall’inizio della guerra, nonostante la carenza di petrolio e di oli sintetici. Ma ben maggiori sarebbero potute essere le forze disponibili per difendere il territorio nazionale se il Führer avesse richiamato le 109 divisioni schierate in Norvegia, negli Stati Baltici, in Italia, in Iugoslavia e in Ungheria. Non vuole assolutamente farlo, per non dare l’impressione ai nemici di ritenere la guerra irrimediabilmente persa. Nella sua mente il concetto di difesa non esiste e continua ad essere orientato in termini di solo attacco. Ne dà un’immediata prova quando, nel dicembre 1944, decide di contrattaccare nelle Ardenne, nonostante l’opposizione di Guderian, capo di Stato Maggiore, al quale urla: “Non ho bisogno che lei mi insegni. Dirigo l’esercito tedesco sul campo da cinque anni e in tutto questo tempo ho acquisito un’esperienza diretta maggiore di quella che un qualunque ‘signore’ dello Stato Maggiore potrebbe mai sperare di avere”. L’attacco viene sferrato il 16 dicembre e ottiene un notevole successo, ma già il 25 risulta chiaro che bisogna ritirarsi sulle posizioni di partenza, se non si vuol subire una dura lezione, e Guderian invita Hitler a trasferire molte divisioni in Polonia, dove sembra imminente un formidabile attacco russo sulla Vistola. Il Führer, per tutta risposta, afferma: “E’ il più grande bluff dai tempi di Gengis Khan. Chi è che mette in giro tutte queste sciocchezze?”, e ordina un secondo attacco nelle Ardenne, miseramente fallito, al punto che l’8 gennaio le truppe tedesche debbono ritirarsi, avendo perso 100.000 uomini, 600 carri armati e 1.600 aerei. Guderian insiste ancora per meglio difendere l’Est, ma Hitler non lo ascolta e il 287 generale scrive: “Egli si era fatto un’immagine del mondo tutta sua, ed ogni avvenimento doveva rientrare in siffatto universo immaginario. Il mondo doveva essere così come lui se lo era dipinto; ma quello era il quadro di tutt’altro pianeta”. I Russi sferrano l’offensiva e il 17 gennaio prendono Varsavia, il 19 Cracovia e Lòdz, e, alla fine di gennaio, attraversano l’Oder e si trovano a 80 chilometri da Berlino. Ciò nonostante Hitler continua a dare ordini e a parlare della riconquista della superiorità dell’aviazione tedesca, da ottenersi con l’intensificazione della produzione del nuovo caccia a reazione. Il capo dell’aeronautica tedesca, Goring, che cerca di defilarsi, viene costretto a questa conversazione da Hitler: “Pensate che nel loro intimo i britannici siano entusiasti a proposito dello sviluppo della situazione ad Oriente?”. “Certamente non si aspettavano che li avremmo respinti mentre i sovietici stanno conquistando l’intera Germania. Se si va avanti così, tra pochi giorni riceveremo un telegramma”. Ma in febbraio invece del telegramma, che dovrebbe proporre l’accordo sognato da Hitler fra anglo-americani e tedeschi contro i Russi, giunge il risultato della Conferenza di Yalta, nel quale si intima nuovamente ai Germanici la resa incondizionata. Hitler non se ne dà minimamente per inteso, continua a parlare delle armi segrete che avrebbero rovesciato le sorti della guerra, con particolare riferimento, ed è la prima volta che lo fa, alla bomba atomica. E molti membri del Partito ci credono con tutte le loro forze, al punto da affermare: “Hitler ha qualche asso nella manica che tirerà fuori all’ultimo momento. E allora ci sarà la svolta. Permettere al nemico di entrare così profondamente nel nostro territorio non è altro che una trappola”. In realtà, però, ormai il dittatore non spera in altro che in un miracolo, come avvenne per Federico II. Il re, nella guerra dei Sette Anni nella metà del Settecento, dovette fronteggiare ben 4 eserciti: l’austriaco, il russo, il francese e lo svedese, ed ebbe numerosi 288 successi, ma alla fine lui stesso scrisse che soltanto la Provvidenza lo avrebbe potuto salvare dal disastro e dal suicidio. L’imperatrice russa morì e le successe il nipote, lo zar Pietro III, grande ammiratore di Federico II. Insperatamente il nuovo zar rinunciò alla conquista di territori e firmò un trattato di pace con la Prussia, mettendole a disposizione le sue truppe per sconfiggere l’Austria, e Federico II fu salvo! In attesa del miracolo, Hitler, di tanto in tanto, parla della guerra e di chi ha sbagliato: “Avevo sempre sostenuto che dovessimo a tutti i costi evitare una guerra su due fronti, e potete essere certi che ho meditato a lungo e con ansia su Napoleone e la sua esperienza in Russia. Perché allora, ci si potrebbe chiedere, questa guerra contro la Russia, e perché il momento da me scelto? (...) E il mio incubo personale era la paura che Stalin potesse rubarmi l’iniziativa. (...) La guerra con la Russia era diventata inevitabile, qualsiasi cosa facessimo, e rinviarla significava soltanto che avremmo dovuto combatterla in seguito in condizioni meno favorevoli. La cosa disastrosa di questa guerra è il fatto che per la Germania essa è incominciata al tempo stesso troppo presto e troppo tardi. (...) Se il destino avesse concesso ad una Gran Bretagna vecchia e arteriosclerotica un nuovo Pitt invece di questo ubriacone mezzo americano, Churchill, manovrato dagli ebrei, il nuovo Pitt avrebbe immediatamente capito che la tradizionale politica britannica di equilibrio del potere sarebbe ora stata applicata su scala mondiale. Invece di fomentare la rivalità fra Stati europei la Gran Bretagna avrebbe dovuto fare tutto il possibile per giungere ad una unificazione dell’Europa. Alleata ad una Europa unita, ella avrebbe in tal modo mantenuto la possibilità di fungere da arbitro negli affari mondiali. (...) Ma avevo sottovalutato la forza della dominazione ebraica sull’Inghilterra di Churchill. (...) Sono stato l’ultima speranza dell’Europa (...) Con la sconfitta del Reich e in attesa della nascita dei nazionalismi asiatico, africano e forse anche sudamericano, 289 resteranno al mondo soltanto due grandi potenze in grado di confrontarsi: Stati Uniti e Russia sovietica. Tanto la legge della storia che della geografia obbligheranno queste due potenze a una prova di forza, o militare, oppure in campo economico ed ideologico. Queste stesse leggi rendono inevitabile che entrambe tali potenze diventino nemiche dell’Europa. Ed è altrettanto certo che entrambe troveranno, presto o tardi, desiderabile cercare il sostegno della sola grande nazione sopravvissuta in Europa, la nazione tedesca”. Ormai, nell’aprile 1945 Hitler ha quasi completamente perso il controllo degli avvenimenti giornalieri ed emana ordini sempre più caotici e contraddittori con la situazione reale. Poi si rinchiude nel bunker della Cancelleria e in questa sua decisione Speer, il suo strettissimo collaboratore, vi scorge un valore simbolico: “funge da suggello alla totale scissione di Hitler dalla tragedia che incombeva all’esterno. Egli smise di avere con essa qualsiasi rapporto. Quando parlava della fine, intendeva la sua, non quella della nazione. Egli giunse all’ultima stazione nel suo lungo viaggio di dissociazione dalla realtà, una realtà che si era rifiutato di conoscere fin da ragazzo. All’epoca trovai un nome a quel mondo irreale del bunker. Lo chiamavo ‘l’isola del defunto’”. A dimostrazione di quanto siano giuste le valutazioni di Speer, il 12 aprile giunge la notizia della morte di Roosevelt, e Goebbels telefona tutto agitato a Hitler, dicendogli: “Mio Führer! Mi congratulo! Roosevelt è morto. E’ scritto nelle stelle che la seconda metà di aprile segnerà una svolta in nostro favore”. Anche il dittatore sembra crederci, ma nulla cambia nella coalizione contro di lui. Anzi, truppe americane e russe si incontrano sull’Elba e i russi attaccano direttamente Berlino, contrastati ferocemente dai tedeschi, nonostante abbiano contro il fuoco di ben 9.000 mortai. E’ il 20 aprile quando i russi entrano nella città e cercano di giungere nel centro. Proprio in questo giorno il Führer compie 56 anni e dà diversi ordini, ma, due giorni dopo, s’accorge che sono stati del tutto 290 inascoltati. La sua ira scoppia furibonda. Con urla altissime accusa tutti, anche le SS, d’ingannarlo. Poi dice che la guerra è perduta e non gli resta che morire. Egli attenderà a Berlino la fine e chi, fra i collaboratori, non vuole rimanere può andarsene al Sud. Eva Braun, la donna che convive col dittatore, afferma che vuole rimanere e ne riceve come ricompensa un bacio sulle labbra. E’ la prima volta che accade alla presenza di terzi, perché i rapporti di Hitler con le donne e il sesso sono sempre stati oggetto di pettegolezzi e di sospetti. Nella sua vita egli aveva provato solo per due donne un interesse non passeggero, ed entrambe erano di vent’anni più giovani di lui. La prima era stata Geli, la figlia della sua sorellastra che, nel 1928, era andata a fargli da governante. Geli aveva 17 anni e Hitler 39. Il dittatore se ne infatuò subito e ne fece la sua compagna fissa per tre anni. La ragazza era felice di accompagnare lo zio nei suoi comizi durante il periodo 1929/31, quando lui incominciava a diventare famoso. Ma il futuro dittatore era geloso e possessivo all’eccesso e lei ne soffriva. Un giorno Adolf scoprì che la giovane donna s’era data al suo autista e le fece una scenata violenta, proibendole di frequentare altri uomini e la scuola di canto di Vienna. Nel settembre 1931 Geli si suicidò, lasciando Adolf inconsolabile e con dei rimorsi. La stanza di Geli fu mantenuta esattamente come lei l’aveva lasciata e sempre, vicino al letto del dittatore, c’era la fotografia di lei alla parete. Poco dopo comparve Eva Braun, una bionda avvenente con un viso tondo ed occhi blu, che lavorava presso un famoso studio fotografico. Adolf le faceva dei complimenti e le inviava dei fiori, null’altro. Allora la ragazza inscenò, nell’autunno del 1932, un tentativo di suicidio e praticamente costrinse Hitler, ancora scioccato da quanto era accaduto a Geli e timoroso di un nuovo scandalo, a farne la sua cara amica. Ma la donna non era felice, perché Adolf la teneva al di fuori della sua vita ufficiale e le proibiva di fumare, danzare e frequentare altri uomini. Solo con l’inizio della guerra lei incominciò a comparire vicino a lui in qualche riunione privata. Un giorno lui dichiarò, alla 291 presenza di Eva che: “Un uomo dotato di grande intelligenza dovrebbe scegliersi una donna stupida e rozza. Immaginate se, oltre a tutto il resto, io avessi una donna che interferisca nel mio lavoro (...) Non potrei mai sposarmi. Pensate a quanti problemi sorgerebbero se avessi dei bambini! Alla fine cercherebbero di fare di mio figlio il mio successore. Le possibilità che una persona come me abbia un figlio capace sono poche. Pensate al figlio di Goethe, una persona che non vale assolutamente nulla! Molte donne sono attratte da me per il fatto che non sono sposato. Questo accadeva soprattutto al tempo della nostra battaglia. Succede la stessa cosa che con un attore di cinema: quando si sposa, per le donne che lo adorano egli perde un certo qualcosa. Da quel momento egli non è più l’idolo che era prima”. Ma forse egli è solo incapace di avere rapporti sessuali normali, infatti uno dei suoi compagni più intimi della metà degli anni Trenta sosteneva che il Führer fosse impotente e che la sua grande energia nervosa non avesse una normale valvola di sfogo, e concludeva: “Nel deserto sessuale in cui viveva, soltanto una volta egli fu quasi sul punto di trovare una donna, Geli, e mai trovò neanche l’uomo che potesse dargli un po’ di sollievo. (...) Mia moglie si fece subito un’idea ben precisa di lui, era certa che fosse asessuato”. Invece Erich Fromm, da un’analisi a posteriori, dice: “...Credo che tutto quello che si possa dire è che i suoi desideri sessuali fossero di tipo fondamentalmente voyeuristrico e sadico-anale con le donne che lui riteneva inferiori, e invece di tipo masochistico con quelle che ammirava”. Ora, a Berlino, mentre Hitler bacia Eva, la situazione precipita e i Sovietici incominciano a bombardare con i cannoni la Cancelleria. Mentre lontano qualche capo germanico intreccia trattative per la resa, il 29 aprile giunge a Hitler la notizia della fine di Mussolini e, proprio in quella notte, il Führer sposa la sua compagna alla presenza di Bormann e Goebbels. E’ il 30 aprile 1945. Dopo aver pranzato in compagnia, Hitler ordina al suo autista di portare duecento litri di benzina in giardino. Poi si ritira con la moglie nel suo appartamento. 292 Si sente un solo colpo d’arma da fuoco: la porta viene aperta e i cadaveri degli sposi vengono trovati. Lui si è sparato alla tempia e lei si è avvelenata. I corpi sono portati nel giardino e, cosparsi di benzina, vengono incendiati. Hitler da dieci giorni ha compiuto 56 anni. 293
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 6:33 pm | |
| CAP. XVII DALLA CORTINA DI FERRO ALLA MORTE DI STALIN E A QUELLA DI CHURCHILL STALIN, con la sua notevole capacità diplomatica e, principalmente, con le grandi vittorie militari che portano i suoi eserciti ad occupare tutte le capitali degli antichi Stati dell’Europa centrale e orientale come Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, domina la Conferenza di Potsdam nel luglio del 1945. Qui egli si deve confrontare non più con Roosevelt, ma con Truman, che lo ha sostituito, e, dopo alcuni giorni, con Attlee, che prende il posto di Churchill, incredibilmente battuto nelle elezioni inglesi. Non è quindi difficile al dittatore russo assicurarsi carta bianca per la soluzione del problema polacco, nonché una vasta area di occupazione in Germania, che va addirittura al di là di quanto ha occupato militarmente. Inoltre, pur non essendo più necessaria la partecipazione sovietica alla guerra contro il Giappone, perché gli Stati Uniti hanno ormai pronta e sperimentata la bomba atomica, pretende di farlo e, per pochi giorni di guerra, di ottenere quanto gli era stato promesso: la restituzione delle concessioni territoriali in Cina, l’isola di Sahalin e la possibilità di stabilire un regime comunista nella Corea del Nord, oltre a sostenere i comunisti cinesi nella loro guerra contro le forze di Chiang Kai-Shek. Certamente, in particolar modo per gli americani, la guerra strenuamente e validamente combattuta contro le potentissime armate di Hitler, ha contribuito, per tutto il periodo bellico e per qualche tempo dopo, a trasmettere un’immagine di Stalin solo positiva. Egli è apparso come il difensore della patria minacciata e dell’Europa 294 democratica, facendo accantonare le caratteristiche ideologiche del suo regime. Di contro la linea adottata dopo la guerra implica una più chiara visione di chi sia in realtà Stalin. Egli non si accontenta di stabilire una sfera d’influenza ed un cordone di sicurezza per la Russia, ma gradualmente impone regimi comunisti in tutti i Paesi occupati, tranne la Finlandia. Inoltre, approfittando del chiaro declino economico inglese e dello smantellamento dell’impero, che non solo è necessario, ma anche voluto dai laburisti al Governo, tenta di ottenere, in contraddizione all’accordo del foglietto, di più anche in Grecia e in Turchia, dove l’Inghilterra è impossibilitata a continuare a finanziare i governi non comunisti. Deve però far marcia indietro, perché finalmente gli Americani hanno preso coscienza della situazione e prendono il posto degli Inglesi. Stalin, che sta facendo procedere a marce forzate i suoi scienziati per la realizzazione di una bomba atomica russa, nel 1948 tenta una prova di forza, bloccando gli accessi alle zone occidentali di Berlino, custodite dagli anglo-americani, ma un efficace ponte aereo e la decisa presa di posizione degli Stati Uniti, che è l’unico Paese che può contrastare vittoriosamente l’Unione Sovietica, lo porta ad accantonare il blocco, ma non certo a mettere fine alla “guerra fredda”, caratterizzata dal timore dell’Europa occidentale per l’espansionismo sovietico. Anche nella politica interna Stalin mostra nuovamente il suo vero volto. Dopo tanti sacrifici sopportati dai cittadini russi prima e durante la guerra, è diffusa la speranza di poter tornare a condurre una vita normale. Ma Stalin afferma che l’industria pesante deve continuare ad avere l’assoluta priorità: non c’è spazio per una qualsiasi forma, pur modestissima, di consumismo. Anche nell’agricoltura si continua come prima o peggio: la collettivizzazione è confermata e ampliata. In sostanza il popolo sovietico deve continuare a lavorare ancor più 295 duramente per realizzare il prossimo piano quinquennale e deve raggiungere la produzione annuale di 60 milioni di tonnellate di acciaio, 60 milioni di tonnellate di petrolio e 500 milioni di tonnellate di carbone. Ma quello che più colpisce nella condotta del potere di Stalin è il trattamento riservato all’enorme numero di cittadini sovietici che erano caduti sotto il dominio tedesco durante la guerra. Come se fossero infettati molti milioni di loro sono deportati nell’Asia centrale e in Siberia, o spediti in speciali campi di concentramento, non meno di 100, ognuno capace di contenere 10.000 uomini che devono essere severamente processati prima di tornare alle proprie case. Come un vero tiranno Stalin ha un potere perverso su tutto, anche su chi occupa posizioni di vertice come il maresciallo Zucov, che ha concluso la guerra come secondo del dittatore. Stalin è geloso e, forse, timoroso della fama che il militare gode presso il popolo sovietico e le Potenze alleate. Lo convoca al Cremlino e gli dice: “Beria mi ha appena inviato un rapporto sui suoi contatti sospetti con gli americani e i britannici. Pensa che lei diverrà una spia al loro soldo. Io non credo affatto a tale sciocchezza, ma sarebbe meglio che per un po’ lei si allontani da Mosca. Ho proposto la sua nomina a comandante del distretto militare di Odessa”. Nonostante il culto indiscusso che viene tributato a Stalin da tutto il movimento comunista, si verificano alcune difficoltà per la sua politica: nel 1948, quando la Iugoslavia esce dalla sfera diretta di potere sovietico, e nel 1949, quando il comunismo cinese si rende indipendente e avanza qualche fondata pretesa di rompere il monopolio sovietico sulla direzione del blocco dei Paesi comunisti. Eppure, dietro le invisibili mura elevate da Stalin per tenere isolata l’Unione Sovietica dal mondo occidentale, si verifica nel 1949/50 una eccezionale ripresa economica, in parte dovuta al denaro ed alle fabbriche incamerati e trasferiti in Russia a titolo di riparazione per danni di guerra, ma indubbiamente il merito maggiore va al piano 296 quinquennale e agli enormi sacrifici del popolo sovietico, che riceve finalmente un considerevole aumento dei salari effettivi, aumento che, però, non riesce a spendere, perché scarseggiano i prodotti di consumo e il sistema di distribuzione è quanto mai primitivo. Si sviluppano frattanto l’antisemitismo del regime, il sadismo di Stalin e la sua paura di subire un avvelenamento. Egli, infatti, non tocca cibo che non sia stato prima assaggiato da altri. Poi, durante le cene angosciose che il dittatore dà in continuazione, egli incomincia a raccontare sempre le stesse storielle e tutti debbono ridere ed applaudire e continuare a bere su suo pressante invito, fino ad ubriacarsi e a coprirsi di ridicolo. A tal proposito Kruscev scrive: “Per chissà quale motivo egli provava gusto ad umiliare gli altri. Ricordo che una volta Stalin mi fece ballare il Gopak. Dovetti accovacciarmi, lanciare in fuori alternativamente le gambe e cercare di assumere un’espressione divertita. Ma come in seguito dissi a Mikojan: ‘quando Stalin dice di ballare, chi è saggio balla’. La cosa più importante era occupare il tempo di Stalin così che non soffrisse di solitudine. Egli era oppresso dalla solitudine, e ne aveva paura”. Nel frattempo il dittatore incomincia ad essere titubante nelle decisioni e, come dice Kruscev, “il governo cessò virtualmente di funzionare. Ciascun membro dell’orchestra suonava il proprio strumento ogni qual volta ne aveva voglia senza alcuna direzione corale da parte del direttore”. Ciò dipende dalla salute sempre più precaria di Stalin e dagli effetti sul suo sistema nervoso dovuti al tentativo di abbandonare il vizio del fumo che aveva fin da ragazzo. La sua accentuata instabilità psicologica si manifesta clamorosamente nell’annuncio dell’arresto di un certo numero di medici, in maggioranza ebrei, sotto l’accusa di aver adottato, sotto l’istigazione dei servizi segreti occidentali, metodi di cura distruttivi nei riguardi di alte personalità sovietiche. Ciò fa temere l’imminenza di un nuovo eccidio di dimensioni tali da incidere a fondo, come 297 avvenne negli anni Trenta, sulla fisionomia dei vertici della società e dello Stato sovietici. Non ha però modo di poter attuare quanto si propone. Infatti, la sera del 28 febbraio 1953, guarda un film in compagnia del gruppo di vertice sovietico ed è di buon umore, perché ubriaco, tanto che non mette termine alla riunione prima delle sei del mattino del 1° marzo. Nel periodo che intercorre da quell’ora alle tre del mattino del 2 marzo egli subisce un attacco cardiaco. Le guardie hanno paura di disturbarlo, poi, preoccupate, chiamano alcuni dirigenti del Partito e i medici, che diagnosticano una paralisi. Per tre giorni e mezzo Stalin rimane in vita e, di tanto in tanto, riprende conoscenza, ma non è in grado di parlare. La figlia Svetlana così descrive le ultime ore di Stalin: “L’agonia fu terribile. Dio concede una morte serena solo ai giusti. Egli letteralmente soffocò fino a morire dinanzi ai nostri occhi. In quello che sembrava l’ultimo istante, aprì improvvisamente gli occhi e lanciò uno sguardo su tutti i presenti nella stanza. Era uno sguardo terribile da folle, o forse furibondo e pieno di paura di morire...”. Stalin ha 73 anni compiuti da poco più di due mesi. CHURCHILL riceve, verso la fine di aprile 1945, quando Roosevelt è già morto e sono imminenti i drammatici decessi di Mussolini e Hitler, il messaggio più cordiale che Stalin gli avesse mai scritto: “Vi ringrazio della comunicazione del 25 aprile circa l’intenzione di Himmler di arrendersi sul fronte occidentale. Considero la vostra proposta di presentare a Himmler una richiesta di resa incondizionata su tutti i fronti, conpreso il fronte sovietico, come l’unica corretta. Conoscendovi, non avevo alcun dubbio che avreste agito in questa maniera. Vi prego di agire nel senso indicato dalla vostra proposta, e l’Armata rossa manterrà la sua pressione su Berlino negli interessi della nostra causa comune. Debbo dichiarare, per vostra informazione, che ho dato analoga risposta al Presidente Truman, il quale mi ha pure rivolto la stessa domanda. 298 Churchill risponde: “Sono compiaciuto di sapere che non dubitavate del modo in cui avrei agito, e in cui sempre agirò, verso il vostro glorioso Paese e voi stesso. A questo proposito la condotta britannica e, ne sono sicuro, quella americana proseguiranno secondo le linee da voi approvate e noi tutti e tre seguiteremo a tenerci pienamente informati a vicenda”. Dopo di allora, però, fra Churchill e Stalin prevalgono, e in maniera crescente, i contrasti. Anche fra il “mastino” e Truman non sono tutte rose e fiori, come dimostra la lettera del 4 giugno 1945: “Sono certo che capirete la ragione per cui tengo ansiosamente a una data anteriore. Guardo con profonda sfiducia il ritiro dell’esercito americano alla nostra linea d’occupazione nel settore centrale, che ha per effetto di portare la potenza sovietica nel cuore dell’Europa occidentale e di far calare una cortina di ferro tra noi e tutto quanto si trova ad est. Speravo che questo ritiro, se proprio doveva essere fatto, fosse accompagnato dalla sistemazione di molte grandi cose che sarebbero il vero fondamento della pace mondiale. Non si è ancora sistemato nulla di veramente importante, e voi e io dovremo sostenere gravi responsabilità per l’avvenire. Spero quindi ancora che la data venga anticipata”. Ma ormai Churchill e l’Inghilterra sono davvero l’ultima ruota del carro: USA e URSS vanno avanti senza tenere molto conto di Churchill che, ed è il colmo, viene sconfitto nelle elezioni inglesi ed esce ufficialmente di scena nel luglio 1945. Quando, però, il “mastino” si reca per vari mesi negli Stati Uniti da privato cittadino, visita la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e tiene, nel marzo 1946 a Fulton nel Missouri, una conferenza. Dice: “Un’ombra è calata sulla scena di recente così vivamente illuminata dalla vittoria degli Alleati. Nessuno sa cosa intendono fare nell’immediato futuro la Russia e la sua organizzazione comunista internazionale, ne quali siano i limiti, ammesso che esistano, delle loro tendenze espansionistiche e del loro proselitismo. Nutro l’ammirazione e la considerazione più vive per il valoroso popolo 299 russo e per il mio camerata del tempo di guerra, il maresciallo Stalin. Esistono una simpatia ed una benevolenza profonde in Gran Bretagna, ed anche qui, nei riguardi dei popoli di tutte le Russie, nonché la determinazione di perseverare, ad onta di numerose divergenze e ripulse, nel conseguimento dell’amicizia durevole. Ci rendiamo conto dell’esigenza della Russia di sentirsi sicura sulle proprie frontiere occidentali mediante l’eliminazione di ogni possibilità di un’aggressione tedesca. Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi nazioni del mondo. Siamo lieti di vederne la bandiera sui mari. Soprattutto siamo lieti che abbiano luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i nostri popoli a entrambi i lati dell’Atlantico. E tuttavia mio dovere, poiché ne sono certo voi desiderate che io vi esponga i fatti quali li vedo, prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, nell’Adriatico, un sipario di ferro è calato sul continente. Dietro di esso si trovano tutte le capitali degli antichi Stati dell’Europa centrale e orientale. Tutte queste famose città e le popolazioni intorno ad esse si trovano in quella che debbo chiamare la sfera sovietica, e tutte sono soggette, in una forma o nell’altra, non solo all’influenza sovietica ma ad un’altissima e in molti casi crescente misura di controllo da Mosca. La sola Atene in Grecia, con le sue glorie immortali, è libera di decidere il proprio avvenire mediante elezioni, con osservatori britannici, americani e francesi. Il Governo polacco dominato dai russi è stato incoraggiato ad avanzare enormi e ingiuste pretese sulla Germania, e sta avendo luogo in questo momento un’espulsione in massa di milioni di tedeschi, su scala atroce e mai sognata prima d’oggi. I partiti comunisti, che erano assai piccoli in tutti quegli Stati orientali d’Europa, sono stati innalzati ad un predominio e ad un potere di gran lunga sproporzionati al numero dei loro aderenti e stanno tentando ora dovunque di conquistare il dominio totalitario. Governi polizieschi prevalgono quasi in ogni caso e fino a questo 300 momento, tranne che in Cecoslovacchia, non esiste una democrazia autentica. La Turchia e la Persia sono entrambe profondamente allarmate e turbate dalle rivendicazioni avanzate e dalla pressione esercitata su di esse dal Governo di Mosca. A Berlino, i russi stanno tentando di organizzare un partito quasi-comunista nella loro zona della Germania occupata favorendo in modo particolare gruppi di capi politici tedeschi con tendenze di sinistra. Al termine dei combattimenti, nello scorso giugno, gli eserciti americano e britannico si sono ritirati ad ovest, in base ai termini del precedente accordo, per una profondità che in taluni punti arriva ai 240 chilometri e su un fronte di quasi 650 chilometri, allo scopo di consentire ai nostri alleati russi di occupare quella vasta distesa di territorio che le democrazie occidentali avevano conquistato. Se ora il Governo sovietico tenterà, mediante un’azione unilaterale, di creare nelle sue zone una Germania favorevole al comunismo, ciò determinerà nuove gravi difficoltà nelle zone britannica e americana, e darà ai tedeschi sconfitti il modo di porsi all’asta tra i sovieti e le democrazie occidentali. Qualsiasi conclusione si possa trarre da questi fatti, e si tratta di fatti, non è questa la libera Europa per edificare la quale noi combattemmo. Né è un’Europa che contenga gli elementi essenziali di una stabile pace”. E’ una delle ultime zampate di Churchill, anche perché il Primo Ministro inglese Attlee, di fronte a forti reazioni mondiali, alla dichiarazione di Stalin alla Pravda che accusa l’ex primier inglese di invocare la guerra contro l’Unione Sovietica paragonandolo a Hitler, e a interrogazioni di deputati alla Camera dei Comuni, dichiara seccamente: “Non sono tenuto ad esprimere alcun giudizio su un discorso pronunciato in un Paese straniero da un privato cittadino”. Dopo vari anni di quasi silenzio, nel 1951 il “mastino” torna al Governo come Primo Ministro e caratterizza la sua Amministrazione con l’attenuazione della politica economica dirigista del precedente governo di stampo laburista del quale, però, mantiene le principali 301 riforme. In politica estera, essendo ormai la tensione fra Americani e Russi giunta a livelli altissimi, tenta di mitigare i contrasti con l’Unione Sovietica. E quando il 9 marzo 1953 Radio Mosca dà l’annuncio della morte di Stalin, Churchill spera di poter avviare un dialogo con i successori ai quali invia un messaggio di cordoglio e condoglianze per la scomparsa del vecchio leader. Nello stesso anno gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Nell’aprile del 1955 Churchill si ritira dalla vita politica per il notevole declino, ha 81 anni, delle sue condizioni di salute. Quasi dieci anni dopo, il 10 gennaio 1965, viene colto da un violento colpo apoplettico e, due settimane dopo, muore. Da circa un mese e mezzo ha compiuto 90 anni. I funerali di Stato, decretati in onore di Churchill, erano stati concessi in Inghilterra, a parte i sovrani, solo a Nelson e al duca di Wellington. Nel messaggio al Parlamento, la regina lo definisce “Un eroe nazionale” e Attlee dice di lui che è “il più grande inglese del nostro tempo e a mio giudizio il più grande cittadino del mondo del nostro tempo”. 302
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 6:37 pm | |
| CAP. XVIII COMPARAZIONI SINTETICHE DEI CINQUE PROTAGONISTI Data di nascita e luogo di nascita: Churchill: 30 novembre 1874 a Blenheim nell’Oxfordshire (circa 80 chilometri da Londra), Gran Bretagna. Stalin: 21 dicembre 1879 a Gori nella Georgia (circa 2.000 chilometri da Mosca), Russia. Roosevelt: 30 gennaio 1882 a Hyde Park nello Stato di New York (pochi chilometri da New York), Stati Uniti. Mussolini: 29 luglio 1883 a Predappio nella Romagna (circa 350 chilometri da Roma e 300 da Milano), Italia. Hitler: 20 aprile 1889 a Braunau am Inn nel Tirolo (circa 500 chilometri da Vienna), Austria. Condizione sociale dei genitori: Churchill: nobile/alto borghese (il padre è un lord figlio di un duca; la madre è un’americana figlia del proprietario del New York Times). Stalin: operaia (il padre è calzolaio e operaio in fabbrica; la madre è cameriera). Roosevelt: alto borghese ( il padre è capitalista e imparentato con il Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt). Mussolini: operaia/piccolo borghese ( il padre è fabbro; la madre è maestra elementare). Hitler: borghese ( il padre è un funzionario di dogana). 303 Anno di morte del padre: Churchill ha 21 anni quando, nel 1895, muore il padre. Stalin ha 11 anni quando, nel 1890, muore il padre. Roosevelt ha 18 anni quando, nel 1900, muore il padre. Mussolini ha 27 anni quando, nel 1910, muore il padre. Hitler ha 14 anni quando, nel 1903, muore il padre. Mogli, figli e relazioni: Churchill: nel 1908 a 34 anni sposa Clementine Hozier dalla quale ha 5 figli. Stalin: nel 1906 a 27 anni sposa Ekaterina Svanidze dalla quale ha un figlio. Nel 1919 sposa Nadezda Allilueva (che si suicida nel 1932 per violenti contrasti con Stalin) dalla quale ha altri due figli, un maschio e una femmina, Svetlana, che gli suscita una morbosa gelosia. Roosevelt: nel 1905 a 23 anni sposa Eleanor Roosevelt dalla quale ha 6 figli. E’ nota la sua lunga e appassionata relazione, iniziata nel 1913, con la segretaria Lucy Mercer che ha 9 anni meno di Roosevelt. Mussolini: nel 1915 a 32 anni sposa Rachele Guidi (con la quale convive dal 1909) e ha 5 figli. Sono note numerose relazioni con altre donne dalle quali, forse, ha avuto altri figli. La più lunga è quella con Clara Petacci che ha 29 anni meno di Mussolini e si fa fucilare con lui. Hitler: nel 1945 a 56 anni (poche ore prima di suicidarsi con lei) sposa Eva Braun con la quale convive da 13 anni e che ha una ventina di anni meno di lui. Non ha figli. E’ nota una strana relazione di Hitler nel 1928 con la figlia, di 22 anni più giovane di lui, di una sua sorellastra. La ragazza si suicida 3 anni dopo per disperazione. Titolo di studio: Churchill: brevetto d’ufficiale al Royal Military College di Sandhurst nel 1895 a 21 anni. 304 Stalin: nessun diploma di scuola superiore, ma la frequenza di 5 anni di seminario a Tiflis (interrotta nel 1899 a 19 anni e sei mesi) equivalenti all’intero liceo e ad un anno di università. Roosevelt: primo livello di laurea alla Harvard University nel 1904 a 22 anni. Mussolini: diploma di maestro elementare al collegio Giosuè Carducci di Forlimpopoli nel 1901 a 18 anni. Hitler: nessun diploma di scuola superiore, lascia la scuola nel 1905 a 16 anni. Primo lavoro esercitato: Churchill: secondo luogotenente di cavalleria ad Aldershot nel 1895 a 21 anni. Stalin: impiegato dell’Osservatorio Geofisico a Tiblis nel 1899 a 20 anni. Roosevelt: praticante avvocato nello studio legale Carter-Ledyard- Milburn a New York nel 1905 a 23 anni. Mussolini: supplente maestro nella scuola elementare a Gualtieri nel 1902 a 19 anni. Hitler: pittore commerciale a Vienna nel 1910 a 21 anni. Inizio dell’attività politica: Churchill: candidato deputato, sconfitto alle elezioni suppletive a Oldham nel 1899 a 25 anni. Stalin: capo agitatore di operai a Batum nel 1901 a 22 anni. Roosevelt: candidato senatore, vincente allo Stato di New York nel 1910 a 28 anni. Mussolini: segretario del Circolo Socialista a Gualtieri nel 1902 a 19 anni. Hitler: oratore propagandista nel Partito Tedesco dei Lavoratori (DAP) a Monaco nel 1919 a 30 anni. 305 Capo di un partito: Churchill: in pratica capo del partito conservatore nel 1940 a 66 anni. Stalin: del partito comunista russo nel 1924 a 45 anni. Roosevelt: praticamente capo del partito democratico nel 1932 a 50 anni. Mussolini: del fascio autonomo di azione rivoluzionaria nel 1915 a 32 anni. Hitler: del Dap nel 1920 a 31 anni. Tempo intercorrente fra l’inizio dell’attività politica e la nomina a capo di un partito: Churchill: 51 anni. Stalin: 23 anni. Roosevelt: 22 anni. Mussolini: 13 anni. Hitler: 1 anno. Prima elezione a deputato o simile: Churchill: deputato conservatore al Parlamento nel 1890 a 26 anni. Stalin: membro del Comitato Esecutivo del Soviet a Pietrogrado nel 1917 a 38 anni. Roosevelt: senatore dello Stato di New York nel 1910 a 28 anni. Mussolini: deputato del Blocco Nazionale al Parlamento nel 1921 a 38 anni. Hitler: deputato al Parlamento nel 1932 a 43 anni (non era stato eletto prima perché ancora mancante della cittadinanza germanica). Primo incarico governativo: Churchill: sottosegretario alle colonie nel Governo liberale di Lloyd George nel 1906 a 32 anni. Stalin: commissario delle nazionalità nel 1918 a 39 anni. 306 Roosevelt: sottosegretario alla marina durante la presidenza Wilson nel 1913 a 31 anni. Mussolini: primo ministro nel 1922 a 39 anni. Hitler: primo ministro nel 1933 a 44 anni. Primo Ministro o Capo dell’esecutivo: Churchill: nel 1940 a 66 anni. Stalin: nel 1941 a 62 anni (ma già dal 1930, a 51 anni, è il padrone incontrastato del suo Paese). Roosevelt: nel 1933 a 51 anni. Mussolini: nel 1922 a 39 anni. Hitler: nel 1933 a 44 anni. Tempo intercorrente fra la prima elezione a deputato e la nomina a primo ministro o capo dell’esecutivo: Churchill: 50 anni. Stalin: 24 anni. Roosevelt: 23 anni. Mussolini: 1 anno. Hitler: 1 anno. Tempo intercorrente fra il primo incarico governativo e la nomina a primo ministro o capo dell’esecutivo: Churchill: 34 anni. Stalin: 23 anni. Roosevelt: 20 anni. Mussolini: 0 anni. Hitler: 0 anni. 307 Capo dello Stato o simile: Churchill: mai (c’è il re). Stalin: nel 1941 a 62 anni. Roosevelt: nel 1933 a 51 anni. Mussolini: nel 1943 a 60 anni (della Repubblica Sociale Italiana, nel Regno d’Italia c’è il re). Hitler: nel 1934 a 45 anni. Prima incarcerazione. Churchill: viene ristretto in carcere per la prima e unica volta in Sud Africa nel 1899 a 25 anni. Stalin: a Batum nel 1902 a 23 anni ( ha il record degli arresti).. Roosevelt: mai. Mussolini: a Berna nel 1904 a 21 anni. Hitler: a Monaco nel 1923 a 34 anni. Ruolo svolto nella Prima Guerra Mondiale: Churchill: inizialmente è primo lord dell’ammiragliato, poi deve dimettersi per la disastrosa spedizione ai Dardanelli e per 6 mesi comanda, come ufficiale, un battaglione in Francia, infine (1917) è ministro delle munizioni. Stalin: nessuno perché confinato in Siberia. Roosevelt: è al governo come segretario alla Marina. Mussolini: è, dal 1915 al 1917, soldato e poi sergente al fronte; viene congedato dopo essere stato ferito e torna alla direzione del suo giornale. Hitler: soldato e poi caporale, viene ferito per due volte e si guadagna la Croce di Ferro di prima classe. Scrittura del primo libro pubblicato: Churchill: “Col corpo di spedizione nel Malakand”, nel 1898 a 24 anni. 308 Stalin: “Il marxismo e la questione nazionale”, nel 1913 a 34 anni. Roosevelt: mai. Mussolini: “Claudia Particella l’amante del cardinale”, nel 1909 a 26 anni. Hitler: “Mein Kampf (La mia battaglia)”, nel 1924 a 35 anni. Direttore di giornale e giornalismo non scolastico: Tutti i 5 protagonisti sono stati giornalisti, quantomeno pubblicisti, mentre sono stati direttori di giornale, per la prima volta, solo: Stalin: “Pravda” a Pietroburgo nel 1912 a 33 anni. Mussolini: “L’avvenire del lavoratore” a Trento nel 1909 a 26 anni. Incontri reciproci: Churchill: Roosevelt nel periodo 1914/18 e dopo il 1939, Mussolini fra il 1924 e il 1930, Stalin dopo il 1940. Stalin: Churchill e Roosevelt separatamente e insieme dopo il 1940. Roosevelt: Churchill, Stalin. Mussolini: Churchill fra il 1924 e il 1929, Hitler dal 1934 al 1945. Hitler: Mussolini. Data, luogo, età e causa della morte: Churchill: 10 gennaio 1965 a Hyde Park Gate, a 90 anni compiuti, per colpo apoplettico. Stalin: 6 marzo 1953 a Mosca, a 73 anni compiuti, per attacco cardiaco e blocco celebrale. Roosevelt: 12 aprile 1945 a Warm Springs, a 63 anni compiuti, per emorragia celebrale. Mussolini: 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, a 3 mesi dal compimento del 62° anno di età, per fucilazione da parte dei partigiani italiani. 309 Hitler: 30 aprile 1945 a Berlino, a 56 anni compiuti, per suicidio. Attività nei seguenti anni presi a campione: 1890 Churchill (16 anni) è nella scuola di Harrow dove, tranne che in storia, non brilla negli studi. Stalin (11 anni) ha perso il padre dispotico e manesco e può continuare a frequentare il collegio teologico. Roosevelt (8 anni) studia privatamente con una maestra tedesca ed è avvolto dall’affetto di entrambi i genitori. Mussolini (7 anni) frequenta la seconda elementare nel paese natale e vive nella più assoluta libertà di piccolo teppista repressa solo da qualche cinghiata paterna. Hitler (1 anno) vive, attentamente curato dalla madre, nella linda casa del padre funzionario statale. 1895 Churchill (21 anni) perde il padre severo che, oltre ad essere lord, è anche un importante esponente del mondo politico inglese. Poco dopo consegue il brevetto d’ufficiale e il grado di secondo luogotenente in un reggimento di cavalleria. Stalin (16 anni) studia intensamente nel seminario di Tiblis e sviluppa idee rivoluzionarie. Roosevelt (13 anni) studia in casa e, con il padre, si dedica alla caccia, alla pesca, all’equitazione e al golf. Mussolini (12 anni) conclude le scuole elementari e inizia le medie nel collegio Carducci di Forlinpopoli. Hitler (6 anni) inizia a studiare a scuola e si mostra brillante ma testardo. 310 1900 Churchill (26 anni) è deputato del Partito Conservatore. Stalin (21 anni) è impiegato presso l’Osservatorio di Tiblis. Roosevelt (18 anni) è studente universitario della facoltà di Legge. Mussolini (17 anni) è studente del penultimo anno dell’istituto Magistrale. Hitler (11 anni) è studente della scuola elementare. 1903 Churchill (29 anni) è deputato del Partito Conservatore. Stalin (24 anni) è clandestino e ha documenti falsi, pubblica articoli sui giornali marxisti. Roosevelt (21 anni) sta per laurearsi in legge. Mussolini (20 anni) è in Svizzera dove fa il muratore e il commesso ed è attivista del Partito Socialista oltre a scrivere sul giornale “Avvenire del lavoratore”. Hitler ( 14 anni) è di malavoglia studente dell’istituto tecnico. 1905 Churchill (31 anni) è deputato del Partito Liberale. Stalin (26 anni) è un clandestino perché evaso dal confino in Siberia e, oltre a continuare ad organizzare l’attività rivoluzionaria dei lavoratori, aderisce alla corrente bolscevica del Partito Operaio Socialdemocratico. Roosevelt (23 anni) fa i primi passi come avvocato e si sposa. Mussolini (22 anni) sta compiendo il servizio militare a Verona. Hitler (16 anni) si ritira definitivamente dalla scuola. 1908 Churchill (34 anni) è Ministro degli Interni e collabora strettamente con Lloyd George. 311 Stalin (29 anni) è a Baku dove dirige gli “espropri proletari”. Roosevelt (26 anni) esercita la professione forense. Mussolini (25 anni) abbandona l’insegnamento per dedicarsi interamente alla politica. Hitler (19 anni) è a Vienna dove viene respinto per la seconda volta dall’Accademia di Belle Arti e si ritira in una totale solitudine. 1910 Churchill (36 anni) è Primo Lord dell’Ammiragliato e fa incrementare le costruzioni navali. Stalin (31 anni) continua a dirigere gli “espropri proletari”. Roosevelt (28 anni) è senatore dello Stato di New York. Mussolini (27 anni) è segretario della Federazione Socialista Forlivese e direttore del giornale “Lotta di classe”. Hitler (21 anni) è nella più assoluta povertà e solitudine. 1915 Churchill (41 anni) è Primo Lord dell’Ammiragliato e caldeggia la disastrosa spedizione ai Dardanelli. Stalin (36 anni) è relegato in Siberia al di sopra del Circolo Polare Artico in un paesino lontanissimo dalla ferrovia Transiberiana mentre la Russia è in guerra contro gli Imperi Centrali. Roosevelt (33 anni) è Segretario Aggiunto alla Marina e caldeggia la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra, ma Wilson non lo appoggia. Mussolini (32 anni) è direttore/proprietario del “Popolo d’Italia” e si batte per l’entrata in guerra dell’Italia che avviene di lì a poco, poi il futuro Duce va soldato al fronte. Hitler (26 anni) è portaordini tedesco sul fronte francese dove si comporta con abnegazione e coraggio. 312 1918 Churchill (44 anni) è Ministro delle Munizioni. Stalin (39 anni) è Commissario delle Nazionalità nel primo governo sovietico. Roosevelt (36 anni) è ancora Segretario Aggiunto alla Marina. Mussolini (35 anni) è alla guida del suo giornale e teorizza il superamento del socialismo. Hitler (29 anni) è sconvolto per la sconfitta della Germania che attribuisce agli ebrei e ai socialdemocratici e decide di entrare in politica per riscattare la patria tedesca. 1920 La bufera della Grande Guerra ha causato ben 1.700.000 morti e 4.950.000 feriti russi, 908.000 morti e 2.090.000 feriti della Gran Bretagna, 650.000 morti e 947.000 feriti italiani, 117.000 morti e 204.000 feriti americani, 1.358.000 morti e 4.266.000 feriti francesi, 1.774.000 morti e 4.216.000 feriti tedeschi, 1.200.000 morti e 3.620.000 feriti austro-ungarici. Inoltre l’Impero Asburgico si è dissolto, la Germania è stata notevolmente ridimensionata, sono nate varie nazioni con diversi e consistenti gruppi etnici, e la Rivoluzione Comunista Russa si è consolidata. Churchill (46 anni) è Ministro alle Colonie. Stalin (41 anni) è Commissario Speciale al fronte nella guerra russo-polacca. Roosevelt (38 anni) è candidato democratico alla vicepresidenza degli Stati Uniti e viene battuto, quindi, scoraggiato, si ritira dalla politica. Mussolini (37 anni) è capo dei Fasci di Combattimento e sposta decisamente verso destra l’asse della sua politica. Hitler (31 anni) è il capo del DAP e lo ribattezza Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. 313 1923 Churchill (49 anni) non è più ministro e, addirittura, viene battuto alle elezioni. Stalin (44 anni) è assistente di fiducia di Lenin e Segretario del Comitato Centrale del Partito. Roosevelt (41 anni) combatte contro la poliomielite che lo ha aggredito da due anni. Mussolini (40 anni) è Primo Ministro e inizia a “fascisteggiare” lo Stato. Hitler (34 anni) è stato condannato a cinque anni di fortezza e sta scrivendo Mein Kampf. 1925 Churchill (51 anni) è Cancelliere dello Scacchiere nel Governo conservatore di Baldwin. Stalin (46 anni) è il capo assoluto del Partito che governa l’URSS. Roosevelt (43 anni) ha ripreso l’attività forense e inizia a speculare in borsa, guadagnando cifre considerevoli. Mussolini (42 anni) è l’assoluto Duce e dittatore dell’Italia. Hitler (36 anni) è capo assoluto del NSDAP e stenta ad affermarsi per vie legali, come si è ripromesso. 1928 Churchill (54 anni) è ancora Cancelliere dello Scacchiere. Stalin (49 anni) fa espellere Trotzkij dall’URSS. Roosevelt (46 anni) viene eletto Governatore dello Stato di New York. Mussolini (45 anni) ha un potere personale quasi assoluto. Hitler (39 anni) con il suo partito non ha ancora una consistente forza elettorale. 314 1930 Churchill (56 anni) non ha alcun incarico governativo. Stalin (51 anni) è il padrone assoluto dell’URSS, pur non ricoprendo alcuna carica ufficiale nel Governo. Roosevelt (48 anni) è il Governatore dello Stato di New York e fronteggia efficacemente la disastrosa crisi economica. Mussolini (47 anni) è sempre di più il Duce assoluto degli Italiani e una star a livello mondiale. Conferma il suo prestigio prendendo validi provvedimenti per superare la crisi economica e avviando una serie di lavori e leggi per modernizzare il Paese. Hitler (41 anni) non ha ancora raggiunto il potere, ma nelle elezioni il suo Partito guadagna il 18% dei voti e si attesta come seconda forza politica della Germania. 1932 Churchill (58 anni) è ancora senza incarichi governativi e denuncia con lungimiranza i grandi pericoli del riarmo sotterraneo tedesco, che si contrappone ad un certo lassismo inglese. Stalin (53 anni) determina con la collettivizzazione dell’agricoltura la morte di oltre 5 milioni di contadini, ma anche l’industrializzazione del Paese. Roosevelt (50 anni) è designato candidato democratico alla presidenza degli USA. Mussolini (49 anni) festeggia il decennale della Marcia su Roma e si gloria dei grandi successi d’immagine che l’Italia coglie in cielo, in terra e in mare. Hitler (43 anni) sta per essere nominato Cancelliere del Reich e continua a chiedere di essere ricevuto da Mussolini, che ancora non l’accontenta. 315 1935 Churchill (61 anni) dapprima è preoccupatissimo di un eventuale scontro navale italo-inglese, poi, con l’avvento dell’Home Fleet nel Mediterraneo, si lamenta dell’imbelle comportamento del governo inglese. Stalin (56 anni) sollecita attraverso i “Fronti Popolari” un’alleanza contro il nazifascismo, ma è del tutto assente dalla crisi italo-inglese. Roosevelt (53 anni) è tutto preso dalla politica interna e si limita ad invitare Mussolini a scongiurare la guerra. Mussolini (52 anni) fa il possibile per ottenere il preventivo assenso franco-inglese alla sua conquista dell’Etiopia. Poi mostra di non temere le sanzioni votate dalla Lega delle Nazioni e un’eventuale scontro armato con la Gran Bretagna. Hitler (46 anni) offre materie prime all’Italia e, al tempo stesso, fornisce armi all’Etiopia. Infine ammira ancora di più Mussolini per il coraggio mostrato nei riguardi della Società delle Nazioni. 1937 Churchill (63 anni) è del tutto isolato nel mondo politico inglese per la sua presa di posizione contro l’abdicazione del re e, ciò nonostante, ha uno scontro verbale con l’ambasciatore tedesco a Londra. Stalin (58 anni) dalla Russia muove i fili della politica e dell’azione bellica dei repubblicani-comunisti in Spagna, battendosi, in questo modo, indirettamente contro Mussolini che appoggia i franchisti. Roosevelt (55 anni) si disinteressa della Spagna e di altri problemi internazionali, occupato com’è a domare la Corte Suprema del suo Paese. 316 Mussolini (54 anni) si gloria del successo delle truppe italiane a Malaga in Spagna e cerca di ridurre Franco completamente ai suoi voleri, senza riuscirvi. Hitler (48 anni) ha la soddisfazione di far aderire Mussolini all’idea dell’Asse Berlino-Roma e di convincerlo a recarsi in visita ufficiale in Germania. 1938 Churchill (64 anni) fa di tutto per far assumere al governo inglese una più decisa presa di posizione contro l’invadenza sempre maggiore di Italia e Germania. Stalin (59 anni) sta subendo sconfitte contro i fascisti in Spagna e offre ai franco-inglesi la sua partecipazione e i suoi aiuti contro i tedeschi, ricavandone rifiuti e l’esclusione dalla Conferenza di Monaco. Roosevelt (56 anni) finalmente si occupa dell’Europa, ma Chamberlain cortesemente rifiuta il suo intervento. Mussolini (55 anni) determina le dimissioni di Eden e continua ad essere corteggiato da ogni parte. Poi, dopo il trionfo nella Conferenza di Monaco, viene considerato il salvatore della pace. Hitler (49 anni) ottiene l’Austria e i Sudeti e diviene sempre più tracotante. 1939 (prima metà) Churchill (65 anni) è ancora privo di incarichi governativi e passa dall’indignazione alla gioia, e poi nuovamente all’indignazione per le dichiarazioni e il comportamento di Chamberlain. Nei suoi discorsi e nei suoi scritti valuta in modo abbastanza esatto la potenziale pericolosità di Hitler, mentre esagera su quella di Mussolini, da lui accreditato di poter attaccare con efficacia Grecia, Turchia, Malta e l’intera flotta inglese. 317 Stalin (60 anni) in politica estera passa da un insuccesso all’altro e i suoi militari in Spagna subiscono determinanti sconfitte. Roosevelt (57 anni) blocca le esportazioni di materie prime statunitensi al Giappone e scrive sterili messaggi ai capi dell’Asse. Mussolini (56 anni) è irritato per la conquista hitleriana della Boemia e, come rivalsa, occupa con titubanza l’Albania. Hitler (50 anni) senza esitazioni occupa la Boemia e la fa da padrone sull’ex Cecoslovacchia, ma quando minaccia la Polonia ha una temporanea perplessità per i decisi impegni assunti dall’Inghilterra. 1939 (seconda metà) Churchill (65 anni) non appena scoppia la guerra, a furor di popolo, torna al Governo con la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato. Stalin (60 anni) firma il Patto con Hitler e s’impadronisce di quasi metà Polonia, della Lettonia, dell’Estonia e della Lituania senza colpo ferire, mentre in Finlandia le sue truppe, pur di tanto superiori per numero, non si mostrano molto valide. Roosevelt (57 anni) dichiara la neutralità degli Stati Uniti e invia una lettera a Churchill, iniziando una corrispondenza molto importante per il futuro della guerra. Mussolini (56 anni) dopo esser venuto a conoscenza delle reali condizioni del suo esercito, viene colto da timori e frustrazioni e dichiara la non belligeranza. Hitler (50 anni) conclude un patto con Stalin e invade la Polonia, causando la Seconda Guerra Mondiale. 1940 Churchill (66 anni) è divenuto Primo Ministro e governa la Gran Bretagna e le sue forze armate con grande coraggio e competenza. 318 Stalin (61 anni) è molto ossequioso nei confronti di Hitler, fin quando questi non perde la Battaglia d’Inghilterra. Roosevelt (58 anni) appoggia e rifornisce di tutto l’Inghilterra, poi inventa la geniale legge Affitti e Prestiti che solleva la nazione amica da ogni immediato pagamento. Mussolini (57 anni) entra in guerra, pur sapendo dell’impreparazione delle sue forze armate che comanda caoticamente, conducendole a gravi insuccessi. Hitler (51 anni) sconfigge rapidamente la Francia, ma non riesce a battere l’aviazione inglese, ciò determina la decisione di rinviare l’invasione della Gran Bretagna. 1941 Churchill (67 anni) è felice, nonostante i rovesci in Grecia e in Libia e sul mare, perché Hitler ha commesso l’errore di attaccare la Russia e di dichiarare guerra agli Stati Uniti. Stalin (62 anni) rimane scioccato dall’attacco di Hitler alla Russia, poi reagisce, difendendosi strenuamente, confortato dagli ingenti aiuti, d’armi e di materiali, da parte americana e inglese. Roosevelt (59 anni) vara la legge Affitti e Prestiti e riesce a farsi attaccare dal Giappone e, di conseguenza, a farsi dichiarare guerra da Hitler. Mussolini (58 anni) occupa parte della Grecia e della Iugoslavia in virtù del possente aiuto di Hitler, ma diviene subalterno del Führer. Hitler (52 anni) passa da un successo militare all’altro, ma non riesce a conquistate Mosca. Inoltre è costretto a dichiarare guerra agli Stati Uniti. 319 1942 Churchill (68 anni) è sempre il membro più attivo nell’alleanza contro Hitler, ma ormai non ne è il più importante e deve spesso sottostare alle impennate di Stalin e alle decisioni di Roosevelt. Stalin (63 anni) dopo aver resistito a nuovi attacchi tedeschi, passa a un’efficace controffensiva e insiste violentemente affinché inglesi e americani aprano un secondo fronte in Europa. Roosevelt (60 anni) ha ormai la leadership degli angloamericani e conferma, con entusiasmo, di dare la preferenza al fronte atlantico rispetto a quello del Pacifico. Di conseguenza intensifica le forniture di armi e materiali alla Russia e all’Inghilterra. Mussolini (59 anni) si lamenta in privato dell’arroganza tedesca, ma si esalta quando può occupare parte della Iugoslavia, della Grecia e dell’Egitto, prestandosi al ridicolo dell’inutile attesa in Libia per entrare ad Alessandria su di un cavallo bianco. Hitler (53 anni) è meno sicuro della vittoria, nonostante qualche nuovo successo che, a fine anno, si trasforma in dura sconfitta. 1943 Churchill (69 anni) è più che mai attivo e dirige, con mano decisa da Quebec, le trattative per la resa dell’Italia. Stalin (64 anni) continua a far arretrare e sconfiggere le armate tedesche e gioisce alla caduta del suo vecchio avversario Mussolini. Roosevelt (61 anni) registra solo successi e vorrebbe Mussolini in mani Alleate per processarlo. Mussolini (60 anni) come fu il primo fra i 5 protagonisti a raggiungere il potere, ora è il primo a perderlo con una strana e fatalistica rassegnazione. Hitler (54 anni) sta prendendo coscienza che la guerra è persa, ma si batte con furore e si meraviglia che Mussolini non faccia altrettanto. 320 1944 (prima metà) Churchill (70 anni) dopo gli insuccessi e le prese in giro di Teheran, si barcamena fra Roosevelt e Stalin che gli hanno tolto il primato. Stalin (65 anni) è più che mai soddisfatto per i successi militari e politici che sta raccogliendo. Roosevelt (62 anni) ha ormai l’assoluto primato fra gli alleati occidentali e dà il via al grande sbarco in Normandia. Mussolini (61 anni) dirige come un qualsiasi Quisling la Repubblica Sociale Italiana ed è solo l’ombra del dittatore degli anni Trenta. E’ probabile che neghi la grazia a Ciano per non deludere Hitler. Hitler (55 anni) sa di aver perso la guerra nonostante le armi segrete e dà ordine alle sue truppe di resistere ferocemente perché non ha vie d’uscita. 1944 (seconda metà) Churchill (70 anni) riprende un ruolo più importante e tenta invano di far intervenire i Russi in aiuto degli insorti di Varsavia. Successivamente conclude a Mosca un accordo nel quale, praticamente, cede a Stalin Romania e Bulgaria per ottenere la preminenza in Grecia. Stalin (65 anni) è più affabile con Churchill, ma freddamente attende la totale soppressione degli insorti di Varsavia che non sono comunisti per potere, in futuro, più facilmente dominare la Polonia con elementi locali di sicura fede comunista. Roosevelt (62 anni) è assorbito dalle elezioni e dà più spazio a Churchill, ma non prende mai posizione contro Stalin. Mussolini (61 anni) lascia mano libera ai suoi maggiori collaboratori e a bande armate della Repubblica Sociale che si battono contro i partigiani e commettono atrocità. 321 Hitler (55 anni) subisce un attentato e se la cava, riportando solo leggere ferite. Continua pallidamente a credere nelle armi segrete e ordina un contrattacco che fa eseguire nelle Ardenne. 1945 Churchill (71 anni) dopo essere riuscito a contenere e ad allontanare parzialmente dalla Grecia il comunismo, partecipa alla Conferenza di Yalta, ottenendo qualche risultato positivo. Ciò nonostante a luglio perde le elezioni e la carica di Primo Ministro. Stalin (66 anni) domina a Yalta e le sue armate conquistano Berlino. Roosevelt (63 anni) muore improvvisamente per collasso il 12 aprile. Mussolini (62 anni) muore fucilato dai partigiani il 28 aprile. Hitler (56 anni) muore suicida il 30 aprile. 1951 Churchill (77 anni) è tornato primo ministro e si adopera per attenuare la crescente tensione fra Americani e Russi, dovuta alla cortina di ferro e alla guerra fredda. Stalin (72 anni) isola sempre di più se stesso, la Russia e i Paesi satelliti. Teme d’essere avvelenato e prova gusto ad umiliare in pubblico i suoi più importanti collaboratori. 1953 Churchill (79 anni) quando apprende della morte di Stalin, spera di avviare un dialogo con i successori, senza però trovare validi riscontri. Stalin (74 anni) muore per attacco cardiaco ed ha un’agonia di quattro giorni. 322 1965 Churchill (91 anni) muore per un violento colpo apoplettico e la sua agonia dura due settimane. Attività alla stessa età: 15 anni: Churchill: 1889, frequenta la Harrow School e non va molto bene, tranne che in storia. Stalin: 1894, inizia a frequentare il seminario di Tiflis. Roosevelt: 1897, è al suo primo anno della dura scuola di Croton nel Massachusetts. Mussolini: 1898, frequenta con profitto il collegio Carducci di Forlimpopoli. Hitler: 1904, la madre, vedova da poco, lo costringe a frequentare il collegio di Teeyr dove il ragazzo continua ad andar male. 20 anni: Churchill: 1894, è al Royal Military College quando apprende che il padre ha solo sei mesi di vita. Stalin: 1899, tutto preso dalla sua passione politica, lascia il seminario. Roosevelt: 1902, studia ad Harvard e scrive articoli progressisti sul periodico dell’università. Mussolini: 1903, è in Svizzera dove lavora come commesso, scrive per un giornale e segue alcune lezioni all’università di Losanna. Hitler: 1909, vive come un barbone a Vienna solo e senza soldi 25 anni: Churchill: 1899, in Inghilterra si presenta alle elezioni e le perde poi, è in Sud Africa come giornalista dove viene messo in prigione dai Boeri. 323 Stalin: 1904, è un clandestino, scrive articoli per fogli marxisti e organizza i lavoratori. Roosevelt: 1907, esercita la professione legale. Mussolini: 1908, insegna, come professore di francese, nel collegio Calvi di Oneglia. Hitler: 1914, entra da volontario nell’esercito germanico e viene mandato al fronte in Francia. 30 anni: Churchill: 1904, è deputato liberale da 4 anni. Stalin: 1909, a Baku dirige i cosiddetti “espropri Proletari”. Roosevelt: 1912, è senatore dello Stato di New York e vive ad Albany, capitale dello Stato. Mussolini: 1913, è molto attivo politicamente e direttore del quotidiano Avanti! che porta al raddoppio della tiratura. Hitler: 1919, a Monaco inizia la sua carriera politica nel DAP. 35 anni: Churchill: 1909, è Primo Lord dell’Ammiragliato. Stalin: 1914, è al confino in uno sperduto paese della Siberia. Roosevelt: 1917, è segretario alla Marina nel governo del Presidente Wilson. Mussolini: 1918, è alla guida del suo giornale su posizioni nazionaliste. Hitler: 1924, esce il suo libro Mein Kampf mentre lui si rafforza come capo del partito NSDAP. 40 anni: Churchill: 1914, è ancora Primo Lord dell’Ammiragliato quando scoppia la guerra e viene confermato. Stalin: 1919, è Commissario Speciale del Governo e viene inviato nei punti più caldi del fronte della guerra civile. 324 Roosevelt: 1922, lotta coraggiosamente contro la poliomielite che lo ha aggredito improvvisamente. Mussolini: 1923, è Primo Ministro e incomincia a “fascisteggiare” lo Stato. Hitler: 1929, inizia a ricevere aiuti dagli industriali e il suo Partito raccoglie il 18% dei voti. 45 anni: Churchill: 1919, è Ministro della Guerra e dell’Aviazione ed insiste per l’intervento armato contro la Russia rivoluzionaria e comunista. Stalin: 1924, morto Lenin, conquista la guida assoluta del Partito. Roosevelt: 1927, è rimasto semiparalitico ma è tornato in piena attività non politica e guadagna cifre considerevoli, speculando con spregiudicatezza nel mondo finanziario. Mussolini: 1928, gode di un potere personale quasi assoluto come dittatore e favorisce l’esaltazione della sua personalità. Hitler: 1934, morto Hindemburg, diviene Führer e Cancelliere del Reich accorpando nella sua persona i massimi poteri della Germania. 50 anni Churchill: 1924, cambia partito, viene eletto deputato conservatore e ottiene la carica di Cancelliere dello Scacchiere. Stalin: 1929, dittatore assoluto, avvia l’industrializzazione rapida e la collettivizzazione forzata nelle campagne. Roosevelt: 1932, viene designato candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti e per la prima volta adopera l’espressione New Deal. Mussolini: 1933, propone un patto a 4 fra Italia, Francia, Inghilterra e Germania per assicurare la pace in Europa. Hitler:1939, conclude un patto con Stalin e invade la Polonia causando la dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna. 325 55 anni Churchill: 1929, perde ogni incarico governativo e assume posizioni di rigido estremismo imperialistico. Stalin: 1934, a costo di milioni di morti, è riuscito a far divenire l’URSS una potenza industriale e nel Paese il culto della sua personalità raggiunge livelli enormi. Roosevelt: 1937, privilegia decisamente la politica interna rispetto a quella estera e riesce a “domare” la Corte Suprema che viene definita “Corte Roosevelt”. Mussolini: 1938, già colmo di successi interni ed internazionali, con la Conferenza di Monaco raggiunge il suo apogeo. Hitler: 1944, le continue sconfitte che deve accusare da più di un anno lo hanno ridotto a un vecchio con la voce roca e le mani tremanti. 60 anni Churchill: 1934, da anni non ha più incarichi di governo, ma continua ad occuparsi di politica mondiale, di riarmo e di disarmo. Stalin: 1939, firma un patto con Hitler e s’impadronisce di mezza Polonia e degli Stati Baltici. Roosevelt: 1942, è in guerra contro il Giappone e contro Italia e Germania e privilegia il maggior sforzo bellico del suo Paese contro queste ultime due. Mussolini: 1943, dopo il voto del Gran Consiglio, viene fatto arrestare dal re, che nomina al suo posto il maresciallo Badoglio. Hitler: 1949, è morto suicida da 4 anni. 65 anni Churchill: 1939, scoppiata la guerra torna al governo come Primo Lord dell’Ammiragliato. Stalin: 1944, è trionfante in guerra contro Hitler e prepara accortamente le frontiere e le zone d’influenza del dopo conflitto. 326 Roosevelt: 1947, è morto da 2 anni per emorragia celebrale. Mussolini: 1948, è morto fucilato da 3 anni. 70 anni Churchill: 1944, la guerra volge a favore degli Alleati, ma ora è preoccupato per l’invadenza di Stalin. Stalin: 1949, ha chiuso l’URSS e i suoi satelliti in una “cortina di ferro” ed è in corso una “guerra fredda” con gli Occidentali. 75 anni Churchill: 1949, non ha da 4 anni incarichi governativi. Stalin: 1954, è morto da 1 anno per attacco cardiaco. 80 anni Churchill: 1954, è da 3 anni tornato Primo Ministro. Si ritirerà nel 1955 e morirà nel 1965 per un colpo apoplettico. 327 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: I CINQUE DUCI A CONFRONTO. Dalla fine del cap. 11 alla fine del libro (cap. 18) Mer Ott 22, 2014 6:40 pm | |
| BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ALLILUYEVA SVETLANA, Venti lettere a un amico, Mondadori 1967. ANDRIOLA FABIO, Carteggio segreto Mussolini-Churchill, Piemme 1996. BERNERI CAMILLO, Mussolini grand’attore, Chessa 1983. BERNOTTI ROMEO, Cinquant’anni nella marina militare, Mursia 1971. BOCCA GIORGIO, Mussolini socialfascista, Garzanti 1983. BOCCA GIORGIO, La repubblica di Mussolini, Mondadori Editore 1994. BRACHER K.D., La dittatura tedesca, Il Mulino 1983. BRAGADIN MARC’ANTONIO, Che ha fatto la Marina?,Garzanti 1955. BULLONK ALAN, Hitler e Stalin, Garzanti 1995. CARTIER RAYMOND, La seconda guerra mondiale (2 volumi), Mondadori Editore 1968. CHURCHILL WISTON, La seconda guerra mondiale (6 volumi), Mondadori Editore 1948/53. CIANO GALEAZZO, Diario 1937-1943, Rizzoli 1980. CROCKER GEORGE, Lo stalinista Roosevelt, Edizioni del Borghese 1963. CRUSCEV, Kruscev ricorda, Sugar, 1970. DE FELICE RENZO, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi Editore 1965. 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ODDATI NICOLA, Churchill, Roosevelt e il caso Sforza, Edisud 1984. 329 PAYNE ROBERT, Hitler, Dall’Oglio 1974. ROMOLOTTI GIUSEPPE, 1919 la pace sbagliata, Mursia 1969 SERENY GITTA, In lotta con la verità, Rizzoli 1995. SHERWOOD ROBERT, La seconda guerra mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca, Garzanti 1949. SHIRER WILLIAM, Storia del terzo Reich, Einaudi 1962. SMITH DENIS MACK, Mussolini, Rizzoli 1981 SMITH DENIS MACK, I Savoia re d’Italia, Rizzoli 1990. SPINOSA ANTONIO, Edda una tragedia italiana, Mondadori Editore 1993. SPINOSA ANTONIO, I figli del duce, Rizzoli 1983. STALIN JOSIF, Marxismo e la questione nazionale e coloniale, Einaudi 1975. TUCKER ROBERT, Stalin il rivoluzionario, Feltrinelli 1973. ULAM ADAM, Stalin, Garzanti 1975. VITALI GIORGIO, Franklin Delano Roosevelt, Mursia 1991. ZUCCOTTI SUSAN, Olocausto in Italia, Mondadori Editore. 330 INDICE DEI NOMI Alexander: 242, 248, 259, 260, 298 Alfieri: 234 Allilueva Nadezda: 228, 235 Ambrosio: 232, 233 Amery: 165 Andrews: 214 Anfuso: 91 Aosta: 196 Attlee: 86, 291, 298, 299 Badoglio: 88, 92, 174, 236, 237, 241, 242, 243, 245, 246, 258, 259, 324 Balabanoff:44, 45, 57 Balbo: 68 Baldwin: 51, 63, 78, 86, 88, 92, 94,97, 312 Bastico:103, 222 Battisti Cesare: 45 Bava Beccaris: 27 Beck: 127 Bedell Smith: 230, 242 Beria: 293 Bevan: 86 Bismarck: 196 Bizer: 283 Blum: 115 Bombacci: 280 Bonomi: 281 Bor: 264 Bormann: 290 Bottai: 195, 234 Brauchitsch: 219 Braun: 289, 290, 303 Brivolesi: 198 Brokie: 36 Bucharin: 72 Buffarini Guidi: 234, 280, 283 Bull: 255 Carducci: 27 Carter - Ledyard - Milburn: 38, 304 Carton De Viart: 240 Casero: 223 Cassandra: 128 Castellano: 240, 241, 242 Cavallero: 219, 221, 222, 232 Chamberlain: 32, 38, 63, 85, 93, 94, 97, 106, 107, 108, 109, 113, 115, 117, 118, 119, 124, 125, 126, 127, 128, 129,132, 134, 135, 139, 141, 146, 160, 182, 315 Chiang Kai Shek: 206, 247, 249, 279, 291 Churchill Randolph: 11,17,20,32 Ciano: 92, 99,101, 125, 129, 132, 140, 142, 143, 144, 145, 146, 158, 172, 174, 175, 177, 178, 180, 195, 196, 197, 198, 199, 220, 221, 222, 223, 224, 228, 232, 234, 235, 261, 262, 319 Ciccotti: 46 Comte: 24 Cooper: 119 Cox: 49 Crispi: 27 331 Cunningham: 168, 244 Curtin: 230 Darwin: 24 D’Annunzio: 59 D’Assia: 121, 122, 132 Davide: 103 De Bono: 80, 88 De Gasperi: 45 De Gaulle: 166, 227 Deladier: 115, 125 Delano Warren: 12 Depretis: 14 De Stefani: 234 Dewey: 263 Disraeli: 11 Dollfuss: 75, 76, 123 Dowding: 162 Drake: 132, 164 Duff: 119 Dzugasvili Jakov: 228 Dzugasvili Svetlana: 227, 228, 297, 303 Dzugasvili Vasilij: 228 Eden: 78, 82, 83, 85, 90, 93, 106, 107, 108, 109,110, 113, 119, 165, 167, 168, 202, 217, 225, 254, 272, 274, 315 Eisenhower: 231, 240, 241, 242, 243, 244, 248 Everest: 11 Facello: 46 Farinacci: 234, 241 Faruk: 277 Flandin: 90, 93, 94 Franco: 91, 95, 96, 99, 100,101, 102, 120, 130, 131, 314 Fromm: 290 Gambara: 220 Gandhi: 63 Garibaldi: 12 Gariboldi: 221 Gauleiter: 197 Geladze Ekaterina :12 Geli: 289, 290 Gengis Khan: 285 Giotto: 197 Goebbels: 288, 290 Goethe: 290 Golia: 103 Goring: 54, 70, 129, 162, 175, 232, 234, 286 Gramsci: 47 Grandi: 76, Graziani:88, 143, 175, 177, 178, 197 Grey: 205 Gromyko: 278 Guderian: 285 Guidi Rachele: 46, 57, 303 Haldane: 35; 36 Halifax: 109, 113, 115, 117, 137 Hanisch: 47 Harriman: 205, 226 Harrison: 20 Harwood: 215 Haushoher: 54 Hess: 54, 196 Hewel: 224 Himmler: 193, 283, 295 Hindemburg: 64, 66, 323 Hitler Alois: 15, 28 Hitler Klara: 15 Hoare: 78, 79, 80, 85, 87, 88, 92, 94 Hood: 23 Hoover: 61 Hopkins: 74, 206, 263, 271, 273 Hoss: 193 332 Howe: 40, 50 Hozier: 303 Ibn Saud: 277 Inskip: 95 Jacob: 230 Jodl: 220 Juarez: 13 Kazbegi: 23 Keckoveli. 24 Keitel: 220 Kesselring: 197 Kitchener: 34, 35 Koba: 23, 41 Kruscev: 294 Lanzillo: 46 Laval: 77, 78, 79, 86, 87, 92 Lenin: 41, 42, 51, 52, 73, 312, 323 Leonardi: 233 List: 196 Litvinov: 147, 151, 214 Lloyd George: 38, 51, 84, 91, 165, 305, 310 Loraine: 144 Lothian: 94 Mac Arthur: 247 Mac Donald: 71, 77, 78, Machiavelli: 13 Macmillan: 231 Mahdi: 35 Maltoni:13 Mancini: 232, 281 Marinelli: 234 Marinetti: 57 Marras: 178, 219 Marshall: 215, 252, 263, 278 Marx: 13,24 Matteotti: 60 Mazzini: 58 Mazzolini: 222 Mc Kinley: 22 Menelik: 27, 76 Mercer: 303 Mikojan: 294 Mikolajczyk: 265 Molotov: 145, 151, 185, 200, 225, 226, 228, 278 Muller: 53 Mussolini Alessandro:13 Mussolini Edda: 46, 57, 261, 262 Mussolini Rachele: 281 Napoleone: 164, 187, 216, 219, 220, 288 Nelson: 164, 299 Neville: 94 Nietzsche: 46 Noble: 140 Panunzio: 46 Panza: 224 Papandreu: 270 Pareto: 44 Particella Claudia: 45, Pavelic: 195 Pavlov: 100 Pavolini: 280, 283 Peabody: 21 Petacci: 175, 198, 261, 281, 283, 303 Petain: 166 Peth: 132 Pitt: 287 Plechanov: 24 Prezzolini: 46 Raeder: 180, 181 Rafanelli: 57 Rahn: 280 Reisehower: 230 Renzetti: 70, 71 333 Ribbentropp: 97, 98, 114, 120, 132, 133, 142, 143, 145, 146, 148, 150, 152, 158, 219, 223, 276 Roatta: 100,101,102, 103, Roehm: 54 Rohm: 72 Rommel: 190, 219, 221, 222, 227 Roosevelt Eleanor: 40, 50, 303 Roosevelt Elliott: 250, 254 Roosevelt Theodore: 21, 22, 38, 39, 49, 302 Rosebery:19 Rosemberg: 54 Rossoni: 234 Salvemini: 47 Sansonetti: 198 Sarfatti: 57 Schleincher: 72 Schuschnigg: 120, 121 Schuster: 123, 282 Selassié: 77, 87, 277 Serraut: 90 Settimelli: 282 Sheehan: 39 Simpson: 97 Smuts: 167 Soddu: 174, 176, 177 Sorel: 46, 57 Speer: 288 Starace: 174 Stefani: 237 Stettinius: 271 Strasser: 56 Svanidze Ekaterina: 41, 228, 303 Suner: 132 Taylor: 242 Thomson: 16 Togliatti: 104 Trotzkij: 52, 72, 313 Truman: 291, 295, 296 Verdi: 27 Vigneri: 237 Viscinkij: 267 Visconti Prasca: 176, 177 Von Paulus: 219, 245 Von Richthonfen: 100 Von Seeckt: 64, 65 Voroscilov: 151, 226, 252 Wagner: 29, 280 Wawell: 165, 167, 190, 239 Welles: 106, 158 Wigram: 93, 94, Wilson: 40, 49, 208, 244, 270, 305, 311, 322 Winant: 205 Wolff: 262, 280 Yung: 65 Zanussi: 240 Zog: 133 Zucov: 293 334 INDICE PREFAZIONE ...................................................................................... 5 CAP. I - QUANDO E DOVE E DA QUALI GENITORI E IN QUALI AMBIENTI NASCONO I CINQUE PROTAGONISTI ...................... 9 CAP. II - DOVE STUDIANO E QUALI TITOLI SCOLASTICI OTTENGONO I CINQUE PROTAGONISTI ................................... 15 CAP. III - QUAL E’ L’IMPATTO CON IL LAVORO E QUALI SONO I PRIMI PASSI IN POLITICA DEI CINQUE PROTAGONISTI ............................................................................... 30 CAP. IV - I CINQUE PROTAGONISTI DURANTE E DOPO LA GRANDE GUERRA 1914/18 ............................................................ 48 CAP. V - QUATTRO DEI CINQUE PROTAGONISTI CONSOLIDANO O CONQUISTANO IL POTERE ......................... 60 CAP. VI - LE AMBIZIONI DI HITLER SULL’AUSTRIA E LA GUERRA DI MUSSOLINI IN ETIOPIA COINVOLGONO PARZIALMENTE GLI ALTRI PROTAGONISTI ........................... 73 CAP. VII - RENANIA E SPAGNA COINVOLGONO QUATTRO DEI CINQUE PROTAGONISTI ....................................................... 90 CAP. VIII - ROOSEVELT SI FA VIVO NELLE QUESTIONI EUROPEE MENTRE AUSTRIA E CECOSLOVACCHIA IMPEGNANO INTENSAMENTE QUATTRO DEI CINQUE PROTAGONISTI ............................................................................. 106 335 CAP. IX - LE INVASIONI DI HITLER IN CECOSLOVACCHIA E DI MUSSOLINI IN ALBANIA AVVICINANO L’EUROPA ALLA GUERRA, MA NON RISULTANO DECISIVE ............................. 127 CAP. X - SCOPPIA LA SECONDA GUERRA MONDIALE CON HITLER E STALIN INIZIALI PROTAGONISTI MENTRE CHURCHILL RITORNA AL GOVERNO ...................................... 141 CAP. XI - DALLA VITTORIA IN FRANCIA DI HITLER E DALL’INGRESSO DI MUSSOLINI IN GUERRA AI PRIMI GRANDI INSUCCESSI ITALIANI ................................................ 160 CAP. XII - HITLER PRENDE SOTTO TUTELA MUSSOLINI, INVADE I BALCANI, ATTACCA STALIN E DICHIARA GUERRA A ROOSEVELT CON GRANDE SOLLIEVO DI CHURCHILL ................................................................................... 188 CAP. XIII - CHURCHILL E ROOSEVELT DAI GRAVI ROVESCI IN ESTREMO ORIENTE E DAI DIFFICILI RAPPORTI CON STALIN AI SUCCESSI CONTRO HITLER E MUSSOLINI IN AFRICA ........................................................................................... 213 CAP. XIV - MENTRE STALIN TRIONFA AD ORIENTE E CHURCHILL E ROOSEVELT INVADONO LA SICILIA, MUSSOLINI VIENE ARRESTATO E L’ITALIA CHIEDE L’ARMISTIZIO SUSCITANDO LA VIOLENTA REAZIONE DI HITLER ............................................................................................ 233 CAP. XV - DALL’INCONTRO DI TEHERAN FRA ROOSEVELT, STALIN E CHURCHILL AL GRANDE SBARCO IN NORMANDIA ................................................................................. 249 CAP. XVI - DAI PROBLEMI PER LA POLONIA E DAGLI ACCORDI FRA CHURCHILL E STALIN PER GRECIA E ROMANIA ALLA CONFERENZA DI YALTA E ALLA MORTE DI ROOSEVELT, MUSSOLINI E HITLER ........................................ 265 336 CAP. XVII - DALLA CORTINA DI FERRO ALLA MORTE DI STALIN E A QUELLA DI CHURCHILL ....................................... 294 CAP. XVIII - COMPARAZIONI SINTETICHE DEI CINQUE PROTAGONISTI ............................................................................. 303 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ..................................................... 328 INDICE DEI NOMI ......................................................................... 331 337 | |
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