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| IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Ven Mag 08, 2009 6:45 pm | |
| Cap. VIII SCRITTORI AFFERMATI E ASPIRANTI Forse, amico lettore, ti verrà spontaneo chiedere, giunto a questo punto nella traversata — mi auguro tutto sommato piacevole — del mio pamphiet, quale sia il rap- porto, o per meglio dire, l'atteggiamento degli scrittori affermati nei confronti degli aspiranti scrittori. Non è facile ricavarlo perché spesso mutevole e con- traddittorio, ma da quanto hai letto nelle pagine prece- denti, puoi comprendere che molti di loro si adoperano per farne pubblicare qualcuno, mentre altri, per una sorta di strano fastidio, perché ne temono la concorrenza, perché preferiscono viaggiare più larghi e comodi sullo sgangherato tranvai della nostra editoria, li respingono in massa senza misericordia. Sarebbe interessante allora valutare le motivazioni che spingono quelli di loro che lo fanno a muoversi in favore di qualche aspirante scrittore. Sarebbe bello poter pensare, esserne convinti, che sia- no indotti da uno spontaneo moto intcriore del tutto disinteressato e che si adoperino gettando oltre l'ostacolo tutto l'ingente peso del proprio nome, dell'autorità deri- vante da anni di militanza nelle file della grande editoria, dalle centinaia di migliala di copie vendute, dai presti- giosi premi vinti, dal favore popolare o dei critici o dalla felice fusione dell'uno e dell'altro come, secondo Ferretti, avviene agli autori del cosiddetto best seller all'italiana. In questo caso meraviglioso sembrerebbe di assistere ad una specie di lento, progressivo passaggio della, fiaccola che assicurerebbe continuità alla nostra letteratura. Quasi l'immagine consueta del padre che si preoccupi del futuro del proprio nome, di quello dell'azienda faticosa- mente tenuta su per anni e anni; con la differenza che in questo caso non si tratterebbe di padri e figli ma di estranei ritenuti in grado, in una sincera e genuina ottica, di proseguire un lavoro anche se su basi e modi di espri- mersi dissimili, ma pur sempre validi. Idilliaca visione che, analizzata bene, è rarissima an- che fra consanguinei perché, gratta gratta, anche lì spesso il privilegiare un figlio in luogo di un altro è più frutto di servilismo o furberia, o di puro egoismo. Più probabile è invece il desiderio di crearsi dei se- guaci, degli utili leccapiedi, sorta di comodi cortigiani che esaltano con continue lodi qualità quasi mai eccelse per- ché non di rado fa piacere agire come antichi o moderni baroni e bearsi in una specie di sempiterno ed innalzante omaggio pagandone un ben misero prezzo, perché sovente sono più le promesse delle vere realizzazioni. Ma tutto questo fa parte di illazioni, sia pure non molto lontane, in vari casi, dalla realtà. Preferisco, come al solito, tenermi ed operare sul concreto e quindi ti farò conoscere, amico lettore, come hanno scritto o rispo- sto sugli aspiranti tré scrittori variamente affermati: sono Giovanni Arpino, Domenico Rea e Antonio Spinosa. Incominciamo da Giovanni Arpino, romanziere-saggi- sta e giornalista, vincitore dello Strega e del Campiello, che così scrive su « II Giornale u del 3 dicembre 1984 (uscita de I Segreti dell'editoria, maggio/giugno 1984) : In un elzeviro che uscì su questa pagina 1'8 novembre scorso dedicato alla pena dello scrivere, al disagio e al malcostume creati dall'inflazione editoriale più smaccata, alla dissennatezza — talora ingenua, sovente no — di chi pretende romanzare e postare e soprattutto pubblicare in Italia, ho evidentemente inciampato fino a rischiare le ossa. Mai ricevute tante lettere, messaggi, telegrammi, minacce, insulti (non conto ovviamente le testimonianze a favore) quasi avessi costretto centinaia di persone ad abbrancarsi ad un ferro incandescente. Hanno scritto romanzieri sconosciuti che si ritengono vittime delle macchinazioni editoriali, altri che denun- • ciano l'oblio ove si sentono prigionieri, poeti e poetesse uà gogò», certi di meritare titoli su quattro colonne per i loro libbriccini auto finanziati, furbacchioni che ironiz- zano sull'ironia. Tutti individuando in quel mio dolentis- smo scritto una nota alta di superbia letteraria, una disu- manità e un'immoralità deplorevoli. Ve perfino un tizio che ha aggiunto: seguiterò a comprare il « Giornale^ anche se continuano a scrivervi Arpino e Pampaloni. Ma cosa avevo detto, diomio? Solo che si pubblica troppo, che se tutti i pretendenti leggessero un paio di libri all'anno (un paio di libri « usciti in questo secolo » ) non vi sarebbe crisi d'editoria e altre amenità. Aggiun- gendo: l'arte è pena, è agonia, è condanna. Cose non nuove. Senza andar troppo lontano, cose dette anche di recente, da Piovono a Fenoglio, da Pavese a Landolfi. Non intendo affatto giustificarmi, difendermi o am- plificare il tema. Ma una faccenda è certa: se « tocchi » o appena « sfiori » questa aperta piaga dell'ambizione scrit- toria, autentica o artefatta che sia, dilettantesca o mania- cale che sia, tocchi e sfiori un sottobosco ardente, gremito di autori, contrassegnato da premiucoli turistici locali, folto di convenzioni e conventicole, fervido di sogni sballati anche se infantilmente legittimi. Ve, all'interno del po- polo italiano, un altro popolo convinto d'essere depositario di capolavori. I Tornasi di Lampedusa e i Morselli scono- sciuti si sentono legittimati dalle venture e sventure di un unico Lampedusa e di un unico Morselli. Stanno in agguato in attesa di vendicarsi epistolarmente, con tanto di « egregio signore » e « signor direttore ». Basterebbero pochi dati per dar peso specifico a questo discorso: un funzionario editoriale medio-alto riceve cin- que o sei manoscritti al giorno; una casa editrice di pro- porzioni medio-alte deve stipare sui suoi tavoli circa die- cimila manoscritti annui. Se in Italia si pubblicano poco più di diecimila titoli nuovi all'anno, quanti ne restano sommersi? Più di duecentomila. Eppure, dicono gli esperti dell'editoria, è ormai considerata accettabile vendita libra- ria la ridicola misura delle cinquemila copie, che certo non vengono disputate dai duecentomila narratori o poeti sconosciuti, certi di sé, sommersi. Mia colpa non è la superbia, forse l'unico peccato capitale che mi è ignoto. Mia colpa è aver detto: si pub- blica troppo, e in ogni caso non mandate niente a me, che non sono un critico, non sono un redattore editoriale, leggo a lume di naso mio e non so aiutare chissacchì. Mia colpa, poi, è aver specificato che scrivere è saper por- tare un cilicio di verità: nel momento in cui non si sop- porta quel cilicio, si può interrompere il momento di scrit- tura (non credo al rigo quotidiano, permanentemente, mi sa di ingegneria letteraria, di premeditazione pestilen- ziale, abnorme meccanica ripugnante). Le parole mentono sempre, come sanno gli studiosi della Parola. Ma l'arte la si fa usando le parole proprio nell'attimo in cui anch'esse u non possono n mentire. Detta così, è semplice; vivere questa condizione è patologico. Uno scrittore può convivere con la sua patologia, ma certo non oserebbe discettare nemmeno davanti al più stupido dei suoi familiari. Anzi: finge di star bene e in pace più di un tranquillo geometra. Beati i sommersi, allora, se credono davvero che le loro « balletette » e memoriali creino personali consolazio- ni. Ma, se rispettano queste « ballatette » e questi memo- riali, li trattengano nel cassetto, come una volta usavano fare tutte le fanciulle con i loro diari e tanti militari con i loro ricordi bellici. Che dire ancora? Che questo buio declino della civiltà scritta, vivisezionata spudoratamente dagli ultimi u ad- detti » e appetita da chicchessia, offre esempi singolari di contraddizione: cedono alla libidine del libro personaggi inverosimili, che si presentano da sé sugli schermi e par- lano di sé come reclamizzerebbero una cravatta. A costoro si ispirano i sommersi che si sentono traditi o negati al Successo? Ma allora il gioco è semplice, signori, prima si diventa mezzibusti, onorevoli, galeotti, faccendieri, divor- ziati celebri, e poi un bei libro di memorie non ve lo ne- gherà nessuno. Non è il sentiero misterioso e malato dello Scrivere, ma porta ugualmente in libreria, dati i tempi e i costumi. Su agonie e dolomie dell'arte non posso mettere in carta altre parole, per pudore, per desideri di estraneità, , perché non ci si può confessare ai sordi e ai finti tonti o agli increduli col ghigno sotto il baffo. Ho vissuto e scritto per capire e compatire (mi ripeto venutamente) e quindi, se mi espongo, so benissimo il rischio che corro, la « pie- tas » che non incontrerò. L'arte non si insegna, come ben sanno coloro che tengono cattedre nelle accademie. E nem- meno la disciplina... I commenti a dopo: per ora proseguiamo con Dome- nico Rea, narratore di vaglia e giornalista, premio Via- reggio, che rispose in questo modo ad un'inchiesta pro- mossa, pubblicata e curata da Mirella Laraia su un'intera pagina di « Napoli Oggi » del 12 luglio 1984, che traeva spunto dall'uscita e dal successo de I Segreti dell'edi- toria, al quale era dedicata una fitta colonna di recen- sione. Rifacendomi alla mia esperienza posso dire che il mio esordio come scrittore è avvenuto molto semplicemente. Avevo diciassette anni ed ho inviato una novella ad un giornale. È stata pubblicata senza alcuna difficoltà. Comunque ritengo che ancora oggi gli editori abbia- no tutto l'interesse a scoprire nuovi talenti, a presentare opere scritte bene. Ciò che bisogna ricordare, e l'ho scritto già tante volt0 e in tanti saggi che non dovrei nemmeno più ripeterlo, è che ormai l'era del libro è tramontata. Cioè il libro è un genere che fra breve non si venderà più. Diverrà quasi un reperto del passato, ed i fatti lo stanno dimostrando. Il cinema è in crisi, il teatro è in crisi, ^editoria è in crisi; tutto distrutto, divorato dalla televisione. Gli scrittori? Oggi rassomigliano ai frequentatori di certi clubs, di certi circoli. Se ne trovano quanti se ne vuole: il circolo del naso più lungo, della barba più folta, della carabina, gruppi a sé. Anche lo scrittore fa parte di un gruppo privato perché gli manca la più reale con- troparte, il pubblico. Il pubblico, infatti, oggi vuole altro. Sono le condizioni dell'immaginario ad essere cambiate profondamente. Ed il libro (ad eccezione del testo scolastico) è stato sempre ^ un genere d'elite. In Italia hanno chiuso quest'anno circa 1400 sale cinematograflche, ed è una notizia che si può leggere su qualsiasi giornale. Eppure il film è un prodotto molto più accessibile del libro, contenta un po' tutti, grosso modo anche un ignorante può trovare sempre un genere di film adatto a lui. Ed è stato sostituito da quel cinema in casa che è la televisione perché la massa non possiede quegli strumenti che potrebbero far operare una scelta fra cinema e televisione. Figurarsi col libro. È una storia definitivamente chiusa! Infine — e rinviamo ancora una volta i commenti — le dichiarazioni di Antonio Spinosa, autore di biografie romanzate e giornalista, nella stessa inchiesta e sulla stessa pagina di « Napoli Oggi i>. Le difficoltà per chi comincia ci sono sempre e certa- mente solo davanti ad un'opera molto valida l'editore può prestare attenzione al manoscritto di uno sconosciuto. Però c'è da dire che difficilmente da uno sconosciuto, nel senso più completo della parola, ci si può aspettare un'opera valida. In genere chi ha prodotto un buon testo si è già fatto conoscere attraverso altri canali. Si può trattare, tanto per fare degli esempi estremamente esem- plificativi, di un giornalista, o di un giovane che abbia già pubblicato qualche racconto o qualche saggio. Persone che, quindi, hanno già avuto modo di entrare in contatto con quegli ambienti culturali che costituiscono il canale per raggiungere l'editore, o per attirare il suo interesse. Ritengo, perciò, che non incontri grande difficoltà a pubblicare la propria opera chi abbia già avuto modo di mettersi in luce, quindi penso che ci si trovi, tutto som- mato, di fronte ad un falso problema; mi sembra anzi che gli editori pubblichino troppi libri, quindi io rovescerei la questione. Il mercato è saturo di volumi che non sempre meri- tano la pubblicazione. Ogni anno si pubblicano ventimila titoli, mi sembrano davvero troppi, sarebbe quindi più opportuno che gli editori facessero davvero gli editori e non si limitassero a fare gli stampatori. '
Ultima modifica di Bruno il Ven Mag 08, 2009 7:06 pm - modificato 1 volta. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Ven Mag 08, 2009 6:46 pm | |
| Fare l'editore significa non pubblicare molti libri, ma pubblicarne pochi e buoni; purtroppo gli editori preferi- scono la via più semplice. E quindi, per esempio, invece di tirare, diciamo, ottomila copie di un libro la cui vendita imporrebbe un certo impegno, preferiscono pubblicare due titoli da quattromila copie ciascuno, poiché in tal maniera sarà più semplice rientrare nelle spese sema troppi sforzi. Come avrai potuto notare, amico lettore, non è che Giovanni Arpino sia proprio dolce con gli aspiranti scrit- tori; tutt'altro, sembra che a dir poco gli diano fastidio, quasi il prodotto di una combustione di materiale pesti- lenziale che gli giunga opprimente al naso, alla bocca, alla gola, agli occhi. Cosa è successo? Aveva, dice, pubblicato un elzeviro « dedicato al disa- gio, al malcontento creati dall'inflazione editoriale più smaccata, alla dissennatezza — talora ingenua, sovente no — di chi pretende romanzare e soprattutto pubblicare in Italia » e ha ricevuto « tante lettere, messaggi, tele- grammi, minacce, insulti». E perché? Forse per come de- finisce le « pretese » degli aspiranti che lui chiama in altro modo, ma l'essenza è la stessa. Pretese di pubblicare! Quasi che chi scrive non tenda più che giustificatamente a questo. Non ho letto l'elzeviro, ma se il tono che ha usato per definire il lavoro degli aspiranti scrittori è lo stesso che usa nel pezzo che hai da poco letto, amico lettore, pur non giustificando certo le minacce e gli insulti, una certa reazione c'era da attendersela. Non ti pare? Sostiene, il grande, versatile scrittore, autore di libri famosi, vincitore — lo ripeto — di uno Strega (1964) e di un Campiello (1980), di volumi di racconti, di com- medie, di pamphiet sullo sport, di libri per ragazzi e, credo, per ultimo di un saggio-biografìa su Salgari, che si pub- blica troppo in Italia, e probabilmente ha ragione, ma forse non ha esaminato perché e chi, e mi sembra con- danni senza rimedio tutti coloro che da sconosciuti si permettono di scrivere e di aspirare alla pubblicazione definendo la loro « ambizione scrittoria, dilettantesca o « maniacale ". E forse non ha torto, se non si riferisse a tutti perché, lo ribadisco ancora una volta, mi sembra esagerato che nemmeno qualcuno meriti le gioie della pubblicazione. Con tutto il rispetto, mi sembra un po' troppo categorico e con ogni probabilità, preso dalla spi- rale, dal calore asfissiante del « sottobosco ardente » si lascia andare a fornire dati « per dare peso specifico » che davvero hanno poco a che fare con la verità o una certa logica. Difatti sostiene, senza citare le fonti, che « una casa editrice di proporzioni medio-alte deve stipare circa diecimila manoscritti annui » quando Mondadori (l'editore che ne riceve di più) ha dichiarato 2800 ogni 365 giorni e, deciso, afferma che sono ben più di duecentomila quelli che rimangono sommersi! Inoltre, come se non bastasse, sembra aver trovato la soluzione alla crisi dell'editoria: sarebbe sufficiente che tutti i pretendenti leggessero un paio di libri all'anno! Ma quanti ne dovrebbero essere, dieci milioni? e sarebbero davvero sufficienti, se si tien conto che le copie stampate (al di fuori della scolastica) ammontano a oltre cento milioni annui ed è pensabile a perlomeno un 20 per cento di invenduti, o è un'amenità? Vedi, amico lettore, non che bisogna dare grande peso a qualche dato errato, e i problemi degli aspiranti sono ben più importanti di questo, ma quando ci si rivolge ad una platea grande e si vogliono affrontare argomenti che per la controparte (purtroppo, dato l'atteggiamento di Arpino, mi viene di definirla in questo modo) sono di parossistico interesse, va pesata ogni parola ed ogni definizione non provocando chi, a torto o a ragione, è frustrato da rifiuti in continuazione che non sempre sono giusti. Un narra- tore, e Arpino lo è di vaglia, deve poter « capire e compa- tire » e possibilmente dare una mano. Il definire le opere di tutti gli aspiranti con generici « ballatette » e « memo- riali » può solamente aizzare e dare l'immagine del sazio che non vuoi credere al digiuno o il trincerarsi a strenua difesa della « casta ». Certamente, me ne rendo conto e condivido, da un senso di fastidio l'intrusione sempre più massiccia di « personaggi inverosimili, che si presentano da sé sugli schermi e parlano di sé come reclamizzerebbero una cravatta ». Ma i « sommersi » ovverosia gli aspiranti • nella loro porzione migliore di sicuro non si ispirano a loro e vorrebbero essere veri e sempre più bravi scrittori, e probabilmente avranno avuto bisogno de I Segreti dell'edi- toria (pagina 72) per comprender0 che « Sei un uomo politico famoso, un artista di moda, un cantante, un cal- ciatore? O ancora meglio, un giornalista di vaglia? Un mezzobusto della TV? Un critico cinematografico o tele- visivo che conta? Un critico letterario, un traduttore pre- zioso? Allora sì, tutto va bene: il lancio è facile, la pub- blicità non sprecata, si può far leva sul nome o sull'im- magine ben conosciuta! » e disapprovarlo prima che Arpino riecheggiasse: « Ma allora il gioco è semplice, signori, pri- ma si diventa mezzibusti, onorevoli, galeotti, faccendieri, divorziati celebri, e poi un bei libro di memorie non ve lo negherà nessuno ». Domenico Rea a sua volta si limita a raccontare la personale esperienza di quando divenne scrittore pubbli- cato e non mostra alcuna acredine verso gli aspiranti scrit- tori, se si esclude forse un generico accenno che gli edi- tori « hanno tutto l'interesse a scoprire nuovi talenti, a presentare opere scritte bene». Quello che più interessa Rea non è tanto il problema degli aspiranti, ma di tutti gli scrittori che sarebbero accomunati da un triste, deprimente destino: la mancanza di pubblico, dei lettori attratti oggi più che mai dal nuovo idolo buono per tutti, la televisi- sione! Ma Rea era con ogni probabilità pessimista oltre mi- sura e non trascura, dimostrando apertura mentale e con- siderazione agli aspiranti scrittori di oggi (periodo, per vari motivi, tanto più difficile di quello dei suoi inizi) quando nel suo stupendo saggio « Gutenberg, addio! » am- mette che un « ragazzo di talento che avesse la ventura di scrivere: II cuore rivelatore di Poe, La mosca di Kathe- rine Mansfleld, /; muro di Sartre, o Boule de Suif di Guy de Maupassant, o La voglia di dormire di Anton Cechov, o II sogno di un uomo ridicolo di Fiodor Dostoiewskij, o Una rosa per Emily di William Faulkner, o II racconto della 672° notte di Hugo Hofmannstall, o Jeli, il pastore di Verga, o la cinquantina di pagine de La monaca di Moma... («La signora era la figlia del...») di Manzoni, « o Tonino e Tanotto di Pirandello, o il Giovanni Episcopo di D'Annunzio, o I morti di James Joyce, o Amazzoni rosse e nere di Theodor Dreiser, o La bella genovese di Goethe, o II giro del sole di Massimo Bontempelli, o Inverno di malato di Alberto Moravia, o la Novella degli scacchi di Zweigg, o La fidanzata di San Domingo di Kleist, o il più grande racconto di tutti i tempi e di tutti i pensieri del genere umano, YIvan Iliic del conte Tolstoi, dall'editore si vedrebbe rispondere che egli non pubblica libri di racconti e tantomeno un racconto, perché racconti e poesie non hanno mercato. Oggi può quindi accadere, nell'età della grande e quasi terribile salute della massa, che Peter Schlemill e la sua meravigliosa storia, che tanto piaceva a Benedetto Croce, rimangano inediti e La metamorfosi non trovi collocazione ne in un libro, ne, peggio, in una rivista letteraria ». Anche in questo saggio inserito nelle storie de « II Fondaco nudo » c'è pessimismo e La Santa Madre Televi- sione è considerata come un ammazzatutto, compreso il nostro cervello. In definitiva non è così, e il grande autore di « Spac- canapoli», «Gesù fate luce», «Una vampata di rossore» e di altri meravigliosi libri, ritornato massicciamente nelle librerie di tutt'Italia dopo anni di assenza, ha ritro- vato pubblico e consensi raggiungendo presto i vertici della classifica dei più venduti, confermando un'affermazione di Tuttolibri del 2 marzo, in relazione allo strepitoso suc- cesso del referendum sui romanzi, di questo tenore, a mio avviso tutt'altro che sbagliato: « Chi aveva detto che il romanzo italiano non ha più pubblico? E dove sono finiti gli annunciatori della sua morte? I lettori ci sono, dap- pertutto, appartengono ad ogni categoria sociale... » Pro- prio Rea, il pessimista, quasi catastrofico sulla sorte del libro, ha rappresentato una controprova, e con un libro di racconti! Secondo me il suo successo, il successo del suo libro, è uno dei sintomi di quale desiderio di nuovo il lettore abbia. Sì, perché Rea in questo caso è stato (data l'assenza di anni) come un nuovo autore, favorito però da una specie di attestato di qualità che il pubblico non aveva dimenticato, Secondo Antonio Spinosa tutto è chiaro, tutto è sem- plice, tutto è facilmente risolvibile se però, si badi bene, si segue la strada che lui consiglia, che a lui è più con- geniale, che è, con ogni probabilità, quella che lui ha seguito. O sbaglio? Sempre per il giornalista-scrittore di biografie, il pro- blema sollevato è, tutto sommato, un falso problema. L'angolo visuale di lui, giornalista, è di una lampante chiarezza: gli apparati di lettura non servirebbero; chi vuole pubblicare deve fare il giornalista, deve pubblicare qualche racconto o qualche saggio su un giornale, una rivista letteraria, essere entrato, insomma, in quegli am- bienti culturali che costituiscono il canale per raggiungere l'editore, per attirare il suo interesse. In sostanza, se ho ben compreso, il giornale, la rivista, il salotto letterario quale anticamera dell'editore: nuovo potere alla stampa, agli organizzatori (in senso lato) letterari. Evviva! Ma come si fa ad entrarvi? Non costa davvero nulla la servile, timida frequentazione di ambienti giornalistici, culturali o pseudo tali? E non ci vogliono raccomandazioni o denaro? O l'ingresso avviene solo per merito? E chi si sente votato al romanzo deve per forza scrivere prima saggi, racconti e articoli? Con questo modo di affrontare l'ostacolo, tutti do- vrebbero optare per quello che va, che piace, e occupare parte preponderante del proprio tempo a sviluppare tema- tiche e forme dello scrivere che non gli sono evidente- mente congeniali perché, altrimenti, non attenderebbe consigli di tal genere per farlo. Hai voglia di scrivere un romanzo? Ti senti portato e bravo? Pazienza, attendi, ma- gari anni, decenni: per ora un pozzetto di cronaca, una mini-recensione, la biografia del sindaco, l'inchino al di- rettore, il fascio di fiori e un compito baciamano alla padrona di casa nel cui luminoso, sfarzoso salotto, ricco di quadri o di ninnoli, si raccolgono settimanalmente l'au- tore della biografia che va tanto di moda, o del saggio cse ha suscitato tanto clamore e sì, là in fondo, con il volto annoiato, il famoso narratore che tanto hai ammi- rato per ciò che ha scritto e che ora vorresti dimenticare nel vederlo in simile compagnia. E gli editori? Davvero hanno sbagliato tutto, se fosse vero quanto esemplifica Spinosa: « invece di tirare, dicia- mo, ottomila copie di un libro la cui vendita imporrebbe un certo impegno, preferiscono pubblicare due titoli da quattromila copie ciascuno, poiché in tal maniera sarà più semplice rientrare nelle spese senza troppi sforzi ». Già, infatti è tanto facile vendere quattromila copie! La stampa prò copia costa meno; e la pubblicità, la distribu- zione e la promozione moltipllcate per due sono un vero affare! O torse è l'esatto contrario? | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Gio Mag 14, 2009 12:58 pm | |
| Cap. IX LA MUNGITURA S'INTENSIFICA Alle pagine 85 e 86 de « I Segreti dell'editoria » accen- nai ad editori che si erano specializzati nel lancio di nuovi autori, o nomi poco conosciuti. Nel senso che questi edi- tori — alcuni scopertamente, altri mascherandolo — pub- blicavano, e credo pubblicano, esclusivamente a spese degli aspiranti gravando il costo di un certo guadagno, in modo da immettere il libro sul mercato (vendita diretta, distri- butori o libreria) con la loro operazione, finanziariamente attiva, già conclusa. Tutto quello che sarebbe giunto suc- cessivamente con le eventuali vendite, sarebbe stato un di più. Indubbiamente un comodo sistema (per loro) ma probabilmente utile per gli aspiranti meno dotati e più impazienti. - L'importante era ed è, a mio avviso, che il nuovo autore fosse cosciente di un tale modo di agire, che com- porta spesso la pubblicazione senza nemmeno leggere il dattiloscritto, tranne che per sommi capi. Accennai ad un editore toscano che invfa un manua- etto pulito, intelligente e chiaro e trascrissi il suo con- tratto standard d'edizione e lo commentai. Scrissi anche che altri editori, più o meno dello stesso genere, li avresti potuto trovare, amico lettore, nelle pagine gialle di Milano alla voce case editrici. Quante ce ne fossero che operassero esclusivamente nel modo descritto non lo sapevo allora e non lo so oeei ma sicuramente dopo l'uscita de I Segreti dell'editoria' di più. ' Pur apprezzando la sincerità e la chiarezza, non con- sigliai di servirsene, ma di - se proprio lo volevano aspi- ranti esasperati dai rifiuti, sovente ingiustificati, dei gran- di, medi e piccoli editori di nome — tentare con altri, i tantissimi editori che compaiono sulle pagine gialle di tutt'Italia, che per buona parte non sarebbero rimasti in- sensibili alla presentazione di un manoscritto di qualità (anche se non eccelsa, ma più che dignitosa) e di un'of- ferta di concorrere alle spese. Qui il discorso sarebbe stato diverso, il manoscritto letto con minuziosa attenzione e il nome dell'aspirante inserito in un contesto più che de- cente, se non addirittura ottimo. Ebbene, su &IÌ Corriera della sera» dì domenica 2 dicembre 1984, su « II Giornale » di lunedì 10 dicembre e non so più quante altre volte e su quali altri quotidiani, ho letto il seguente avviso di sei moduli (costo circa tré milioni e mezzo e due milioni per volta) : Editrice Black-Out Regione Lombardia Con il patrocinio della regione Lombardia, Assessorato alla Cultura e Informazione, la Casa Editrice Black-Out indice il: PREMIO LETTERARIO « Concorso Opera Prima » per il Romanzo e la Poesia riservato ad Autori esordienti. Lo scopo dell'iniziativa è di favorire i contatti con il mondo dell'Editoria ad aspiranti romanzieri e poeti, as- sicurando la pubblicazione delle opere ritenute meritorie dalla commissione giudicatrice. Per informazioni e per richiedere la scheda di ade- sione, telefonare a (tré numeri di Milano. Nota di B.C.) oppure scrivere a: Editrice Black-Out, via... Milano speci- ficando i dati anagrafici ed un recapito telefonico. Cosa ne pensi, caro lettore? Forse la Regione Lom- •bardia, il suo assessorato alla cultura, l'assessorato della regione dove c'è la maggior concentrazione di editori, dove si stampano la maggior parte dei 150 milioni di copie annue di libri ha voluto dare una mano agli aspiranti e, con l'autorità di un ente pubblico che dovrebbe essere di- sinteressato e quindi garantire imparzialmente il prevalere delle opere migliori, degli aspiranti più degni, si è mosso per avviare a risoluzione, sia pure parziale, il problema delle nuove leve? E da dove salta fuori questa Casa Edi- ' trice Black-Out? Forse dei nuovi mecenati pensosi dell'av- venire della letteratura italiana? Per la verità un facile istinto, un fiuto da quattro soldi (maggiore non sarebbe stato necessario) mi diceva, mi sussurrava impertinente all'orecchio come il eri eri di un grillo che senti ma non vedi, che sarebbe stato troppo bello che I Segreti dell'editoria avesse avuto un primo tangibile immediato risvolto concretamente positivo, oltre quelli principalmente di adesione e consenso che hai letto nei capitoli precedenti; e non poteva esser vero. Mentre mi accingevo agli opportuni accertamenti con un pizzico d'ansia e una montagna di scetticismo, leggevo su « Tuttolibri » dell'8 dicembre 1984 un articolo di Erne- sto Ferrare dal titolo: « II black out genera poeti». Tè ne riporto il solito stralcio: > ... Già è bizzarra l'idea di chiamare Black-out una casa editrice che vuole promuovere gli esordienti: forse si tratta di un lapsus freudiano. Black-out significa inesorabilmente una interruzione nell'erogazione dell'energia elettrica, si- gnifica comunicazioni saltate, ascensori bloccati, industrie ferme, invettive contro la malvagità innata della tecnolo- gia. Ma quante belle, nuove editrici per esordienti si po- trebbero progettare seguendo questa falsariga catastrofica alla quale, bisogna pur dirlo, nessuno aveva pensato: Crash, Tilt, Splash, per restare in area anglosassone; Tita- nio, Caporetto, se siamo affezionati ai grandi disastri sto- rici; Krakatoa, se ci impressionano le esplosioni di vulcani in area tropicale; Corea, se vogliamo ricordare ai giovani la bruciante sconfitta della nostra nazionale ai mondiali di calcio ai tempi di Edmondo Fabbri. Ma poi, black-out di che cosa? Delle case editrici tradizionali? Della società letteraria « falsa e bugiarda » ? Della letteratura? O per black-out si intende qualcosa che vorrebbe avere a che fare che l'underground e l'off-off? Da quando impazzano i disc-jockey delle radio pubbliche e private, l'uso impro- prio dell'inglese ha raggiunto vertici esilaranti. È noto che esiste, e anzi prospera, un sottosistema di microeditori che pubblicano a pagamento poeti e narra- i tori, facendo leva sulla loro solitudine, sulla loro mancanza di relazioni, sulla loro ansia di esistere come Autori. Le spese di adesione al concorso Black-out si aggirano sulle 170.000 lire, la pubblicazione dell'opera vincitrice è gra- tuita. L'annuncio sul « Corriere » costo sui tré milioni, con i costi tecnici di produzione bisogna aggiungere altri quat- tro o cinque milioni, ben che vada: a questo punto il con- corso è una scommessa commerciale, il cui esito non ci interessa. Ci interessa invece la questione del patrocinio della Regione Lombardia. All'assessorato minimizzano: il patro- cinio è gratuito, mah, chissà, sarà stato un qualche fun- zionario frettoloso, un patrocinio non si nega a nessuno, non è il caso di drammatizzare... No, amico lettore, nemmeno a me sembra il caso di drammatizzare, seppure il patrocinio della Regione — sia pure gratuito e che « non si nega a nessuno » — conferi- sca quel peso, quel quid in più che altri editori a paga- mento (sui quali tornerò nuovamente) non hanno, perlo- meno nella gran parte, forse perché non vi hanno pensato. Mi soffermerei invece su quella che secondo Ernesto Ferrare è una « scommessa commerciale ». Per me è tut- t'altro che una scommessa. Scommesse così arricchirebbero il commercio senza rischi! Ti spiego perché. Da un'indaginotta (meglio non merita di esser chia- mata) telefonica, svolta il 28 marzo alle ore 16,40, mi sono state riferite le seguenti notizie: 1) II premio è suddiviso in due settori: uno per il romanzo e l'altro per la poesia. 2) I due vincitori (uno per settore), proclamati il 28 set- tembre 1985 da una giuria composta da personaggi della cultura, saranno pubblicati gratuitamente da que- sta casa editrice, che per i libri è novizia, giovincella, di primo pelo. . 3) Vi sono delle « spese di partecipazione » ammontanti a 150.000 lire più IVA con fattura regolarmente rila- sciata. 4) La scadenza è imminente (31 marzo 1985), comunque sono disposti a concedere qualche giorno di proroga i « facendo un'eccezione » con invio immediato al con- | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Gio Mag 14, 2009 12:59 pm | |
| corrente della scheda o consegnandogliela a mano ne- gli uffici della Black-Out. 5) I partecipanti sono di un numero vicino al mille, na- turalmente per settore. 6) Se proprio si vuole (o forse con invito successivo) si potrà concordare « al di fuori del concorso » una pub- blicazione con il contributo finanziario dell'aspirante scrittore. 7) Saranno anche assegnate n° 20 targhe (dieci per set- tore) ad opere meritevoli. Vogliamo fare, caro amico, dei semplici calcoli? Supponiamo quindi che partecipino 1500 concorrenti al prezzo di 150.000 lire ognuno: raggiungeremmo la bella cifra di 225 milioni! Se vorranno farsi pubblicare, con proprio esborso di denaro, un libro un minimo di cento aspiranti scrittori e su ognuno di loro ci si vuoi limitare a guadagnare, dedotte le spese vive e generali, un milioncino (cos'è oggi un mi- sero, negletto, snobbato milioncino in questo mondo di ric- chi, in questo paese di Bengodi), altri cento di utile entre- ranno nel carniere della Black-Out. Ma le spese? Interverrai forse non ancora completa- mente convinto. Certo, le spese. 10 milioni per pubblicare (poco più o poco meno) le due opere vincenti; 20 di pub- blicitàj^ un'altra ventina fra giuria e festa di proclama- zione; ancora 20 di generali e, via, abbondiamo, 20 per ufficio personale e postali. Totale 90, o vogliamo fare 100? Rimarrà pure un guadagno di 225 milioni! Ti pare poco? D'altra parte cosa c'è di male: due aspiranti saranno pienamente soddisfatti e forse entreranno nel firmamento degli autori pubblicati e conosciuti; altri venti potranno mostrare orgogliosi la bella targa e... un centinaio (o è poco?) spiaccicherà il volto ansioso, commosso, quasi ad inserirsi nella vetrina dove il suo libro, sia pure per soli tré o quattro giorni, sarà esposto fra i grandi, i sommi, gli scrittori consacrati o quanto meno professionisti! Sia ben chiaro, amico lettore, tutto quanto ho più sopra scritto è una mia illazione perché il numero potreb- be non esser quello, e le spese sicuramente risulteranno maggiori. Ma cosa vuoi, un po' mi sento imputato perché, se oggi aderiscono tanti aspiranti, la colpa, per chi ne rimarrà frustrato non rendendosi conto in anticipo a cosa va incontro, è anche de « I segreti dell'editoria ovverosia Come si fa a farsi pubblicare un libro » quando non è stato letto con la dovuta attenzione e sagacia e quando con il suo successo avrà dato l'idea per concorsi del ge- nere. O forse è un merito per l'apertura di nuove strade? Nuove strade, o meglio vecchie, vecchissime nella so- stanza, le percorre una casa editrice bolognese che ha inviato a tappeto (financo a me!) in data 23 gennaio 1985, una circolare a stampa così concepita: In alto a sinistra, fra due strisce che lo evidenziano, un « inserimento gratuito » ; poi il titolo in carattere spesso e grande: ci CONTRO LA VIOLENZA», e più in piccolo: «Un appello da Bologna. La più grande antologia poetica con- tro tutte le violenze nel mondo»; segue il testo: I poeti (il primo ben noto per essere— in altre cir- colari indirizzate a pittori — perito, esperto della camera europea, critico d'arte e docente universitario, e il secondo a me sconosciuto. Nota di B.C.) La invitano — personal- mente — a partecipare alla più grande antologia poetica mai pubblicata in Italia dal tìtolo « Contro la violenza ». Egregio Poeta, pubblicheremo una Sua poesia che do- vrà avere uno dei seguenti temi: contro la violenza, lotte a favore della pace nel mondo, ecc. Saranno accettate poesie nuove ma anche poesie già pubblicate in riviste o in libri di qualsiasi genere. La poesia non dovrà superare i trenta versi. Se lo desidera, ci potrà inviare più di una poesia; le leggeremo tutte e sceglieremo noi quella da pubblicare. L'antologia sarà pubblicata dalla famosa e grande casa editrice ...di Bologna, nel mese di giugno. UN GESTO D'AMICIZIA E DI COLLABORAZIONE La Sua poesia sarà pubblicata GRATUITAMENTE. Per far conoscere l'iniziativa (che sarà sicuramente grandiosa e che sarà apprezzata a livello internazionale) Le chiedia- mo di voler prenotare SOLTANTO UNA COPIA dell'anto- logia a lire 50.000, prezzo straordinario per lei. • LA PRIMA COPIA A PERTINI La prima copia dell'importantissima antologia « Con- tro la violenza » sarà inviata in omaggio a Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, che è uno dei più convinti e accaniti difensore della pace nel mondo. Il volume sarà inoltre presentato — pubblicamente — durante una ceri- monia che si svolgerà all'insegna della serenità e del più alto valore culturale, a Bologna, entro l'autunno. Fin da ora tutti i poeti sono ufficialmente invitati a presenziare, nei limiti della loro disponibilità di tempo. La data esatta sarà comunicata a tutti in tempo utile. SCOPI E FINALITÀ' DELL'ANTOLOGIA L'antologia vuole dare l'opportunità ai poeti di espri- mere liberamente la loro voce contro la violenza — sia in Italia che all'estero — e non vuole assolutamente per- seguire scopi di carattere politico ne interferire con le Autorità che già operano con impegno. Lo scopo dei poeti (promotori. Nota di B.C.) è pura- mente culturale, perché la poesia è l'unico modo per stare uniti e far arrivare a tutti i popoli il più entusiasmante messaggio di pace. I promotori dell'antologia La ringraziano fin d'ora per la Sua adesione e collaborazione. Seguono le firme autografe (ovviamente riprodotte) dei due poeti promotori. Più in basso nel foglio, il modulo di adesione che recita: Intestare ogni cosa e spedire tutto a: CASA EDITRICE ... SPEDIRE ENTRO IL BOLOGNA 28 FEBBRAIO 1985 Cognome ............................................................................... Nome ................................................ Tei. ......................................./........................ Via e numero ................................................ ........................................................ Gap. ................................ Città ........................................................ Invio la poesia dal titolo .................................................................................... di non oltre 30 versi, dattiloscritti, dichiarando che è originale e scritta da me, e che sarà pubblicata gratuitamente nel- l'antologia CONTRO LA VIOLENZA. Mi impegno a prentore soltanto una copia dell'anto- logia per lire 50.000 che pago nel seguente modo (cancel- lare la formula che non interessa): con assegno bancario qui accluso, numero ........................................:.:.... con vaglia postale o telegrafico numero La cifra è già comprensiva dele spese postali. Data ........................................................ Firma ................................................................ E in piccolissimo, ma in neretto: « Óoloro che desi- derano altre copie — oltre la prima — possono ordinarle con questa scheda ». Così, il primo dei due poeti — quello altre volte defi- nito dottor, professor, perito, docente, e non so quante altre cose — ha trovato il modo (risolvendo il suo perso- nale problema editoriale) di superare la crisi delle ven- dite di libri. Lui o la casa editrice stampano l'antologia « la più grande antologia poetica mai pubblicata in Ita- lia » nel numero di copie già pagate, assicurandosi in par- tenza un guadagno valutabile perlomeno del 50 per cento del prezzo di copertina, e più saranno gli aderenti, più la percentuale aumenta! (Perché ovviamente il costo uni- tario diminuisce più cresce il numero delle copie). • Ma anche qui un piccolo merito verso gli altri (oltre che verso se stesso o il suo personale patrimonio e quello dell'editore), verso i frustrati poeti non pubblicati, non lo ha? Cosa sono cinquantamila lire quando si può ammirare e principalmente far ammirare il proprio componimento in una robusta antologia profumata di fresca stampa? Ciò che non mi va, amico lettore, è quel tirare in ballo Pertini, lo sbandierare che lo scopo dei due poeti invitanti «è puramente culturarale », lo stampigliare in rcsso « scrittore raccomandato dal redattore capo del catalogo nazionale dei premi letterari » facendo pensare a chissacché, a quale alto riconoscimento, a quale stima si ha dell'opera poetica dell'invitato. Meglio senz'altro, infinitamente molto meglio l'editore toscano che con sincerità offre un servizio e pretende un guadagno. E, a proposito, caro lettore, quell'editore (il toscano) dopo l'uscita de I Segreti dell'editoria si è fatto più ar- dito ed ha intensificato la pubblicità promozionale per ricevere dattiloscritti su un noto quotidiano nazionale ed ' ha fatto anche capolino su « II Mattino » di Napoli, oltre a presentare di tanto in tanto libri pubblicati in inserzioni di ben otto moduli su «la Repubblica». Gli affari a lui e ai suoi colleghi staranno andando bene? E ci sarà stato un utile per gli aspiranti scrittori? Se proprio mungitura ci deve essere, che perlomeno sia dolce e lasci ancora del latte. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Ven Mag 15, 2009 12:17 pm | |
| Cap. X L'AUTOEDITORE E IL CASO DARIO BERNAZZA Fra le tante, tantissime lettere (ma, attenzione, amico lettore, mai le « caterve » affliggenti, ossessive che molti dei miei colleghi sbandierano con fare annoiato e l'occhio orgoglioso) licevute « dopo » I Segreti dell'editoria, una si segnala per originalità e veemenza. Milano, 25 gennaio '85 Egr. Sig. BRUNO COTRONEI ho letto il suo libro « / SEGRETI DELL'EDITORIA ». L'ho acquistato perché ho scritto un romanzo di cui ac- cludo la bozza di un depliant pubblicitario che invierò, a stampa avvenuta, ai possibili acquirenti. Ho sottoposto il dattiloscritto a tré giornalisti-scrit- tori. Parere favorevole. Non ho seguito la solita trafila: editori conosciuti, edi- tori che stampano a spese dell'autore, ma una via diversa. Ho creato una casa editrice (ho altre due aziende di tutt' altro genere). Scelgo il fotolitista, lo stampatore, la lega- toria. Pubblicizzo io il libro. Tutto a mie spese, MA IN- CASSO (se incasserò) DIRETTAMENTE, in barba ai grossi editori e agli editori truffaldini. Questa via lei non l'ha presa in considerazione. Se ci riesco salto il distributore, proponendo il libro direttamen- te alle librerie (quelle che vanno per la maggiore, in Ita- lia, sono circa un migliaio). Vedrà la pubblicità del mio romanzo sui maggiori quo- tidiani nazionali, su qualche rivista quindicinale o men- sile. Forse nelle televisioni private, Un agente della Garzanti mi ha detto che sono pazzo. Ha pronosticato un insuccesso, non per la scarsa validità dell'opera che, ami, anche lui ha apprezzato, ma per la crisi attuale dell'editoria. È probabile che tale sia il destino di Hotel Tritone, però... tutto può darsi. Tante porcate (non in senso letterale) di autori cono- sciuti tirano anche 50.000/100.000 copie. Il mio che è una vera porcata (dare al termine la giusta interpretazione), però interessante e scorrevole come lettura, perché non dovrebbe superare detta tiratura? Ce l'ha fatto « il nome della rosa », ci riuscirò anch'io. Ho sessant'anni, nella mia vita non ho sbagliato un colpo, forse è giunta la mia ora di errare. Se va non incasso il 6 di emolumento sul prezzo di copertina, ma il doppio del costo che sostengo. E in... ai grandi editori. Saluti. Acclusi, in fotocopia e su carta intestata di un noto settimanale femminile, i giudizi dei tré giornalisti scrit- tori Maurizio Polverini, Anna Carissimi e Nunzia Monanni. Eccoli: È difficile trovarsi d'accordo con quanto scrive l'au- tore ma può essere stimolante confrontarsi con questo vate della violenza e del sesso che, non a caso, scrive di un' epoca violenta in questi anni di piombo. Modernissimo ma vi sono comunque precedenti in letteratura nel romanzo francese di fine Ottocento. È un libro che non vorrei vedere in mano a mio ma- rito o a mio figlio, ne sarei gelosa: troppe donne, troppo sesso, troppa violenza, anche se mi piace molto il prota- gonista, Riccardo, un giovane che u vive » malgrado tutto: solo, senza amore, senza soldi, senza lavoro, senza amici, inseguito da tutto e da tutti, in una città che lo divora, durante una guerra tremenda. Non ho mai letto niente di così forte, così sfrenato, così violento, così atroce e affascinante insieme. Fatti e personaggi sono tutti in piedi, in rilievo, in tré dimensioni. ' Un film a luci rosse in confronto è sema colori. Il romanzo così tragico allucinante e vero è scritto con un realismo che sconvolge, una forte emozione per chi ha cuore forte. Il depliant ad otto facciate reca sulla prima il nome dell'autore, il titolo e le seguenti scritte raggruppate come strofe di una poesia: Non è un libro per tutti. / Un'esplosione di sesso tur- pe, / di lucida e terrificante violenza, / sullo sfondo della Seconda Guerra mondiale. Il protagonista, un giovane / dissoluto e corrotto, spesso I abietto, a vòlte infinitamente / seducente e ge- neroso. La realtà che supera la più / sfrenata fantasia. Un romanzo / vero, vissuto, disperato. Uno scrittore rovente che / imprime un marchio in- delebile I nella mente del lettore. Moneglia, in / Liguria, Milano, Genova, / i teatri di guerra, sono gli I indimenticabili scenari dell' / azione. Segue il nome delle edizioni che è posto in maggior evidenza nell'ultima facciata, preceduto da un «vendite per corrispondenza — sped. abb. post. gruppo V » e seguito da « settori di produzione: narrati va-saggistica varia ». Poi in grande, al centro, la riproduzione della copertina: una specie di esplosione, e « un best-seller; due volumi in cofa- netto; a casa sua; a un prezzo di assoluta convenienza». Sotto in piccolo: uffici e direziono, stabilimenti e numero d'iscrizione alla camera di commercio e di partita IVA. Le altre sei facciate sono zeppe della trama, del pa- rere dei critici (per ora in bianco), di caratteristiche e prezzi dell'opera. Sono due volumi « inseriti in un elegante cofanetto»; il formato è 13x21,5 su carta da grammi 80; le copertine, in brossura, sono a colori e in cartoncino pa- tinato da grammi 200. Viene proposta direttamente al lettore « a condizioni di assoluto favore anziché al prezzo di copertina di... (già un prezzo molto contenuto in con- siderazione del numero di pagine dei due volumi e della realizzazione molto bella) a L.... per pagamento anti- • cipato e a L.... per pagamento contrassegno u. C'è infine, in ottima evidenza, un dettagliato buono d'ordine. Che dirti, amico lettore, dell'iniziativa e di come si intende o sì è inteso realizzarla? Può essere un'altra stortura, se il libro vale, conse- guenza dell'esasperata difficoltà di pubblicazione cui vanno incontro gli aspiranti scrittori, o delle smanie, se il libro non vale, di chi vuole pubblicare, essere scrittore cono- sciuto a tutti i costi. Certo, ci si sente stringere il cuore se si ama questo stupendo lavoro (perché tale è, e fra i più duri) a vederne trattare il prodotto alla stregua di un paio di scarpe, di un orologio, di un'automobile o di un televisore; di un prodotto, insomma, dello sfrenato con- sumismo che ci divora. Ma, potrai obiettare, molti editori esperti non fanno cosi? Sì, forse, ma non con tanto poco buon gusto perché, diciamo la verità, mettere sul depliant di un romanzo (non di un'opera di divulgazione) già «un prezzo molto contenuto...» è davvero condannabile, anche se può avere (ripeto, in altro tipo di libro) precedenti illustri. Probabilmente l'autore non si sente inferiore a scrit- tori tanto pubblicizzati a botte di centinaia di migliala di copie vendute in tutto il mondo, ma sbaglia quando confronta la sua opera con il romanzo di Eco. Non conosco cosa e come ha scritto, ma mi sembra più che evidente che tutt'al più si possa paragonare ad una Collins o a un Follett che davvero non fanno opera di raffinato im- pasto letterario, sebbene posseggano tanto mestiere e tanta esperienza ed un solido impianto da professionisti. E il fatto, amico lettore, che non riesca ad individuare l'area dove il suo libro possa esser0 collocato (non in termini di vendita) mi fa dubitare che, in questo caso, la colpa del- l'esasperazione possa essere attribuita agli editori. Decisamente di esasperazione deve trattarsi, esaltata dall'età alquanto avanzata, la disponibilità finanziaria e l'essere imprenditore. Non è complicato creare una casa editrice, con un unico obiettivo o con obiettivi comunque modesti, special- mente se già si dispone di ufficio, di impiegati, di consu- > lente fiscale; ma il libro è oggi forse il prodotto più dif- ficilmente smerciabile, caro lettore. Un precedente di successo c'è, e la relativa storia ha fatto il giro del mondo del libro. Si tratta di Darlo Bernazza, un commerciante-filosofo romano, che quasi sessantenne decise di superare d'un balzo la solita, quasi sempre senza vie d'uscita, trafila. Avvicinò, se ricordo bene, nel '79 un distributore facente parte di un consorzio e si fece pubblicare un libro dal titolo: «O si domina o si è dominati u. Stanziò senza timori o tentennamenti quasi un centinaio di milioni (del 1979) e predispose una massiccia, pressante pubblicità sui mag- giori quotidiani italiani. Non tentò, però, la via della di- stribuzione diretta, bensì attirò e convinse i vari mèmbri del consorzio, con parole e principalmente denaro a fondo perduto e premi di produzione, a diffonderla. Abile e intel- ligente, avvicinò librai, ne divenne amico ed ottenne " ve- - trine " ed attenzione, controllando attentamente e con "" dolcezza sia loro che i distributori. Il suo non era un romanzo, ovverosia un prodotto che il lettore desidera di nome o di qualità, ma uno di quei volumi che tanto fanno breccia sugli insicuri (e chi non lo è, sia pure in minima parte?) che sono pronti, disposti ad essere sedotti dalla medicina nuova e miraco- losa, dall'amuleto portafortuna, dal libro di ricette che trasforma una semplice casalinga poco esperta in insupe- rabile cuoca, dal piccolo ineguagliabile elettrodomestico multifunzionale, dalla crema dimagrante dal pronto im- mediato prodigioso effetto, dal reggisene che fa tutte pro- caci e attraenti, dal corso che in pochi giorni insegna senza fallo una lingua straniera o ti fa tecnico a cui non si può negare il posto o il lavoro, e così via. E il libro di Bernazza, in colossali pile nelle librerie di tutto il Paese, dal Brennero a Capo Passero, si inco- minciò a vendere; dapprima lentamente e poi in maniera che sembrava incredibile sperare, fino a giungere, con le successive edizioni, alla selezione del premio Bancarella, cioè al premio per i libri più venduti. Cosa conteneva il suo libro specificatamente? Ecco quanto era scritto in copertina: Questo è IL LIBRO DELL'INDIVIDUO, ossia è il libro del valore, della dignità e dell'affermazione dell'individuo « elevati alla massima potenza ». È il libro di chi vuoi vivere da protagonista e non da semplice comparsa, da dominato; di chi vuoi essere « il vero artefice » della pro- pria esistema; di chi « non sopporta di non conseguire il successo » ; di chi è convinto che « meno si è individui, meno si vive ». È il libro di chi merita di affermare: « IO, ED IO SOLTANTO, SONO IL VERO SIGNORE DI ME STESSO». E all'interno, con filosofia popolare, i capitoli di un indubbio effetto: La verità assoluta; La verità relativa; La più preziosa attività dell'uomo: cercare la verità; La facoltà che con- ferisce il più alto grado d'intelligenza, di sicurezza e di predominio: saper filosofare; Come cercare la verità ossia Come risolvere tutti i problemi reali; I più subdoli e osti- . nati nemici della verità; La spieiata e inevitabile vendetta "^—^ della verità; Chiunque vive nel contesto della nostra civiltà può conseguire il successo; Tristezza e inadeguatezza del primo articolo della nostra Costituzione; I miei veri amici; Trucioli di verità; L'aborto, la ragione e la coscienza; L'on- nipotenza dell'educazione; « S'olii è meglio essere amato che temuto, o è converso» (Machiavelli: u II Principe»); Di chi sarà la vittoria finale, del bene o del male?; Pro- cesso a noi stessi; II signore di se stesso ovvero Ritratto dell'individuo dominatore. Comprenderai, amico lettore, che con questi argo- menti ,con la strombazzante psicologica pubblicità, con la perfetta distribuzione qualche decente risultato positivo non era poi tanto folle attenderselo. Ma i fatti, ribadisco, superarono di gran lunga le previsioni, e l'audace e voli- tivo autore sembra sia rientrato in tutte le considerevoli spese e ci abbia pure guadagnato in denaro; perché il suo vero guadagno era stato vincere la battaglia contro le in- numerevoli, possenti difficoltà. Risultato: migliala, forse diecine di migliala di affezionati lettori e l'inserimento magari non a vele spiegate, nella media e grande editoria con i nuovi suoi libri dalle pretese progressivamente e, • a mio avviso, sempre più esagerate e smisurate. « La solu- zione del problema vita », prima, e « La soluzione del pro- blema Dio», poi, dagli esiti buoni ma decisamente infe- riori a « O si domina o si è dominati ». Forse il mio corrispondente-aspirante scrittore di. Mi- lano ha letto il primo volume di Bernazza? Vuole dominare anche nel mondo del libro? Guardi che è estremamente difficile. Non intendo scoraggiarlo, convinto come sono che ognuno deve maturare le esperienze una volta che con chiarezza sa esattamente a cosa va incontro. Vedi, amico lettore, e tu dovresti saperlo, le misteriose vie per le quali un libro di narrativa diventa un best seller sono davvero imprevedibili, ma una cosa sembra certa: è rarissimo (e in questo gli editori hanno ragione) che , un nome sconosciuto, non protetto, non avvolto ed espo- sto nella bambagia dei molti, moltissimi recensori, non premiato in manifestazioni che, a torto o a ragione, sono ritenute qualificanti e selettive per qualità, possa aspirarvi. E poi io non so quali cose vendano o fabbrichino le due aziende dell'aspirante scrittore milanese e non conosco se la distribuzione di ciò che tratta oggi sia tanto polverizzata come quella del libro. Tenga presente, se non lo sa, che è noioso e stressante emettere mille e più piccole fatture d'importo, mettiamo, di poche diecine di migliala di lire ed esigerne il pagamento dai librai che non ricevono la visita del distributore che può accomunare più libri di più editori. E' un'impresa da Sisifo. E allora migliala di lettere, solleciti, messe in mora o visite con un costo spesso supe- riore alla cifra che si deve incassare. Ognuno deve fare il suo mestiere: invadere altrui campi spesso è pericoloso e deludente. Forse più ragionevole potrebbe essere il tentativo della vendita diretta, per corrispondenza ai potenziali lettori; ma, anche in questo caso, la contrapposizione fra nomi sconosciuti sia dell'autore che dell'editore e l'enorme qua- lificata (per meriti o commerciabilità) concorrenza, lascia prevedere risultati ben magri che probabilmente non co- prirebbero nemmeno le spese di stampa; immaginiamoci quelle della costosissima pubblicità! Chissà se l'aspirante di Milano, amico lettore, conosce il costo di 4 moduli (cir- ca 8x8 centimetri) su La Repubblica, La Stampa, II Cor- riere della Sera o La Nazione: rispettivamente, a meno di ultimi aumenti, di quasi un milione e mezzo, due milioni e mezzo, tré milioni, e settecentomila lire. Sa che deve ripeterla più volte? Certo non si spaventa, convinto come sembra di poter vendere 50-100 mila copie; ebbene, ci mediti su perché pochi libri giungono a tanto e le cifre che spesso vengono sbandierate quasi sempre si riferiscono alle copie distribuite, non a quelle realmente vendute, che i librai sono capaci di restituire copie inattese dopo molti mesi, se non un paio d'anni. Non ha quindi tutti i torti l'agente della Garzanti quando lo definisce " pazzo " e pronostica un insuccesso, e non solo (a prescindere dalle qualità del libro) per la crisi attuale dell'editoria. In questo modo e con nomi sco- nosciuti sarebbe stato sempre lo stesso anche negli anni del boom editoriale. Ma, ripeto, ognuno deve consumare le proprie esperienze e... e non è detto. Se ci riesce si saprà e forse diventerà un editore importante... e può darsi si offra di pubblicare un mio libro, proponendomi i diritti d'autore più alti. Io attendo: non si sa mai. Auguri! | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Sab Mag 16, 2009 12:42 pm | |
| ASPIRANTE SCRITTORE RINGRAZIAMI, MA LEGGI! Ed ora, amico lettore, che hai percorso con me questa nuova avventura fra le pagine fitte, intense e spero appas- sionanti del pamphiet che stai per terminare, forse con il dispiacere con il quale si saluta un compagno caro che ci ha raccontato tutto di sé e solo qualche scampolo ha anco- ra da offrirci sulla soglia di casa mentre ci tende la mano per stringere la nostra e poi la solleva in segno d'addio o di un più confortante arrivederci, vogliamo tirare le som- me, riassumere i risultati del « doposegreti »? E' probabile che la testa ti giri, che una certa confu- sione si sia impadronita di tè, passato come sei fra lettere di consensi, recensioni, problemi distributivi ed editoriali, dati, cifre, sospetti di boicottaggi, black-out, un inedito volto di Valerio Riva — il babau de I Segreti dell'edito- ria —, l'arroganza e la spocchia della scrittrice superpro- tetta, l'intervista e le domande banali a Domenica in... i dubbi sulla veridicità dei motivi d'una santificazione, le frecciatine e i consigli sorprendenti di Guerri, l'insospet- tato astio o il pessimismo di scrittori che dovrebbero essere sazi e soddisfatti, l'apprendere di premi per aspiranti che — pur nell'ambiguità d'intenti — s'avvalgono del pa- trocinio della Regione Lombardia, una intensificata mun- gitura, il progetto d'autoedizione e infine il caso meravi- glioso (per lui) di Bernazza. Risultati, direi, più che positivi, addirittura trionfali e non solo per gli aspiranti scrittori, gli autori italiani, ma anche per gli editori e principalmente per il prodotto libro che, in definitiva, al di là di egoismi, è ciò che più ci interessa. Esaminiamoli, se non ti dispiace, caro lettore, uno per uno. 117
Grandi e medi editori a livello nazionale ed internazionale I Segreti dell'editoria dovrebbe aver fatto loro piacere ed essere stato utile. Non sei d'accordo, caro lettore? Se come vivamente mi auguro, gli aspiranti scrittori in buona parte hanno compreso i problemi dell'editoria a livello industriale, i suoi costi e l'esigenza di tirature mi- nime di molte migliala di copie, assedieranno in modo meno ossessivo e più selezionato le segreterie letterarie dando possibilità ai responsabili di respirare e, con mente più serena di poter meglio giudicare la pubblicabilita di nuo- vi autori che davvero possono avere un avvenire nel campo delle lettere. I retrivi, gli illusi, coloro che, mancando di seria autocritica, continuano a ritenersi novelli Svevo, Moravia, Ungaretti o Montale, saranno più facilmente individuabili, perché indubbiamente i peggiori, e la " scre- matura " ne risulterà semplificata. Ma i grandi, medi edi- tori avranno avvertito da I Segreti dell'editoria, e prin- cipalmente dalla marea di articoli che si sono occupati dei problemi sollevati dal pamphiet le istanze di rinno- vamento dei lettori, dei loro clienti, di chi, in definitiva, fa girare e muovere i loro impianti tipografici, permette di retribuire i loro dirigenti, i loro redattori, i loro addetti alla promozione e distribuzione; il profondo desiderio in- samma di conoscere, acquistare e leggere libri di nomi nuovi ai quali progressivamente (e non è banale ricordare che il mondo non è stato creato o si è formato in un gior- no) affezionarsi per farli assurgere alle vette delle classa fiche di vendita e farne il centro delle loro conversazioni culturali, che sono meno rare di quanto non si pensi. E gli autori stranieri?, ti domanderai, caro amico. Gli stranieri certo vanno pubblicati, ma i migliori, quelli che davvero hanno qualcosa da insegnarci, non l'infima moltitudine dei " commerciali " o quelli che altri- menti vengono definiti « esponenti di una narrativa po- polare » che sicuramente sono anche fra di noi, qui nel nostro Paese. Basterà incoraggiarli, fornir loro qualche adatto, non oppressivo o invadente suggerimento e lasciare loro un po' di spazio e principalmente liberarli dalla con- vinzione che il romanzo — in particolare quello di con- sumo, tanto caro agli autori e agli editori di oltre con- i 118
fine — non deve essere solo l'estrinsecazione di alti livelli linguistici e contenutistici. Allora, e solo allora, " l'urlo di dolore " delle svariate migliata di aspiranti scrittori, o quanto meno delle dieci- ne o centinaia di loro forniti di buone qualità, potrà placarsi. Ma, amico lettore, non voglio essere semplicistico: i problemi sono complessi e i nostri grandi, medi editori, una volta avvertita la necessità e la popolarità d'un cam- biamento, anche se leggero, di rotta, sapranno bene come fare; infinitamente meglio di chi vuoi solo segnalare ed evidenziare un'esigenza che essi, ne sono sicuro, già av- vertivano, forse senza rendersi conto di quanto fosse di- retta, incalzante. Autori affermati o pseudo tali E' probabile che proprio da loro sia giunta qualche critica, diretta o indiretta, all'attualità dei problemi se- gnalati da I Segreti dell'editoria. Ritengo tuttavia, e chie- do venia se mi sbaglio, che siano stati quelli ormai sul viale del tramonto, per età o per vena declinante, o chi è forse pervenuto alla notorietà, al successo, alla pubbli- cazione senza veri consolidati e duraturi meriti. Sono loro che si lamentano — per paura? per vezzo? perché fa chic? — dell'invadenza degli aspiranti scrittori, quasi essi siano giunti alla grande editoria per volere celeste, o per un fatto naturale, dovuto, per un contatto non mediato da fattori umani. Ebbene, amico lettore, mi au- guro che gli aspiranti scrittori siano tanto intelligenti da lasciarli nella pace che desiderano, a rotolarsi nella loro richiesta solitudine, ad osservare con sgomento la cas- setta della posta vuota, il telefono muto, perché — forse non lo sanno — i loro lettori non di rado sono anche aspiranti scrittori. Eppure una qualche gratitudine avrebbero dovuto mo- strarla a I Segreti dell'editoria perché alcuni meriti, alcuni risultati positivi, il pamphiet li ha con loro. Quando, ad esempio, li ha difesi (pagine 53, 54, 55, 56, 57) senza risparmio dalle dichiarazioni di Valerio Riva, che aveva accusato gli autori italiani (evidentemente non tutti an- che se così sembrava) di far correre troppi rischi all'odi- ' 119
toria, di « taglieggiare u gli editori, di percepire royalties e anticipi esagerati, richieste smodate di spazi pubblicitari e collaborazioni. Oppure quando, per idea propria o sulla scia del movimento generato da I Segreti dell'editoria, Raffaele Crovi, ex direttore della Rusconi e del gruppo Fabbri, ha deciso di fondare una nuova casa editrice de- stinata esclusivamente agli autori italiani, come è ripor- tato in questo trafiletto di « Tuttolibri » del 13 ottobre 1984. Una nuova casa editrice, destinata agli autori italiani, nasce sotto il segno di due leonesse, riprodotte anche in copertina. Si chiama Camunia, in omaggio alla antica civiltà della Val Camonica; la dirige lo scrittore Raffaele Crovi, che ne è anche comproprietario. I tré primi volumi appena arrivati in libreria, danno una immagine del programma editoriale: u Fedele alle amicizie » di Ceno Pampaloni, raccolta di scritti autobio- grafici e narrativi, moralità e commenti giornalistici; « La scala si è rotta », romanzo giallo ambientato nel grande teatro milanese, scritto dal musicista Gino Negri; « Maria Luigia di Parma », biografia della moglie di Napo- leone a cura di Pier Damiano Ori e Giovanni Perich. Fra pochi giorni saranno pronti altri tré libri: « La smortina », romanzo di Guglielmo Zucconi, « Valentino vestito di nuovo », storia del celebre sarto, di Marina Cosi, e « Eleonora d'Arborea», biografia della principessa sarda, di Bianca Pitzorno. A questo punto, amico lettore, scusa la digressione, ma non posso fare a meno di raccontarti un episodio cu- rioso, anticonformista ed addirittura clamoroso, dati i tempi che corrono e la smodata ricerca di pubblicità a tutti i costi. Guglielmo Zucconi — giornalista di vaglia, più volte direttore di quotidiani e settimanali, narratore e saggista e principalmente vero gentiluomo — fu in- trodotto con i dovuti riguardi nella seguitissima trasmis- sione di Mike Bongiorno, « Superflash », per la presenta- zione del suo ultimo libro: il romanzo « La smortina ». Ma con somma meraviglia del presentatore, e credo degli • 120
spettatori tutti, aveva dimenticato la copia del libro che, di solito, chi ha la fortuna di poterlo pubblicizzare da una tanto vasta platea, s'affretta a mostrare, con la co- pertina saggiamente rivolta verso la telecamera e tenerlo in vista quanto più a lungo possibile. Un episodio d'in- credibile candore, ma anche di assoluto disinteresse all'ele- mento commerciale. Se qualche recriminazione alla sua dimenticanza Zucconi avrà fatto, ne sono certo, è perché alla sua sensibilità sarà apparsa quasi come una snobisti- ca scortesia verso il pubblico e il suo editore. Aspiranti scrittori Decisamente la categoria (se categoria si può defini- re) alla quale, amico lettore, più dovrebbe essere stato utile I Segreti dell'editoria e alla quale, tutto sommato, dovrebbe essere andato più a genio, è stata quella degli aspiranti scrittori. Sì, caro aspirante, credo tu sia rimasto soddisfatto quando, interpretando i tuoi problemi ed esponendomi di persona, ho detto senza peli sulla lingua ciò che, ne sono sicuro, avresti voluto dire tu ai direttori, ai lettori e ai redattori editoriali, che, a volte con gentilezza, altre con fare dittatoriale, respingevano il frutto della tua fatica, della tua passione, per dare magari spazio ad altri auto- ri — italiani e stranieri — che a tuo avviso non espri- mevano nulla di superiore alla tua opera, ed il sospetto di nepotismi e le (per tè) meschine considerazioni eco- nomiche frustravano ogni tuo sforzo rendendoti sempre più sfiduciato, disperato, ma non del tutto domo. Ebbene, ora, hai visto, il tuo problema è stato evi- denziato, reso pubblico dai tanti articoli che bene o male, citando o non I Segreti dell'editoria, ne hanno parlato facendoti sentire come categoria — sì, proprio come cate- goria anche se lo scrivere, il creare è secondo un'accezione comune un fatto eminentemente individuale — non tra- scurata, a simiglianza di quanto avviene per le altre per le quali sindacati, uomini di governo, politici, ordini pro- fessionali e svariate confederazioni si danno, e non da oggi, da fare con il massimo, perlomeno apparente, im- pegno, probabilmente (malignamente, penserai) perché di tanto superiori, come numero di esponenti, alla tua (quale • 121 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Sab Mag 16, 2009 12:42 pm | |
| che sia la valutazione spesso sballata del numero di aspi- ranti scrittori data da autorevoli firme). Buona parte delle maggiori testate si è occupata di tè e, oltre a molte televisioni private, il moloc della rete 1, addirittura Domenica in..., lo ha fatto. Hai potuto così capire chi ti è favorevole e chi ti è contro, ma pochi ti hanno ignorato e probabilmente, come ho già accennato in altro capitolo, per un malinteso senso di omaggio al potere, per una forma inveterata di stupido servilismo che ancora non accenna a scomparire del tutto nel nostro Paese. Ma non finisce certo qui l'utilità per tè de I Segreti dell'editoria. Qualcosa si sta rafforzando per una tangibile valoriz- zazione dell'aspirante scrittore davvero valido, e per il quale non è azzardato, sia pure con tutte le incognite con- nesse, prevedere un luminoso o quanto meno più che buon futuro di scrittore. E poi, non è l'eccessivo timore di azzardo, o meglio di rischio, che ha bloccato in questi ultimi anni la pubblicazione di alcuni di voi che lo meritavate? So che si stanno attentamente valutando alcune pro- poste per maggiori aperture, non a pagamento, agli aspi- ranti scrittori che, è vero, nel quadro attuale dell'econo- mia di mercato e dell'organizzazione più o meno indu- striale dei grossi e medi editori, non può trovare qui la sua iniziale collocazione. Si è pensato di incoraggiare, in un futuro non lontano, alcuni piccoli ma seri appassionati editori a pubblicare narratori e poeti sconosciuti che poi, una volta collaudati, possano passare, come d'altra parte quasi sempre avviene, alla grande, media editoria met- tendo, in cambio, a disposizione, anche dei piccoli, i sofisti- cati servizi di promozione e distribuzione di megaeditori. E, come ormai sai, amico lettore, promozione e distribu- zione rappresentano forse la maggiore differenza e il più grande ostacolo alle vendite. Ma come, domanderai, e tanti nomi sconosciuti e tan- ti testi non migliori del mio non vengono pubblicati di- rettamente dai grandi senza questo giro complicato? i 122
E' vero, ma non puoi pretendere, in un colpo, di an- nullare abitudini di anni, l'influenza di pressanti racco- mandazioni, il fascino della bagarre letteraria e, se si riu- scisse ad attuare quanto ti ho appena rivelato, sarebbe un gran passo avanti e un indubbio merito per la nostra editoria. Altra iniziativa che mi è stata riferita è il voler ten- tare di ottenere da una delle reti (la prima o la seconda) della televisione di Stato uno spazio per gli aspiranti scrit- tori: una specie di concorso gratuito che, con l'indubbia pubblicità derivantene, porterebbe, come premio o come logica conseguenza, alla pubblicazione presso un grande editore dei vincitori. Auguriamoci che presto diventi realtà questo proget- to. Allora rimarrai stupito nell'apprendere chi l'ha ideato e chi lo condurrebbe, perché è un noto personaggio edi- toriale-giornalista che proprio I Segreti dell'editoria ha convcrtito alla causa degli aspiranti scrittori. Seno progetti però, caro amico, e attendine quindi la realizzazione prima di esaltarti, e punta sul concreto, su quanto, spero, hai compreso da I Segreti dell'editoria, ossia che il rapido compimento delle tue aspirazioni di pubblicazione — se davvero non puoi accantonarle o rin- viarle — deve passare per la piccola, media editoria a "parziale" o "tutto contributo". Per ora, prima che si concretizzi una reale simbiosi grandi-piccoli editori, gli Adelphi, i Serra & Riva, i Fras- sinelli, i Milano Libri, i Marsilio, tanto per fare dei nomi di "piccoli-grandi", considerarli alla stregua di Mondadori, Rizzoli, Fabbri, Mursia, Laterza, Rusconi, Feltrinelli, Lon- ganesi, Sugarco e quindi diffìcilmente raggiungibili. E sappi utilizzare ciò che hai appreso di costi di pubblicazione che sono quasi, se non sempre, di molto inferiori a quanto ti viene chiesto. Metti a profitto la legge della concorrenza, perché una vera e propria battaglia si è scatenata nel « doposegreti » fra quegli editori che sono nati con il pro- gramma del " tutto contributo " o si sono votati a stam- pare e diffondere testi — non tutti ma un buon cinquanta per cento — a spese dell'autore. Devi contrattare: sì, pro- prio come oggi si usa per le automobili il cui prezzo di « 123
listino è puramente indicativo e solo chi ha troppa fretta o eccessiva timidezza paga nella sua totalità. Sconti per acquisto contanti e supervalutazione dell'usato, sconti e abbattimento interessi, per acquisto rateale e una serie di omaggi sempre maggiore. Pensa che se è copioso il numero delle marche automobilistiche, ben maggiore è quello degli editori che sono disposti a pubblicarti a pa- gamento. Se quindi la richiesta va al di sopra di un già eccessivo 21 per cento sul prezzo di copertina (Valerio Riva, pagine 25 e 54 de I Segreti dell'editoria) oltre alla reale spesa di stampa, chiedi pure una riduzione o orien- tali verso altra sigla editoriale e non ti fermare mai ad un'unica stazione. Ricordati, inoltre, quanto ho in pre- cedenza scritto: « (i contributi) sarà meglio darli ad un editore che pubblichi anche altri libri a sue spese e, senza essere un suicida, non abbia perso il gusto del rischio e di pubblicare, contributi o no, quello in cui realmente crede. Non fidarti di chi, senza nemmeno aver avuto il tempo di esaminare o far leggere il tuo dattiloscritto, ti invia la proposta di edizione. Chiedi o acquista perlomeno un libro da lui edito e leggi le note biobibliograflche del- l'autore pubblicato e, se non ti soddisfano, esamina atten- tamente, con giusto spirito critico, il testo. Ricorda che è qualificante e rappresenta una garanzia di serietà sapere che con quell'editore ha pubblicato perlomeno un libro un autore noto " uscito " anche con una casa editrice " grande " o comunque ben conosciuta e presente nella pubblicità e nelle librerie ». Ed ora aggiungo: pretendi che sia stabilito in con- tratto la permanenza di qualche mese del tuo libro per- lomeno nelle librerie delle maggiori città e dei capoluoghi di provincia e che sia inviato ai servizi culturali delle principali testate quotidiane, settimanali e mensili. E' il minimo a cui devi aspirare; altrimenti i tuoi sforzi, anche economici, sarebbero vani e assomiglierebbero a ciò che usavano fare aspiranti scrittori del passato non lontano quando, in buona parte, si affidavano al tipografo di fami- glia e facevano stampare libri di narrativa, di poesia, di viaggi, che inviavano in omaggio ad amici e conoscenti con dediche del tipo: « A ... con molto affetto e con la pre- • 124
ghiera di essere generoso e indulgente verso di me ». For- mula apparentemente cortese e modesta, ma che conte- neva l'oppressivo e mascherato ricatto « tè ne faccio omag- gio, ma leggimi e complimentati con me ». Con quanta gioia per chi lo ricevesse, puoi ben immaginare! I libri (propri), amico aspirante scrittore, non si re- galano. Debbono (a parte i critici) essere acquistati da chi, per passione o curiosità, vuole leggerli. E ricordati che se un moderato uso di bugie può essere accettato e forse utile, lo " spararle grosse " specialmente ad un editore, ad uno scrittore affermato o a chi — per il suo lavoro — se ne intende, è dannoso e ridicolo, facendoti perdere, forse per sempre, ogni credibilità. Ho, a tale proposito, ancora il ricordo fastidioso di una neoscrittrice, dal fare impu- dente e altero, nel suo caso più che mai ingiustificato, che senza essere stata assolutamente sollecitata, mi rac- contò di essere stata pubblicata gratuitamente, di aver venduto in pochi mesi e senza pubblicità tremila copie in una sola regione. Risultò invece che aveva speso circa dieci milioni di " contributo ", aveva venduto al massimo trecento copie (già un buon risultato) in quella regione e che in tutto erano state tirate millecinquecento copie! 'No, non è questa la strada giusta: alla lunga, se non subito, diventa un boomerang, come quella sorta d'ac- cattonaggio tanto comune con parenti, amici, clienti per far comprare copie del proprio parto letterario e l'osses- sionarli durante visite, inviti e incontri occasionali con il racconto dei successi o dei problemi inerenti ad esso volendo far diventare universale quello che, il più delle volte, è solo personale, ahimè, strettamente personale. Gli amici e i parenti più cari, colti e sinceri vanno invece utilizzati a monte della pubblicazione o dell'invio del dattiloscritto a qualsiasi tipo d'editore. Si dovrà chie- dere loro (senza annoiarli) un'approfondita lettura e uno spartano giudizio ed attenersi alla maggioranza di essi, magari, anzi sempre, dopo aver confrontato la propria opera con quella dei maggiori narratori o poeti contempo- ranei e del passato. Leggere molto, leggere sempre, è il segreto, non disgiunto da un rigoroso uso dell'autocritica e del senso del ridicolo, che debbono essere sviluppati al massimo. * 125
Invece il difetto di molti, moltissimi aspiranti scrit- tori, è di leggere poco o niente, di ignorare non solo i classici, ma anche i pilastri della narrativa o della poesia del nostro secolo, ài aver abbandonato ai tempi di scuola (se pure la si è fatta bene e con bravi insegnanti) la sto- ria della letteratura, di non aver acquistato e letto testi più aggiornati da assimilare con religiosa attenzione, del- l'affidarsi spesso, troppo spesso, a genitori, coniugi, paren- ti, amici, colleghi o dipendenti incompetenti o oltremodo affettuosi o servili che non di rado si sostituiscono al- l'autore nell'assediare editori ed altri potenti del settore, magari ancor oggi sbandierando il legame di sangue con il monsignore di antiche memorie e di un passato ormai superato e purtroppo non definitivamente defunto, laddo- ve lo si è sostituito con l'onorevole o il senatore o anche il consigliere regionale, provinciale o addirittura comunale. Il dramma, amico lettore, è che talvolta non si leg- gono nemmeno testi come « II best seller all'italiana » o « I Segreti dell'editoria ovverosia Come si fa a farsi pub- blicare un libro » limitandosi, conosciuto l'indirizzo del- l'editore, ad inviare dattiloscritti preceduti o accompa- gnati da lettere o telefonate d'un incredibile squallore od ottusità. Non sono, fortunatamente, molti questi casi (perlo- meno per la mia diretta esperienza) ma permangono, ed allora sono costretto a dirti, amico aspirante: « Ringraziami per quello che ho fatto per tè; ma non mi deludere e, ti prego, leggi, leggi molto! » Se si vuole, se si avverte il bisogno, si può scrivere: fa bene. Ma per pubblicare, a pagamento o meno, ci vuole ben altro che un esasperato autobiografismo non sufficientemente condito da fantasia, forma letteraria, profonde esperienze di letture appropriate e, principal- mente, la DOTE INNATA senza la quale è inutile, e solo frustrante, insistere. Febbraio-aprile 1985 126 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Sab Mag 16, 2009 6:43 pm | |
| Cap. XII CAPITOLO ZERO: TRA FANTASIA E REALTA'... IL CRITICOSCRITTORE Da anni la vena gli si era inaridita. L'ultimo romanzo era stato un insuccesso anche se " il mestiere " lo sorreg- geva e dava una parvenza esteriore ai suoi scritti di vali- dità. La pagina, ancora tecnicamente perfetta, non riu- sciva però a mascherare ai lettori più attenti il vuoto di idee e di contenuti. La grande casa editrice che gli aveva pubblicato per anni i suoi lavori si era data da fare, come al solito, e aveva pubblicizzato in ogni modo il suo ro- manzo. I critici avevano fatto salti mortali per trovare qualche significato nelle sue pagine ed uno, in fondo onesto ma a lui profondamente legato per passati favori, si era rifugiato a parlare diffusamente, per quasi tutta la recensione, della copertina. Non si poteva dire la verità: Punzo era ancora potente, autore di una casa editrice che conta, membro fisso di innumerevoli premi letterari, critico di grandi settimanali, di importanti quotidiani, ma principalmente facente parte di quella specie di mafia che ancora domina la letteratura nazionale. Come osare scrivere che il suo libro si avvicinava molto a quella « letteratura rosa » che tanto mostravano di aborrire? Meglio sarebbe stato ignorare quella sua ope- ra dal titolo, come al solito, affascinante. Cosa restava di buono da dire? La copertina, il titolo, il mestiere, l'atmosfera? e poi? Ma comunque non lo si doveva ignorare: sarebbe stato a dir poco pericoloso; non per lui, proprio no, ma per i suoi protettori. E poi, non sono i critici maestri nel cogliere una insignificante nota positiva e costruirci su un pezzo addirittura colmo di lodi o, se vogliono, da una modesta nota negativa edificare una recensione stroncante? Ma i lettori avevano capito e, anche quelli che ave- vano ammirato le sue opere precedenti e che da anni attendevano un altro suo romanzo, non ne avevano potu- to parlare bene. Addirittura sconsigliavano quel libro che li aveva profondamente delusi, ratificando un declino che già si era manifestato da tempo. Le critiche, pur con tutta la buona volontà, fra le righe lo confermavano. Nella casa editrice non si nascondeva una protonda irritazionp e qualcuno pensava di incominciare a dimi- nuirgli gli incarichi, ridurgli le colonne sui settimanali, sostituirlo in qualche giuria. Migliala di copie invendute, una "resa" massiccia, una perdita economica. No, non la si poteva tollerare e la prova precedente non aveva dato risultati di molto superiori. E Punzo se ne accorgeva? Dal suo volto serafico, gonfio e pieno di pieghe come una brioche, da quegli cechi di bove, dalle movenze effeminate, da quella voce in falsetto dall'intonazione calma che staccava parola da parola con una lentezza esasperante, si sarebbe detto di no Continuava a recarsi in giro per mostre d'arte, con- gressi redazioni, trascinando il corpo tumido d'adipe, mascherato da abiti confezionati da fior di sarti, tenendo eretta la schiena e accentuando involontariamente le du- nose chiappe e atteggiando l'espressione del volto ad esse- re bonariamente superiore quasi a voler dire « si, sono io Punzo il grande scrittore, ma non me ne vanto, sono gli altri, compresi voi, tutti voi, che mi debbono ammi- rare e venerare » ed era con tutti di una cortesia squi- sita, facendo credere che fosse un amico o perlomeno uno che ricordasse colloqui amichevoli ed accoglienze gentili. Ma certamente Punzo non era uno stupido: lo aveva dimostrato nella sua ascesa quando si era reso gradito a tutti quelli che contavano ricavandone e ricambiando cortesie, incarichi e recensioni di favore. Della fase calante, della progressiva decadenza era stato indubbiamente cosciente. Come spiegarsi altrimenti del suo arraffare, a volte postulare, incarichi anche lon- tani dalla sua professione di scrittore? Come giustificare quella sua pecoraggine di fronte alle richieste, imposizioni dei suoi colleghi più decisi ed influenti? Non certo per bisogno di denaro. Di famiglia più che benestante, aveva accumulato i diritti d'autore degli anni d'oro senza mi- nimamente intaccarli, ma arricchendoli con stipendi di giornalista, compensi come membro di giuria, buste o quadri per presentazioni di mostre di pittura. Certamente stupido no. Come riusciva con abilità a mascherare la sua profonda ignoranza sui movimenti artistici dell'ultimo se- colo quando componeva il pezzo sunteggiando, con indub- bia maestria e profondo mestiere, i giudizi dati da " veri " critici del settore e sfuggendo ogni discussione in materia! Era sempre stato attento a non inimicarsi la classe dominante e profondamente conformista, anche se, nei colloqui a quattrocchi, assicurava il non conformista che contava, che in fondo lui non la pensava molto diversa- mente. Un comportamento di sagge e vereconde equidi- stanze con propensioni verso i potenti e immediate ma accorte ritirate. Anche nello scrivere nessuna posizione ben delineata, ma una generica collocazione di secondo plano negli «scrittori che sfuggono a una collocazione precisa». E non poteva essere diversamente per un uomo come lui. Negli anni giovanili si era guardato bene dallo spo- starsi molto lontano dalla città di provincia dove era nato, ma già era stato per lui un atto di coraggio tra- sferirsi, anche se solo parzialmente, nel vicino capoluogo dove poteva, lontano da grandi confronti, godere di una posizione di preminenza nelle lettere con pochi altri di notorietà nazionale essendo, tranne qualche rara ecce- zione, convolati verso altre mete i più promettenti. Ormai provinciale anche il capoluogo, era bello reci- tare la parte dell'uomo di successo, quella del padre no- bile con i tanti scrittoruzzi che non avrebbero mai as- surto a posizioni di livello nazionale e cercare di repri- mere, scoraggiare o ignorare, insieme con la ristretta mafia dei pochi colleghi rimasti, quelli che avrebbero po- tuto raggiungere mete importanti. Concorrenti pericolosi con i quali, prima o poi, avrebbero dovuto dividere la torta degli incarichi, delle pagine letterarie dei fogli cit- tadini, delle presentazioni e cedere qualche posto nelle giurie. Ma i nuovi, i validi, premevano e non si fermavano all'editoria asfittica del capoluogo che non avrebbe po- tuto dare loro quella notorietà, prestigio e risonanza che Punzo e i quattro o cinque della sua generazione si erano conquistata e che ora difendevano con i denti, aiutati da quella benedetta crisi dell'editoria. Santa crisi! anche i veri talenti difficilmente riuscivano a giungere alle gran- di editrici, quelle che sole potevano lanciare un nuovo scrittore! Non erano molti i nuovi talenti per fortuna, ma quan- te idee brillanti, che vena scoppiettante, che coraggio nel- l'affrontare temi sociali, di attualità e politici! Ma uno era sfuggito alla tenaglia crisi-mafla e li aveva surclassati per le vendite e la notorietà ma, in definitiva, il terrore causato in Punzo e colleghi si era presto quietato: era un concittadino, ma ormai viveva nella capitale, e poi il suo libro era un misto di saggio-narrativa e il cinema lo aveva presto catturato trasformandolo in uno sceneggia- tore di successo e deviandolo da una forse luminosa car- riera di narratore. Ma un altro pericoloso era apparso all'orizzonte. Pos- sedeva qualità, ma aveva imbroccato una strada sbagliata: la piccola editoria. Bisognava ignorarlo, non recensirlo, non segnalarlo e il volume era rimasto sullo scrittoio di Punzo nascosto in una pila di libri nuovi che ordinata- mente ne copriva uno degli angoli. Che differenza oggi lo scrittoio del grande narratore da quello di anni prima. Allora un mare di carte, testi, appunti, fogli iniziati e cancellati sommergeva la piccola macchina da scrivere. Ora un ordine da diligente impie- gato. Allora le idee, gli spunti premevano e si accavalla- vano, e non aveva il tempo di metterli su carta che subito erano superati da altri più brillanti. Ora il vuoto e un lavoro metodico, di routine. Ma quel Gomito tornava a mettergli paura: nonostante il silenzio suo e dei colleghi locali, si stava imponendo. Recensioni erano apparse su grandi settimanali, su pre- stioriosi quotidiani. Cosa combinavano i suoi colleghi cri- tici? Lo aveva conosciuto In mostre d'arte — era uno che contava nel settore —, aveva scambiato con lui qualche parola, avevano brindato insieme al successo della mostra, 10 aveva trattato con cortesia e considerazione. Ora il biglietto che aveva accompagnato il libro con la richiesta di consigli e giudizi era finito nel cestino. Poteva essere pericoloso, un concorrente, e non contava più tanto nel mondo dell'arte. Si poteva permettere di ignorarlo. Doveva ignorarlo. Ma quei successi, quelle recensioni? Forse due parole non compromettenti di augurio avrebbe anche po- tuto mandargliele. Avrebbe dovuto, lui così compito e ap- parentemente gentile. Ma che avrebbero detto i suoi col- leghi della mafia? Si era informato: si erano comportati come lui. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Sab Mag 16, 2009 6:44 pm | |
| Improvviso era apparso in libreria un nuovo libro di Gomito, questa volta pubblicato da un grande editore. Attese un nuovo biglietto ma non giunse nulla. Mandò ad acquistare il romanzo: era bello, ben scritto, di attua- lità e non potè fare a meno di apprezzarlo, ma per for- tuna non era stato sollecitato a giudizi o recensioni. La mafia era in agitazione e sembrò addirittura impazzita quando comparve nella pagina letteraria di uno dei quo- tidiani del capoluogo una recensione non appariscente ma ricca di elogi tutto sommato meritati. Come era potuto avvenire? Bisognava serrare i controlli, non permettere altri spiragli. Bisognava difendersi. La crisi imperversava e il libro di Gomito non potè imporsi come meritava. Lo ritrovò in qualche premio dove era giurato: lo bocciò inesorabilmente. Il pericolo sem- brava debellato. Ma una mattina di primavera, mentre Punzo ancora con gli occhi cisposi (aveva scritto fino a notte tarda e ne era insoddisfatto: nulla di quello che metteva su foglio lo convinceva più) fissava il pothos pendulo contro 11 balcone immobile in una maniera che lo faceva sem- brare finto e una strana luce bagnava le foglie d'un verde freddo come vi fosse piovuto addosso il riflesso di -un tubo a neon e i gelsomini esalavano un odore intenso che si mescolava con quello caldo, resinoso dei pini, ap- parve il portalettere con la borsa a tracolla, una di quelle • borse di cuoio duro, consunto e macchiato, dalla quale usciva un effluvio acre di sudore e di carta impregnata di odori, sacchi di canapa, inchiostro, treni e stazioni fer- roviarie. Tese la mano a toccare il marmo della balau- strata: lo sentì tiepido di sole, leggermente ruvido al tatto. La domestica gli consegnò il pacchetto attraversando lo studio nel quale aleggiava l'odore della cera per pavi- menti mal stesa. Punzo svogliatamente ne estrasse (e non potè fare a meno di avvertire sulla sensibile palma la volgarità di quel cartone) un libro e un biglietto. La copertina, al contrario di quelle dei suoi libri, era prepotente, immediata, violenta: ne fu scosso e irritato, e il contenuto del biglietto, invece di mitigare quanto provava, ingigantì quei sentimenti. Diceva pressapoco: «Caro professore, le invio il mio ultimo romanzo e. mi auguro che le piaccia. Spero che voglia recensirlo sul set- timanale " Domani ". Dopotutto siamo concittadini e non siamo in molti ad essere approdati a case editrici di importanza nazionale...» Era ancora Gomito! Che tena- cia, che impudenza! Versò nel bicchiere dello sciroppo di amarena. Il bic- chiere era opaco, rorido, violaceo: già ristorava prenderlo in mano e lo rigirava fra le dita con la gioia di sentire i polpastrelli inumidirsi, rinfrescarsi. Sopra un tavolino si trovava una coppa piena di biscotti e pensò di man- giarne un paio. Erano leggermente secchi, diventati fria- bili e si ruppero subito fra le mani. Strinse le gambe e raccolse le briciole che vi erano cadute. Sentiva cal- do, un caldo innaturale e si accostò il bicchiere alla fronte per bagnarla, poi raccolse un ventaglio, piccolo, antico, con le stecche leggerissime di tartaruga e la ventola di piume di gallo cedrone: l'aprì adagio e un po' si fece vento. Incominciò a leggere il romanzo: era affascinante, colmo di idee, lo stile essenziale e fluido, i personaggi — approfonditi senza prolissità — si staglia- vano netti nel contesto, e che coraggio nell'affrontare certi argomenti e che acuta analisi storica parallela a quella del mondo attuale; un gioiello! Quel Gomito me- ritava, doveva riconoscerlo, ma bisognava difendersi da scrittori come lui: pensava a se stesso e alla mafia. Come sarebbe stato bello e gratificante parlare con lui e aiu- tarlo con la sua grande esperienza, col suo mestiere: avreb- be finalmente fatto il maestro ad un allievo che avrebbe potuto forse un giorno superarlo! E non è questo il com- pito dei maestri? Cominciava a confondersi, annaspando in quel pan- tano inaspettato di passioni alla ricerca ansiosa di razio- cinio e di coerenza dove non c'era stato altro che quel- l'impulso irrazionale e, probabilmente, un'ombra di follia. No, non era per lui, non per la mafia. Lo avrebbe ancora ignorato, doveva ignorarlo! Ma il libro di Gomito stava avendo successo, si ven- deva bene, la gente ne parlava come di un best seller, recensioni uscivano in continuità nei grandi giornali e in uno, fra i maggiori, addirittura un articolo su cinque colonne con la riproduzione della copertina e il chiaro invito a-leggerlo. Financo un altro giornale del capoluogo aveva dedicato un lungo pezzo elogiativo con un'attenta disamina dei contenuti e con la conclusione che il reale ' ne era,'nonostante le apparenze, il deus ex machina. Dal suo giornale gli era giunto un invito ad occu- parsene e stava studiando il modo per rifiutarlo o dilazio- narlo, quando dalla casa gli giunse il richiamo della mo- glie. Si mosse per rientrare. Nell'oscurità del giardino, procedeva quasi a tentoni, le mani avanti per ripararsi da possibili ostacoli di cespugli o rami, per rompere lo spes- sore del profumo dei gelsomini che gravava nell'aria con una realtà addirittura fisica, materiale. Marta era seduta nella hall e non mostrò sorpresa del ritardo e del suo passo stanco. Disse solo: « Ah, sei venuto » e sorrideva e aveva l'aria di motrargli qualcosa che sul momento non distinse. « Vedi? Guarda che bei quadro ti ha inviato Gomito, lo ricordi che gentile persona alle mostre d'arte e ai convegni? » E spinse avanti un quadro non grande, ma di squi- sita fattura. Odorava di colori ad olio misti a colla che teneva insieme le bacchette lisce e lineari della cornice. Un biglietto pendeva da uno dei lati trattenuto da una striscetta di scotch. Lo staccò, e i polpastrelli ereditarono , parte della collosità e di quell'odore mieloso. Lo lesse: poche parole di saluto, nessuna pressione. Guardò il qua- dro quasi senza curiosità: era di un autore che amava, quante volte quelle immagini avevano acceso la sua fan- tasia, quante volte s'era incantato a sognare quelle figure; adesso le fissava quasi con indifferenza se non con ran- core, e Marta, che lo osservava mentre lui lo contemplava in silenzio, pareva delusa, addirittura offesa. «Ma come! Non ha capito? » Aveva capito sì, ma questo aumentava i suoi rimorsi, le sue incertezze che pensava di aver accantonato defini- tivamente. Non era un quadro di grande valore econo- mico, ma lo aveva sempre desiderato e, lui, il grande Pun- zo, presentatore di pittori, considerava quasi un'offesa dover comprare un quadro. Ed ora era lì a sua disposi- zione. Avrebbe potuto collocarlo subito su quella tappez- zeria alle sue spalle che spesso carezzava ricavandone un piacere quasi sensuale. Il quadro era ormai da giorni a far bella mostra di sé sulla parete, ma non aveva ne ringraziato ne com- posto il pezzo, e in redazione attendevano. Marta, che lo disapprovava, gli comunicò di aver ricevuto una tele- fonata dalla segretaria di Gomito che voleva accertarsi solo (ma era una scusa, era ovvio) se fosse stato regolar- mente consegnato. Allora Punzo si decise (si sentiva in forma quel giorno, quasi come ai bei tempi), prese la carta di un azzurro pallido, l'infilò nella macchina da scrivere e senza esitazioni compose: « Caro dottore, è vero: non mi sono fatto vivo con lei dopo aver trovato, al mio rientro in città, il bellissimo Piselli. Se devo essere sincero, non mi son fatto vivo anche per imbarazzo, e mi son chiesto persino se dovevo tenerlo, e al tempo stesso non volevo usarle una sgarberia ma, mi chiedevo, mi spetta un dono del genere, e a quale titolo? « (Curioso modo, il mio, di ringraziarla del suo gesto: ma la franchezza sottolinea proprio il mio disagio). ,«Ho letto il suo romanzo e ne ho fatto una recen- sione per il quotidiano " il Corriere del capoluogo " (che me l'aveva chiesta), dove giace da un paio di settimane. , Per il settimanale " Domani " la cosa è più complicata: tra scioperi e ritardi e salti, spesso, della rubrica, anche lì ci sono tré o quattro pezzi miei — ho perduto il conto — che aspettano. Vedrò di fare qualcosa più in là. « II suo libro è acuto e divertente ma, m'è parso, anche un poco ambiguo, o più esattamente pericoloso: nel senso, voglio dire, che in certi momenti sembrerebbe quasi un rimpianto o un'apologià del pisagismo, e forse il tono grottesco andava più marcato proprio perché si capisse da che parte sta lo scrittore. Così ho cercato d'indirizzare il lettore della recensione contro questa interpretazione... « Le faccio tanti auguri, di cuore; e mi scuso per averle scritto solo oggi. Con la più viva cordialità, il suo Punzo». Poi, soddisfatto, prese la carta bianca che normal- mente usava per i romanzi o per gli articoli e compose un lungo pezzo nel quale risaltavano tutta la sua abilità e il suo mestiere: generici complimenti, intervallati da dubbi sottilmente insinuati, una prolissa e dettagliata esposizione della trama e, nota dominante, un giocare insistentemente su quella chiave della pericolosità e am- biguità che solo lui (su oltre venti recensori non mafiosi) aveva trovato e il lettore, invece di essere indirizzato con- tro questa interpretazione, ne veniva condotto quasi per mano. Ma in modo sfumato, ambiguo, timoroso, quasi gentile, proprio come lo stile di vita del critico. E si sentiva soddisfatto, appagato: aveva toccato le vecchie vette di abilità. Tutto gli era riuscito mirabil- mente: poteva tenere il quadro, aveva, fra le righe, elo- giato un libro tanto valido, accontentato la mafia insi- nuando quel dubbio, avrebbe incassato dal giornale il compenso per il pezzo, e ridimensionato un concorrente tanto pericoloso. Spalancò la finestra, osservò la fitta vegetazione, aspi- rò voluttuosamente gli effluvi di gelsomino, dei pini e di quante altre piante e fiori affollavano il suo giardino e che tanto gli erano utili per riempire pagine e pagine dei suoi ultimi vuoti ed insulsi lavori, e poi si girò e lo specchio ovale con una cornice a sbalzi, di conchiglie e pampini intrecciati, riflette le poltroncine foderate di tes- , suto rosso, la dormeuse col copritesta di merletto, il mo- bile con le pallide tazzine di Sevres, la mensola con i soprammobili che si fronteggiavano, le stampe al muro, la consolle, il pothos sospeso e mantenuto da catenelle di ottone e il suo volto... e si vergognò. Settembre 1982 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine Lun Mag 18, 2009 8:25 pm | |
| POSTFAZIONE: « IL GATTOPARDO» RICESTINATO I corsi e ricorsi storici di vichiana memoria hanno riscontro anche... nelle vicende della stampa dei miei " segreti ". E' infatti un iter agitato, una lotta contro il tempo, una scommessa con l'attualità. Un libro, un saggio difficilmente sono rigorosamente attuali: gli eventi incalzano, si evolvono in continui scop- piettii o fragorose esplosioni. Ne « I segreti del mondo artistico » si era già alla fotocomposizione quando intervennero i fatti della « beffa di Livorno», ossia lo scandalo delle false teste di Modi- glioni e dei clamorosi abbagli di critici e storici dell'arte e relative pungenti, dissacranti polemiche. In questo saggio mi sono ritrovato addirittura alle seconde bozze corrette e ai sedicesimi già in stampa, quando mi è capitato sottocchi un nuovo articolo di Tron- carelli sull'u Europeo » n. 22 del 1° giugno 1985 giunto nelle edicole napoletane fra il 24 e il 25 maggio. Ho quindi solo poche ore per trattarne e commentarne i con- tenuti e i comportamenti del protagonista e dell'autore. La fretta, si sa, non è una buona consigliera, ne in generale permette parti indolori o perfetti. Ma tant'è, mi ci provo: non posso, non voglio negligere un qualcosa che s'inserisce in modo mirabile nel mio pamphiet che, unitamente al primo, ovvero ul segreti dell'editoria», costituisce un corpo unico, quale guida e denuncia degli scompensi comportamentali nei confronti dell'aspirante scrittore. E' vero, un libro difficilmente è rigorosamente attuale, ma quando si è convinti (con l'ausilio di precisi fatti) che rimarrà nella storia del nostro mondo editoriale, nel mondo dei libri come cronaca e denuncia di costume, non si può e non si deve trascurare d'includere un ulteriore episodio significativo ed esemplificativo di come I segreti dell'editoria abbia generato una specie di prolungata e interessante e utile reazione a catena. Torniamo, quindi, amico lettore, all'articolo di Tron- carelli dal titolo: « Beffe letterarie / un famoso libro e gli editori italiani. POVERO GATTOPARDO, DI NUOVO NEL CESTINO n. Eccone un succoso stralcio: Giuseppe Pontiggia l'aveva previsto. In un suo rac- conto pubblicato da Mondadori c'è l'odissea di un datti- loscritto anonimo nel labirinto di una moderna, arrogante casa editrice. Naturalmente il testo viene respinto. Poi si scopre che era Dostoevskij. La realtà ha superato la fan- tasia. La storia immaginata da Pontiggia si è svolta dav- vero e ha avuto come protagoniste alcune delle più pre- stigiose case editrici italiane, a cominciare proprio dalla Mondadori. Il testo-civetta, lo specchietto per le allodole, non poteva che essere l'opera più incompresa dell'editoria riostrana, l'esempio proverbiale dell'incomunicabilità tra lo scrittore e i mandarmi della carta stampata: il Gatto- pardo di Giuseppe Tornasi di Lampedusa, più volte rifiuta- to prima di essere riconosciuto come capolavoro e dato alle stampe. La « beffa » è stata ideata da un conterraneo di Lam- pedusa: il nobile siciliano Luigi Bruno di Belmonte. Autore di romanzi che fecero scandalo negli anni Sessanta, di soggetti cinematografici per produttori come Franco Cri- staldi e Dino De Laurentiis; amico di Ernest Hemingway e di Luchino Visconti, era uno dei personaggi tipici della Dolce Vita, celebre per le notti brave e i giorni perduti... Ma eccolo di nuovo: un « pupo » siciliano che si è ribella- to al puparo, per difendere i deboli e gli oppressi. Ma perché? Lo abbiamo chiesto direttamente a Luigi Bruno di Belmonte. Come le è venuta l'idea di un simile tiro all'editoria? « Non ci crederà, leggendo l'Europeo. L'estate scorsa , c'era un suo articolo, sì, firmato Troncarelli, sull'editoria (quello che citava I segreti dell'editoria, riportato in ampio stralcio e commento nel capitolo primo di questo saggio. Nota di B.C.). E' vero quello che scriveva. In Italia ci sono migliala di giovani scrittori sconosciuti e di non più gio- vani scrittori misconosciuti. L'editoria preferisce gli stra- nieri affermati. Così ho pensato di fare una prova e tirare un sasso in piccionaia. Ho preso il Gattopardo e gli ho cambiato il titolo; l'ho chiamato Sulle orme della gloria. Anche il nome dell'autore, ovviamente: Lampedusa è di- ventato il mio cuoco: Giovanni Barone...» E il resto? « Ho cambiato solo i nomi di persona... » Ha mandato tutto il libro? « No. Non aveva senso. Ho mandato un " campione " per avere un giudizio rapido: le prime quaranta pagine. E' una parte inconfondibile, con quel rosario recitato in apertura e la visita del Principe al bordello accompagnato da un prete...» A chi l'ha mandato? « A Mondadori, Dall'Oglio, Rusconi, Einaudi, Bom- piani, De Agostini ». E che cosa hanno risposto? « Solo la De Agostini ha risposto che era uno scherzo ... Mi presentavo come un estraneo dell'ambiente: che so, un petroliere, che aveva ricevuto per combinazione questo ma- noscritto, insieme ad altri che inviavo loro (erano i miei inediti) da un amico che è morto. Io dicevo esplicitamente che il morto ero io, Bruno di Belmonte....... Perché proprio il « Gattopardo »? « Io ho vissuto indirettamente le angosce e l'amarez- za di Tornasi di Lampedusa che ho conosciuto a Palermo, alla libreria Flaccovio, luogo d'incontro di intellettuali. Era molto amareggiato per i rifiuti degli editori. Il suo è un caso assolutamente emblematico. Incompreso da Elio Vitto- rini, da Italo Calvino, da Natalia Ginzburg, da tutti, fu sco-" perto per caso solo molto tempo dopo da Giorgio Bassani. Poi è diventato un best-seller... E' un testo impossibile da , confondere con un altro ». Eppure non è stato riconosciuto. « E' proprio così. Non basta neppure il Gattopardo per sfondare il muro di omertà e di indifferenza delle case edi- trici. E' successo questo: Einaudi e Bompiani non hanno risposto. Forse non l'hanno ancora letto. Ma allora hanno tempi di lettura lentissimi, visto che le altre hanno rispo- sto e che 40 pagine non sono lunghissime! La Mondadori, la Rusconi e la Dall'Oglio, invece, hanno restituito il datti- loscritto, con lettere di cortese rifiuto ». E la De Agostini? « Come le ho detto ha riconosciuto il testo. Mi ha scrit- to Vincenzo Ceppellini chiedendomi che razza di scherzo era. Io ho risposto: " Congratulazioni! ". Ma ho risposto anche alle altre case editrici, raccontando tutta la storia e dicendo: come si può ritenere valido il rifiuto a un autore interessantissimo ma sconosciuto... quando un comitato di lettura non sa non dico riscoprire il Gattopardo, ma nean- che ritenerlo idoneo alla pubblicazione! E' evidente che il sistema dei " lettori " non funziona ». Perché accusa il « sistema » e non singoli « lettori » incapaci? « Ho sempre sostenuto che i " lettori " dei libri devono essere scelti fra gente comune mediante annunci sui gior- nali. Perché è la gente comune che un domani affollerà o diserterà le librerie. Chi sono i " lettori " delle case editrici? Sono spesso degli sconosciuti protetti dall'anonimato che si permettono di assassinare gli scrittori e che magari proiettano nel lavoro degli altri le loro frustrazioni di scrittori falliti. Dentro di loro la serenità di giudizio viene svilita dall'arroganza che fa sentire un brigadiere 'un gene- rale, quando ha un po' di potere in mano. E poi, anche nel migliore dei casi, i " lettori " sono oberati da una tale mas- sa di dattiloscritti che non hanno ne il tempo ne la possi- bilità di leggere con attenzione. Tanto è vero che anche i miei sono spesso stati rinviati senza che nessuno li abbia sfogliati...» Come fa a dirlo? Come può averne le prove? « Ho cosparso di colla le pagine: ed erano ancora intatte! » Le sue accuse sono pesanti. Come si sono difese le case editrici? « Mondadori ha taciuto. Allora io ho scritto diretta- mente a Mario Formenton, presidente e amministratore delegato, mandando una copia ai consiglieri d'amministra- zione per conoscenza, il 17 aprile scorso... E chiedevo più fiducia per gli scrittori " made in Italy " e un sistema più serio di leggere i testi ». E la risposta? « Nulla. Neppure una lettera di insulti. Ma c'è stato di peggio...» Che vuoi dire? « Prendiamo il caso della Dall'Oglio. Quando mi han- no rimandato il manoscritto, ho chiesto spiegazioni senza rivelare la " beffa ". Mi ha risposto il 19 aprile un certo signor Romano, che io avevo conosciuto a Milano. Mi ha detto: " Non ho ne tempo, ne voglia — e la volontà è incoercibile — di darLe un giudizio critico " ...» ... Qualche rapido commento, amico lettore. Il primo è la, credo, giusta domanda del perché ne Troncarelli, ne Luigi Bruno di Belmonte citano I segreti dell'editoria che indubbiamente ha generato l'articolo del giornalista del- l'Europeo dal quale — per sua ammissione — il nobile siciliano ha, dice, tratto l'idea della " beffa ". Forse Tron- carelli non voleva, dopo averlo largamente preceduto ci- tandomi, riecheggiare Valerio Riva e il suo pezzo su « L'Espresso » del 7 aprile 1985. E Luigi Bruno di Belmon- te forse non ha letto il mio primo saggio sull'editoria. Ma da ciò che afferma, ho ragionevoli motivi per dubitarne. Ho torto, amico lettore? E allora perché non dichiararlo? Per quanto riguarda la " beffa ", davvero mi lascia perplesso il giudicarla. Quaranta, per quanto — come lui assevera — inconfondibili pagine, sono davvero poche e, per quanto ormai famoso II Gattopardo, non è la Divina Commedia e non è obbligatorio conoscerlo a memoria o riconoscerlo a primo fiuto. Non mi vanno in generale pro- dezze siffatte, non mi va lo strumentalizzare lacune mnemoniche che possono essere più che umane e compren- • sibili e nelle quali probabilmente tutti possiamo incorrere. L'infallibilità non è dell'uomo. Ma sia anche chiaro (l'ho scritto ne I segreti dell'editoria) che condivido la condan- na o quanto meno una nota di basimo su molti dei lettori editoriali e sul sistema in generale. I risultati della " beffa ", anche se è criticabile, sono quindi una conferma della carenza del sistema, e di quanti validi scrittori sco- nosciuti e non raccomandati, o non pronti ad inchinarsi in mortificanti salamelecchi, possano rimanere a lungo e forse per sempre non pubblicati. E l'esito del tiro birbone rivela anche una preoccupante " ingenuità " o una " arro- ganza " di fondo di alcuni nostri grandi editori che non dovrebbero nemmeno prendere in considerazione, e quindi respingere immediatamente, dattiloscritti di sole quaranta pagine, quando queste sono soltanto l'inizio di un lungo romanzo. Devi sapere, amico lettore, che non più tardi di un mese fa, il dottar Ceppellini (direttore editoriale di De Agostini e dell'Editoriale Nuova) mi aveva detto, in una conversazione telefonica, che ormai i tempi di lettura di opere sottoposte al giudizio delle case editrici delle quali è dirigente si allungheranno ineluttabilmente anche a causa adi uno scherzo che hanno tentato di consumare ai nostri danni: II Gattopardo fatto passare per inedito. Bisogna stare con gli occhi ben aperti», aveva concluso. Ebbene, si dia a Ceppellini e ai suoi " lettori " ciò che spetta loro: complimenti sinceri e nuovi stimoli per pub- blicare conosciuti o sconosciuti che valgano, e auguriamo- ci che anche gli altri vogliano farlo superando barriere e paure che possono, in tempi bravi o meno, sciogliersi al sole di una narrativa italiana dai molti nomi nuovi che facciano davvero narrativa dove valori emozionali, artisti- ci prevalgano o perlomeno eguaglino i forse eccessivi consensi e le vendite riservati a narratori alla Eco sul quale, sia pur fugacemente, mi sono soffermato nel capi- tolo sesto di questo libro. Se rileggi, amico lettore, il mio giudizio su «II nome della Rosa», troverai il succo della polemica che in questi giorni impazza sull'autore di Ales- sandria in articoli su fogli prestigiosi ed in convegni sul best seller. Ed anche qui un po' di moderazione non gua- , sterebbe e sottoscrivo quanto Diego Gabutti afferma, in conclusione di un lungo pezzo uscito proprio questa mat- tina su » II Giornale»: « ... ma resto dell'idea che soltanto un buontempone può seriamente pensare che una scimmia, battendo i tasti a caso, finirà per scrivere II nome della rosa o anche soltanto Uccelli di rovo. Ci vuole altro. Simili buontemponi, tuttavia, sanno e siedono negli uffici stampa delle case editrici, negli studiali operosi, nelle redazioni culturali ». Bruno Cotronei 26 maggio 1985 | |
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