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| Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Lun Mag 04, 2009 1:50 pm | |
| Dopo il notevole successo de I SEGRETI dell'EDITORIA, con diecine e diecine di recensioni, dibattiti anche universitari, interesse di relevisioni pubbliche e private. Divenne quasi indispensabile scrivere un DOPO che Valerio Riva (grande direttore editoriale di Feltrinelli e Rizzoli) avrebbe voluto sdcrivere a 4 mani con Cotronei, ecco il nuovo libri scritto senza Riva perchè , per impegni sia suoi che di Cotronei, difficilmente avrebbero potuto trascorre tempo insieme. Ecco del nuovo libro alcune dei tanti stralci di recensione: QUI FOGGIA, FOGGIA. Matteo Tatarella.
"Sì è vero. Quando un narratore di collaudata validità con alle spalle opere di consistente spessore letterario e contenutistico affronta la saggistica, il risultato è scontato ed il lettore viene intimamente coinvolto, attratto dal racconto suadente, affascinante di argomenti o episodi che altrimenti sarebbero oggetto solo dell’attenzione di tecnici... Tutto ciò abbiamo trovato in Bruno Cotronei... migliaia e migliaia le copie vendute ed una marea di recensioni... Ora il “Doposegreti dell'editoria”.,. »
L’UNIONE SARDA, CAGLIARI. Gianni Filippini.
"...Bruno Cotronei ha suscitato un vespaio di polemiche ma anche molti consensi. Pubblicato nel maggio scorso è arrivato in poco più di un mese alla seconda edizione richiamando l’attenzione di settimanali, quotidiani, riviste specializzate e persino la televisione a “Domenica in”. Un autentico successo... Dirigente industriale da qualche tempo dedito all’arte, Cotronei non si è lasciato sfuggire l’occasione e si è affrettato a tornare sull’argomento con un nuovo saggio “I doposegreti dell'editoria.”... Centrato sullo stesso tema, costituisce con “I segreti dell'editoria.” un corpo unico, quale guida e denuncia — come ha scritto lo stesso Brando — degli “scompensi comportamentali nei confronti dell’aspirante scrittore”».
IL GRILLO, GENOVA. Felice Bellero.
«Nel volume di Bruno Cotronei si legge, fra l’altro, “... Nello stesso modo potrai agire con organizzatori di premi letterari di qualche risonanza, con giornalisti o ancora meglio con direttori di quotidiani, di periodici, di case editrici”...».
UCT, TRENTO. Flavio Vadagnini.
"È un libro che effettivamente vaI la pena di leggere attentamente... »
POLITICA MERIDIONALISTA, NAPOLI. Maurizio Vitiello. "
In questo nuovo saggio Bruno Cotronei, che opera con grande coerenza, con rapide pennellate, ne racconta il DOPO... »
L’INFORMATORE LIBRARIO, ROMA. Daria Martelli.
«Nel bel mezzo sulla polemica sul best seller che rimbalza da un giornale all’altro, è uscito il secondo pamphlet di Bruno Cotronei, “Il dopodegreti dell'editoria.”. Si tratta della continuazione di quel “sulfureo libriccino” con cui l’autore si vanta di aver dato inizio, nel maggio dell’anno scorso, all’attuale dibattito: un libro che ha svolto una sua "funzione storica" contribuendo a spezzare il muro d’omertà che circondava il mondo dell’editoria. Grosse brecce si sono aperte a tutti i livelli, se è vero che questo secondo libro di denuncia si era progettato di scriverlo a quattro mani con un personaggio rappresentativo come Valerio Riva, l’ex direttore editoriale della Rizzoli. . . »
IL GAZZ INDICE Consensi ai Segreti dell'Editoria. Considera- zioni. . . ........... Pag. 7 Valerio Riva mi ha telefonato, visitato e... « 25 Problemi e miserie della distribuzione . . » 33 Boicottaggi, black - out e scompensi di un mass - media .......... » 41 Gli aspiranti scrittori a Domenica in... . . » 47 Giordano Bruno Guerri e Santa Maria Go- retti .............. » 57 Giordano Bruno Guerri e gli aspiranti scrit- tori .............. » 65 Scrittori affermati (Arpino Rea e Spinosa) e aspiranti ............ « 87 La mungitura s'intensifica ....... » 99 L'autoeditore e il caso Dario Bernazza . . » 109 Aspirante scrittore ringraziami, ma leggi! » 117 Capitolo zero: Tra fantasia e realtà... Il cri- ticoscrittore ........... » 127 Postfazione: «II Gattopardo» ricestinato . . » 137 Cap. I CONSENSI AI SEGRETI DELL'EDITORIA CONSIDERAZIONI Caro Cotronei, adesso sa chi è questo Riva; non un neo-editoriale, ma un vetero-editoriale; e comunque un neo-amico che, spero, diventerà un vecchio amico. Valerio Riva. Questa dedica veniva scritta nel mio studio la notte del 7 dicembre 1984 dal " terribile " direttore editoriale della Rizzoli dopo più di cinque ore di intensi, avvincenti colloqui sull'affascinante mondo dell'editoria. Milano, Luglio '84 Gentile Cotronei, dato che non mi è possibile parlare su (nome di un notissimo settimanale. Nota di Bruno Cotronei) del suo libro I SEGRETI DELL'EDITORIA, e non gliene enuncio le ragioni per non sembrare, ingiustamente, simile ai per- sonaggi del libro stesso, desidero ringraziarla comunque per avermelo mandato e dirle quanto mi ha interessato, amareggiato e, lo confesso, anche divertito la sua lettura. Purtroppo la situazione, così ben fotografata da lei, è quella che è, e temo che non cambierà ancora per molto tempo. Possiamo però sperarlo. Con molti cordiali saluti. (firma della giornalista-critico letterario del periodico) Quest'altra lettera è stata invece indirizzata al tito- lare dell'Oceania: Milano, 29 settembre '84 Egregio Signore, avevo adocchiato alla stazione il volume di Cotronei sull'editoria e mi ero detto: « Che cosa può insegnare a me, che ho lavorato per quarant'anni nel settore edito- riale? » Ma, venuto a più miti consigli, l'ho comprato e... letto in un fiato. Tante, troppe cose non le sapevo o le sapevo in versione edulcorata... (firma) E ancora: Lì, 8/2/85 Gentile Signore, mi è gradito inviarle un articolo dove ho avuto l'occa- sione di citare il suo coraggioso libro « I Segreti dell'Edi- toria », che ho molto apprezzato! Cordialmente (firma) Allegato un interessante pezzo su « L'Informatore libra- rio » di novembre 1984. Lì, 10/11/84 Gentile dott. Cotronei, il suo libro «Z segreti dell'editoria», che ho letto con molto interesse, mi ha quasi del tutto dissuasa dal tradurre in concreto le mie aspirazioni di scrittrice (saranno sempre privatissime, a meno che non mi decida a chiedere una sua raccomandazione ...). Scherzi a parte, mi permetto scri- verle per farle una domanda e per avere, possibilmente, una sua risposta: come si fa ad entrare in una casa editrice? Non è per passare al nemico, ma è un altro dei miei desideri impossibili: sono napoletana, ho trent'anni e tanta voglia di cambiare il mio attuale lavoro — funzionario di » 8 prefettura in una città del nord. Come vede, nessuna esperienza in merito. Per il lavoro di mio marito, non ho alcun problema a risiedere nelle grandi città. Può darmi qualche consiglio e qualche delucidazione sulle reali possibilità di entrare in quel mondo? Mi interesserebbe molto, e perciò la ringrazio fin d'ora della sua cortesia. Cordiali saluti. (firma ed indirizzo) Torre del Greco, 21/1/85 Pregiato dottor Cotronei, Ho letto il suo « / SEGRETI DELL'EDITORIA » che mi è stato molto utile. Sperando di farle cosa gradita (e magari anche in un suo parere) mi permetto di inviarle questo mio scritto. Cordiali saluti. Giuseppe Della Monica L'autore della lettera, del quale volutamente ho citato il nome convinto che gli farà piacere, mi ha anche inviato un lindo volumetto di 53 pagine dal titolo « Passatempo innocente ». E qui mi fermo con le lettere inviate a me o all'Oceania per non riempire un intero volume. Mentre mi sembra opportuno passare ad alcuni dei tanti pezzi che si sono occupati del mio sàggio-manuale o pamphiet, come è più di moda o forse più giusto chiamarlo. Fabio Troncarelli in un succoso articolo di quattro pagine (68/71) pubblicato su «Europeo» n° 34 del 25 agosto 1984 e intitolato QUEL BEL TOMO STRANIERO, con l'occhiello che dice: « Editoria/perché i best-seller in Italia vengono quasi tutti da altri paesi » e il sommario: « Un terzo dei libri pubblicati da noi è una traduzione. Su 4800 manoscritti di nuovi autori solo tré sono stati accettati nel 1982. Siamo esterofili inguaribili o i nostri scrittori valgono poco? Sentiamo i protagonisti », esordisce. « | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Lun Mag 04, 2009 6:57 pm | |
| Ahi, malattia delle statistiche! Ce n'è una recente ed insospettaWe del Syndacat National de l'Edition (grosso- modo il corrispettivo francese dell'Associazione italiana edi- tori) che dice che in Francia su 10 best-seller pubblicati 8 sono francesi e 2 stranieri; in Germania la proporzione è di 12 a 3; in Inghilterra di 8 a zero; negli Stati Uniti di 14 a 1... E da noi? Ogni anno escono in Italia 15-20 mila libri nuovi. In media 40-50 al giorno. Quelli tradotti da altre lingue sono il 30 per cento. Chi vende di più, gli italiani o gli stranieri? Le statistiche non sono certo in nostro favore. Uccelli di rovo ha sfondato il muro delle 500 mila copie; Radici è sulle 450 mila copie in edizione di lusso e 65 mila in economica; L'Azteco, uscito due anni fa, è sulla vetta delle 300 mila copie. Cifre analoghe, o comun- que altissime, si potrebbero citare per i grandi successi tra- dotti negli ultimi anni: da John Tolkien a Ken Follett, da Jeorge Amado a John Le Carré, da Gabriel Garcia Marquez a Wilbur Smith. Anche gli ultimissimi best-seller sono stra- nieri: Vendetta, uscito a giugno, ha già venduto 35 mila copie; Straniera è la terra, di poco precedente, è arrivato a 40 mila copie. In confronto gli italiani ci fanno una magra figura: i « best-seller d'autore » degli ultimi tempi vendono sulle 100 mila copie (così ad esempio 1934 di Moravia — Ho i miei dubbi. Nota di B.C.) con l'unica leggendaria eccezione di Umberto Eco (con 500 mila copie in edizione rilegata e 130 mila copie in economica). Quanto alle opere forse non immortali, ma che piac- ciono ai comuni mortali, accanto agli intramontabili Gior- gio Bocca, Enzo Biagi e Orlano, Fallaci, solo testi come La storia della filosofia greca di Luciano De Crescenza (pre- mio Bancarella) o I miei primi 40 anni di Marina Lante (4" edizione) reggono il passo. Tradotto in termini spiccioli, per uno scrittore italiano che sogna il successo le prospettive sono piuttosto ridotte: a meno di non aver fornicato con ministri o presocratici, oppure di essere una celebrità già affermata come Eco e Moravia, ha un'unica strada: adottare uno pseudonimo straniero e magari perfino nazionalità, se ci riesce. Il problema, al di là dello scherzo, è così serio che sono divenuti best-seller dei libri su come si fa...: un libro ponderato come « IL BEST SELLER ALL'ITALIANA » del critico letterario GIANCARLO FERRETTI (Laterza) ... e un libro polemico come I SEGRETI DELL'EDITORIA di BRUNO COTRONEI (Oceania) è arrivato alla seconda edizione in un mese. Anche settimanali e quotidiani si sono gettati a capofitto nella mischia, pubblicando negli ultimi mesi inchieste e interviste a catena a personaggi come Giulio Bollati, Giulio Einaudi, Leonardo Mondadori, Elvira Selleria, Inge Feltrinelli. L'accusata numero uno è sempre la stessa: l'editoria con la sua crisi e la sua cronica diffidenza verso il prodotto nazionale ... E prosegue a lungo con dati, argomenti e interviste sulle quali mi riprometto di tornare. Matteo Tatarella sul quotidiano « Qui Foggia » del 4 settembre 1984 scrive: Quando un libro oggi, fra l'imperversare di centinaia di televisioni private e non, suscita tanto interesse, si cerca d'inquadrare la figura dell'autore che subito assurge al ruolo di protagonista, di animale raro e se ne cercano le radici del successo... ma il Nostro non si ritirò in quella specie d'Olimpo dove amano rinterrarsi (ma non tìsicamen- te. Nota di B.C.) gli autori di successo, tutt'altro: ed ecco « I Segreti dell'editoria ». Qui l'autore, traendo spunto dalle dichiarazioni di Riva quando questi assunse l'incarico di direttore editoriale della Rizzali e da personali analisi, svela segreti, ignorati dai più, e tenta di dare una mano alle due parti in causa nel dualismo acceso, violento fra gli aspiranti scrittori e gli editori... A sua volta Sandro Rogari in un lungo articolo su « II Resto del Carlino » del 24 ottobre 1984 intitolato « In un mondo senza pagine, biblioteca elettronica » cita il mio libro così: Leggo in un pamphiet di Bruno Cotronei (I segreti dell'editoria, ovverosia come si fa a farsi pubblicare un libro) che Mondadori riceve quasi tremila manoscritti l'an- no; Garzanti millecinquecento; Rusconi milletrecento ed Einaudi cinquecento (i dati si riferiscono al 1982). Non • sto a riportare le percentuali dei manoscritti che hanno raggiunto l'obiettivo della pubblicazione, perché sono pra- ticamente non apprezzabili. E teniamo presente che nel caso specifico si tratta quasi sempre di romanzi, ossia un genere di libro che gode di un pubblico relativamente vasto Immaginiamoci quindi le difficoltà che incontra l'autore di un saggio. Chissà che fra quelle migliaio di sconosciuti e che sono destinati a rimanere tali, non ci sia un nuovo 'Tornasi di Lampedusa e che la nuova tecnologia lo possa far sco- prire (e no, caro Rogari, non s'illuda, sono sempre gli uo- mini che programmano gli strumenti elettronici. Nota di B.C.) Giorgio Lanzillo sul numero 6 di « Tribuna Stampa » scrive: Come farsi pubblicare un libro? Meglio non scriverlo ammonisce Bruno Cotronei. Ma se proprio non potete farne a meno .ecco in che ginepraio vi ficcate. E nel suo « libro- saggio-manuale^, come lo definisce, racconta «I segreti dell editoria». Una radiografia pessimistica ma non irrea- listica dell'industria editoriale, tracciata con prosa disin- volta — anche troppo disinvolta e voluta-mente familiare — con molte indicazioni pratiche di come rivolgersi ed a chi con quali oneri, con quali vantaggi. E tutto sommato con quali probabilità di esser pubblicati, se già non si è nel giro o se non si ha un nome noto alle cronache, magari per menti tutt'altro che letterari. L'attenzione del Cotronei è essenzialmente rivolta alla narrativa, quella per la quale più numerosi sono gli aspiranti scrittori. Ebbene VA dimo- stra con dovizia di nomi e dati che gli editori preferiscono le traduzioni da autori stranieri, quindi i libri di successo garantito di garantiti autori italiani e che poi spendono decine e decine di milioni l'anno per leggere lodevolissima- mente migliaio di dattiloscritti, per pubblicarne alla fine solo uno o due ... Il per me non meglio identificato m.r. così parla del mio saggio su « Tuttolibri » del 27 ottobre 1984 in un pezzo intitolato « Aspiranti scrittori » : . Alla fitta schiera degli aspiranti scrittori Bruno Co- tronei, saggista e narratore napoletano, ha dedicato un manuale per orientarsi in questa difficile strada. Si intitola I Segreti dell'editoria ovverosia Come si fa a farsi pub- blicare un libro e offre una guida a chi vuoi conoscere meglio il mondo dei libri e la situazione editoriale. Un divertente « capitolo zero n racconta la tragicomica av- ventura del nuovo autore, per arrivare alla pubblicazione del suo libro. E Giovanna Camozzi su « Cosmopolitan » del marzo 1985, rispondendo alle richieste di numerose lettrici in cerca di editore, cita il mio libro in questo modo: ... Su tutta la vasta gamma di problemi cui si trova di fronte un giovane alle prime armi si è soffermato in modo più approfondito Bruno Cotronei che ha recente- mente pubblicato un libro sull'argomento: I Segreti del- l'editoria ovverosia Come si fa a farsi pubblicare un libro. In questo manuale, che ha fatto parecchio parlare di sé, sono elencate tutte le difficoltà dell'impresa, ma sono an- che indicate le scelte più ragionevoli da fare per riuscire a realizzare i propri sogni letterari. Infine (e con questo termino la rassegna stampa, anche se trascuro firme e testate prestigiose) Giovanni Mameli in una recensione su quattro colonne della terza dell'" Unione Sarda» del 10 novembre 1984 afferma: E' un libro che si legge tutto d'un fiato, per sapere come va a finire la storia dello scrittore inedito che vuoi pubblicare un romanzo nel quale crede fermamente. Ep- pure non stiamo parlando di un'opera di fiction. Il volume in questione è una via di mezzo tra il dossier e il manuale, il cui contenuto fa meditare parecchio. I segreti dell'edi- toria di Bruno Cotronei, pur essendo pubblicato da un editore non molto conosciuto, è distribuito in tutt'Italia e si vende talmente bene — anche in Sardegna — che ne è stata fatta una seconda edizione. Con ogni probabilità il segreto del successo del volu- me di Cotronei sta nel sottotitolo, che suona Come si fa , a farsi pubblicare un libro. Sono tanti in Italia gli autori che hanno uno o più dattiloscritti nel cassetto e che vor- rebbero pubblicare. A costoro (ma non solo a loro natu- ralmente) si rivolge questo libro, che svela meccanismi inquietanti documentati puntigliosamente attraverso in- terviste di addetti ai lavori e attraverso dati inconfutabili... e proesgue a lungo in una sintesi ben sviluppata per con- cludere: A chiusura del libro, si racconta la disavventura di uno scrittore alle prese con una casa editrice che fa promesse e non le mantiene. Si parla anche dei corsari dell'editoria, che stampano di tutto e spennano letteral- mente gli autori alle prime armi: qui si dice come rico- noscerli. Dulcis in fundo o come la classica ciliegina sul dolce o forse come fatto più significativo, debbo citare le tante, tantissime richieste giunte da parte di Università, italia- ne e straniere (che hanno fatto del mio saggio oggetto di studio, di conferenze e di dibattiti), di grandi Enti, di periodici del livello di Capitai o di Tuttolibri o di Pa- norama per finire a quelli, per lo più sconosciuti o quasi, che qui di seguito mi sembra opportuno nominare, chie- dendo scusa se qualcuno può essermi sfuggito. La Nuova Italia Editrice di Firenze; Quaderni del Sud/Lacaita di San Marco in Lamis (Foggia) ; II Bagordo (quadrimestrale letterario) di Monza; Di Baio Editore di Milano; Terzo Mondo (rivista trimestrale di studi, ri- cerche e documentazione sui paesi afro-asiatici e latino- americani) di Milano; Confederazione Sindacale autono- ma scuola italiana per la diffusione dell'istruzione (segre- teria generale) di Salerno; Paideia (rivista bimestrale) di Broscia; II Cerilo Editrice di Roma; Cultura Calabrese (mensile) di Lamezia Terme (Catanzaro) ; Uomo-Città- Territorio (centro di documentazione sociale del Trentino e rivista di cultura e società) di Trento, Bolzano e Verona; La Bardinella (periodico di informazione arte e cultura) di San Giuseppe Vesuviano (Napoli); Sperimentazione e Didattica di Roma; Galzerano Editore di Casalvelino Scalo (Salerno); L'Arena di Polo (settimanale) di Trieste; Libri Mondo di Roma (per Tuttolibri Ine. di Montreal - Canada; Sante Paolino (un giornalista) di Colonia; Istituto italia- no per l'arte artigianato e il restauro di Roma; Società Italiana Vetro (biblioteca aziendale) ; Express (agenzia letteraria internazionale) di Roma; Editrice Bibliografica di Milano; Centro di Relazioni culturali di Ravenna. Amico lettore, queste lunghe, forse troppo, citazioni ed elencazioni hanno un senso per riprendere quella spe- cie di chiacchierata-dibattito iniziata ne « I Segreti del- l'Editoria ». Esse, infatti, in un periodo di profonda crisi del prodotto libro, costituiscono la dimostrazione dell'en- tità oserei dire, se il termine non mi spaventasse, storica, costruttiva del mio saggio, che con ogni probabilità avreb- be potuto essere anche scritto, e forse meglio, da altri, se ci avessero pensato o avessero avuto quel pizzico di coraggio per affrontare argomenti che possono anche esse- re scabrosi. Ricorderai, spero, se lo hai letto, cosa ho scritto nella lunga articolata prefazione. Accennai fra l'altro alla netta suddivisione della no- stra editoria di libri fra grandi, medie case editrici di risonanza e diffusione nazionale e piccoli, medi editori a carattere prevalentemente, se non del tutto, locale. Ai pochissimi, sempre gli stessi, nostri autori di livello na- zionale e ai tanti, tantissimi che non superano le soglie anguste della regione, sia pure culturalmente ricca di brillanti tradizioni. All'enorme massa di scrittori stranie- ri, non tutti di eccelsa qualità, pubblicati e pubblicizzati in Italia senza risparmio. Ai troppi aspiranti scrittori che invadevano fiduciosi con i loro dattiloscritti le grandi ca- se editrici, intralciandone il normale lavoro senza cavarne un ragno dal buco se non brucianti e forse perenni fru- strazioni. A Valerio Riva, il megadirettore editoriale della Rizzoli, e alle sue sconvolgenti dichiarazioni. Alla possi- bilità che io e il mio libro subissimo tentativi di blackout. Al non preoccuparmene affatto « perché chi è veramente grande, e non solo per dimensioni, saprà privilegiare l'in- telligenza su oscure, deprimenti, sciocche ombrosità da parte di coloro che sarà bene lascino libero il campo ai tantissimi che operano con amore in favore di quel pro- dotto affascinante che è il libro, che non sa che farsene di chi vuole trasformare il glorioso mondo editoriale in una specie di lottizzato ente del parastato». | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Lun Mag 04, 2009 7:00 pm | |
| Ora vedi, amico lettore, le lettere, gli articoli che hai appena finito di leggere nelle pagine precedenti con- fermano quanto avessi visto giusto, di come non fossero nemmeno un tantino esagerate alcune mie denunce e de- duzioni. Ma non pensare che tutto sia andato nel verso giusto. Tutt'altro, ce n'è voluta di pazienza, di perseve- ranza e di convinzione; e questa volta, al contrario del- l'altra, posso dirti che ho scoperto qualcosa di " fulgido " nell'ambiente, che si contrappone, seppure ancora non so- verchia, quanto di oscuro e melmoso ancora impantana la libera estrinsecazione di qualità ed azioni di segno po- sitivo. Alcuni dei prossimi capitoli tè lo racconteranno senza paure e ti dirò che questa volta il coraggio viene più facilmente proprio per ciò, e non è poco, che di positivo ho trovato. Tralasciando per ora Valerio Riva al quale ho dedi- cato l'intero secondo capitolo, vorrei sottolineare quanto mi ha scritto la giornalista-critico letterario della notissi- ma rivista facente parte di un potente gruppo editoriale, la quale ha sentito il dovere-bisogno di firmare e di in- viarmi la sua lettera, oltre a ciò che ha scritto su carta intestata il funzionario editoriale, nonché l'articolo, in- viatemi in fotocopia, dove si cita, e in modo elogiativo il mio libro. ' Più importanti però mi sembrano le dimostrazioni d'amore, per il libro e il suo mondo, dell'aspirante scrittri- ce che desidera lasciare un "posto statale sicuro" per entrare a far parte di quell'ambiente (lettera n 4) ; e il lungo elenco di piccoli, sinceri editori, riviste d'arte e cultura, cenacoli, biblioteche aziendali, sindacati scolasti- ci e così via che si reggono con il sacrificio e la passione di coloro che, alla lunga, forse fanno davvero cultura o intendono farla nel modo più puro nel nostro, per tanti versi criticato e criticabile, Paese. Cosa dire poi delle recensioni delle quali ho ripro- dotto alcuni stralci? Mi soffermo particolarmente sull'articolo di Fabio Troncarelli (Europeo) sia per il rilievo spaziale dato al- * l'argomento che per l'autorevolezza della testata, ed an- che perché è stato il primo (se si esclude un paginone dedicato a I Segreti dell'editoria dal settimanale « Napoli Oggi», sul quale ritornerò fra qualche capitolo) a spez- zare una sorta di sospetto silenzio da parte della stampa sul mio libro, che invece andava prepotentemente con- quistando larghe porzioni di lettori e di appassionati. Pensa, caro amico, che il volume è stato stampato in aprile (dell'84) ed è andato in distribuzione (di che tipo vedremo poi) nel mese di maggio. Ebbene, a parte « Napoli Oggi » del 12 luglio e qualche timida pubblicità, nessuna recensione, nessun trafiletto, nonostante le tantissime ri- chieste di esaminare il saggio da parte di grandi testate, fino all'uscita il 25 agosto di « Quel bei tomo straniero » di Troncarelli che correttamente, e lo ringrazio, citava «I segreti dell'editoria», al contrario di indefinibili ap- profittatori delle idee altrui sui quali intendo soffermarmi in seguito. Due sono i volumi-saggio sull'argomento no- minati dall'articolista dell'Europeo: « II best seller all'ita- liana » di Ferretti e « I segreti dell'editoria » di Bruno Cotronei. Ebbene, è giusto precisare che il dotto e vali- dissimo studio di Ferretti è stato pubblicato, per i tipi di Laterza, nel gennaio 1983, mentre il mio direi più scor- revole e comprensibile volume ha visto la luce, lo ripeto, nei primi giorni del maggio 1984. Da quando la stampa a larga diffusione ha incomin- ciato ad occuparsi dell'argomento dopo le grandi polemi- che suscitate dalle dichiarazioni di Valerio Riva del gen- naio 1983? Da giugno, luglio 1984 ! Cosa significa, amico lettore? Che è stato il mio libro e non altro a sollevare in modo definitivo il problema dell'editoria in generale e in particolare dell'aspirante scrittore, come anche Tron- carelli indirettamente afferma nel già nominato articolo quando scrive: " Anche settimanali e quotidiani si sono gettati a capofitto nella mischia pubblicando negli ultimi mesi inchieste e interviste a catena..." Quali sono gli argomenti affrontati da Troncarelli e quali i dati? Il best seller. E qui è onesto dare una primogenitura a Ferretti, anche se ne I Segreti dell'edi- toria si esamina la questione alle pagine 29, 30, 31 e se- « guenti. Il numero dei dattiloscritti (4800 per Troncarelli) riferiti a tré editori — Mondadori, Garzanti ed Einaudi — sono ricavati dalla pagina 46 del mio saggio, come sempre a questo libro appartengono i temi su " l'invasione stra- niera ", il numero degli sconosciuti, e forse non raccoman- dati, pubblicati ammontanti in tutto a 3! "Possibile", scrive Troncarelli riecheggiando una mia affermazione (pagina 71), " che gli altri fossero tutti scrittorucoli senza talento? " " La verità è un'altra ", spiega Ferretti inter- vistato. " In Italia bisogna appartenere a un giro, a un clan per pubblicare" (I Segreti dell'editoria, pagine 48, 68, 83) e aggiunge di originale: " L'autore non può essere un individuo anonimo: deve appartenere a un am- biente precostituito; essere inserito in un flusso di co- municazioni, di contatti, che avanza con una sua forza d'inerzia. Una volta esisteva la casta dei letterati e quel- la degli uomini comuni; oggi i mezzi di informazione, il sistema produttivo hanno abbattuto tutte le carriere, le chiusure..." Quanto ha ragione, amico lettore! Valgano, ma ve ne sono tantissimi, due esempi: Luciano De Crescenze, con- tinuamente presente in qualsiasi televisione o manifesta- zione, e la Marina Lante con il suo vastissimo giro. Vi sono figli di noti rapiti intervistatissimi che pubblicano; pre- sentatori accusati giustamente o ingiustamente di crimini che pubblicano; giornalisti che si sono fatti un nome qua- li esperti di camorra che pubblicano; attori famosi che pubblicano; annunciatrici televisive che pubblicano e tan- ti altri, e ciò che è peggio vendono, oh, quanto vendono! Ma attenzione, caro amico, non bisogna far confusione con la vera letteratura che per me rimane quella dei ro- manzi, dei racconti, della poesia. E allora vedi autori famosi pronti a precipitarsi in qualsiasi libreria, anche periferica, per presentazioni promozionali che fruttano la vendita anche solo di dieci copie per volta, o a più affol- late manifestazioni presso i vari circoli, o infine che pro- prio nel periodo di uscita del nuovo libro intensificano la pubblicazione di articoli, racconti, saggi su quotidiani e riviste di larga tiratura, oltre all'ossessiva frequentazione di un giro sempre più vasto di conoscenti: e ciò fa gioco! Troncarelli, nel suo lodevole articolo, scrive, all'affer- mazione di Ferretti: " Viene spontaneo chiedersi, allora, perché mai la conquista storica della circolazione delle notizie deve impedire agli sconosciuti di farsi conoscere. Perché non c'è più la possibilità di restarsene soli e in pace a scrivere come fece Proust che visse chiuso in casa per portare a termine i libri della sua Ricerca del tempo perduto ". " Perché si resta isolati ", ribadisce Ferretti. " II si- stema di informazioni è un microcosmo autosumciente che permette a chi è all'interno di sapere tutto, ma che non funziona con l'esterno ". Giustamente Troncarelli commenta che " si arriva così al paradosso. Gli editori a caccia di novità di successo rifiutano sistematicamente i possibili successi: Tornasi di Lampedusa si vide scartare II Gattopardo dal suo con- terraneo Vittorini; Guido Morselli non riesce a pubblica- re neppure un romanzo da vivo; Gesualdo Buf alino deve attendere anni e anni e l'acuta intuizione di Leonardo Sciasela per pubblicare La diceria dell'untore ". Ed io aggiungo, come feci ne I Segreti dell'editoria, Moravia, che dovè pubblicare a sue spese Gli Indifferenti, e Svevo i suoi tré grandi romanzi, raccontandoti, come mia no- vità, che Una Vita del 1892 e Senilità del 1898 glieli stampò, a pagamento, Ettore Vram di Trieste, mentre La coscienza di Zeno fu affidato, sempre a pagamento, a Cappelli di Bologna nel 1923 che chiese non solo 7800 lire per mille copie, ma anche 5 lire a copia per distri- buirlo su un prezzo di copertina di 10 lire! Ma la cosa più grave è che solo nel 1938 la moglie e la figlia (Svevo era nel frattempo morto - 1928) riuscirono a trovare un edi- tore vero (intendo non a pagamento) per lo scrittore che era ormai considerato uno dei più importanti del Nove- cento, essendo stato scoperto da Montale nel 1925 e subito dopo dai francesi informati da Joyce che lo aveva apprez- zato già per i primi due romanzi letti quando insegnava alla Berlitz di Trieste. A questa, e ad altre considerazioni-affermazioni di « • ^ | |
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| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Lun Mag 04, 2009 7:02 pm | |
| Eraldo Violo, dirigente della Rizzoli, Troncarelli si lascia andare ad un commento più che giustificato: " C'è da scoraggiarsi ", e subito dopo scrive: " Eppure non tutti si scoraggiano. ' Non è vero che tutti debbono avere il destino di un Mozart ', afferma Gino Lagorio, scrittrice e direttrice di una collana della Garzanti (ed io aggiungo moglie di Garzanti. Nota di B.C.). ' Si può arrivare a pub- blicare tardi, avendo cominciato da bambini. E' proprio il mio caso, per esempio. Che c'è di male? La pubblicità gon- fia i libri come vitelli con gli ormoni: ma la carne gon- fiata fa acqua sulla padella e i libri gonfiati fanno acqua in libreria. Bisogna rifiutare la fretta e il consumismo: ci vuole umiltà e lavoro di anni. Un grande libro si nutre della pazienza dei giorni e del silenzio inferiore. Altrimen- ti si hanno opere anemiche, senza vita. Ce ne sono anche troppe in giro '. A giudicare dalle reazioni del pubblico si è portati a credere che le cose stiano davvero così: non è un mistero per nessuno l'insuccesso di giovani autori reclamizzati negli ultimi tempi come piccoli Proust. Senza dare alcun giudizio di valore, è purtroppo un fatto notorio che le ultime leve di Einaudi sono state un insuccesso clamoroso ", chiosa secondo me poco convinto Troncarelli perché suppongo la pensi come me, che è facile fare af- fermazioni del tipo di quelle della Lagorio, classico esem- pio del sazio (forse per parentela?) che non crede al di- giuno. Sì, è vero che le ultime leve non hanno avuto successo autentico, reale, ma ci si è chiesti in base a quali criteri sono state scelte? Raccomandazioni, appartenenza ad un clan, alla bagarre letteraria? E se si fosse provato con qualche sconosciuto, senza appoggi? Forse non un Proust, ma uno o più decenti autori sarebbero stati trovati. " Da noi non c'è una grande scuola di romanzo ", insiste Violo sempre dall'articolo di Troncarelli. " Proust, Joyce, Kafka, Hemingway non sono nati in Italia e questo ha il suo peso. Il giovane viene fuori più facilmente se ci sono grandi scrittori che gli preparano la strada. L'indu- stria editoriale non può creare un talento: può solo aiutarlo ". " Ma se questo è vero ", scrive Troncarelli, " la solu- zione d'importare (pagando a peso d'oro) massicce dosi » di scrittori stranieri è davvero il toccasana? " " È una so- luzione sbrigativa e a lungo andare perdente ", dice sem- pre dalla stessa tribuna Ferretti e prosegue: " L'industria culturale nasconde così i suoi problemi, con superficialità. Cerca solo il lettore di passo, occasionale, disinformato. Non crea nuovi scrittori e un nuovo pubblico. L'ideale sarebbe un'industria seria, austera, che produca libri che durano, utili a tutti i livelli; che stimoli la formazione di nuovi talenti, investendo sulla lunga durata invece che in operazioni effimere ". " La cornaca degli ultimi tempi da purtroppo ragione a questa diagnosi ", commenta Troncarelli. " I mali che affliggono le grandi case editrici non sembrano stimolare un ridimensionamento di ambiziosi megalomani a favore di una serie di iniziative limitate, ma intelligenti, per ri- conquistare il pubblico deluso. ' Non ne parliamo ', sbotta Cesare De Michelis, della Marsilio. ' Le grandi case edi- trici invadono febbrilmente e nevroticamente tutti i set- tori in cerca del successo facile in ogni campo, scaricando in un attivismo forsennato i problemi di una mancata ristrutturazione. Risultato? Non c'è più posto per un pic- colo editore; non si concepisce che un autore venda meno di ventimila copie anche se è un esordiente; non si può più sperimentare nulla! ' Dello stesso avviso, anche se non lavora per una piccola casa editrice, è Giulio Bollati della Mondadori; in un'intervista recente ha ricordato che anche se occorrono poche centinaia di milioni per una nuova collana e invece molte centinaia di miliardi per comprare una rete televisiva privata, le case editrici pen- sano solo, ossessivamente, a questo tipo di operazione mastodontica e avventurista. Si comprende, allora, perché sia così diffìcile per un giovane scrittore essere pubblicato: gli editori hanno cambiato mestiere, ma ancora non se ne sono accorti ", conclude Troncarelli. E qui, se me lo con- sente l'autore di un così brillante, e perché no, coraggioso articolo, non mi posso dichiarare del tutto d'accordo con lui. Infatti, amico lettore, ho sotto agli occhi questa inser- zione pubblicitaria uscita su due moduli per due colonne nella terza pagina de « II Giornale » di domenica 24 feb- braio 1985: « CITTÀ ARMONIOSA Prestigiosa editrice cattolica e laica, è in volontaria liquidazione. Essa svende, fino al 31 marzo 1985, tutti i suoi titoli con sconti tra il 50 e I'80. In catalogo, tra l'altro, libri di Manzoni, Nievo, Proust, Wilde, De Saint- Exupéry, Reymont, Milosz, Santucci, Schneider, Jammes, Bosquet, Claudel, Bernanos, Mauriac, Maritain, Ramuz, Bergson, Boezio, San Bonaventura, Guitton, Galic, Gladilin, Dostoevskij e numerosi narratori contemporanei (alcuni finalisti al » Campiello» e allo «Strega»), Queste le of- ferte: 13 libri a scelta per L. 50.000; 27 libri per L. 100.000; 55 libri per L. 200.000. Tutti i 76 libri solo L. 250.000. Per chiarimenti, avere il catalogo, ordinazioni rivolgersi a... Indubbiamente da un senso di pena, di squallore ve- dere, in luogo dei soliti spesso trionfali annunci dell'uscita di un nuovo libro — sempre o quasi di un " grande " scrittore, di un " brillante " saggista, dal contenuto affa- scinante, suadente, interessante — una chiara manifesta- zione di resa, una bandiera bianca, polverosa, dagli orli forse stracciati; e mi ricorda quanto fece la Feltrinelli che qualche anno fa inviò una circolare di svendita di tutto o parte della sua produzione. Lì la resa era meno eclatante, più riservata (a parte notizie ufficiali di prefallimento, o quasi, o più) ; qui più aperta, pubblica. Vegliamo, anche se solo di sfuggita, esaminare le cause di un identico — a parte le dimensioni — insuccesso? Suppongo, amico lettore ormai smaliziato, non ti sfug- giranno i nomi degli autori stampati da Città Armoniosa: Manzoni, Nievo, Proust, Wilde, De Saint-Exupéry, Reymont, Milosz, Schneider, Jammes, Bosquet, Mauriac, Maritain, Ramuz, Bergson, Guitton, Galic, Gladilin, Dostoevskij. Mi sai dire cosa ci fanno nel catalogo di un piccolo editore? Li avresti acquistati tu quando le collane economiche o meno dei grandi editori ne sono piene (e attenzione, mi riferisco ai grandi scrittori universalmente conosciuti), ben distribuiti e a prezzo inferiore? E gli altri stranieri meno conosciuti cosa ci fanno? Un tentativo appassionato ' di farci conoscere talenti d'oltre frontiera? E perché non i nostri che pur ci sono — ne sono convinto —, basta cer- carli, incoraggiarli e pubblicarli? Ma nell'inserzione si scrive anche di non precisati K numerosi narratori contemporanei » (alcuni finalisti al (i Campiello » e allo « Strega » ). Perché, limitando le spese, non basarsi solo su di loro? Comprendo, la passione, la cultura senza frontiere. Giusto! ma i risultati... «Tutti i 76 libri solo L. 250.000 ». A 3.290 lire per libro! Più o meno il prezzo di costo a copia per piccole tirature. La realtà è, amico lettore — e leggi se già non l'hai fatto le pagine 21, 22, 23 e 24 de I Segreti dell'edito- ria —, che i costi sono tanti e gravosi e la sopravvivenza per un editore, grande medio o piccolo, non è facile se si sbaglia politica, se non si tiene nel giusto conto la noia, il fastidio di ritrovarsi sempre gli stessi narratori che, a meno di luminose eccezioni, gira e volta, raccontano — perlomeno nei contorni — sempre le stesse cose. Non c'è posto, è vero, per un piccolo editore, perlomeno nella nar- rativa. Troppe le difficoltà derivanti dalla distribuzione (ne parlerò fra poco in un intero capitolo), dai gravami di un'orma! costosissima pubblicità, da recensioni che non osceno con egualitaria frequenza, da interessi passivi per ritardati pagamenti e così via. Allora fanno bene o male i grandi editori? A mio avviso, caro lettore, male, per lo scarso corag- gio sugli aspiranti scrittori senza raccomandazioni; male, nel cedere, probabilmente spesso, alle pressioni del solito ambiente per pubblicare nuovi autori più protetti che bravi; male, nell'impegnarsi — come afferma Tronca- relli — in « ambizioni megalomani » (vedi, fra l'altro, grandi enciclopedie di quasi impossibile consultazione o opere in edizione superlusso di autori che alla decima pagina, se non prima, hanno del tutto stancato e forse per sempre disamorato anche il più volenteroso lettore con accademismi stantii e incomprensibili) ; ma bene, se s'impegnano nell'appropriarsi di nuovi spazi di potere (giornali, riviste, televisioni private) che potrebbero, se ben usati, giocare in favore di nuove aperture per il libro. Certo, non è facile schiudere e gestire mastodontiche ' operazioni del tipo, se non vado errato, Rizzoli-Corriere della Sera, o Mondadori-Rete Quattro, o Rusconi-Italia 1 ed ora Rusconi-quotidiani, ed è lodevole, prima di clamo- rosi fallimenti, mollare, in assenza di uomini adatti, ciò che sembra un passo più lungo della propria gamba o della propria specializzazione. In conclusione ti dirò, amico lettore, che mi piace la permissività dimostrata da alcuni grandi editori nel consentire ai propri dirigenti (vedi le dichiarazioni di Bollati) di esprimere pubblicamente le loro opinioni, an- che se contrastanti con la linea ufficiale. È il segno che non tutto è perduto e l'impressione, caro Troncarelli, che « gli editori hanno cambiato mestie- re » non è sempre giusta se, insieme al bilancio corrente, si pensasse anche ad investire nel lancio di nuove leve indigene di autori che potranno, col tempo, rendere bene e partorire una rinnovata e spero lunga serie di best seller. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Mar Mag 05, 2009 12:21 pm | |
| Cap.II VALERIO RIVA MI HA TELEFONATO, VISITATO E.. A proposito di best seller, ossia la definizione ormai entrata nell'uso comune anche italiano e che letteralmente dall'inglese significa best il meglio e seller ciò che si vende, un indubbio esperto è Valerio Riva. Ne « I Segreti dell'editoria » il suo nome e la sua azio- ne sono ricorrenti. Infatti la sua esplosiva dichiarazione, le repliche dei tirati in ballo, le sue precisazioni che invece di chetare eccitavano ancor più l'ambiente, le inchieste conscguentemente promosse dalla stampa specializzata riempiono molte pagine del mio pamphiet: per l'esattezza diciotto. È quindi innegabile che l'ex direttore editoriale della Rizzoli ne sia comprimario e, se non la ninfa Egeria del mio libro (che è l'aspirante scrittore con i suoi problemi, le sue angosce, le sue frustrazioni), rimane quanto meno colui che involontariamente mi ha fornito lo spunto per scriverlo. Perché le affermazioni di Riva suscitarono tanto cla- more? Per due motivi: il peso derivantegli dalla carica (la Rizzoli è il maggior gruppo editoriale del nostro Paese) e quella sorta di brutalità contenuta nella sua lapidaria dichiarazione: « L'ideale di un programma editoriale, per ridurre al minimo i rischi, sarebbe di escludere ogni titolo di narrativa italiana ». Non ero stato certamente dolce con l'ex alto dirigente e, dalle pagine del mio saggio, oltre a rintuzzare una per una le spiegazioni-accuse da lui addotte per giustificare il suo " proclama ", gli avevo posto una serie di domande e avevo avanzato l'ipotesi che fosse dovuto ad antichi ran- cori, a frustrazioni di scrittore inappagato, aggiungendo: « Onestamente non so se Riva abbia mai scritto o pubbli- cato un romanzo, un saggio, o perlomeno provato a farlo. Non conosco la sua vita, i suoi precedenti a parte quanto traspare dalle sue stesse affermazioni, di uomo di editoria di un certo rilievo. Forse solo la soddisfazione di un inca- rico di grande importanza come quello di direttore edito- riale di una Casa delle dimensioni di Rizzoli, e il sentirsi ormai invulnerabile». Continuando, però, con: «Ma sono poi tutte da criticare le dichiarazioni di Riva? e quanto sono portavoce di un reale pensiero non espresso a chiare lettere degli editori italiani? » Puoi quindi immaginare, caro lettore, cosa provai quando, dopo ben cinque mesi dall'uscita del mio libro, mi riferirono che aveva telefonato chiedendo di me il dottor Valerio Riva. Interesse vivo e una certa ansia! Amo il dibattito, la polemica costruttiva, il confronto, il poter arricchire le mie cognizioni e immediatamente formai il numero telefonico che era stato lasciato. Una voce netta, tagliente, da uomo deciso, d'azione. Un'istintiva simpatia ed un esordio civile e per la verità sorprendente. « Con un certo ritardo del quale mi vorrà scusare, ho comprato il suo libro e naturalmente sono rimasto un po' stupito nel vedere che è un libro in gran parte, o perlo- meno nel quale io ritorno per gran parte delle pagine». « Lei ha dato lo spunto al libro u. « Ecco, ora una frase mi ha colpito, le dirò...» « Sì, mi dica pure ». « Io non so chi sia questo signor Riva. Se lei forse avesse fatto un minimo di ricerca e mi avesse telefonato, io avrei potuto dirle molte altre cose e avrei potuto anche difendermi dalle sue critiche, anche se lei — molto gen- tile — di grandi critiche non me ne fa. Con molto piacere ho letto anche cose che sono specifiche e mi hanno inte- ressato. Ho comprato il suo libro semplicemente perché era un argomento che mi interessava e con grande sor- presa ho scoperto che invece ne sono uno dei protagonisti. Non le faccio una telefonata per contestare, sono ben lon- tano da questo, però avrei potuto intanto raccontarle in • che modo sono stato protagonista anche nella vita edi- toriale italiana degli ultimi trent'anni, e in più anche darle una serie di informazioni, indicazioni che potevano esserle utili per un libro che, tutto sommato, è molto divertente e mi piace ». « La ringrazio». « Ma come mai non ha ...» « Le spiego: per lei come per gli altri personaggi mi sono basato su dichiarazioni ufficiali rilasciate alla stampa specializzata di grande diffusione. Certo, non vi è dubbio che una presa di contatti diretti con tutti avrebbe potuto giovare al libro anche se bisognava, caso per caso, riuscire a capire fino a che punto l'interlocutore sarebbe stato sincero o coraggioso. È probabile che qualche colloquio, laddove ci fosse stata immediata disponibilità come appare in questa circostanza, sarebbe stato costruttivo. Ma tutto sommato forse è meglio come ho fatto. Prima dell'uscita e del successo del libro non sarebbe andata così. In ogni modo ora siamo qui, ho piacere della sua telefonata... e sentendola mi dispiace di non averle parlato prima, sep- pure non sapevo dove trovarla ...» « Tanto per dire una cosa, lei a un certo punto mette in dubbio le cifre che riguardano i costi industriali. Avrei potuto darle una serie di elementi... perché i costi veniva- no da un sacco di componenti, perché questi costi industria- li venivano fuori da esperienza; intanto venivano diret- tamente dalla Rizzoli e sui costi si possono fare molte più considerazioni di quante lei non ne abbia fatto; ma lei sa che le spese indicano quello che costa un prodotto, ma anche lo stato delle aziende ed in particolare delle aziende editoriali di questo Paese. Certo che si possono stampare libri con meno prezzo, però i libri vanno gravati di spese che rispondono, non dico ad una logica, ma ad un'illogi- cità del sistema. Comunque io penso che sarebbe interes- sante che noi ci conoscessimo; le dirò anche una cosa: il suo saggio mi ha fatto piacere per un'altra ragione. Quando io sono venuto via così clamorosamente dalla Rizzoli, ho pensato di scrivere un libro simile, pressappoco sul tema che lei ha adoperato. Sono andato da un paio di amici editori, fra cui, ad esempio, da... (un nome al- ' quanto conosciuto. Nota di B.C.) e mi ha risposto: " Ah, per carità, è un argomento che non interessa nessuno, son delle rogne... " Se c'è libertà e se si vogliono raccontare... Tanto per dirle come stanno le cose, io ho incominciato a lavorare nell'editoria nel 1951 e sono diventato abbastanza presto direttore editoriale di Feltrinelli, io ho fatto la Feltrinelli dal primo giorno fino al 1968, quando Feltri- nelli girava per la casa editrice armato come se stessimo sulle Ande e a me le armi fanno una certa impressione e me ne sono andato. Ma ho fatto, ho fatto i grandi suc- cessi, dal Dottor Zivago al Gattopardo fino a Garcia Mar- quez, sono successi che ho edificato io e allora lei capisce che ne so tanto ». « Immagino ». « Eh, eh, poi quando sono andato alla Rizzoli non ci sono andato per caso, e non per caso è successo quel che è successo, perché onestamente sono anche uno degli ele- menti più detestabili per loro, perché ho sempre detto la verità, però sono anche uno che fa e molti sanno che ho fatto tante cose. Volevo dirle, in questo senso, forse sareb- be una bella cosa se un giorno o l'altro ci incontrassimo, chiacchierassimo, perché quel libro che io non ho scritto tutto sommato l'ha fatto lei, e allora mi è venuta la voglia di riprendere questa cosa, non so se abbia avuto successo. L'ha avuto? » « Io direi considerevole, sempre tenendo presente che non partiva da una grossa casa editrice...» Non continuerò, amico lettore, a riferirti parola per parola un dialogo che, se anche non completamente fedele nei minimi dettagli, è del tutto vero nella sostanza, nelle cose più importanti, nei nomi e nei fatti. Ma desidero per ora sottolineare quale avallo abbia avuto il mio libro ed il piacere che ho provato anche per tè. Sì, perché era la conferma, se ancora ce ne fosse stata necessità, di aver scritto qualcosa di utile per il lettore, l'aspirante scrittore, gli autori italiani e, perché no, anche per gli editori. Sep- pure, come avrai letto da Riva, uno di loro, e non certo di scarso peso anche se non dei sommi, riteneva, e a torto, che l'argomento non interessasse! Il colloquio è continuato e l'istintiva simpatia per • Riva — perbacco, uno che aveva fatto grande la Feltri- nelli, che aveva deciso di far pubblicare II Dottar Zivago, II Gattopardo e Marquez! — si è rafforzata, questa volta non più per istinto, ma per ciò e come l'andava dicendo e per la passione che traspariva più che evidente. Si è parlato di Bevilacqua, di logge massoniche, di " grandi elettori " e si è progettato un lavoro in comune, forse un dialogo fra Riva e me riportato su un grande settimanale, o addirittura di scrivere un nuovo libro su I Segreti dell'editoria che contenesse anche le dirette stimolanti esperienze di chi, come Riva, vi è stato dentro dal '51 all'83, sia pure con qualche interruzione, ma in posizioni che presto son divenute di primo piano, inizial- mente in una casa di avanguardia e fortemente impegnata come Feltrinelli, e poi in una delle massime che è rimasta a lungo nell'occhio del ciclone di casi clamorosi come la vicenda Corriere della Sera, P2, Ortolani e così via. Ci siamo ripromessi di conoscerei di persona presto e... il giorno dopo, o meglio la sera dopo, Riva era da me. Veniva da Roma al termine di una giornata d'in- tenso lavoro comprendente impegnative registrazioni tele- visive per una serie di trasmissioni socio-politiche su di un viaggio in America latina ricco di pungolanti incontri, interviste, inchieste nelle quali non aveva certo trascurato la letteratura per la costante presenza di scrittori indi- geni, conosciuti o meno, ai quali tanto dobbiamo per la scoperta di quanto quel mondo affascinante stia cambian- do. Era montato in auto nel tardo pomeriggio per rag- giungermi quasi alle dieci. È alto e robusto, Riva, sguardo diritto, piglio deciso da dirigente, da uomo d'azione e dimostra meno dei suoi cinquantacinque anni. Avevamo cenato insieme come vecchi amici, voluta- mente parlando d'altro e poi, dopo aver visto la puntata di quella sera del suo servizio, da mezzanotte ad oltre le quattro del mattino avevamo intensamente dialogato di editoria, di libri, di scrittori, di costi e di autori (e qui Riva si era scatenato in difesa del suo " proclama " ) che vanno avanti a botte di duecento e più milioni per volta di anticipo, che fanno parte ed organizzano clan e co- • sche mafioso con le quali condizionano o cercano di con- dizionare gli editori e i dirigenti editoriali, e il nome di piduisti era tornato prepotentemente alla ribalta della conversazione intervallato da figure positive e coraggiose di chi, fra funzionar! di case editrici, s'era accorto di " ruberie " ed ora intervenuto. « Sono cose che vanno raccontate queste qui, perché è impossibile continuare a farsi imbrogliare da certi cial- troni! », aveva sostenuto veemente, ma controllato. « Ma lei si sente di farlo? », avevo chiesto. « Ah, come no, come no! Per me è un invito a nozze. Io sono del parere che bisogna sempre parlare a voce alta, mai nascondere niente », la risposta. Questo m'era piaciuto di Riva, insieme con l'amore per la sua professione, la nostalgia a me evidente, sebbene tentasse di mascherarla, per l'editoria, i libri, quell'impe- gnarsi senza risparmio, senza il purtroppo ormai diffuso — specialmente nelle nuove leve, nate e cresciute nel benessere consumistico — costume di misurare, centelli- nare i propri sforzi lavorativi tanto legati a precisi e brevi orari, principalmente rivolti alla retribuzione e non ai risultati nella tranquilla (anche troppo) sicurezza della stabilità del " posto ". Avevo quindi con piacere scoperto nel giornalista di oggi e nel dirigente di ieri alcune importanti affinità con me. Ho infatti sempre pensato che il pubblico, i lettori — principalmente i miei lettori — debbano sapere ciò che c'è dietro quello che consumano. L'ho attuato ne « L'arte moderna in sintesi schematica u nella parte riservata al mercato dell'arte, ho proseguito ne « I Segreti dell'edito- ria», l'ho sviluppato ne «I Segreti del mondo artistico» senza risparmio d'impegno e di tempo. L'avrei fatto con piacere nel libro con Riva. Sì, perché questo pro- getto stava sempre più prendendo corpo fra le spirali di fumo delle mie sigarette e quelle dei grossi sigari del mio ospite. Dimentichi delle ore che passavano veloci e di essere ormai nel cuore della notte, affrontavamo il come realizzare il nuovo saggio. Certo, un libro a quattro mani non è facile quando, pur essendoci affinità e stima, si proviene da esperienze diverse e, oltretutto (è il mio ' caso), non si è abituati a farlo. Riva aveva proposto uno scambio di lunghe lettere, io una serie di colloqui da limare e suddividere per argomenti. S'era, alla fine, optato per la mia soluzione con qualche modifica e cercando di conciliare gli intensi impegni di entrambi e la distanza di residenza. Poi... poi tristi vicissitudini familiari, un nuovo lungo viaggio di lavoro di Riva e si era dovuto rinviare: da dicembre a gennaio, da gennaio a febbraio e infine sine die. Ora, amico lettore, devi sapere che già prima della telefonata di Riva avevo progettato di scrivere ancora sul- l'editoria e sulle reazioni che il mio saggio aveva susci- tato. Pressante ad ogni novità del " dopo " il desiderio cresceva, ma non riuscivo a prendere la decisione defi- nitiva combattuto anche dalla mia passione per la nar- rativa. Evidentemente l'ex direttore della Feltrinelli e della Rizzoli deve rappresentare la spinta decisiva all'at- tuazione dei miei saggi sull'editoria. Così per il primo come per il secondo. Ma non mi va di attendere, di rimandare (questo è stato il motivo di miei rifiuti a offerte di grandi, medi editori) e appena possibile ho iniziato a utilizzare gli ele- menti che avevo già raccolto e quindi a metter su carta ciò che stai leggendo senza Riva come coautore, ma an- cora ben presente in queste pagine. Non troverai quindi, per ora, approfondimenti e rivelazioni su scrittori impor- tanti, famosi o di successo nei rapporti con gli editori e con il potere, ne su quelle che Riva aveva definito « le mezze verità o le mezze bugie » di Bevilacqua sulla Riz- zoli, ma tutto sommato non ritengo che tu abbia perso molto perché apprenderai da questo pamphiet ciò che penso più di interessi: ovverosia le reazioni di alcuni di loro e di mezzetacche superprotette a I Segreti dell'edi- toria e ai problemi degli aspiranti scrittori. Ho, mi son detto, spinte inferiori ed elementi più che sufficienti per dare alle stampe un nuovo libro il cui inte- resse, ne sono certo, non sarà inferiore al primo che fra l'altro, pur senza l'ausilio di Riva, ha ricevuto tanti avalli e poche critiche davvero serie e documentate; anzi in • definitiva nessuna, perché laddove Riva sostiene, limitata- mente ai costi, che avrebbe meglio potuto giustificarli, spiegarli, condannarli, me l'ero cavata, credo, più che bene e lo stesso ex dirigente, oltre agli elogi che hai appena letto, ha voluto, in un pezzo sull'Espresso del 7 aprile 1985 (sia pure con eccessivi contrasti chiaroscurali e qualche omissione) celebrare pubblicamente il successo di quello che ha definito « sulfureo libbriccino », sottoli- neandone le massicce vendite e i grandi consensi. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Mar Mag 05, 2009 7:00 pm | |
| Cap. III PROBLEMI E MISERIE DELLA DISTRIBUZIONE Nel quadro generale della lunga, sembra intermina- bile, crisi dell'editoria, che è secondo le ormai endemiche e querule dichiarazioni di quasi tutti gli operatori del settore prevalentemente irreversibile crisi di vendita, a mio avviso la colpa preponderante va attribuita al sistema e, perché no, alle miserie della distribuzione, intendendo per essa anche i punti di smercio. Non uso a sproposito tale ultimo sostantivo perché non pochi distributori e librai trattano il prodotto libro senza il necessario amore e rispetto, senza la gioia, l'or- goglio di far parte di un sistema produttivo-distributivo di cultura. Per molti di loro libri o patate (e non voglio offendere le patate) sono la stessa cosa e il tutto si risolve in un arido conteggio spese-profìtti. Sono convinto, e mi auguro di riuscire a dimostrarlo, che in Italia si possono vendere molte più copie di libri di quanto si faccia, se il " sistema " fosse più duttile, più coraggioso, più selettivo e in breve meno dipendente da stupide furberie di pochi tendenti a frodare (con gua- dagno di valuta, o addirittura non pagando del tutto qualche copia) il compagno di cordata. Ricorderei forse, amico lettore, quanto ti raccontai ne « I Segreti dell'editoria » sull'itinerario di un libro: editore-»distributore-*libraio-»acquirente. Ebbene, di massima (escludendo i grandi editori che hanno una propria autorevole organizzazione di promo- zione e distribuzione) il distributore può, in un termine temporale stabilito, restituire all'editore le copie invendute senza pagarle e il libraio, sia che acquisti in conto asso- luto o in conto deposito, potrà, nel primo caso pagare ma farsi cambiare le copie invendute con altre di altro titolo, o addirittura non pagare affatto rinviando — anche molti mesi dopo — copie dimenticate in oscuri retro- bottega. Solo l'editore quindi non potrà restituire allo stam- patore le copie invendute che dovranno sempre e comun- que essere pagate. Puoi ora meglio comprendere perché l'editore è tanto esitante nell'accettare nuovi autori non raccomandati e spesso chiede, al di là delle qualità letterarie del testo (che sovente non viene nemmeno letto), il pagamento delle spese in misura ben maggiore — in non pochi casi — del reale costo, realizzando in partenza un utile e quindi poco interessandosi di spingerne la vendita. È bene però chiarire immediatamente che i grandi e medi editori non pubblicano libri a pagamento, che buona parte delle organizzazioni di distribuzione o molti singoli distributori sono di un'assoluta serietà, come i librai di più antica tradizione e non pochi di quelli che hanno iniziato l'attività negli ultimi vent'anni. Non posso e non voglio darti, caro lettore, l'imma- gine di un mondo disonesto, laddove solo una percentuale, forse non alta, getta il discredito, come spesso avviene, su categorie onorate; ma tradirei lo scopo e la linea dei miei saggi se non ti raccontassi con sincerità come stanno le cose. Ti farò, per chiarezza, qualche esempio. Anni fa un minuscolo editore era convinto di posse- dere un romanzo scritto bene e tanto originale da poter realizzare soddisfazioni e massicce vendite. Si rendeva conto della necessità di stamparlo in una veste allettante (copertina vivace e ben progettata e realizzata, carta pe- sante di ottima qualità, caratteri piacevoli e chiari, prezzo basso), di investire alcuni — non pochi — milioni per la pubblicità, di affidarlo ad un'organizzazione di vendita a carattere nazionale che garantisse una capillare distribu- zione creando le cosiddette " pile " (da sei libri in su) presso librai e cartolibrai. Sottopose il testo e il progetto a una specie di società-unione-sindacato distributori. Il * responso fu favorevole: ottimistiche — una volta tanto — previsioni di buoni risultati di critica e di vendita vennero fatte. Tiratura consigliata per la prima edizione, da sei- mila a diecimila copie. L'editore ne stampò diecimila e accettò di pagare una cifra, a fondo perduto, di due milioni e mezzo (da dividersi fra gli 11 distributori asso- ciati), oltre a concedere lo sconto del 55 per cento. Gli erano stati garantiti la continua e massiccia presenza di molte copie del libro in perlomeno mille punti vendita, qualche vetrina (esposizione di una o più copie del libro per una settimana nella vetrina del libraio), rendiconti vendite mensili ed elenco librai fomiti, pagamenti sicuri e puntuali. L'operazione ebbe inizio. Alcuni degli associati si comportarono sempre in modo lodevole, mentre altri, compreso il capo dell'organizzazione (uno degli associati) si limitarono a diffondere poche copie in poche librerie, non inviarono rendiconti ne altro! Pensa, amico lettore, alla giusta irritazione dell'edi- tore quando seppe che addirittura in qualche grande città, dove erano usciti su prestigiosi giornali recensioni e co- stosa pubblicità, il suo libro non era stato ancora distri- buito e potenziali lettori si recavano per acquistarlo e non lo trovavano, non una ma più volte. Comprenderai, anche tu l'hai o l'avresti fatto, che presto annoiati questi volenterosi, o rinunciavano, o dirot- tavano la preferenza su altri romanzi. Quante vendite mancate con il comportamento che ti ho descritto? Migliala, amico lettore, se consideri che nonostante tutto quel titolo ha venduto oltre cinquemila copie e or- mai sai quanto sia difficile raggiungere tali livelli se non è grande l'editore o l'autore. Se moltipllchi questo caso, che è uno dei tanti, per diecine, centinaia o migliala d'altri, ti renderai conto che centinaia di migliala di copie o addirittura milioni non vengono vendute a causa di chi si è assunto un compito e non lo rispetta scrupo- losamente. E il danno maggiore è rappresentato dal let- tore non abituale che, una volta attratto da quello o quei titoli, s'era recato ad acquistarli e non trovandoli si è allontanato, forse per sempre, dalla libreria! , Incapacità, leggerezza o disonestà? Incapacità, nel caso degli associati (ribadisco, solo qualcuno di loro) che normalmente distribuiscono anche editori più importanti e meglio organizzati, non credo: quindi, o leggerezza o disonestà. Due esempi. Un distributore con sede in una città pugliese non aveva mai dato rendiconti e, alle numerose richieste di restituzione delle copie invendute, non aveva mai risposto. L'editore inviò questa lettera: Dobbiamo significarvi che la vs affezione ai ns libri ci commuove! Infatti, non appena comunicatevi l'accordo di distribuzione con l'associazione di cui fate parte e su- bito dopo aver preso visione della copertina del romanzo da noi edito: «...», il vs titolare si precipitò a telefonarci chiedendoci non i cento volumi destinativi ma cinquecento promettendo cospicue vendite. Si era a marzo ... Il 6 luglio, dietro ns sollecitazione, ci comunicavate che non avevate venduto nemmeno una copia!! Ci risultava invece, che anche senza aver raggiunto una seppur modesta parte delle vostre promesse, qualcosa si era venduto nella vs zona, ma troppo poco. Chiedemmo quindi, più che motivatamente, la restituzione delle copie invendute entro e non oltre il 15 settembre. La ns raccomandata r.r. era del 14 luglio. Evidentemente però il vs attaccamento al ns libro incominciava a diventare morboso e non ci spedivate nulla: ne soldi, ne libri! Con altra ns raccomandata del 20 settembre, solleci- tavamo ancora la restituzione ponendovi come nuovo ter- mine il 15 ottobre. Evidentemente la morbosità aumentava perché ancora ne soldi, ne libri!! Infine con altra ns raccomandata del 23 novembre, sollecitavamo ulteriormente invio dei libri, di fattura di ritorno (che ci serviva per rimborso iva) e del saldo del venduto, ma a tutt'oggi niente ancora! EBBENE AVETE VINTO! POTRETE TRATTENERVI I NS LIBRI E DARE LIBERO SFOGO AL VS DESIDE- RIO!! ' A noi ormai non servono più: avete fatto andare a monte dirottamenti verso altre zone da dove rispondono e pagano, vendita in blocco e possibilità di richiesta rim- borso iva, oltre a gravare il ns bilancio attivo. TRATTERRETE I NS LIBRI MA PAGHERETE LA NS FATTURA N"... DELL'8 MARZO DI LIRE 1.462.374 RELATIVA A 500 COPIE DI « ... »/ ... Dopo pochi, pochissimi giorni giunsero, spedite pre- cipitosamente, circa 400 copie invendute e il saldo delle 100 alienate evidentemente da tempo. Un altro distributore con deposito in Sicilia fu invece più duro, a dimostrazione che non basta una lettera ben concepita per incassare; aveva inviato la resa, ma mai pagò il venduto, nonostante minacce e intervento epistor lare del legale dell'editore e la promessa del nuovo capo dell'organizzazione di costringerlo a pagare, anche se poi, ma non so se per questo o analoghi motivi, fu estromesso o si dimise dall'associazione. Mi potrai chiedere, caro amico, ma le colpe sono solo dei distributori? No.di certo, è il sistema e la mentalità che sono sba- gliati. Infatti i distributori a loro volta debbono vedersela con alcuni librai ed editori non proprio limpidi nel loro operare. Ritardi incredibili nel controllo del venduto e difficolta, a volte insormontabili, nell'incassare per quanto riguarda librai reprobi, ed esposizione massiccia, qualche volta del tutto o quasi irrecuperabile, con editori incapaci o turpi. Perché, come possono fare questi ultimi dopo ciò che ti ho raccontato del sistema? Devi sapere che alcuni editori, presentando una giran- dola di titoli, la possibilità di un fatturato cospicuo, ampia pubblicità, ottengono, contro l'invio ai distributori di die- cine di migliala di copie, delle anticipazioni mensili con il patto di rimborsare immediatamente eventuali inven- duti. E poi a volte falliscono realmente o artatamente e i distributori prendono un bei " bagno " ! Questi naturalmente sono i casi limite, ma una certa regola nella piccola frode, che ora nel nostro felice Paese non è nemmeno più considerata tale, è il guadagno di valuta. Se, ad esempio, un libraio o un distributore deve pagare in un certo mese mettiamo 100 milioni, un ritardo, con silenzi o scuse, di sei mesi rende, ai normali tassi dei più semplici investimenti, dall'uno al due per cento men- sile ovverosia, nel nostro caso, da sei a dodici milioni! Abbandonando per ora casi di disonestà, sono del pa- rere che davvero poche volte in Italia nella media e pic- cola editoria si riesce a premere sull'acceleratore al mas- simo delle possibilità di un singolo titolo, per la brutta abitudine e la scarsa coscienza professionale di taluni distributori che ritengono più comodo assumere la con- cessione di moltissimi (anche oltre 100) editori, senza operare un'accurata selezione per il semplicistico e dan- noso (per il libro) ragionamento di distribuire ad esempio dieci titoli ad editore in poche librerie e quindi con minore sforzo. Otterranno così la vendita annuale, o meglio seme- strale, di una media di cinquanta copie per titolo, che moltipllcate per dieci (numero dei titoli) e per cento (numero degli editori), daranno come risultato 50 mila copie vendute, che a loro volta forniranno la non disprez- zale cifra di 500 milioni, quale prodotto di un prezzo di copertina medio di diecimila lire. E il guadagno abba- stanza facile ed indolore per un distributore che così si comporti ammonterà a cento milioni annui lordi (percen- tuale di sconto distributore 50/55 per cento; percentuale libraio 30 per cento). È indolore perché operare con 10-20 punti vendite che siano sempre gli stessi è abbastanza facile e sicuro dopo averne accettato la solvibilità ed aver intrecciato buoni rapporti di amicizia Un titolo tira, si potrebbe vendere bene, andrebbe pro- posto anche altrove? Cosa importa a queste mezzemaniche della distribuzione? Nulla, amico lettore, perché scalma- narsi quando, si sa, lettori fìssi, avidi di novità ne fanno incetta, anche se il loro numero non supera in genere i 50-100 per grande città o regione! Così, ripeto, potenziali di vendita molto più cospicui vengono letteralmente buttati via a scapito dell'editoria < e degli autori. Cosa dire poi di molte librerie e del loro scarso senso della vendita; della colpevole incuria degli interessi altrui (e anche loro)? L'importante è non rischiare. Guadagni sufficienti per la famiglia vengono dal grande movimento dell'editoria scolastica che smuove centinaia di miliardi all'anno, che non debbono stupirti se solo fai mente locale alla massiccia scolarizzazione italiana degli ultimi de- cenni. Queste librerie, una volta accontentati i potenti grandi editori, si limitano, anche per un libro che va e si vende, a tenerne in negozio una copia o nessuna, non preoccu- pandosi di ordinarne altre perché gli scaffali si riempireb- bero troppo e principalmente perché, una volta esaurita la prima scorta, grande o piccola che sia, dovrebbero pa- garla subito, o meglio decorrerebbe il termine di paga- mento, fissato quasi sempre in novanta giorni. Allora, dedurrai ovviamente, accetteranno cospicui quantitativi "a deposito" che, come ormai sai, non deb- bono essere pagati se non alla " resa " del venduto, anche dopo vari mesi. Invece no! Anche questo non va bene per loro, e il lettore desideroso di acquistare un testo di un medio o piccolo editore si stancherà presto di cercarlo e non trovarlo, e vi rinuncerà definitivamente. Tristezze di una mentalità gretta, alla quale sarà dif- ficile porre rimedio principalmente perché colpisce solo in parie la grande editoria e i grandi distributori. Inoltre lo stesso Riva (allora Rizzoli) dichiarò: « Vendere in libre- ria è marginale » ; e Arneri (Mondadori) : « Conta piut- tosto il non aver trovato nuovi canali distributivi » ; e Violo (Rizzoli) : « ... il problema della distribuzione. I libri si vendono solo al centro delle grandi città: un nuovo pubblico di lettori, se ci fosse, non riusciamo a raggiun- gerlo»; e infine Gelli (Garzanti): «...problemi di mer- cato, programmando tirature e canali di distribuzione adeguati. In America li si trova dappertutto, da noi sono rare le librerie ...» (interviste riportate su I Segreti del- l'editoria alle pagine 26, 36 e 37). | |
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| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Mer Mag 06, 2009 11:50 am | |
| Cap. IV BOICOTTAGGI, BLACK-OUT E SCOMPENSI DI UN MASS-MEDIA Dopo i primi due capitoli, amico lettore, dalla colo- razione vivace, intensa, positiva per i fatti e le persone che li hanno popolati, già dal terzo avrai potuto notare un abbassamento di tono ed un cambiamento di segno, che diviene decisamente negativo in questo quarto capi- tolo dove sono costretto, quale cronista attento e commen- tatore che tenta di mantenersi sereno, a raccontarti di boicottaggio e black-out. Sono termini questi che vanno usati con parsimonia e analizzando con attenzione mi- nuziosa i fatti. Tè li racconto, caro amico: giudica tu. L'editore de « I Segreti dell'editoria » s'era affidato ad un'organizzazione di vendita che aveva promesso grandi cose e principalmente la possibilità di controllare quasi di continuo i punti vendite in tutta Italia che sarebbero stati riforniti delle copie del pamphiet, oltre naturalmente a responsabilità e pagamenti concentrati ed effettuati in termini ben stabiliti ed accettabili. Invece, dopo le intese verbali, un contratto che tradiva gli accordi e pretendeva, in aggiunta allo sconto del cinquantacinque per cento per vendite che si prevedevano massicce, una quota fissa da pagare a fondo perduto. Le spedizioni già fatte della se- conda edizione, stampata in tutta fretta dopo il successo della prima diffusa solo in poche zone, venivano quindi richiamate e bisognava procedere a una riorganizzazione della distribuzione. Puoi ben comprendere quale scombussolamento e che ritardo nella diffusione del libro ciò comportasse e i note- voli danni alle vendite con librerie desolatamente sfornite, nonostante richieste degli aspiranti lettori sempre più pressanti. Un boicottaggio? Chissà. Fortunatamente però la potenzialità di vendita del «sulfureo libriccino» scatenava una specie di competizione fra vari distributori non associati che risolveva, sebbene in modo non perfetto ne completo, questo primo grave intoppo. Ma nel periodo d'interregno qualcos'altro di stra- no era successo: in certe particolari rivendite gestite da un'unica società, il saggio, nonostante fossero andate let- teralmente a ruba le prime copie, era scomparso e non giungeva domanda di rifornimenti da parte dei titolari. Un vero mistero! Un black-out? Ma black-out, secondo l'accezione comune e l'autorevole avallo dello Zingarelli, significa: « assoluta mancanza di notizie, silenzio completo nei riguardi di qualcosa », mentre boicottaggio vuoi dire (Zingarelli) : « danneggiare economicamente un impren- ditore sottraendogli elementi indispensabili alla produzio- ne o impedendo la vendita delle merci prodotte oppure ostacolare la riuscita di qualcosa ». Quindi, nei casi de- scritti, dovrebbe essersi verificato, se si escludono l'avidità o l'incapacità della distribuzione, non un black-out ma un vero e proprio boicottaggio. Il black-out veniva, invece, messo in essere da un quo- tidiano del Sud che, non solo non recensiva I Segreti dell'editoria, ma non lo nominava mai nemmeno in un microscopico trafiletto, e non solo nei primi tempi, bensì fino ad oggi (5 aprile 1985), e non è a dire che non cono- scessero il mio nome e le mie opere! Davvero strano, potrai pensare, caro amico, ma tu non sai quali caotici guazzabugli imperino in quel foglio e quali capovolgi- menti di valori vi si verifichino in una sorta d'anar- chia dove alcuni ras settoriali fanno il brutto ed il cat- tivo tempo con preferenze che, a mio avviso, più che da corruzione, dipendono da personali simpatie, ami- cizie e da una sorta di desiderio di ossequio intensamente voluto sebbene non espresso a chiare lettere. Scrittori di primo pelo ottengono recensioni su più colonne, altri non meglio qualificati parlano dei redattori culturali con il confidenziale appellativo di « i ragazzi de... (nome del quotidiano. Nota di B.C.) », e hanno il permesso di pubbli- care racconti di insulso spessore, mentre pittori di chiara fama e di larghi consensi vengono sistematicamente tra- scurati per il grave torto di non adeguarsi alle tendenze particolari e limitate del critico, e proteste, organizzate e ragionevoli, lasciano, o meglio lasciavano fino a qualche tempo fa, completamente indifferente ed accidioso il diret- tore. Sembra inoltre che un certo influsso su alcuni dei ras sia esercitato da elementi della concessionaria di pub- blicità. Quale differenza, amico lettore, da fogli di altre città dove, sì, forse qualche spinta, amicizie e qualche raccomandazione pure contano, ma vivaddio si valorizzano e si pubblicano recensioni di opere, purché valide, anche di chi non intende sottostare a mortificanti atti di omag- gio e non si piega a mostrarsi amico per puro interesse. Un clamoroso caso di ribaltamento dei valori si veri- flcò (nel quotidiano del Sud del quale sto parlando) qual- che anno fa quando una neoscrittrice — per la verità non male, ma ben lontana dal tracciare nuove strade nella nostra letteratura — pubblicò il suo primo romanzo con scarsissimi riscontri di vendite. Ebbene, a questa super- protetta, favorita da chissà quali più o meno nascoste qualità, il quotidiano dedicò, all'uscita del suo primo ed unico romanzo, un'intera pagina così utilizzata: titolo-su nove colonne delle quali una riportava la recensione e le altre otto le prime pagine del suo libro. Una vera " cele- brazione " ! non concessa nemmeno a noti e affermati scrittori i cui nomi si affacciano in buona evidenza su autorevoli enciclopedie e non solo italiane. A questi " pel- legrini " venivano dedicate sette, cinque e quattro colon- ne, beninteso non intere, e a me, per un mio altro libro (e ne fui più che soddisfatto) quattro colonne sempre non intere, ma per circa metà dell'altezza della pagina. Sì, perché vedi, amico lettore, questo è lo strano, non è che il quotidiano incriminato non si sia mai occu- pato dei miei libri, sebbene (e ciò fa onore al giornale) non mi sia mai chinato ad omaggio ed ossequio. E allora come comprendere il silenzio su I Segreti dell'editoria? a cosa attribuirlo? Incapacità nel saper cogliere l'occa- sione per parlare di qualcosa di notevolmente nuovo e interessante? oppure un malinteso senso di rispetto al pò- ' tere editoriale, uno stupido servilismo offensivo, fra l'al- tro, dell'intelligenza di alti dirigenti che certamente non sono sprovveduti ed hanno inoltre mostrato di aver capito gli intenti costruttivi del mio pamphiet? Decidi tu, amico lettore, io sono davvero sicuro che non è dalla grande, media editoria che potesse giungere una richiesta di black- out. Forse, con buone probabilità, la chiave del condanna- bile comportamento è da ricercare — se si vuoi anche escludere l'invidia — sempre nella favoritissima e cele- brata (dal giornale) scrittrice. Infatti un paio di mesi dopo l'uscita del mio libro, comparve nella terza pagina, sempre dello stesso quotidiano, un suo lungo articolo nel quale, fra l'altro e senza citare ne me ne I Segreti dell'editoria, si lasciava andare a consigli agli aspiranti scrittori dai contenuti e tono che ti riassumo perché non voglio, citan- done ampi stralci, doverla nominare: non certo per timo- re, ma per non procurarle gratuita pubblicità che certa- mente, sempre a mio avviso, non merita. Premettendo che a lei, oltre che « caterve » di mano- scritti, arrivano anche « caterve » di libri già pubblicati, telefonate di case editrici — e si noti bene — « affer- mate », che tendono a considerarla « come il proprio uffi- cio stampa», da i seguenti consigli: 1) Le case editrici importanti pagano persone addette alla lettura, mentre le « minori » non pagano in genere nessuno. 2) Gli addetti leggono un manoscritto dall'inizio alla fine solo dopo aver letto alcune pagine (le prime, qualcuna del centro e la fine) ed esserne rimasti «catturati». 3) Sempre o quasi hanno ragione nel giudizio, rare volte no e clamorosamente, ma «è inevitabile». 4) È negativo mandare manoscritti agli scrittori perché non sono pagati per leggerli ed hanno problemi esi- stenziali, perché hanno i loro gusti personali, perché non troverebbero il tempo di « vivere », perché provano di frequente « amore-odio » per tutti i libri compresi i loro. 5) Gli aspiranti scrittori « s'informino meglio » sul tipo ^ di casa editrice e leggano libri, mia, anche cataloghi. La sicura e sapiente scrittrice da anche consigli agli editori Questi mandino i libri che «auspicano» siano recensiti, alle direzioni dei giornali e non ai recensori. Quando riceve un libro (lei, la scrittrice) non sa mai « se sia un dono o un'intimidazione ». Poi «per chiarire meglio il suo punto di vista», ag- giunge che in un certo periodo, presa dalla campagna elettorale per importanti elezioni alle quali evidentemente tiene a far sapere di aver partecipato come candidata, « si è presa una vacanza » e ha riletto per la quarta volta un libro di un notissimo autore russo. Poi, terminata «la vacanza», si è «immersa nella posta, nella caterva di libri e dattiloscritti». Fra tutti «ha prestato attenzione » (come dattiloscritti) «alle poesie erotiche di un signore al quale è legata da affetto profondo». Invece fra «gli autori affermati», al romanzo d'un indiano e, infine fra le pubblicazioni « dei piccoli editori » ne « ha scelte tré », una delle quali scritta da uno «che conosce da molti anni» e del quale «incontrava il padre». Lo scrittore di poesie (quello che conosce) le diede il dattiloscritto dicen- dole: «Tengo alla tua opinione, dammi un consiglio, co- munque ho deciso di pubblicarlo a mie spese ». Al che lei rispose: «Aspetta, se sono belle è meglio provare con qualche editore». Ma lui fu «irremovibile» e dopo poco arriva il libro di « spessa carta che quando la tagli diventa frastagliata come le coste della Grecia, molto margine bianco a suggerire il raccoglimento e il silenzio». Il libro è stato stampato « in soli 239 esemplari; alcuni esemplari si trovano presso la libreria... (e qui nome e indirizzo. Nota di B.C.). L'articolo, caro lettore, si chiude in bellezza sugge- rendo a « autori di dattiloscritti, di libri e libretti celebri e celeberrimi oscuri o ignoti di sospendere per un giorno la loro attenzione da tutto questo commercio di parole di piombo» e di recarsi ad un museo dell'estremo Sud, dove c'è una lamina con un testo orfico, « di cui per fortuna pochi soltanto conóscono (la formula segreta. Nota di B.C.) fra cui il mio amico... (e qui pone solo le iniziali dell'amico chs sa. Nota di B.C.) che mi ha con- dotta a vederla». ' Come giudichi, caro lettore, il contenuto dell'articolo che ti ho sunteggiato? Cosa ne pensi del suo raccontare fatti o prodezze personali ed occuparsi di testi (due su cinque) di amici per i quali fornisce anche il nome e l'indirizzo del libraio dove acquistarli? E, infine, come reputi i suoi suggerimenti ad aspiranti scrittori ed edi- tori, affermati o meno? Trovi che abbia più spocchia che qualità? Perché non si è sentita in dovere di citare I segreti dell'editoria che non poteva fare a meno di conoscere, perlomeno dalla pubblicità? Non voglio e non è il caso d'insistere, ma, se la pensi come me, ti sarà di conforto sapere che dopo poco — sarà una coincidenza — i suoi pezzi non sono più comparsi (ed erano anni che vi collaborava) su quel quotidiano. Forse l'inizio di una sana ristrutturazione? | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Mer Mag 06, 2009 11:57 am | |
| Cap. V GLI ASPIRANTI SCRITTORI A DOMENICA IN ... Fra i mass media decisamente il più esplosivo, con- vincente e persuasivo è la televisione. Se poi fra le tante televisioni puntiamo il nostro obiettivo su quella nazio- nale, o per meglio intenderci di Stato, sappiamo benis- simo dai tanti dati che continuamente ci propinano sul- l'audience, di un furibondo conflitto di fasce, perché, come credo tu conosca, secondo certi istituti di rilevamento in una fascia, magari allargata di mezz'ora, prevale la rete 1 e in un'altra, forse più ristretta, prevale il sempre più emergente e ormai direi del tutto emerso canale 5. Due colossi si fronteggiano: il gruppo della televisione di Stato con le sue tré reti, e quello di Berlusconi, l'intraprendente imprenditore milanese, con canale 5, rete 4 e Italia 1. Nel pomeriggio della domenica infuria da tempo la battaglia fra Domenica in..., condotta dall'immarcescibile e per la verità bravo Pippo Baudo, e altri programmi delle varie reti che fino ad ora vanamente tentano di strapparle qualche milione di telespettatori. Ebbene, da ormai un paio d'anni, meta dell'editoria italiana per rinsanguare le vendite dei libri è approdare nel gran porto della rubrica libri di Domenica in ..., dove il lungo sacerdote Baudo si prodiga, per la verità con una certa competenza e con sagacia pubblicitaria, a cercare di rendere qualsiasi libro che a lui giunge interessante, validissimo e desiderabile. Gli autori ospitati sembrano, alla presentazione di Baudo, grandissimi, quasi dei geni e il pubblico, anche di non abituali lettori, i giorni successivi si precipita nelle librerie facendo calare vertiginosamente le pile opportunamente rinforzate di quel libro, Chissà quali scontri, quali dolci corteggiamenti, ami- co lettore, si svolgono dietro le quinte, o per meglio dire, nella redazione della popolare rubrica, per farsi preferire ai concorrenti, e forse qualche morto e qualche ferito (mi sembra evidente, metaforicamente) ci sarà scappato fuori. Che si deve fare per vendere libri! Una volta il letterato, lo scrittore era una figura quasi mitica, tenuta tanto più in alto nella considerazione della gente di un Pippo Baudo o di un autore di testi rivistaioli o introduttivi, con quelle lepide battutine, al cantante italiano e straniero di turno e alla superdotata per opulente forme o per il sensuale erotismo che si arrampica per poi appollaiarsi sul magico Egabello accanto all'eroe dei nostri giorni: il presentatore televisivo. Ora invece sono i letterati, gli scrittori, i professori universitari, i ministri, i prestigiosi grandi attori di prosa che con una certa timidezza e quasi con un complesso d'inferiorità guardano (non tutti per la verità) con aria spaesata lui, Pippo Baudo, il presentatore per antonoma- sia; o seggono a fianco della superpagata Raffaella Carra che, quasi in prepensionamento, si affaccia tutti i giorni dal piccolo schermo, ormai feticcio delle nostre case e spreca la sua bravura propinandoci quotidianamente quiz di un'incredibile stupidità. Ebbene, amico lettore, sembra inverosimile, ma anche gli aspiranti scrittori sono giunti a Domenica in... Il mi- racolo avvenne nella trasmissione del 4 novembre 1984. Come erano giunti gli aspiranti scrittori a sedere sulla tribuna della desiata trasmissione? Mi sembra evidente, scusa l'immodestia, ma l'inte- resse sempre maggiore che il mio libro andava riscuo- tendo e i numerosi articoli, che ormai sempre più spesso e autorevolmente si andavano occupando del problema di giovani probabili speranze della penna che non riusci- vano a trovare un giusto, indolore sbocco al loro faticoso e appassionato lavoro, doveva aver smosso persino le ardue vette della redazione della trasmissione più ambita ai fini della divulgazione, probabilmente facendo breccia in colui — è una mia sensazione — che è più sensibile a genuine istanze al di là di qualsiasi legame mercenario: il pre- sentatore. L'idea era buona e taceva onore alla trasmissione se ... se fosse stata attuata senza i soliti (è sempre una mia opi- nione) compromessi all'italiana. Mi sembrava ovvio, e sup- pongo lo sarebbe sembrato a chiunque fosse fornito di libera logica, invitare a rispondere alle domande di aspi- ranti scrittori, o il suscitatore del problema, o Giancarlo Ferretti che, seppur marginalmente se ne era occupato (pagina 36) nel suo apprezzato libro « II best seller all'ita- liana», o quanto meno uno o più direttori editoriali. Inve- ce no: sarebbe stato troppo e non si doveva perdere (è sempre una mia libera opinione) una preziosa puntata della trasmissione senza il libro di un grande editore! Si convocava quindi Andrea De Carlo, giovane e for- tunato scrittore — aiuto-amico di Fellini —, forse anche lui una delle più o meno fallite nuove leve di Einaudi per i primi due romanzi. Non bastavano le precedenti apparizioni in televisione quando, presente Fellini per interviste sul suo ultimo film « La nave », si faceva inter- venire anche il riccioluto, giovane e bello scrittore, dal volto perfetto e delicato. Non si teneva in alcun conto che, proprio per quest'ultimo romanzo, «Macno», l'auto- revole critico Geno Pampaloni aveva pubblicato una re- censione di questo tipo su « II Giornale » del 28 ottobre 1984 dal titolo: «L'accidente bibliografico». Arrivo a parlare per la prima volta di De Carlo al suo terzo libro, e temo di aver perduto l'autobus; mi consolo pensando che lui Ila ancora poco più di trent'anni e che questo Macno potrà rimanere nella sua carriera come un accidente bibliografico. Anche i due precedenti che De Carlo aveva scritto erano libri giocattolo; ma giocattoli costruiti a mano, con la lieta impazienza inventiva della fantasia. L'ironia, la disinvoltura, un po' di snobismo, un po' di esibizionismo che affioravano tra gli svelti snodi della scrittura erano, per così dire, ospiti di quella fanta- sia, convocati per tenerla allegra, per fare brigata. Qui invece il giocattolo sembra smontato, di serie, per gli scaffali di un supermercato. Ripenso al dittatore che il ' poco più che trentenne Moravia descrisse nella Masche- rata (1941), e ricordo in quella figura sgraziata e rustica, e anche nel grand-guignoi del romanzo, una potenza im- pacciata ma terribilmente vogliosa di realtà. Nella goffa mondanità della Roma anni Trenta sentivi la plumbea presenza del potere. Nel dittatore stanco di De Carlo, eroe dei mass-media, c'è invece la labilità di un mondo arti- ficiale, che può anche essere simile al vero, ma del quale lo scrittore sembra accontentarsi; accontentarsi, dico, sul piano stilistico, irretito com'è nella stenografia dei suoi stessi stereotipi. « Guarda in basso e c'è una luce lontana nei suoi occhi», si dice descrivendo il filmato di un co- mizio del giovane dittatore; e certo, un cronista ambi- zioso non avrebbe potuto dire meglio. Ma se, come oso sperare, De Carlo ha inteso scrivere alla Woody Allen, la parodia di una parodia, non se ne è fatto accorgerò... Forse in un possibile film, saranno cose piacevoli; ma in punto di letteratura il diagramma è, come ora si usa dire, di basso profilo. Ciò nonostante, forse una certa pressappochistica lo- gica poteva ancora giustificare la presenza di un giovane autore che avrebbe potuto e dovuto illustrare, rispondendo a domande appropriate, i suoi primi passi, le sue espe- rienze che lo avevano condotto rapidamente — uno su migliala — alla grande editoria. Ma erano davvero aspiranti scrittori gli invitati che in tribuna, a differenza di altre volte, accarezzavano e ruotavano nervosamente libri pubblicati che non sembra- vano quello di De Carlo? E perché poi proprio in quella domenica l'intervento dell'autore veniva anticipato ad orario di minor ascolto? Circa venti minuti durava la presenza di De Carlo sulla comoda poltrona girevole, ruotata incessantemente dall'inizialmente impacciato scrittore. Baudo, bisogna ri- conoscerlo, interveniva dapprima positivamente per sbloc- carlo con un dialogo pressappoco di questo tipo: « «Successo raggiunto con fatica o con meno fatica? n « No, certo, con fatica, sì, con fatica ». ' «Con fatica». « Certo ». « Parliamo delle origini: nato dove? » « Nato a Milano, sì, a Milano ». « Però molto viaggiatore, mi pare n. « Viaggiatore, sì, presto viaggiatore, eh ». « Dove sei stato? » « Sono stato... negli Stati Uniti a lungo; poi sono stato in Australia e poi ho fatto altri viaggi ». « E hai fatto anche tanti mestieri prima di fare lo scrittore n. « Ho fatto un po' di tutto... Come non credo poi sia una cosa tanto straordinaria, chiunque prima di trovare la sua strada, e comunque per sopravvivere, eh, faccia varie coss ». « Ma mestieri anche strani ». « Anche strani, certo ». « Cioè? » « Strani, mah, non so... in Australia mi son capitati particolarmente strani... mi è capitato di lavorare in un allevamento di alligatori... poi ho fatto altri mestieri... ho fatto il cameriere a Los Angeles, ho fattooo... il guida- tore di taxi, insomma ce n'è...» « Tutto questo è servito allo scrittore, sì o no? » « Certo, è servito molto perché, anche non volendo la- vorare in una chiave esclusivamente autobiografica, credo che qualunque esperienza sia molto utile ». n Ma i tuoi libri sono autobiografici o no? » « Tu non hai avuto una vita, un'infanzia diciamo in- felice, sei figlio di un architetto molto noto, questo ti ha aiutato o no? n « Mah, mi ha aiutato per... Sono cresciuto in un am- biente stimolante dal punto di vista intellettuale, quindi in mezzo a persone piuttosto attive da questo punto di vista, questo senz'olirò mi ha aiutato... non mi ha aiuta- to particolarmente dal punto di vista del trovare tecnica- mente la strada, eh, eh, non mi ha aiutato nel pubblicare i libri o nello scrivere ... » « Tu piaci molto ...» Ed è continuato per circa un quarto d'ora. Poi final- mente ... Baudo introduce le domande: « Ecco gli aspiranti scrittori, sono invidiosi... legger - mente, diciamoci la verità, del successo di Andrea De Carlo; vorranno porre alcune domande ». Poi precipitosa- mente: « Io ricordo soltanto che Moravia fece pubblicare a sue spese il primo romanzo, quindi non bisogna scan- dalizzarsi se gli inizi sono difficili negli scrittori (chiara- mente ricavato da I Segreti dell'editoria. Nota di B.C.) ». Ed ecco le domande: 1) « Io volevo chiederti perché nei tuoi romanzi di- mostri l'uso di un linguaggio così espositivo, cioè quasi da sceneggiatura, invece che più esplicitamente lette- rario». | |
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| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Mer Mag 06, 2009 11:59 am | |
| Con intervento d'aiuto dell'onnipresente e prontissi- mo Baudo che alla risposta di De Carlo aggiunge d'auto- rità: « D'altra parte oggi viviamo nel mondo delle imma- gini, è giusto che anche la carta scritta pensi alle im- magini ». 2) « Io voglio fare un'altra domanda sullo stile, a mio avviso secco, asciutto, sintetico. A mio avviso, mi ricorda " High Graffiti" americano perché è graffiante. Volevo sa- pere se la letteratura americana o qualche narratore ame- ricano ha influito sul suo stile ». 3) « A proposito di americani, Hemingway raccoman- dava di rimanere sempre aderenti alla realtà e ciò ,che ha fatto soffrire doveva essere il laboratorio del proprio scri- vere. Io stesso ho vissuto un anno insieme ai tossicodi- pendenti per poter scrivere " La mia ragazza è una dro- gata ", per non scrivere cose che non fossero vere. Ecco, pensi che sia un buon metodo questo che è quasi scien- tifico per ...» Intervento di Baudo, primo per interrompere l'interrogante e poi, suppongo, per un aiuto a De Carlo: a Quello diventa giornalismo». 4) « Tommaso Di Ciana. Comunque io sono un picco- lo autore anch'io. C'ho quarant'anni (intervento di Baudo: « Siete tutti aspiranti scrittori, anzi facciamo un applau- so»), ho fatto quattro libri di cui uno rifiutato da un editore, è stato accettato da un altro; è un successo mon- diale che ha venduto centoventimila copie (perbacco! * Nota di B.C.) nel mondo, sta andando avanti, è un piccolo miracolo sommerso (se fosse vero sommergerebbe De Car- lo! Nota di B.C.) Va be'. Il libro di De Carlo mi è piaciuto moltissimo perché è acuto, è una sceneggiatura, è gron- dante di belle donne, videoregistratori, di moviole che cascano, eh. (Baudo, vigile: « Perché è il mondo di oggi»). Però questo trentatreenne è, domanda banale, Gesù Cristo? » 5) La quinta domanda non esiste perché Baudo in- terviene e, indicando una graziosissima biondina che si avvicina velocemente, dice: « Piace molto alle donne De Carlo. C'è Claudio Turconi, che è la nostra inviata, che ha letto e divorato questo libro, che prima di andare in onda ha detto " voglio {are una domanda "... Non avvi- cinarti molto perché c'è anche una simpatia di tipo fi- sico. Dì ». La bella biondina, lanciando sguardi fra il timido e il cupido si è limitata a dire fra l'altro: «J giovani amano De Carlo perché effettivamente riesce a tradurre proprio le parole in immagini e poi... a me il libro è piaciuto tantissimo» e, fra risatine e sorriso di Baudo, De Carlo e biondina, scroscia un lungo applauso e giunge un'altra domanda che non lo meriterebbe, ma per dovere la registro. 6) « Macno è Pippo Baudo? » o giù di lì. 7) « De Carlo ha detto che il fatto di essere cresciuto e vissuto in un certo ambiente e di avere certe conoscenze non è stato utile per la sua carriera... Ora c'è un'affer- mazione di Bruno Cotronei che dice che è impossibile praticamente in Italia essere pubblicati dalle grosse case editrici se non si fa parte della cosiddetta bagarre lette- raria. Lui come ha fatto? » Ed ecco la risposta di De Carlo: «Afa/i, ti dico, eeh, c'è un atteggiamento generale negli ambienti editoriali piuttosto torporoso, lento, restio alle aperture, sospettoso del nuovo, questo è indubbio. Eh, ho sperimentato quest'atteggiamento anch'io come chiunque, eh, il mio primo libro, il manoscritto l'ho man- dato a un paio di editori prima di vederlo pubblicato da Einaudi. Eh, la circostanza che ha favorito la pubblica- ' zione è stato il mandarlo direttamente a Italo Calvino, che era consulente dell'Einaudi, con cui c'era evidente- mente un'affinità: lui ha riconosciuto in questo libro al- cune qualità e ha poi premuto per la pubblicazione_I due Sovrapposizione autoritaria di Baudo alla quale De Carlo si scusa e ... « altra domanda », l'ultima, di uno spettatore che già l'aveva fatta. _ « Dentro di tè già pensi o hai pensato che può diventare un film? » Ora amico lettore, secondo tè erano davvero aspiran- ti scrittori coloro, tranne il settimo, che hanno posto una domanda a De Carlo? Quale interesse ha chi ha scritto un romanzo o una serie di racconti a chiedere ad uno scrittore, che perlo- meno per ora non può certo essere considerato un maestro, cerche « usa un linguaggio così espositivo » o « quale in- flusso ha avuto sul suo stile la letteratura americana» o addirittura se Macno ha caratteristiche alla Baudo o « se pensa che può diventare un film»? Mi sembra più che evidente, e qualcuno di loro lo ha ammesso cercando disperatamente con atteggiamenti e sesti di far conoscere un libro stampato ed edito, che non si tratta più di aspiranti, ma di scrittori veri e propn, magari, anzi senz'altro, meno fortunati di lui, non pub- bicati da grandi editori, senza amici come Fellini con il quale «è nato un rapporto che è continuato e continua ancora sempre molto vivo, molto stimolante per tutte ^Se fossero stati veri aspiranti scrittori, come credo lo sia l'autore della settima domanda, con la rabbia di chi pensa di aver scritto qualcosa di buono e non trova sbocco, avrebbero fatto in modo, in un'occasione tanto importante, probabilmente l'unica, di evidenziare il loro problema, problema drammatico, e non si sarebbero la- sciati andare a domande banali alle quali avrebbero r ce- vuto migliore risposta leggendo alcune delle tante intera viste rilasciate alla stampa da autori dai quali - e perche non De Carlo stesso — avrebbero potuto assimilare dati e insegnamenti molto più utili per confrontare il loro modo di scrivere con quello di chi è già celebrato, consacrato grande scrittore, o è autore di un qualche successo. Allo- ra perché quelle domande? Secondo il mio parere: per il solito malinteso senso conformistico, o forse per non mettere in difficoltà De Carlo, perché questi, ormai inserito nella grande editoria, il grande cinema, le trasmissioni di successo, conservasse di lui — autore di una domanda atta ad una risposta brillante — un buono, gradito ricordo e magari in un domani non lontano lo aiutasse — come aveva fatto Cal- vino con lui — caldeggiando, spingendo la pubblicazione di un suo lavoro presso una casa editrice che conta. Miserie ! La verità è che la trasmissione del 4 novembre ha offerto uno spettacolo crudele. Di certo non nelle inten- zioni, ma spietato. E davvero l'esordio di Baudo con, lo riscrivo, « Ecco gli aspiranti scrittori, sono leggermente invidiosi... », sia pure mitigato dal ricordo che « anche Moravia fece pubblicare a sue spese...» non è stato dei più felici, accentuando l'indubbio senso di malessere che i partecipanti non addomesticati (e indubbiamente ce n'erano) dovevano provare nel vedere quel giovanottino (con sulle spalle la critica di Pampaloni) ricevuto con tanti onori, mentre loro, come tanti scolaretti, sedevano in quella specie di banchi rappresentati dai posti nella tribunetta e dalla quale potevano porre una veloce do- manda senza possibilità nemmeno di replica alla risposta. Si sa, chi scrive, chi fa dell'arte è spinto anche da una smodata ambizione che gli fa affrontare le difficoltà, le fatiche, gli scoraggiamenti, gli struggimenti di un operare pesante molto più di quanto comunemente non si pensi e questa ambizione spesso (e forse necessaria- mente) non gli fa riconoscere la superiorità neppure dei veri maestri. S'immagini se chi partecipava alla trasmis- sione baudiana (se davvero aspirante scrittore) la rico- nosceva a De Carlo! Se ne ricava, credo con evidenza, caro lettore, quan- to sia stata sballata l'esecuzione di un'idea invero molto buona e dalla quale, se si fosse accantonata per una volta la prospczione pubblicitaria di un libro e di un autore « di successo, si sarebbe potuto trarre ben altro e rendere finalmente un davvero utile servigio ad un'editoria senza molti veri validi ricambi. Sì, perché, amico lettore, la televisione di Stato che si fa corrispondere coattivamente dei canoni, dovrebbe pensare anche a questo: non do- vrebbe aiutare chi di aiuto in definitiva non ha bisogno, come un Biagi, un Bevilacqua, ma nuovi autori, pubbli- cati magari da piccoli, piccolissimi editori, nei quali si possa intravvedere qualcosa di veramente costruttivo e vivificante. Allora avrebbe un senso ciò che Baudo ha sbandierato più volte (quasi Domenica in ... fosse un'agen- zia pubblicitaria a pagamento), ossia il vertiginoso in- cremento di vendite dei libri presentati. Infatti solo un freddo calcolo economico può dare somma importanza al risultato che magari Biagi da 50 mila copie vendute sia passato a 100 mila, e non magari che l'ignoto al pubblico (e proprio per questo da presentare se valido) autore Caio sia passato da mille a cinquemila copie per merito della presentazione nella rubrica libri. Ma tant'è, piove sempre sul bagnato: dure leggi del consumismo. Ma non dovrebbe essere così nelle televisioni o nei giornali che si avvalgono di una specie di tassa ap- plicata a tutti i cittadini! E l'occasione mi sembra giusta per spezzare una lancia in favore dell'editoria di libri, grande, media, piccola e piccolissima: perché i giornali (che se non erro usufruiscono di sovvenzioni o facilita- zioni) non applicano, come lodevolmente fa « la Repubbli- ca u, tariffe ridotte, dimezzate o anche meno, per la pub- blicità di libri? Inf onderebbero coraggio agli editorie ren- derebbero più agevole e meno oneroso l'immissione di nuo- vi possibili talenti nelle loro collane. Si andrebbe così ad una reale verifica — con trattamento più o meno simile a quello riservato agli autori affermati — dell'accoglienza, del gradimento del grosso pubblico a nuovi autori final- mente non raccomandati. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Ven Mag 08, 2009 12:35 pm | |
| Cap. VII GIORDANO BRUNO GUERRI E GLI ASPIRANTI SCRITTORI Caro lettore, devi sapere che il bravo, bravissimo Giordano Bruno Guerri, prima di essere illuminato dai potenti abbaglianti fari dei mass media puntati sul suo libro su Maria Goretti (stampato nel gennaio di quest'an- no), ha scoperto improvvisamente anche lui gli aspiranti scrittori e ha sfogato i suoi « impeti di polemista » in un articolo pubblicato con tutto rilievo nella terza pagina de « II Giornale », al quale collabora, di domenica 2 settem- bre 1984. " È BELLO, È RACCOMANDATO, È INEDITO ", il titolo SU 5 colonne. « Manuali: " Come si fa a farsi pubblicare un libro " di Bruno Cotronei », l'occhiello. Eccotelo riportato integralmente: Negli Stati Uniti, dove molti hanno la buona abitudi- ne di dichiarare la propria professione, durante le pre- sentazioni, capita non infrequentemente di sentirsi dire- « Unpublished writer», scrittore non pubblicato. Sono una moltitudine, ma non è per questa loro stra- ripanza numerica che hanno così pochi complessi d'infe- riorità da dichiararsi con un sorriso. Vivendo in un mondo di pragmatisti dove tutto si misura con il successo e con il denaro, generalmente sanno che se sono ancora unpu- blished è perché le loro opere non sono in sintonia con il mercato, perché non sono ancora all'altezza di essere pub- blicate o perché essi non hanno la necessaria conoscenza (conoscenze tecniche, si intende, non « aderenze») del mondo editoriale. Quindi si industriano ad adattare le loro opere al mercato e a procacciarsi le necessario cono- sceme o si chiudono in un dignitoso ed esaltante silenzio da geni incompresi. Per i più che continuano a provarci è nato un flori- dissimo mercato editoriale: in ogni libreria che si rispetti, fra il banco della poesia e quello della saggistica, fra quello delle scienze e quello della fotografia, c'è un settore dedicato proprio a loro, decine di manuali intitolati, per esempio, Come pubblicare la vostra prima novella, Come costruire una trama, Come si scrive uno sceneggiato tele- visivo, Come non sbagliare la punteggiatura, Come sce- gliere l'agente editoriale e perfino Come scrivere una lettera d'accompagnamento del vostro libro all'editore. In Italia non c'è niente di tutto questo, benché il rapporto popolazione-aspirante scrittore sia sicuramente più alto che in America e forse più alto che in tutto il resto del mondo. La risposta più perfida al piccolo miste- ro è che molti scrivono, ma pochi leggono. Non a caso tré quarti dei dattiloscritti che arrivano alle case editrici sono di poesie, e il resto di romanzi (generalmente autobio- grafici) e c'è solo un saggio ogni mille: roba di gente che senza eccessiva preparazione e sforzi butta l'anima sulla carta e poi, orgogliosa della propria anima, pretende che venga resa nota guadagnandoci pure. Respinti dalle case editrici cui mandano fiduciosa- mente le loro opere, i circa 100.000 aspiranti autori (più o meno) inveiscono generalmente contro la mafia edito- riale e le consorterie che non permettono l'accesso alla pubblicazione di chi non è introdotto eccetera. Poi gene- ralmente si consolano pensando a Moravia, che pubblicò Gli Indifferenti a proprie spese, e al Gattopardo. Quasi mai qualcuno fa un serio esame di coscienza o, almeno, con- sidera che è difficile anche trovare un posto di bidello, perché mai dovrebbe essere facile, alla giovane casalinga di Terni, convincere un industriale dell'editoria a investi- re qualche decina di milioni sulla storia della sua vita. Intendiamoci, è vero: molti mediacri libercoli che ap- pesantiscono gli scaffali delle librerie non sarebbero mai stati pubblicati se gli autori non avessero avuto rapporti amicali, cuginali o sessuali con l'illustre autore, il potente dirigente, il generoso editore. Così come è probabilmente ' vero che alcuni dei volonterosi inediti di sconosciuti sono certamente migliori di alcuni pessimi libracci che gli editori, per pigrizia, per provincialismo, fanno tradurre dall'estero. Rimane però il fatto che il rapporto professionisti-aspi- ranti nel mondo dell'editoria è simile a quei concorsi che ogni tanto fanno notizia sui giornali: u 20.000 aspiranti per 3 posti di usciere!». E tuttavia nessuno si occupa di questi tormentati aspiranti scrittori, generalmente sper- duti in provincia, pieni di entusiasmo e di frustrazioni, di speranze e di ire. Nelle case editrici, lo si confessi!, i loro dattiloscritti circolano più spesso per farci due risate in redazione che per essere esaminati, e più volte è circolata l'idea di pubblicare un'antologia comica o degli inediti o delle lettere che li accompagnano (ne ricordo una, di un pastore sardo, il quale assicura l'editore che farebbe un affare perché aiuti i miei amichi locomprerebbero dicerto» e suggeriva di spartirsi il bottino equamente, metà e metà del prezzo di copertina). La pubblicazione di una tale antologia sarebbe fonte di interessanti analisi sociologiche, antropologiche e qua- lunquistologiche di quelle che tanto piacciono. Ma nes- sun editore la farà mai, per non inimicarsi quella larga fetta di pubblico. Così come nessun editore da noi si butta in quella fetta di mercato che è così ghiotta in America. Supponiamo che un editore pubblichi un saggio intitolato Come si fa a farsi pubblicare un libro: i 3000 dattiloscritti che riceve annualmente diventerebbero di colpo 30.000, e tutti con un ricatto implicito: o mi pubblicate questo o mi avete truffato vendendomi quello. C'è poco da ridere dunque (un risolino l'avevo fatto anch'io) se il primo autore che affronta l'argomento con un saggio intitolato appunto Come si fa a farsi pubblicare un libro, non è riuscito a farselo pubblicare; cioè: ha tro- vato solo una sconosciutissima casa editrice (Oceania Edi- zioni, 140 pagine, 13.500 lire, si trova nelle librerie delle stazioni o scrivendo direttamente alla casa editrice, via Cimarosa 154/4, Napoli). L'autore, Bruno Cotronei, solo una volta ha potuto , farsi pubblicare un romanzo da una media casa editrice nazionale e per di più desume quasi tutte le sue informa- zioni editoriali dalle interviste agli editori che di tanto in tanto compaiono sui giornali. Infila così una buona serie di ingenuità e luoghi comuni sul mondo dell'editoria, ma condendola con un buon senso, che si riassume in trs sani suggerimenti finali: a) invece di cercare l'esordio clamoroso con un grande romanzo in una grande casa editrice, comincia con un apprendistato di conoscenze e collaborazioni in riviste letterarie, giornali e giornaletti; b) oppure comincia con un piccolissimo editore, anche di quelli che chiedono un « contributo alle spese », ma ba- .. indo che non sia uno di quelli — e sono i più — che campano sulle ambizioni frustrate e non distribuiranno affatto il libro; 3) fai « un sincero, crudele esame di co- scienza. Rileggi quanto hai scritto. Compra libri, storie della letteratura e confronta con mente serena e giudica, dal paragone, il tuo elaborato ». Se non regge il confron- to, dice Cotronei, smetti. Bene, bravo Cotronei. Ma mi auguro che nessuno vor- rà perdonare quanto scrive alle pagine 83-84, dove dice che « una volta individuato uno scrittore già affermato o comunque pubblicato, si possa tentare di farselo amico o di accreditarsi presso di lui con servigi e piaceri e len- tamente farlo sentire in dovere di disobbligarsi con una raccomandazione, una segnalazione, una collaborazione che, in tempi lunghi, ti permetteranno di entrare nella " casta ". Nello stesso modo potrai agire con organizzatori di premi letterari di una qualche risonanza, con giorna- listi o ancora meglio con direttori di quotidiani, di perio- dici, di case editrici ». • | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Ven Mag 08, 2009 12:36 pm | |
| A parte che serve a poco, questo è da secoli uno dei peggiori vizi nazionali. Ora, amico lettore, ti dirò in tutta confidenza che la polemica non mi dispiace perché, come ha scritto Schlegel, « Quando la ragione e la non ragione si toccano, si ha una scarica elettrica. E questo si chiama polemica», ma, sia ben chiaro, mi sono sempre imposto, e spero di essere! riuscito, di utilizzare nelle mie polemiche, o meglio dispu- te, o meglio ancora discussioni scritte o verbali, dati certi • o dedotti con rigore logico, quanto più possibile vicini al vero. Il bravo Guerri a quanto pare non lo fa e nei suoi « impeti », che tutto sommato me lo rendono simpatico, usa cifre e dati — perlomeno nell'articolo dedicato al mio libro e quindi anche agli aspiranti scrittori — che non trovano riscontro. Infatti, cosa abbiamo a disposizione per determinare, con un minimo di veridicità, il numero di questi nel no- stro Paese? Le dichiarazioni di Bergamaschi (Einaudi), Gelli (Garzanti), Paolini (Mondadori), Pautasso (Rizzoli), Giardina (Rusconi) che affermano di ricevere ogni anno grossomodo e rispettivamente questo numero di dattilo- scritti: 551, 1500, 2800, 1200 e 1300, per un totale di 7351. Quanti saranno quindi gli aspiranti scrittori? Se ragionevolmente si tien conto delle dimensioni delle case editrici nominate e della semplice considerazio- ne che un aspirante può inviare più opere (ad esempio un romanzo e una raccolta di racconti o di poesie) a più editori contemporaneamente e che il rimanente della grande, media editoria potrà al massimo raccogliere un quantitativo pari a quello dei cinque citati e se, infine, si può arguire con una certa logica che il produrre nuove opere non pubblicate non sia tanto rapido, direi che tutt'al più si tratterà di 15.000 veri aspiranti in attività, e non certo di centomila come, con impeto forse eccessivo, afferma Guerri. Ma nella labilità dei dati, quello che mi sembra davvero inesatto di ciò che registra l'impetuoso scrittore è la percentuale dei saggi pervenuti agli editori italiani. Perché posso affermarlo? Perché le uniche differenziazioni ce le fornisce San- dra Bergamaschi di Einaudi: su 551 dattiloscritti, 42 sono saggi, ovverosia circa 1'8 per cento e non l'uno per mille guerriano, ossia solo cento su centomila! E via, questo è davvero esagerato se solo Einaudi in un solo anno ne ha ricevuti (di saggi) 42. « Non bisogna essere più realisti del rè », afferma Chateaubriand e Musil rafforza con « Dalle più violente esagerazioni, se lasciate a se stesse, nasce col tempo una ' nuova mediocrità», mentre il Corano riporta: «Dio non ama chi eccede ». E sinceramente mi auguro che il bravo, il polemista, l'autore di brillanti trovate, Giordano Bruno Guerri, non si sia comportato in analogo modo nel suo ormai celeberrimo Povera santa, povero assassino che, secondo il comunicato della sacra congregazione del 6 feb- braio (« II Giornale » del 7 febbraio 1985), 1) è stato fatto oggetto di sproporzionata attenzione da parte della stam- pa; 2) già ad una prima lettura c'è da chiedersi che cosa giustifichi l'appellativo di « storico » data la totale assen- za di apparato critico; 3) palesa inoltre la non approfon- dita conoscenza della procedura stessa delle cause di ca- nonizzazione, trattando delle quali l'autore opera una grande confusione; 4) soprattutto colpisce la visione tra- gica e disperata che il medesimo autore ha della realtà umana. Anche a mio avviso e per la parte che mi compete, Guerri dimostra una « visione tragica e disperata della realtà umana » quando, forse sempre per i suoi « impeti - di polemista » e per dare un tocco di colore, racconta che « Nelle case editrici, lo si confessi!, i loro dattiloscritti cir- colano più spesso per farci due risate in redazione che per essere esaminati, e più volte è circolata l'idea di pubbli- care un'antologia comica o degli inediti o delle lettere che li accompagnano (ne ricordo una, di un pastore sardo il quale assicura l'editore che farebbe un'affare perché " tuti i miei amichi locomprerebbero dicerto ", e sugge- riva di spartirsi il bottino equamente, metà e metà del prezzo di copertina) ». Diffìcilmente mi è capitato di leggere qualcosa di tanto gratuitamente cattivo e distruttivo per i grandi, medi o di qualsiasi dimensione editori che, fortunatamente, pur con i loro difetti (e chi non li ha), sono ben al di sopra di tali miserabili pantomime. Quale importanza quindi vuoi, amico lettore, che si possa dare a categoriche ed improvate affermazioni di un tale autore (simpatico, brillante e dalle tante trovate) sulla sua « impetuosa u e davvero stupefacente asserzione: « Supponiamo che un editore pubblichi un saggio intitola- to Come si fa a farsi pubblicare un libro: i 3000 dattilo- , scritti che riceve annualmente diventerebbero di colpo 30.000, e tutti con un ricatto implicito: o mi pubblicate questo o mi avete truffato vendendomi quello ». E perché? Cosa è mai passato per la testa di Guerri? quando lui stesso, in un barlume meno impetuoso, rias- sume tré suggerimenti finali che il mio libro ha dato definendoli « sani ». Infatti, per quanto possa essere sconosciutissima la casa editrice de I Segreti dell'editoria, non ha ricevuto nessuna ingiunzione del tipo preconizzato da Guerri, ma manoscritti e lettere civili, sensate e senza « impeti ». Questo storico-saggista-articolista che, nonostante leg- gere e impetuose affermazioni, continua a rimanermi sim- patico perché non mi dispiacciono i battaglieri o coloro che vanno alla carica (perlomeno dimostrano d'essere vivi anche se non sempre attaccano là dove debbono), lascia il fianco scoperto in altri tentativi d'affondo. Afferma, naturalmente senza approfondimenti o prove, che I Se- greti dell'editoria non abbia trovato editore e che io, l'au- tore, « solo una volta ha potuto farsi pubblicare da una media casa editrice nazionale » e che « infila così una buona serie di ingenuità e luoghi comuni sul mondo del- l'editoria ». Cosa ne sa lui? E vale la pena che lo confuti? No, davvero no, e se ne scrivo è per darti un esempio, amico lettore, di atteggiamenti di un " autore di successo " verso gli aspiranti scrittori. Il bello in tutto questo è che Guerri, dal pulpito del giornale, si augura che « nessuno vorrà perdonare quanto scrive alle pagine 83-84 dove dice (io, Cotronei. Nota di B.C.) che " una volta individuato uno scrittore già affermato o comunque pubblicato, si possa tentare di farselo amico o di accreditarsi presso di lui con servigi e piaceri e lentamente farlo sentire in dovere di disobbli- garsi con una raccomandazione, una segnalazione, una collaborazione che, in tempi lunghi, ti permetteranno di entrare nella ' casta '. Nello stesso modo potrai agire con organizzatori di premi letterari di una qualche risonanza, con giornalisti o ancora meglio con direttori di quotidia- ni, di periodici, di case editrici ". A parte che serve a poco, questo è da secoli uno dei peggiori vizi nazionali». Ah, gli impeti, cosa fanno dire! A quali tragiche con- traddizioni conducono! Perché, amico lettore, solo qual- che diecina di righi più sopra, il Guerri ha asserito con l'ormai ben nota sua sicurezza: « Intendiamoci, è vero: molti mediocri libercoli che appesantiscono gli scaffali del- le librerie non sarebbero mai stati pubblicati se gli autori non avessero avuto rapporti amicali, cuginali o sessuali con l'illustre autore, il potente dirigente, il generoso edi- tore. Così come è probabilmente vero che alcuni dei volen- terosi inediti di sconosciuti sono certamente migliori di alcuni pessimi libracci che gli editori, per pigrizia, per provincialismo, fanno tradurre dall'estero». E allora? Perché vuole che mi copra il ludibrio, l'eter- na condanna se non ho latto altro che indicate, ma certamente non l'ho approvato (pagina 84), un procedi- mento, ahimè, tanto diffuso e che serve, oh, quanto serve, e proprio per questo è divenuto uno dei peggiori vizi nazionali? Ma ora, amico lettore, veniamo a un altro articolo di Giordano Bruno Guerri sugli aspiranti scrittori pub- blicato su « II Giornale » del 4 febbraio 1985, proprio nel periodo in cui l'estensore diventa noto quale autore di «Povera santa, povero assassino». Il titolo è «'Saggio' è bello» e l'occhiello: «Una proposta per gli aspiranti scrittori». Qui Guerri non cita I Segreti dell'editoria, ma non è, a differenza di altri poco corretti o succhioni d'idee altrui, da condannare per questo perché, per la . verità, e l'hai letto nelle pagine precedenti, ha fatto il suo dovere nel lungo pezzo dedicato al libro che ha evi- denziato in maniera continuativa il problema. Quello che forse è da criticare è la tesi (e il modo nel quale la sostie- ne) e la motivazione di ciò che asserisce. Dappertutto si incontrano giovani — fra i venti e i trenta — arrabbiatissimi. E' giusto ed è normale, perché è specifico dei giovani essere arrabbiati, e guai se non lo fossero: allora sì che ci sarebbe da preoccuparsi, che la loro rabbia di oggi fa parte del lievito che farà muovere | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Ven Mag 08, 2009 1:05 pm | |
| la società di domani. A parte questa arrabbiatura fisiolo- gica, ne hanno un'altra ancor più giustificata quando — ed è la maggior parte dei casi — dopo aver tanto (o poco) studiato si trovano disoccupati. Anche se a volte è colpa loro, che hanno voluto fare tutti i medici, gli avvocati, i ragionieri, è pur vero che se lo Stato consente l'accesso a una specializzazione, dovrebbe poi poter garan- tire lo svolgimento di una professione relativa. Non ho nessuna comprensione invece per la maggior parte degli aspiranti scrittori non pubblicati e arrabbiati. Arrabbiati, beninteso, non come corrente culturale, ma arrabbiati semplicemente perché non riescono a farsi pub- blicare. Il discorso è vecchio e lo si può riassumere nella litania corrente: « il mondo dell'editoria è una mafia, non riesci a pubblicare se non conosci qualcuno... » eccetera. Questo è vero (quasi sempre), ma proviamo a vedere la faccenda da un'altra prospettiva, che è questa: perché, benedetti ragazzi, volete scrivere tutti romanzi e poesie come i vostri colleghi all'università fanno tutti medicina e giurisprudenza? Mettiamoci in testa che si tratta di raccomandazioni fino a un certo punto: i geni scarseg- giano, i grandi scrittori pure, i buoni scrittori anche, e non abbiamo in Italia un pubblico tanto grosso e tanto grossolano da inghiottire qualsiasi opera prima, pur digni- tosa e gradevole che sia. Gli editori, sommersi da un mare di dattiloscritti, si barricano e fanno bene, perché la zat- tera fa già acqua e aggiungendo peso rischia di affondare. E allora? Allora una soluzione per molti ci sarebbe. Non è un segreto quello che dico ma, chi sa perché, non lo si fa sapere al pubblico: gli editori hanno bisogno di sag- gisti. Si fanno ogni giorno delle magnifiche riunioni edito- riali, con editore, editar, direttore di collana, direttori com- merciali, e si pensano magnifici titoli, straordinarie nuove collane per un pubblico che — lo si è verificato — si sta staccando dalla narrativa e ha sempre più voglia di saggi, magari divulgativi. Tutti contenti dunque, dall'editore in giù, fin quando si arriva al problema degli autori. Imme- diatamente per ogni materia vengono fatti i nomi dei quat- tro o cinque specialisti notissimi e immancabilmente si scopre che quei quattro o cinque specialisti sono già stra- impiegati e che non faranno mai un saggio. Subito dopo si scopre che non ci sono altri nomi, ma il vuoto assoluto. A questo punto non resta che ripiegare le idee, metterle tristemente in un cassetto e affrettarsi a comprare titoli stranieri. Insamma, cari ragazzi, perché non provate a scrivere anch,e dei saggi sii qualcosa che vi piace e vi interesso, invece di far traboccare l'anima e il cuore e l'arte su gente alla quale — perdonate il cinismo — della vostra anima, del vostro cuore e della vostra arte non importa un fico secco? Si dilunga poi a raccontare — sbaglierò, ma son si- curo che si tratta proprio di lui — « la magnifica storia » di uno che fece la tesi di laurea, « ci lavorò parecchio e la mandò ad un editore: senza conoscere un cane». Sei mesi dopo venne pubblicata; poi « scrisse e pubblicò altri saggi, perché gli piace così » ed è convinto che « se oggi si presentasse a un qualsiasi editore con un romanzo sot- tobraccio (dio lo scampi) glielo pubblicherebbero ad oc- chi chiusi ». Aggiunge: « mi si dirà E la vocazione e l'arte dove la metti? Non la metto da nessuna parte, che stiano dove sono, e se ci sono realmente prima o poi salteranno fuori. Per gli altri continuo a suggerire il saggio, che richiede doti non meno pregevoli, ma per fortuna meno rare: in- telligenza, acutezza, e ahimè, parecchio studio, parecchia biblioteca. Niente ululati alla luna ne svisceramenti del- l'anima, ma una fatica bestia ... » Ebbene, amico lettore, bisogna dar atto a Guerri che non ha tutti i torti, ma qualcuno e non lieve sì. Ad esempio di affrontare, a mio avviso (sia chiaro, non sono categorico quanto lui), argomenti che non ha approfon- dito con la doverosa cura, e spesso di far riferimento (sempre secondo me) più a pettegolezzi di scrittoio che a dati veri e problemi reali (e l'articolo su I Segreti dell'editoria ne è una dimostrazione). Non si può da una esperienza personale, o se si vuole di «un caro amico», dedurre una regola generale specialmente se, ed è più » che ovvio, notorietà da articolista di terza pagina o da autore di un libro che ha suscitato clamore ( « Povera santa, povero assassino » ) può condurre, per alcune — criticabili ma reali — regole non scritte ma consoli- date del mercato editoriale, alla facile pubblicazione di un romanzo anche di mediocri qualità. Ciò lo si sa, o perlo- meno lo sai tu, caro lettore de I Segreti dell'editoria dove con chiarezza l'ho affermato prima del bravo, bra- vissimo Guerri. Non si possono però strumentalizzare saggi che si scrivono con il fine di trovare agevole, o meno dif- ficoltosa, pubblicazione ad un proprio romanzo. È quanto meno deviante e viene suggerito da chi mostra chiara- mente di non apprezzare molto il romanzo se lo definisce con espressioni del tipo « far traboccare l'anima, il cuore e l'arte » o « niente ululati alla luna ne svisceramenti del- l'anima», o infine «butta l'anima sulla carta e poi, orgo- gliosa della propria anima, pretende che venga resa nota guadagnandoci pure ». Non so perché lo faccia, o è troppo facile, amico lettore? Forse per tirare aequa al proprio mu- lino di saggista? Forse perché non ha mai provato — per stimoli e voglie — a scrivere un romanzo? O perché non vi è riuscito? Vedi, mi sembra davvero incredibile che si possa affermare che scrivere un saggio sia più faticoso di un romanzo! Quasi un'affermazione blasfema. Ma cosa ne sa Guerri dell'improbo lavoro del dialogare con la pa- gina bianca e non per riempirla di facile pressappochistico linguaggio da saggio d'assalto o di quello rigorosamente tecnico e quindi limitato di saggio cattedratico! Cosa ne sa di quanto studio, biblioteca occorrano per'creare per- sonaggi in un loro habitat e mantenerli coerenti e se- guirli nei loro sviluppi per centinaia di pagine indagan- done motivazioni e azioni? E davvero pensa che l'infor- mazione e la cultura si acquisiscano e si sviluppino, in un essere umano consapevole, dalle aride semplicistiche o noiose pagine di un saggio? Si informi, legga con mag- giore attenzione, perbacco, e mediti che su problemi di santità, beatificazione, dittatura e, perché no, editoriali si può apprendere più da buoni od ottimi romanzi che da saggi di qualsiasi genere, se non si vuoi limitare lo scibile a libri più o meno scolastici (e intendo natural- mente anche gli universitari). Il problema è più profondo e meno semplicistico di quanto appaia dal pszzo «'Saggio' è bello». Primo Levi ha pubblicato « L'altrui mestiere" e Tut- tolibri ne ha riprodotto il capitolo in cui l'autore spiega « perché si scrive? » Ne riporto un ampio stralcio. ... non sempre uno scrittore è consapevole dei motivi che lo inducono a scrivere, non sempre è spinto da un motivo solo, non sempre gli stessi motivi stanno dietro all'inizio e alla fine della stessa opera. Mi sembra si pos- sano configurare almeno nove motivazioni, e proverò a descriverle... 1. Perché se ne sente l'impulso o il bisogno. È questa, in prima approssimazione, la motivazione più disinteres- sata. L'autore che scrive perché qualcosa o qualcuno gli detta dentro non opera in vista di un fine; dal suo lavoro gli potranno venire fama e gloria, ma saranno un di più, un beneficio aggiunto, non consapevolmente desiderato: un sottoprodotto insomma... è dubbio che mai sia esistito uno scrittore, o in generale un artista, così puro di cuore. Tali vedevano se stessi i romantici; non a caso, crediamo di ravvisare questi esempi fra i grandi più lontani nel tempo... 2. Per divertire o divertirsi. Fortunatamente, le due varianti coincidono quasi sempre: è raro che chi scrive per divertire il suo pubblico non si diverta scrivendo, ed è raro che chi prova piacere nello scrivere non trasmetta al lettore almeno una porzione del suo divertimento. A differenza del caso precedente esistono i divertitori puri, spesso non scrittori di professione, alieni da ambizioni let- terarie o non, privi di certezze ingombranti e di rigidezze dogmatiche, leggeri e limpidi come bambini, lucidi e savi come chi ha vissuto a lungo e non invano... 3. Per insegnare qualcosa a qualcuno. Farlo, e farlo bene, può essere prezioso per il lettore, ma occorre che i patti siano chiari. A meno di rare eccezioni, come il Virgilio delle Georgiche, l'intento didattico corrode la tela narrativa dal di sotto, la degrada e la inquina: il lettore che cerca il racconto deve trovare il racconto, e non una lezione che non desidera. Ma appunto, le eccezioni ci sono, « 7(i
e chi ha sangue di poeta sa trovare ed esprimere poesia anche parlando di stelle, di atomi, dell'allevamento del bestiame e dell'apicoltura... 4. Per migliorare il mondo. Come si vede, ci stiamo allontanando sempre più dall'arte che è fine a se stessa. Sarà opportuno osservare qui che le motivazioni di cui stiamo discutendo hanno ben poca rilevanza ai fini del valore dell'opera a cui possono dare origine; un libro può essere bello, serio, duraturo e gradevole per ragioni assai divese da quelle per cui è stato scritto... 5. Per far conoscere le proprie idee. Chi scrive per questo motivo rappresenta soltanto una variante più ri- dotta, e quindi meno pericolosa, del caso precedente... 6. Per liberarsi da un'angoscia. Spesso lo scrivere rap- presenta un equivalente della confessione o del divano di Freud. Non ho nulla da obiettare a chi scrive spinto dalla tensione: gli auguro anzi di riuscire a liberarsene così, come è accaduto a me in anni lontani... 7. Per diventare famosi. Credo che solo un folle possa accingersi a scrivere unicamente per diventare famoso: ma credo anche che nessuno scrittore, neppure il più mo- desto, neppure il meno presuntuoso, sia stato immune da questa motivazione. Aver fama, leggere di sé sui giornali, sentire parlare di sé, è dolce, non c'è dubbio; ma poche fra le gioie che la vita può dare costano altrettanta fatica, e poche fatiche hanno risultato così incerto. 8. Per diventare ricchi. Non capisco perché alcuni si sdegnino o si stupiscano quando vengono a sapere... Mi pare giusto che lo scrivere, come qualsiasi altra attività utile, venga ricompensato. Ma credo che scrivere solo per denaro sia pericoloso, perché conduce quasi ssmpre ad una maniera facile, troppo ossequiente al gusto del pub- blico più vasto e alla moda del momento. 9. Per abitudine. Ho lasciato ultima questa motiva- zione, che è la più triste. Non è bello, ma avviene: av- viene che lo scrittore esaurisca il suo propellente, la sua carica narrativa, il suo desiderio di dar vita e forma alle immagini che ha concepite ... e che scriva ugualmente per inerzia, per abitudine, per « tener viva la firma » ... ^ Vedi amico lettore, c'è una netta differenziazione fra lo scrivere saggi o opere narrative, e l'aggiungere all'elencazione Levi anche il motivo di scrivere saggi per raggiungere una certa notorietà che permetta poi di farsi pubblicare e quindi far conoscere un valido e degno romanzo Fsebbene po^sa trovare riscontro in una realtà matrigna ^ecS perlomeno nelle intensioni. No^a^ro non ^nemmeno^^^^qua^^ di riiS apparati editoriali o sulla veranda umida d p^^i^a^t^r^^^^ neri che scorazzano appena cala la notte a rovistare m cumuli di immondizia maleodorante. se come da più parti si blatera (e vi credo poco), 5^^^^^^^^^ S'^^^8^^^^ So e clella ricerca sistematica o del giornalismo, e non Suella de^ narratore. E chi non ,ale sarà un pessimo ^^Ztr^tL'n^r.^ r^S^^^u^^^ SSi^^-s^^ che saggio scritto più per furberia che per reale interesse. ( purtroppo circa 15 righi qui sopra sono illegibili) I meccanismi sono diversi, la mentalità è diversa e Nicola Abbagnano, in un lucido articolo su « II Giornale » del 17 febbraio 1985, parla della tesi di laurea di Marcuse, dal titolo « II romanzo dell'artista nella letteratura te- desca ». Ma che cos'è poi questo romanzo? È l'espressione della tragedia in cui l'artista viene a trovarsi per il suo rifiuto dell'ambiente e della situazione storica cui appartiene, per il contrasto, di cui sente l'importanza predominante, tra l'arte e la vita, contrasto che lo spinge alla lotta per una nuova comunità. Il romanzo dell'artista è contrassegnato fin dall'inizio da un'ispirazione lirica e soggettivistica che contraddice alla natura dell'epica la quale esige invece l'unità fra l'arte e la vita sociale e si realizza nelle forme romanzate che esprimono ed esaltano questa unità. C'è quindi un'antinomìa insuperabile fra il romanzo epico e il romanzo dell'artista: il primo esprime l'armonia tra l'arte e la vita, il secondo ne esprime il contrasto. Ma il romanzo epico non è solo la negazione del romanzo del- l'artista, anche l'annullamento, la morte ideale dell'artista stesso. Nell'opera di Goethe, Marcuse vede rappresentata esemplarmente questa vicenda perché Goethe dapprima ha rappresentato, ad esempio nel Werther, il dissidio tra idee e la realtà, fra la ricchezza della vita intcriore e l'an- goscia del mondo esterno che rende il protagonista inca- pace di vivere. Ma quando Goethe si appropria in Italia della concezione del mondo come opera d'arte nella quale la vita, la società e la natura sono valori ideali, il destino dell'artista cambia totalmente: l'esistenza di una profes- sione artistica appartata e indipendente diventa impossi- bile e l'artista stesso può realizzarsi soltanto rome uomo che vive nel mondo e tra gli altri, identificando la sua arte con la vita. In una forma o nell'ultra, questa vicenda si ripete, secondo Marcuse, in tutta la storia del romanzo tedesco e culmina nell'opera di T. Mann nella quale assume la sua forma perfetta. Nella Morte a Venezia il godimento este- tico dell'artista di un bei ragazzo polacco si trasforma in un eros corrosivo e devastante che lo fa crollare al suolo « moribondo. Qui non c'è solo il contrasto proprio di tutto il romanzo dell'artista, tra artista e mondo borghese ma quello più profondo tra l'arte e le forze demoniache che tendono a dominare la vita. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: Il DOPOsegreti dell'editoria, ovverosia aspirante scrittore ringraziami e leggi! Ven Mag 08, 2009 1:08 pm | |
| Negli idilli Cane e padrone e Canto della bambina Mann ha trovato, secondo Marcuse, la forma di Uia veramente riservata dell'artista, supe- rando il dissidio tra l'arte e la vita. Ma la forma di vita così trovata non è più quella che prevale in una comunità agonizzata, ma quella individuale, isolata, esclusiva che può comprendere solo l'ambito ristretto della famiglia. Comunque Mann ha espresso, nella forma più radicale, secondo Marcuse, il dissidio tra l'arte e la vita, che è poi sempre anche la ricerca o l'annuncio di una nuova comu- nità di vita. Rifletti quindi, amico lettore, è probabile, anzi certo (ne abbiamo vari validi esempi), che un narratore di buone qualità possa divenire successivamente un valido saggista; ma è davvero impossibile, a meno di eccezioni che confermino la regola, che un saggista, per quanto intelligente e acuto sia, possa trasformarsi in romanziere di qualità. Il Guerri, al quale in definitiva dobbiamo essere grati, amico lettore, per aver più volte toccato — probabilmente dopo aver letto I Segreti dell'editoria — l'argomento aspirante scrittore e romanzo, ci riprova con un ulteriore articolo su « II Giornale » del 17 marzo nel quale ci forni- sce dati (questa volta attendibili perché provenienti dal- l'ISTAT) su quanto è stato stampato in Italia nel 1983. 148 milioni di copie per 21 mila titoli e segue un'elenca- zione puntigliosa: opere scolastiche 18; giuridici e am- ministrativi 10,5; romanzi e racconti 10; libri di sto- . ria 7; per ragazzi 5; poesie e teatro 4; enciclopedie e dizionari 3 e poi la puntigliosa precisione si stempera (chissà perché) in un generico resto « variamente diviso tra saggistica, manuali d'ogni genere, guide ecc. » Se ne può dedurre che nella classificazione — questa volta con- fusa — comprendente i saggi, vi è una fetta di ben il 42 circa. Ma ciò che non va perdonato al Guerri è l'af- fermazione che il 29 risultante quali titoli tradotti da • 80
lingue straniere è di « appena il 29 »; per il nostro è una percentuale « bassa » perché « basta considerare che la percentuale di scriventi in lingua inglese è almeno decu- pla rispetto a quella degli scriventi in lingua italiana » e conclude che « benediremo il momento in cui le nostre scuole riusciranno a mettere in condizione tutti di leggere almeno una lingua straniera e ancor più benediremo il momento in cui non ci dovesse essere più il bisogno di cercare opere originali all'estero. Ma fino a quel momento è cosa buona e giusta che ogni anno vengono messi sul mercato seimila libri stranieri ». È davvero grave, caro lettore, se si fanno due semplici calcoletti. In Italia si stampano ogni anno 21 mila titoli nuovi di cui, abbiamo detto, il 18 , pari a 3800 titoli circa, è dedicato alla sco- lastica. Rimangono quindi circa 17 mila titoli disponibili (comprese guide e manuali). Ebbene, di questi, ben 6 mila e più sono stranieri! pari a oltre il 35! Se poi fai mente locale alla narrativa, che pubblica circa 2100 titoli all'anno e nella quale maggiormente scorazzano gli stra- nieri, è un vero dramma, e non è certo per un malinteso nazionalismo che sostengo e ho sostenuto che troppa im- portanza si da ad autori stranieri che, per buona parte, non hanno nulla da insegnarci, per cui con questo an- dazzo probabilmente impararemo sì a scrivere e leggere in un'altra lingua e a sapere tutto dell'estero, ma non sapremo più come si scrive in Italia. A proposito di interventi a mio avviso non perfetta- mente riusciti e logici sull'argomento aspiranti scrittori che tanto ha attratto i nostri articolisti (molti dei quali non si sono nemmeno preoccupati di citarne l'opera ispira- trice), non c'è da dispiacersene se gli interventi fossero positivi per la sorte dei nostri aspiranti, quelli di loro che non sono certamente da buttar via. Intendo parlare, fra i tanti, di Paolo Mauri che ha pubblicato su « la Repubblica » del 23 marzo 1985 un corposo articolo dal titolo « Caro Moravia, aiutali tu ... » dove, traendo spunto da un recente referendum di Tuttolibri e dai suoi risul- tati, si dilunga a parlare della confusione fra valore di mercato e valore letterario, per poi dedicarsi agli aspiranti scrittori in questi termini: 81
Visto dal basso, caro Moravia, e correggimi se sbaglio, il mestiere di scrittore è ancora legato a vecchi modelli tramandati dall'aneddotica corrente: il « creatore » roman- tico, ispirato dal dio, il « maledetto » che brucia insieme vita e opera. La tecnica, il mestiere, la bottega... mai che se ne parli. Eppure, se non pare strano ad un giovane che sogna di fare l'architetto, di dover frequentare l'uni- versità e poi uno studio già avviato prima di esercitare in proprio la professione (senza per questo diventare Le Corbusier), sembra invece stranissimo ad un aspirante scrittore (che magari non diventerà mai Joyce) fare un serio apprendistato. E in Italia (e non scopro nulla di nuovo) mancano proprio i veri professionisti della scrit- tura, capaci di metter su un romanzo decente, adatto al mercato, in grado magari di sfondare all'estero. C'è invece in giro l'idea, per la verità un po' balzana, che solo attraverso il romanzo (la « creazione » ) ci si possa esprimere compiutamente. Con il risultato che tutti (o almeno moltissimi) desiderano scrivere o scrivono un romanzo che nelle intenzioni dovrebbe essere un « capo- lavoro » e spesso è invece un disastro... Ora io non voglio dire che la professione di « genio » si possa imparare; ma credo che, per chi abbia un minimo di inclinazione, si possa imparare quella di scrittore a quel livello medio che il mercato appunto chiede. E penso che tu, caro Moravia, sia la persona più indicata — grazie alla tua lunga espe- rienza — per dare dei consigli circa il mestiere di scrittore a tanti aspiranti scrittori... Come si scrive uri romanzo? Basta avere un'idea per buttar giù una trama? Che diffe- renza c'è tra romanzo e sceneggiatura? Da dove si comin- cia? Dal primo capitolo o dall'ultimo? Quali sono le trap- pole viù comuni cui va incontro un romanziere alle prime armi?... D'altro canto l'aspirante scrittore che non sa come si fa, è votato al prodotto di consumo: se aspirasse alla let- teratura, se avesse in testa un progetto suo, non gli ser- virebbe alcun manuale o per meglio dire saprebbe farselo da sé, leggendo gli altri scrittori. Una volta Garcia Mar- quez ha detto che gli scrittori tra di loro non si leggono, < 82
ma si spiano. Spiano l'altrui mestiere, « rubano n — se possono — i segreti. Alcuni sono elementari. Per esempio: badare alle in- congruenze. Beckett può tranquillamente essere incon- gruente, è un amplificatore di incongruenze. Ma lo scrit- tore che non punta al grande paradosso (che non è co- scientemente incongruente), no. Faccio un esempio. Ho letto Piazza Carignano, terzo romanzo di Alain Elkann... E qui, amico lettore, il racconto della trama e « le gravi colpe » dell'autore. Proverò ad elencartele per sommi capi: 1) II lettore si accorge d'essere in un ambiente ricco. 2) Nella pagina dopo eccoci in una libreria, luogo da cui il protagonista esce con un solo libro — rinunciando ai molti che desidera — perché (dichiara) ha pochi soldi. Tré righi sotto il medesimo (che è senza soldi, ce l'ha detto lui) medita di comprare un vestito. Anzi vorrebbe com- prarne tanti, ma non lo fa perché la sua compagna desi- dera ricevere un regalo per volta. 3) II personaggio pre- viene l'obiezione del lettore: come si può comprare un vestito per un'altra persona se non si conoscono le mi- sure? E recita le misure a memoria. Obiezione respinta! Ma non previene (oh, grave torto! Nota di B.C.) l'altra e ben più fondata obiezione: come si può acquistare un vestito se non si hanno denari per comprare dei libri? 4) Alla pagina dopo, quando il giovane dichiara di non essere bruttissimo e nemmeno poverissimo, almeno su questo punto dei soldi, il lettore ha già perso la fiducia, se non la pazienza. 5) Ma c'è di più. Accorso per assi- stere la madre moribonda, il nostro eroe la vede, chissà perché, u cinque minuti ogni due giorni » e sempre circon- . data da medici e infermiere. Più avanti però, quando la moribonda avrà una crisi e verrà chiamato il medico al suo capezzale, costui non sarà in grado di far una dia- gnosi. 6) Senza contare che la vecchia villa, a venti chi- lometri da Torino (distanza dichiarata) viene collocata, poco dopo, in una « sperduta campagna ». E così via con simili incredibili sottigliezze per con- cludere trionfante: « e non bastava un po' di mestiere ad evitarlo? » • 83
Ora vedi, amico lettore, non è che io non voglia dare il dovuto valore al « mestiere » ; esso è, come in tutte le professioni umane, importante, a volte importantissimo, ma contraddirei quanto ho affermato nella prefazione de I Segreti deli'editoria se non ribadissi questo per me fondamentale concetto: « Non sono molti i veri artisti delle lettere: non è facile avere l'Idea e tradurla in un componimento poetico, racconto o romanzo dall'architet- tura senza gravi pecche o scompensi. Non è una profes- sione aperta a tutti quella dello scrittore; non basta stu- diare, dare esami, conseguire una laurea e l'abilitazione, o partecipare ad un concorso. Ci deve essere una dote innata, che va successivamente perfezionata, senza la quale è inutile insistere ». Ed è appunto questo che spesso non si vuoi capire. Chi avesse bisogno di un manuale che insegni « Come si scrive un romanzo? Basta avere un'idea per buttar giù una trama? Che differenza c'è tra romanzo e sceneggiatura? Da dove si comincia? Dal primo capitolo o dall'ultimo? Quali sono le trappole più comuni cui va incontro un romanziere alle prime armi? » non può e non deve fare il narratore: è categorico. Inutile dilungarsi in tentativi che si concluderanno tutti miseramente, o tutt'al più con un bei temone scolastico scritto in modo inecce- pibile per il giudizio dei tanti, troppi professori di lettere che imperversano nejla critica letteraria. Un romanziere è qualcosa di diverso, ed è uno che magari deve « rubare » o spiare il collega famoso e che riconosce quasi come un maestro, ma non certo andare ad osservare per appren- dere, il capitoletto nel manuale, scritto sia pure da un Moravia che d'altra parte eviterebbe banalità tanto pe- nose per dire, se proprio lo ritenesse opportuno e non lo credo, cose ben più importanti. A questo proposito vorrei citare un articolo di Vittorio Saltini pubblicato su « Espresso » n° 12/85 dal titolo. « II mestiere di scrivere ». « II mestiere della narrativa » dell'inglese Percy Lub- bock, del 1921, resta uno dei libri più intelligenti scritti sulla teoria del romanzo. « Ritengo », dice, « che nel me- stiere della narrativa l'intero problema del metodo sia governato dal problema del punto di vista: il problema , 84
del rapporto fra il narratore e la storia ». Una storia può essere raccontata da uno o più punti di vista. E Lubbock studia il passaggio (spontaneo o calcolato) da un punto di vista a un altro; le ragioni della scelta e del mutamento del punto di vista; e l'importanza di ciò per la « forma » del romanzo. Già per Henry James teorico e romanziere qussti fu- rono problemi centrali. E spesso si attribuisce a Lubbock la tesi che le conquiste formali di James siano un mo- dello irreversibile. Non è così. Il finissimo Lubbock non è il rozzo « evoluzionista » che (come i teorici delle avan- guardie) crede che le « forme » s'esauriscano, soppiantate dalle nuove (ad esempio, la « Teoria della prosa » di Skio- vskij appare semplicistica in confronto alla padronanza che Lubbock già aveva dei problemi). Le invenzioni formali di James (di cui diremo) gli appaiono fondamentali (e poi furono seguite ad esempio da Joyce, Woolf, Hemingway, Faulkner, Guimaraes Rosa, senza che l'uso sistematico del « monologo intcriore » ag- giunga nulla di termalmente sostanziale). Lubbock au- spica che romanzieri e critici prendano coscienza delle innovazioni di James. Ma sa che esse comportano restri- zioni alla libertà del narratore. Anche dopo James, la vecchia mescolanza dei punti di vista può e dev'essere usata, a seconda della storia che si racconta. James inventò alcuni modi per unificare il punto di vista. N eli'a Età ingrata », giunse a un'integrale « dram- matizzazione» del racconto, ridotto a una serie di scene dove il narratore non s'avverte (non assumendo distanza « panoramica » ) e non entra nella mente dei personaggi. Negli « Ambasciatori », tutto si racconta dal punto di vista di un unico personaggio, ma con narrazione indiretta (in terza persona, con un narratore impercettibile). Ciò per- mette di « drammatizzare » (mostra Lubbock) anche la narrazione panoramica e retrospettiva. Prima di James, lo sforzo eroico di ridurre un vasto romanzo a una suc- cessione di scene senza narrazione panoramica (ma va- riando i punti di vista) si realizza in « Anna Karenina » di Tolstoj. Che però in tal modo s'inibisce ogni « econo- mia narrativa », con qualche danno (ma il danno, secondo * 85
me, non è quello che indica Lubbock). Balzac è invece il romanziere di massima tensione narrativa nel preparare le scene drammatiche (dove spesso è debole) con gran- diose panoramiche « pittoriche », spostando con sfacciata libertà i punti di vista... Questo, amico lettore, è un esempio di " mestiere dello scrivere " e non certo il sapere da dove si comincia e dove si finisce e delizie del genere, perché, ribadisco, chi non sa cose tanto elementari è meglio non si accinga nemmeno a sporcare fogli con ciò che scriverà. E ti dirò di più, che quando un autore è davvero grande (e per la verità non è questo il caso al quale si riferisce Mauri) non ha bisogno nemmeno delle teorie di Lubbock, James o altri perché lui stesso sarà ineguagliabile maestro e il suo modo di scrivere sarà magari studiato e spiato da colleghi di livello più modesto, ma pur sempre di livello tale da non aver mai bisogno di consultare manuali del tipo « Come si scrive un romanzo ». | |
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