Ecco,c'era da aspettarselo,la patina del duro,del freddo
raziocinante si è sciolta liquefatta miseramente
meravigliosamente all'impatto del narrare. Simili a impazziti
baluginanti razzi orbitanti su piani diversi ed
improvvisamente convergenti nella vasta misteriosa piazza
della mente, sensazioni si conficcano, quali strali
dolorosi, illuminanti e ravvivano ricordi sopiti scomparsi o
tenuti saggiamente nell'area di parcheggio dei
pensieri, quali aeromobili scoloriti nel buio hangar da
dove, ubbidienti schiavi, son richiamati a volte per brevi
controllati gratificanti voli, ed ora,invece, svolazzano
come uccelli solitari attraverso nuvole dense formando
stormi, lasciando traccia. Non più abitanti docili e
tranquilli l'uno vicino all'altro, ma vorticanti nello spazio
immenso del cervello,tanto largo quanto è stretto il mondo, e,
simili alle cose, lì si urtano duramente in modo
lancinante, non più vestiti di bianco come fanciulli alla
prima comunione, ma negri spettri, perché nessuno di essi e
contento di sé, ed una volta espresso è una bugia e non è
più rivoltabile come un saggio o uno studio per servirsene
parecchie volte.
Qui sono loro che comandano, ti prendono la mano,sono
indomabili ed infinitamente belli nell'orrido dei rimorsi
della verità di una vita intensamente vissuta. Non si può
barare, pena la banalità il falso il costruito su misura,come
lo svolgimento tematico monografico del tranquillizzante
saggio, anche il più vero e scottante, o che ne abbia la
parvenza osannata e di successo.
Narrare costa fatica, sangue, quanto e più di un percorso
nelle scure tortuose anse di un fetido labirinto,e la vivida
luce, il raggio caldo del grande astro che ogni tanto con
meraviglia ti raggiunge, non ti compenserà mai a sufficienza.
La molteplice faccia dei fatti ti attrae e ti
respinge,e, infine, ti lascia stordito ammutolito quando
alfine pensi di averne toccata l'essenza,il mistero.
Tutto ciò ed altro ancora prova il vero narratore ,non chi
non ha talento,o chi esegue una cosiddetta opera di
"ingegneria letteraria", senza 1'emozione, 1'afflato
dell'artista. Non bastano vivida intelligenza e saggia
metodica di ricerca che completa una profonda cultura per
fare opera narrativa, che non può essere scissa dalla vera
arte.
Ineluttabile, prima o dopo, questa verità si fa esplicita
negli autori e principalmente nei lettori che contano, ossia
quelli sensibili ed educati sui classici di ieri e di oggi.
Per il notissimo Umberto Eco, tanto osannato celebrato e
venduto, sembra giungere oggi, ad anni di distanza, e (con non
nascosta soddisfazione)ne registriamo la notizia.
11 "magazine" di Repubblica del 20 gennaio celebra la sua
sconfitta e ne racconta i perché senza però approfondirli e
valutarne la (per noi) lontana genesi.
II diffuso giornale organizza ogni anno un discutibile (per i
criteri di scelta e gli accoppiamenti) torneo intitolato
"Superwimbleton" dove 77 romanzi italiani, pubblicati da non
oltre un anno e accoppiati come in un torneo di tennis, si
affrontano in singole tenzoni il cui risultato è determinato
da una giuria di cinque lettori; ed Eco, al primo turno, è
stato eliminato da una quasi sconosciuta scrittrice
esordiente, Pia Fontana che, con il suo "Spokane", ha battuto
lo strombazzato e vendutissimo "II pendolo di Focault". Ma, in
fondo, non è l'avversaria che ha vinto, è Eco che ha perso,
come risulta dalla intervista rilasciata da uno dei tre
giudici che ha votato contro lo scrittore di
Alessandria. Franca Bonetti(studentessa italiana che vive a
Berlino) ha detto: "II libro di Eco è artefatto,è scritto per
gente che ha una concezione del mondo estranea al senso
comune.Preferisco la Fontana ".
A nostro avviso i veri motivi debbono ricercarsi nella
considerazione che nessuno -per quanto intelligente,colto e
fortunato sia- possa "tirare la corda " troppo a
lungo. Successe a De Crescenze con la sua unica opera
narrativa,"Zio Cardellino", molto meno venduto e celebrato
di "Così parlò Bellavista" e di "La storia della filosofia
greca". Ora succede ad Eco nonostante le cinquecentomila
copie vendute "a scatola chiusa" ma pochissimo lette,ed il
clamoroso successo mondiale de "II nome della rosa".
Il motivo ci sembra identico pur con tutte le debite
differenze di caratura e di preparazione: con la
narrativa,ossia con l'arte,non si scherza!
Eco volle dare una lezione ai narratori e costruì "II nome
della rosa" e a molti, a tantissimi sembrò che ci fosse
riuscito, ma quel libro, apprezzabilissimo per tanti
motivi (linguaggio,contenuti,cultura maturata, struttura e
suspense)mancava -e lo scrivemmo - di emozione che è
propria del vero narratore, emozione che deve
evidenziarsi sempre, e dilatarsi di fronte all'elemento
umano. Ebbene dalla pagina 246 alla 253 Eco racconta
dell'improvviso ed imprevisto incontro sensuale fra un
novizio e una fanciulla. Ciò in un monastero e nell'anno di
grazia 1327 con una freddezza ed assenza di emozione
agghiaccianti, senza minimamente alterare lo schema
razionale prefissato.
Con "II pendolo di Focault" i pregi riconosciuti ne "II nome
della rosa" sono totalmente annullati,e alla mancanza di
emozione si sommano assurda e inutile prolissità, un
linguaggio che lascia a desiderare (in considerazione
dell'importanza attribuita ali'autore),una tenue trama e una
cultura che pare non sufficientemente maturata e che
potrebbe identificarsi con erudiziene da "trasposizione".
E',a nostro avviso, una forzata opera narrativa di uno che
narratore s'è "creato"senza esserlo, senza possederne il
talento innato assolutamente necessario, che imbottisce il
lettore di date fatti congetture dove è difficilissimo
seguire un filo logico.
Qui il medioevo,"esotico" (perché poco conosciuto da
noi e tanto lontano dalla normale cultura nordamericana e
che costituì la chiave di volta del successo de "II nome
della rosa")è stato sostituito dai Templari e dai
Rosa-Croce.
Ne scaturisce un guazzabuglio causato dal desiderio di
stupire ad ogni costo da parte di uno scrittore che è e
rimane principalmente un abilissimo saggista.
L'immenso successo de "II nome della rosa", che secondo noi
è andato troppo al di là del giusto, sembra aver
causato un distacco dalla realtà e dalla oggettiva misura
anche ad un uomo notoriamente equilibrato come il professore
e scrittore Eco.
Non è facile raggiungere un grande successo, ma è
infinitamente più difficile mantenerlo o rinnovarlo,e la
tendenza ad una certa, anche se involontaria, arroganza si
manifesta sovente.
In fondo è il sogno d'ogni scrittore scrivere e far leggere
TUTTO quello che a lui più piace,e pensiamo che Eco, oltre al
desiderio di "stupire" ancora di più, ci sia cascato in
pieno,convinto che il suo libro sarebbe stato pubblicato e
venduto "a scatola chiusa".
Ciò,in fondo, è avvenuto, anche se dubitiamo che il
rendiconto totale delle vendite possa mai eguagliare, in
quantità, quello de "II nome della rosa".
"Di Eco avevo letto il romanzo precedente.Al confonto II
pendolo è impraticabile.Ho la sensazione che sia un libro
concepito per puri scopi commerciali,come sembra di capire
dall'enorme battagc pubblicitario.E' un libro lento .con
parole complicatissime ",ha dichiarato Cinzia Pozzi,un altra
delle lettrici-giudici di Repubblica.
In fondo,nonostante i miliardi incassati e da incassare con
i diritti d'autore, L'Eco narratore non potrà essere
soddisfatto del suo Pendolo perché,forse, tutto sommato,
qualche autore "a proprie spese" di cui inverecondamente
Eco si fa beffe nel suo libro, può essere più narratore di
lui;e dall'ormai famoso Pendolo uno solo è stato
strozzato: lo stesso Eco.