convinceranno il mondo e voi che la nostra potenza è reale
e non frutto di una o più menti esaltate.
«Certamente saprete che i russi hanno in programma per
questa sera lo scoppio di una loro bomba nucleare in
Siberia. Ebbene, signori, tale scoppio sarà impedito contro
la loro volontà da qui, con un semplice abbassare di leva...
Un leggero mormorio di stupore percorse il gruppo dei
consiglieri, ma la Fùhrer non sembrò nemmeno
accorgersene e prosegui:
«... Solo dieci minuti dopo nel Pacifico scoppierà una nostra
bomba al cullonio 2000 a settemila metri di profondità per
non creare molti danni. Il primo e il secondo avvenimento
fugheranno ogni residua perplessità».
Li osservò con aria compiaciuta, poi: «Finalmente il nostro
piccolo paese potrà svolgere il vero ruolo al quale è
destinato. Già ora, praticamente sfornito delle armi che
davvero contano, esso svolge una funzione non secondaria.
Da oggi il nostro compito sarà quello di guidare il mondo».
Hodler e Beth scattarono in un improvviso:
«Viva Lili Hitler!”.
me, ma tutti lo dovranno essere. La Svizzera dovrà far
corpo unico con i miei seguaci che già sono ben più
numerosi di quanto possiate immaginare. Ho qui oltre 100
mila uomini a mia disposizione fra i 7 mila del laboratorio e
della centrale e gli oltre 90 mila che in veste di turisti
affollano Interlaken, Wengen, Grindelwald e tutta la zona
fino al Lòtschberg. Altri milioni converranno presto
principalmente dalla vicina Germania e dall’Austria dove la
fiaccola nazista non si è mai completamente spenta. Anche
àalfltaLia e dall’Ungheria fedeli fascisti e neofascisti sono
pronti ad un mio richiamo ...
Hitler in gonnella
Il mento proteso in avanti e gli occhi luccicanti ricordarono
un misto di Mussolini ed Hitler nei loro momenti di trionfo,
ma certamente di tanto più belli!
“... Signori, o meglio camerati, darete immediatamente
ordine a tutti gli organi di comando del nostro paese di
mettersi a disposizione mia e dei miei collaboratori. Di
fatto, con il vostro avallo, da oggi assumo il potere
totalitario della Confederazione Eivetica. Fra un anno i
cittadini potranno pronunciarsi attraverso un referendum
sul mio governo. Qui a vostra disposizione vi sono telefoni,
mezzi televisivi e portaordini per diramare quanto vi ho
chiesto. Vi avverto che non sopporterò opposizioni e sapete
dalla mia lettera che ho i mezzi per eiiminarle. chi aderirà
con entusiasmo avrà importanti incarichi e chi non lo farà
sarà punito”.
Beth e Hodier scattarono nuovamente in un più
entusiastico:
«Viva Lili Hitler!» e ad essi si aggiunse, anche se più
fiocamente, Andrea Cimotti dal volto simile a Matroianni,
l’attore prediletto dal famoso regista Fellini.
Ma gli altri nicchiavano. Il vecchio Hindenburg era
frastornato, Bardot e Boyer indignati e Mùller incerto. Ai
primi due non sembrava vero di poter manifestare
chiaramente la loro ammirazione per il nazifascismo del
quale ancora rimpiangevano la sconfitta. Il ticinese riteneva
opportuno per ora aderire a quella che gli sembrava la
parte più forte, ma riservandosi di poter un domani dire di
essere stato costretto da una situazione del tutto
particolare e per il bene dei propri connazionali. Miiller
sentiva l’orgoglio della discendenza tedesca ma avrebbe
voluto, da buono svizzero, l’avallo del popolo. Oh, se si fosse
potuto subito indire il referendum!
Hitler in gonnella
La fascinosa Lili si era frattanto alzata e, indicando due
specie di valchirie in divisa da maresciallo del Reich
opportunamente modificata per belle donne, affermò:
«Vi lascio con i feldmarescialli Reina Schnellinger e Herta
Beckenbauer che seguiranno e coordineranno l’esecuzione
di quanto vi ho chiesto e poi vi condurranno a visitare le
nostre postazioni militari e scientifiche e a una rivista dei
battaglioni Liii. I camerati Hodler e Beth saranno poi
alloggiati presso il Quartier Generale; il Presidente
Hindenburg, Bardot e Boyer rimarranno confinati in altra
zona. Per Cimotti e Miìller deciderò poi».
Rapidamente uscì salutata dal fragoroso urlo di
«Heil, Liii Hitler», che sembrò ancora più possente di quello
che l’aveva raccolta al suo ingresso.
Quella sera i cittadini della Confederazione e quelli del
mondo intero si accinsero ad assistere a quella
trasmissione in mondovisione che durante tutto il
pomeriggio era stata più volte annunciata come la più
interessante e importante del secolo.
In una vecchia casa della Marina Grande di Sorrento, posta
in una splendida posizione sul porticciolo dei pescatori,
Amedeo Leone, dopo il lungo riposo pomeridiano, si era
preparato un’energetica cena a base di bistecca alta un dito,
zabaione, crostacei vari con maionese, annaffiata da un
cocktail di sua invenzione e dall’effetto fortemente
stimolante e si accingeva a guardare un po’ la televisione
prima degli stressanti impegni serali.
Era un uomo minuto, dalla scarsa muscolatura, ma tutto
scatti e con i nervi sempre pronti. I capelli nerissimi e
ampiamente impomatati, i baffetti piccoli e curati con
estremo impegno sottolineavano il naso piccolo e regolare
e le labbra sottili, volitive e sensuali. Gli occhi scurissimi, lo
sguardo fatuo e pieno di un senso di superiorità quasi ad
Hitler in gonnella
evidenziare la consapevolezza di uno che vale e che piace,
una specie di Tiberio Murgia insomma, quello per
intenderci che interpretava «Ferribotte» nel film I Soliti
ignoti.
Da cosa potesse derivare quel senso di superiorità non era
facilmente comprensibile a chi lo osservasse per la prima
volta o si informasse sulla sua posizione sociale, studi e
censo.
A ventotto anni Amedeo, figlio di un pescatore palermitano,
non aveva un lavoro fisso, aveva studiato fino alla terza
media ed era riuscito a venir fuori dalla casa paterna ricca
di fratelli e sorelle per abitare in quel quartierino vecchio,
ma comodo dove le cose di maggior valore erano un gran
lettone con spalliera di ottone e un guardaroba colmo di
pantaloni, shorts, camiciole sgargianti firmate dai migliori
sarti e un paio di smokings estivi. Nell’ingresso faceva bella
mostra di sé una colossale moto giapponese luccicante di
cromature e dotatissima di fari, faretti, specchietti
retrovisori, decalcomanie, radioregistratore, borse laterali e
cosi via. Il padre aveva dedicato tutta la sua intensa vita di
lavoro a realizzare le sue aspirazioni attraverso le
affermazioni dei figli, e si può dire che vi fosse riuscito. Le
femmine si erano sposate o erano fidanzate con persone
ricche o di buon livello sociale. I maschi avevano studiato o
studiavano con successo ed alcuni occupavano già dei
buoni impieghi o esercitavano lucrosi commerci.
Solo Amedeo no. Ma Amedeo un lavoro lo aveva e da anni e,
se non era dotato culturalmente, aveva un qualcosa in più
di cui era profondamente orgoglioso!
Negli anni ruggenti della pubertà si era presto reso conto,
da opportuni confronti, che il suo membro era ben più
grande di quello dei compagni. Tutte le prostitute
avvicinate e le poche ragazze indigene che gli era riuscito di
Hitler in gonnella
conquistare ne rimanevano entusiaste, ma non solo per le
dimensioni, così inversamente proporzionali al suo fisico e
alla sua altezza, ma anche per la resistenza all’uso che
praticamente non aveva limiti. Aveva insomma una o
addirittura due marce in più!
Ma a che sarebbe servito se il suo aspetto non gli
consentiva di conquistare le ragazze o le signore alla cui
sola vista il ruggente sesso immediatamente si metteva in
azione dandogli una senzazione di forza immane,
irrefrenabile? Erano quelli i tempi di Palermo e di Torre del
Greco. Le ragazze preferivano accompagnarsi con fusti di
cui l’Italia negli anni Settanta era ormai, dopo un’attesa di
secoli, ben dotata, particolarmente di quelli biondi che
sempre più somigliavano agli atleti tedeschi, svedesi e
americani.
Poi il trasferimento a Sorrento e qui la scena era
completamente cambiata! Erano apparse le turiste,
giovanissime, giovani, di mezza età e vecchie.
Amedeo si era accorto con piacere di poter usare sempre
più di frequente, a volte quasi continuativamente, quella
sua grande forza. Ora piaceva anche prima e non solo
durante e dopo. Era diventato sicuro di sé e il suo sguardo
aveva acquistato quell' aria di superiorità.
Perché studiare o cercarsi un lavoro fisso? Perché tentare
attraverso prestiti di aprire un bar o un negozio? Lui un
lavoro lo aveva e una dote cosi sviluppata che pochi
potevano vantare! Quelle nordiche non desideravano altro
che un uomo come lui, piccolo. nero e con un sesso cosi!
Le giovani per diletto, le tardone per guadagno, tutte gli
andavano bene! Presto si era «fatto un nome». I compaesani
lo guardavano con rispetto e invidia, le straniere venivano
apposta. L’Ente del Turismo, gli albergatori,i proprietari di
Hitler in gonnella
nights facevano a gara a chi lo trattava meglio e spesso gli
inviavano regali e percentuali. Si sentiva un "arrivato" e
avrebbe anche potuto mettere da parte un discreto
gruzzolo, se le sue manie spenderecce nei «mesi di riposo»
non lo portassero a consumare tutto quello che guadagnava
nei sei mesi di alta stagione turistica. Conservava solo gli
anelli che di tanto in tanto riceveva in dono.
È vero che se avesse voluto aumentare gli incassi avrebbe
potuto nei mesi invernali trasferirsi nelle apposite località,
ma l’istinto, più che la ragione, gli suggeriva che non
bisognava esagerare e chiedere troppo a quel suo sesso
superdotato. E poi vuoi mettere l’effetto in un ambiente
caldo, pieno di sole e di umori mediterranei in confronto a
località fredde e magari con la neve dove abiti imbottiti,
cappuccio o altro avrebbero mascherato la sua nera
bellezza?
L’immagine si formò sul piccolo schermo, cupe montagne e
un deserto pietroso apparvero, poi uomini a cavallo e altri
che inseguivano i primi, colpi di fucili e grida gutturali.
“Uffah! Che rompicazzo, il solito western”, mormorò
Amedeo mentre affondava il cucchiaio nello zabaione.
Manovrò il telecomando e in rapida sequenza apparvero un
balletto, bambini che cantavano, cartoni animati,
superuomini con superarmi, missili che fracassavano tutto
e missili fracassamissili, un uomo e una donna nudi che si
amavano furiosamente. Amedeo fermò la sua attenzione,
mentre scostava la tazza con lo zabaione e afferrava il
piatto con i crostacei, e poi: “Dilettanti! “, mormorò con
sufficienza e superiorità. Cambiò ancora ed ecco la
immarcescibile Nicoletta Orsomando che con un' aria fra
compresa e spaventata annunciava:
«Ci colleghiamo ora in mondovisione con la Svizzera per la
trasmissione straordinaria che vi abbiamo comunicato».
Hitler in gonnella
La sigla, la musica, una graziosa annunciatrice svizzera che
pronunciava parole in tre lingue e poi un gran tavolo
sormontato da un’immensa croce uncinata intersecata con
quella elvetica, al quale sedevano bellissime donne in
strane uniformi. Al centro una meravigliosa, moderna,
giovane Marlene Dietrich che prese la parola in tedesco,
mentre una voce in sottofondo traduceva in italiano.
«Donne uomini di tutto il mondo, è Lili Hitler che vi parla, la
figlia del Fùhrer della grande Germania, Adolf Hitler. Come
ho già fatto diffondere a tutte le agenzie di stampa vi
comunico che da oggi ...
“Sei bella, ma non mi fai fesso, le solite trasmissioni
fantapolitiche. Ma a chi cacchio pensano di interessare...” e
con un gesto di fastidio e superiorità ‐lui non lo metteva nel
sacco nessuno, era furbo‐ Amedeo cambiò canale e
finalmente trovò quello che cercava, una bella canzone
napoletana.
‐ Terminò il pasto e si accinse all’incontro con la ricca
tardona svedese.
Hitler in gonnella
CAPITOLO TERZO
Le reazioni al discorso della fascinosa e imperativa Lilì, ma
principalmente alla mancata esplosione nucleare russa e
ancor più a quella regolarmente avvenuta nel Pacifico della
bomba al cullonio 2000, superarono di gran lunga quelle
che avevano accompagnato tutti i più gravi avvenimenti dei
già tanto tormentato XX secolo. Sui circa quattro miliardi di
abitanti, una gran parte fu colta da sgomento, orrore, folle
paura ed anche incredulità. Sì, c’é molta gente pronta, di
fronte a possibili disgrazie o ad avvenimenti calamitosi
sociali o personali, a far scattare consciamente o
inconsciamente l’unico possibile dispositivo di difesa:
l’incredulità, la fuga dalla realtà anche se ben presente e
confermata da prove irrefutabili. Il mondo nelle mani di un
dittatore, o peggio di una dittatrice! La figlia di colui che
aveva scatenato la Seconda Guerra Mondiale! Dello
sterminatore di milioni di ebrei e di deportati! L’inventore
dei bombardamenti a tappeto! L’assertore della razza pura
e perfetta! Dio, perché il mondo doveva vivere ancora una
disgrazia simile, aggravata dal fatto che nessuno, uomini o
Stati, sembrava in grado di opporsi! E poi una donna! E
vero che il femminismo aveva fatto passi da gigante negli
ultimi anni, ma la gran parte dell’universo femminino aveva
sì voluto il progresso, la liberalizzazione, la parificazione e,
a parole, la supremazia femminile, ma sempre con la
copertura dell’uomo. Così come tanti nei paesi occidentali
vogliono la prevalenza di idee e leggi comuniste, ma sempre
Hitler in gonnella
dietro il paravento della potenza americana che ben si
possa opporre ad un’ingerenza diretta e prepotente del
gigante russo e del suo partito al potere.
Una parte però, e nemmeno tanto piccola. gioì di quella
sconvolgente novità. Finalmente riposti sentimenti di
nazionalismo, desiderio di governi forti e autoritari, leggi
razziste e non ultima la identica soggezione nella quale
sarebbero stati ridotti i due colossi degli ultimi
quarant’anni, gli USA e gli URSS. potevano esternarsi
liberamente.
Si scatenò immediatamente la lotta per crearsi benemerenze
e per poter essere il o la Quisling del proprio
paese. E le donne poi, le vere più esaltate “femministe”,
erano all’apice della soddisfazione alla notizia che tutti i
posti più importanti dovevano essere loro e che gli uomini,
dopo secoli di domimo ‐perlopiù apparente ‐ avrebbero
assunto solo posizioni di secondo grado.
Nei giorni frenetici che avevano seguito la storica
trasmissione televisiva, vi fu tutto un fiorire e un nascere o
rinascere di partiti neofascisti nelle varie nazioni. Le
bandiere inglese, americana, russa, cinese con al centro una
grande svastica e un fascio littorio! Ma la cosa più
sensazionale fu l’apprendere che i programmi della Fuhrer
prevedevano il ritorno ad una vita sessualmente morale.
Abolizione di films, riviste e libri pornografici e della
prostituzione ufficiale o ufficiosa, ma di quella femminile!
Al suo posto, nel quadro della nuova posizione della donna
sessualmente più sensibile e bisognosa di appagamento,
quella maschile!
Proprio così! Sarebbe stata appoggiata e incoraggiata la
prostituzione maschile, addirittura sotto l’egida dello Stato.
Sarebbero state riaperte le cosiddette
bordelli, ma con prostituti e non prostitute, tenutari e non
Hitler in gonnella
tenutarie. Le donne avrebbero potuto recavirsi in piena
libertà e, col pagamento di una o più «marchette”,
soddisfare le proprie esigenze.
Nei paesi musulmani non sarebbero stati più gli uomini a
possedere un harem, ma le donne! Vecchie leggi
sull’adulterio sarebbero tornate in vigore, ma, beninteso, a
favore della donna e non dell’uomo. Il delitto d’onore
sarebbe stato nuovamente contemplato, ma solo se la
moglie avesse ucciso il marito colto in flagrante adulterio.
Che mondo e che bazza per le «vere femministe»! I più alti
gradi militari, nella magistratura, nei governi, nella
diplomazia, nei consigli di amministrazione, nelle
università sarebbero stati loro e solo loro. Forse col tempo
e con molta prudenza e gradualità, agli uomini sarebbe
stata consentita una certa parità di diritti.
E i governi come avevano reagito? Al primitivo senso di
incredulità e di irrealtà, con grande sgomento quando gli
Osservatori Scientifici avevano confermato l’efficacia del
cullonio 2000 e del raggio kuta.
Reagan aveva immediatamente convocato i ministri alla
Casa Bianca che avevano preso posto intorno al tavolo
ovale dove i valletti si erano, come sempre, preoccupati di
non far mancare i soliti recipienti di vetro ricolmi di
caramelle — le piccole manie che contraddistinguono un
presidente dall’altro, innanzitutto! — Il sorriso fotogenico
era meno smagliante dei solito, ma pur sempre presente,
perbacco! Dopo un paio di battute, immancabili in un uomo
politico americano, accolte da forzati sorrisi, si erano interpellati
gli esperti del Pentagono, generali a cinque stelle, e
in una ridda di passaggi di caramelle si era dovuto
constatare che non vi era nulla di veramente attivo da fare,
se non un tentativo di accordo che salvasse perlomeno gli
“States» dall’ideologia e dal predominio nazista.
Hitler in gonnella
All’immediato pranzo subito approntato e alla presenza
della First Lady partecipavano anche i massimi esponenti
della CIA. Il quarto potere fu ammesso per venti minuti,
mentre le telecamere delle più grandi reti nazionali
poterono riprendere le importantissime personalità che
bagnavano le labbra nei bicchieri di purissimo cristallo.
Più tardi, in una riunione più ristretta e finalmente più
riservata, anche Carter fu invitato, naturalmente sempre
con un abbondante numero di caramelle.
«Allora, mister president, come pensa di risolvere la
situazione?”, chiese Carter mentre si grattava un orecchio.
“... Io sono riuscito ad ammansire Khomeini nell’Ottanta con
alcuni miliardi. Perché non oflrite alla Hitler l’oro di Forte
Knox?”.
Reagan sorrise, memore del periodo hollywoodiano e delle
conferenze televisive, ma presto il sorriso scomparve da
quel volto che apparve in tutta la sua drammaticità — gli
fosse riuscito così in un film! —, ricco di rughe, di anni e di
stanchezza.
«Non credo servirebbe. ..» e, rivolto al ministro del tesoro,
«... Che ne pensate?» Il personaggio interpellato inghiottì la
caramella che stava suggendo e rispose:
gravissimo contraccolpo».
Il segretario di Stato intervenne:
«Se permettete, mister president, non credo che l’oro o i
soldi servirebbero, ma solo la forza, l’azione senza paura, il
trattarla in modo duro. Ha funzionato con i russi all’inizio
della vostra presidenza e funzionerà anche con lei».
Reagan spostò bruscamente la coppa con le caramelle e
disse, sempre con la voce educata da attore anche se dentro
di sé sentiva montargli una rabbia infinita:
Hitler in gonnella
«Ma come, la forza? E il raggio kuta?”
«Ma potrà fermare contemporaneamente tutti i nostri
missili?»
«E il cullonio 2000?»
«Distruzione contro distruzione. Non vi è scelta. L’America
non può e non deve cedere, porca puttana... Ah, sorry,
mister president».
Il primo cittadino fece un vago gesto di perdono, come a
dire: «Di pure» e, rivoltosi ai generali:
«E voi che ne pensate?»
I vertici militari della grande potenza si guardarono l’un
l’altro sgomenti e girarono la domanda all’esperto in
missilistica, un ometto alla Mickey Rooney. Questi si alzò,
estrasse dei fogli da una borsa in pelle e li ripose
ordinatamente avanti a sé sul tavolo che, date le dimensioni
dell’oratore, gli fungeva come un normale leggio e iniziò:
dettagliati dei nostri Osservatori, le analisi di potenza, i
calcoli approfonditi. Ho immesso il tutto nel nostro
computer e il risultato è sconfortante. Mentre le bombe al
cullonio 2000 distruggeranno sicuramente il novanta per
cento degli States e l’ottantacinque per cento dei rifugi
atomici, il raggio kuta non permetterà assolutamente di
raggiungere il covo della Fiìhrer. Forse l’un per cento al
massimo del territorio svizzero sarà colpito e ben lontano
dallo Jungfrau, dove mi risulta fra l’altro esservi validissimi
rifugi atomici...» Guardò intorno sconsolatamente, abbassò
il capo e concluse: «Non c’è speranza con la forza, mister
president». Sedette e succhiò una caramella.
Il Presidente non ebbe la forza di sorridere. Le campagne
elettorali, i films, le conferenze sembravano appartenere ad
un altro mondo! Poi si rivolse al capo della CIA:
Hitler in gonnella
«E voi cosa potete fare? Il programma economico che avevo
enunciato all’inizio del mio mandato non si è potuto del
tutto attuare per le grandi spese che mi avete convinto a
fare. Non siete riusciti a sventare prima, non
un’indiscrezione, niente. Agite perlomeno ora, perdiana!” e
batté forte il pugno sul tavolo centrando una coppa con
caramelle che volarono tutt’intorno.
Il capo della CIA ne fu impressionato. Mai aveva visto
l’Attore così irritato, mai perdere il suo proverbiale fair
play.
«Sorry, mister president, sorry. Ma come potevamo pensare
alla Svizzera? Tutti gli Stati sono sotto il nostro attento
controllo con agenti segreti o satelliti spia e uomini di
governo a noi devoti e da noi stipendiati. Non solo i paesi
dell’area orientale, ma anche l’India, l’Egitto, la Cina, il
Pakistan, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, finanche
l’Uruguay e l’Italia, ma la Svizzera no, chi ci avrebbe
pensato! Con quelle tradizioni! Sarebbe stato come
controllare il Lussemburgo, Monaco o San Marino! Sorry,
mister president, accettate le mie dimissioni”.
«Mister president, sto mettendo a punto un piano per altre
vie. Datemi tempo, allora».
Reagan osservò gli altri membri della riunione e ne cercò il
consenso con lo sguardo. Nessuno disse nulla. Allora:
«Fate quello che potete e anche quello che non potete. Tutte
le speranze sono su di voi. Mi riferirete. Speriamo che la
Hitler ce ne dia il tempo e che Dio ci aiuti».
Anche al Kremlino si era tenuta una riunione fra i maggiori
membri del Praesidium, militari e del KGB. Analoghi i
risultati con l'unica variante che un generale aveva anche
proposto l’invasione della Svizzera e in particolare dello
Jungfrau con un lancio di venti divisioni di paracadutisti,
Hitler in gonnella
ma il disgraziato era stato immediatamente silurato ed
inviato in un posto subalterno a Vladivostok sul Pacifico.
Al Consiglio dei Primi Ministri della Comunità Europea vi
era stata battaglia grossa e per un pelo non cruenta. Antichi
rancori, vecchie sospettate simpatie, possibilità di rivalsa,
accuse sparate da un membro all’altro senza pietà
rivelarono che in fondo nulla era cambiato, nonostante le
apparenze, negli ultimi quarant’anni. Francesi contro
tedeschi, inglesi contro italiani, greci contro tutti. Ma come
al solito nessun costrutto.
In Cina si impiantarono un paio di processi e si confidò
sulla lontananza e sul miliardo di abitanti. In India, in
Pakistan, in Iran, in Africa centromeridionale avevano già
tanti guai loro a cui pensare che poca attenzione fu
riservata alla Fùhrer e si attese l’evolversi degli eventi.
Nell’America centrale e in quella del Sud molti Stati
accolsero quasi con gioia la novità che con ogni probabilità
li avrebbe rafforzati.
Gravi preoccupazioni invece nei paesi produttori di petrolio
e qualche proposta di minacciare di far saltare i pozzi, ma
senza seguito.
Terrore infine, e davvero giustificato, in Israele dove vi
furono alcuni suicidi, specialmente fra alti membri del
servizio segreto.
Hitler in gonnella
CAPITOLO QUARTO
Le feldmarescialle Reina Schnellinger ed Herta
Beckenbauer, fiere ed altere del loro eccelso ruolo, della
loro smagliante bellezza che molto si avvicinava a quella
delle gemelle Kessler dei tempi migliori, e delle loro sobrie
divise nere ricche di decorazioni, avevano condotto i sette
membri del Consiglio Federale lungo il pianoro del
Konkordialplatz dove, schierati in ordine perfetto, vi erano
alcuni battaglioni Liii. Il loro apparire venne salutato da un
altissimo «Heil Liii Hitler» che si spezzò in mille echi che
ritornavano dalle tante pareti rocciose, dagli orgogliosi
picchi, dai canaloni imponenti e rintronavano rombanti nei
condotti uditivi dei massimi esponenti della Confederazione
Elvetica.
Il pesante e massiccio Beth, preso da gioia ed entusiasmo
con il faccione illuminato da un gran sorriso, rivaleggiava
con il magro Hodler nell’agitarsi ed elogiare tutto quello
che vedeva. Anche Mùller sembrava contagiato
dall’entusiasmo e sempre più si sentiva orgoglioso della sua
origine tedesca e sempre meno ricordava che in fin dei
conti tedesco, sì, lo era, ma svizzero, di qùella Svizzera nota
per i secoli di neutralità e di non ingerenza negli affari
politici degli altri Stati.
Il vecchio Presidente si trascinava pesantemente e con
tristezza pensava allo strano destino dei nomi. Adolf
Hindenburg, il suo; Adolf come Hitler e Hindenburg come il
Hitler in gonnella
capo di Stato tedesco che nel 1933 affidò proprio a Hitler il
cancellierato, aprendogli così la via al potere assoluto.
Cimotti atteggiava il bel viso a composto interesse e di
tanto in tanto rivolgeva alle due stupende mare‐scialle
qualche complimento sulla perfetta organizzazione e si
tormentava nel dubbio se fosse il caso o meno di elogiarle
anche per la loro avvenenza.
Boyer e Bardot, sempre più irritati e sempre più memori
della sfilata delle truppe naziste sotto l’Arco di Trionfo a
Parigi, mascheravano a stento il desiderio di ribellione che,
come la piena di un fiume impetuoso, andava sempre più
montando dentro di loro e si auguravano che tutto fosse
solo una pagliacciata e un incubo dovuto a cattiva
digestione.
Poi la sfilata perfetta delle Ariane e degli Ariani purissimi,
alti, biondi, robusti e atletici che esegui‐vano, in perfetto
sincronismo, il famoso «passo dell’oca». Infine la visita ai
laboratori e alla sala delle leve che comandavano i raggi
kuta. Ne rimasero profondamente colpiti e, dietro imperiosi
inviti, diramarono gli ordini per un totale passaggio di
poteri alla Fuhrer e alle sue più dirette collaboratrici.
Nel giro di pochi giorni la Svizzera fu tutto un focolaio
nazista; modesti i tentativi di reazione, immediatamente
soffocati nel sangue.
Ma non solo la Svizzera fu subito a disposizione di Lilì;
anche la Germania occidentale, l’Austria e infine la
Germania orientale. La cortina di ferro fu definitivamente
eliminata e la Svizzera, con l’annessione dei territori
appartenenti ai vecchio Reich, divenne una grande nazione
con confini orientali che si spingevano fino a Brest‐Litovsk
e includevano la vecchia Prussia. L’esercito modernissimo
poteva contare su oltre due milioni di donne e uomini e
aveva, con un’attivissima
, il completo
Hitler in gonnella
controllo di tutti i principali uffici, ministeri, stazioni
radiotelevisive, basi missilistiche, centrali nucleari,
principali industrie, quotidiani e periodici; insomma di
tutto quello che contava.
Spesso i cittadini del nuovo grande Stato potevano
ammirare la loro Fuhrer sempre più bella che in chiave
femminista sfoggiava un’ eloquenza trascinante che tanto
ricordava quella del padre. Colonne di entusiasti, come in
un pellegrinaggio, ma sempre sotto stretto controllo della
), si recavano ad Eigergletscher dove erano
immessi alla visione diretta, anche se a decine di metri di
distanza, della divina Lili.
Ma chi era davvero questa donna bella, intelligente e
autoritaria come una dea? Perché si era rivelata solo a
quarant’anni, anche se ne dimostrava molti di meno? Qual
era stata la sua vita precedente? Come e quando aveva
appreso di essere la figlia del Genio del Male del XX secolo?
Il mistero più fitto avvolgeva i suoi precedenti. Si sapeva
solo dei suoi trascorsi di studiosa, ma anche su questi non è
che si conoscesse molto aldifuori del ristretto ambiente
scientifico mondiale.
Lili Kubler aveva trascorso un’infanzia serena e tranquilla,
nulla di più e nulla di meno di quella dei tanti bimbi che
affollavano l’elegante quartiere residenziale che si estende
fra i fiumi Limmat e Sihl. Sul grande viale alberato e
silenzioso che ne costituisce il cuore si affacciavano ville di
varie dimensioni, l’aspetto prevalente era caratterizzato da
uno stile moderno e funzionale, con uno o due piani, ampie
portefinestre, schematiche strutture e grande uso di
cristallo e di alluminio. Solo nella zona più centrale qualche
antica villa, ricca di colonne, stucchi, fregi e capitelli. Sia le
une che le altre divise dalla strada da curatissimi prati
contornati da ordinatissme siepi. Nella zona posteriore folti
Hitler in gonnella
giardini con alti alberi perlopiù sempreverdi. Solo di rado si
poteva intravvedere una piscina e qualche campo di tennis.
I proprietari erano banchieri, alti funzionari, industriali,
ricchi commercianti e professionisti di successo.
Il dottor Hugo Kubler apparteneva a quest’ultima categoria
e con la moglie Ellen aveva posto la massima attenzione
nella realizzazione della sua villa, che non era delle più
lussuose, ma certamente fra quelle arredate ed eseguite con
maggior gusto. Particolarmente le aiuole colme di fiori e la
serra ricca di piante tropicali e di una ventina di varietà di
orchidee, costituivano il suo hobby, la sua valvola di
sicurezza dopo le stressanti giornate trascorse all’ospedale
Cantonale dove era primario chirurgo. Immancabilmente
ogni pomeriggio, alle sei in punto, la sua alta, distinta figura
compariva sul cancello d’ingresso accolta dalla biondissima
e graziosa giovane moglie e da una figurina magra,
longilinea, con un visetto minuto e angoloso e occhi
bellissimi, ma in fondo ai quali vi era un qualcosa di strano
e misterioso. Fra le due, Ellen e la bambina, una Liii di dieci
anni, la più infantile sembrava senz’altro Ellen, piena di
slanci e curiosità che facevano contrasto con la
compostezza dell’altra.
Liii legava poco con le compagne di scuola o con le vicine di
casa o con i figlioli degli amici di mamma e papà; ma
proprio quando non ne poteva fare a meno e partecipava a
giochi o conversazioni, il suo carattere forte, a volte
violento, si manifestava e immediatamente diveniva
protagonista. Ma a scuola o negli sports che il padre la
forzava a praticare non emergeva per nulla. Era svogliata,
quasi assente e il suo sguardo sembrava inseguire chissà
quali cose lontane. Usava appartarsi non appena poteva
farlo, seguire il cammino infaticabile di una colonna di formiche,
le evoluzioni dei pesci nella vasca o il volo felice
Hitler in gonnella
degli uccelli. Poi improvvisamente un piede prepotente
schiacciava le formiche, una mano cercava di afferrare i
pesci o un bastone manovrato con abilità e cattiveria
distruggeva i nidi degli uccelli.
Cosa mai la tormentava? Forse l’aver appreso di non essere
la figlia naturale di Hugo ed Ellen che figli non potevano
averne? Era stato uno shock quando quelli che aveva
considerato i suoi veri genitori glielo avevano detto, usando
molta dolcezza ed esortandola a non sentirsi diminuita, ma
anzi conscia di essere stata fortemente voluta e ancor più
amata. Inoltre non doveva considerarsi un essere raro, perché
bambini rimasti orfani e poi adottati ve ne erano tanti.
Qualcuno anche nelle ville del loro quartiere. Il vero affetto
non è solo un fatto di sangue, avevano aggiunto, ma
principalmente una conquista lenta da attuarsi giorno per
giorno.
Ma i suoi genitori naturali chi erano, come si chiamavano,
dove erano morti? A queste domande i Kubler erano stati
più evasivi; le avevano detto solo che era stata trovata viva,
a soli pochi mesi di vita, fra i resti di un incidente
automobilistico e al brefotrofio, dove era stata condotta
subito, non erano riusciti ad individuare alcun parente,
mentre i corpi dei genitori che viaggiavano con lei erano
rimasti carbonizzati. Doveva dimenticarli, avevano
concluso con dolcezza, e considerare che i suoi veri genitori
erano proprio loro, Hugo ed Ellen con i quali viveva da
allora e che avevano fatto di lei lo scopo e la gioia della propria
esistenza.
Gli anni passavano e la vita si snodava con un ritmo
tranquillo e ordinato: la casa, la scuola, il nuoto, il tennis, il
pattinaggio sul ghiaccio, il cinema, le compere in
Bahnhofstrasse, l’arteria principale di Zurigo, dove i
Hitler in gonnella
lussuosi negozi si susseguivano senza soluzione di
continuità.
L’estate la trascorreva al mare, in Italia, a Venezia, Cattolica,
e un anno nel meraviglioso golfo di Napoli, a Capri, Ischia e
Sorrento.
Durante le ferie invernali si recavano a sciare a St. Moritz, a
Grindelwald o a Wengen e proprio nella piana soleggiata di
questo grazioso paesino montano sul quale domina la
cresta argentata della Jungfrau, Liii era sembrata scuotersi
dalla sua apatia e dai suoi misteriosi pensieri. Forse per la
prima volta nella sua vita incominciò a partecipare, se non
proprio con entusiasmo ma con un certo interesse, a balli e
gite che i giovani villeggianti organizzavano in
continuazione.
Aveva diciassette anni ed era ormai una stupenda ragazza.
La sua rassomiglianza con Marlene Dietrich era
impressionante. I ragazzi glielo avevano detto e le facevano
una corte ossessiva che lei respingeva con alterigia e
insofferenza.
Ma una sera, a uno dei soliti balli, qualcosa aveva rotto
quella maschera di indifferenza e superiorità che
nascondeva forse un profondo senso di isolamento e di
mancato vero inserimento nell’ambiente della gioventù
dorata che da tanti anni era costretta a frequentare.
Karl, brillante studente del Politecnico di Zurigo, era un bel
giovanotto, non molto alto, ma atletico e con un grande
accattivante sorriso che lo rendeva l’idolo delle ragazze
della comitiva. La invitò a ballare e la strinse a sé, mentre le
sussurrava non i soliti banali complimenti, ma — o forse le
sembrò così —qualcosa di diverso. Improvvisamente le
chiese:
«Sei mai stata a letto con un uomo?»
«No, perché dovrei farlo?»
Hitler in gonnella
«Perché? Ma diavolo, perché è bello. Fare l’amore è la cosa
più bella del mondo!»
«Non ci ho mai pensato seriamente».
«Ma se lo fanno tutti. Alcuni non pensano ad altro”.
«Sono degli stupidi!»
«Sarà, ma è normale farlo. Tutte le ragazze della nostra
comitiva lo hanno già fatto e lo fanno continuamente”.
«A me non va!”, affermò decisa e conclusiva Lili.
«Ma come fai a saperlo?”, chiese Karl mentre le accarezzava
dolcemente il seno e le labbra sfioravano umide e calde il
collo, le guancie, la nuca, le labbra di Liii e la lingua, come
un serpente, tentava di schiuderle.
La ragazza rimase indifferente e passiva.
«Forse non sei normale», la schernì il giovane. «... Ma come,
sei l’unica. Che ti raccontano le amiche? Lo sai, per i cantoni,
che ognuna di loro ha avuto ed ha un’attiva vita sessuale già
dai quindici anni o anche prima?»
«A me non va e non m’importa nulla del sesso e
dell’amore!», replicò cocciuta, ma non lo respinse né si
allontanò dal giovane che continuava le sue manovre sul
viso e sul corpo di Lili.
Poi improvvisamente si staccò da lei. “Allora davvero non
sei normale... Sai che ti dico? Ti riaccompagno in albergo.
Non ho tempo da perdere io con le frigide! Mi troverò
un’altra ragazza che abbia giusti istinti e desideri... Basta
che mi giri intorno, che credi?”
Improvvisa e possente una grande ira pervase Lili
impadronendosi di ogni fibra del suo corpo, così come un
placido lago viene turbato repentinamente da una violenta
bufera e rompe la diga che lo tratteneva e dilaga
incontenibile nella sottostante vallata. Gli occhi
fiammeggiavano, i muscoli erano tesi e il piede, così come
Hitler in gonnella
faceva da bambina, schiacciò con tutta la forza quello di
Karl. Avrebbe voluto distruggerlo, annientano quell’uomo,
quel maledetto maschio!
Il giovane rimase per un attimo interdetto e maggiormente
ammirò quella meraviglia di ragazza che l’ira rendeva
ancora più bella e desiderabile. Ma era troppo esperto
ormai per farlo trasparire e proruppe, per tutta risposta, in
una grande risata.
«Ah, dici che non sono normale? Che non ho desideri
sessuali come le ragazzine che frequenti? Ma guarda, il
gran’uomo!... Su, andiamo nella tua stanza, fammi vedere tu
se sei normale o così bravo come pensi! Hai paura?»
«Paura io? Questa é davvero comica... Andiamoci,
andiamoci subito».
I due fecero a lungo l’amore. Liii, dopo quello scoppio d’ira,
era contratta e timorosa, ma negli amplessi graffiò con
rabbia e crudeltà le spalle, la schiena il torace del suo
partner.
Non provò nessun particolare piacere fisico, anzi. Ma fece di
tutto per mostrare passione e appagamento.
Hitler in gonnella
CAPITOLO QUINTO
Dopo quella prima esperienza con Karl, Lilì incominciò ad
avere, a regolari scadenze, rapporti sessuali con vari
ragazzi, ma faceva molta attenzione a non legarsi con
nessuno di loro ed evitava che la cosa si ripetesse più volte
con lo stesso. Non provava piacere e il sesso le era
indifferente, ma in qualche modo la faceva sentire, se non
proprio inserita, un pò meno isolata.
Le compagne invece davano un’importanza prevalente
all’amore, ai loro partners, alle loro avventure. Era il loro
argomento prediletto, di gran lunga più trattato dello sport,
della scuola, dei vestiti, dei viaggi o delle villeggiature. E
non solo delle loro personali esperienze andavano
continuamente blaterando, ma anche di quelle delle
amiche, di lontane conoscenti, delle attrici famose e
finanche di quelle dei loro genitori.
Liii non interveniva mai in quelle vuote conversazioni che a
volte duravano delle ore. Solo molto di rado accennava alle
sue esperienze sessuali e subito le amiche si facevano
attente a quanto diceva quella misteriosa ragazza che
sembrava indifferente a tutto e che così poco parlava.
“Quanto sono stupide! Che razza di oche”, pensava di loro
Liii. Ma lei in definitiva a cosa pensava di così importante da
farla sentire di tanto superiore? A nulla! La sua mente
vagava quasi sempre nel nulla! Ma, scava scava, una cosa le
piaceva, anche se non con continuità: il far soffrire uomini o
animali, ma non moralmente, bensì fisicamente.
Hitler in gonnella
Così come da bambina ‐ in modo forse inconscio ‐
schiacciava le formiche, ammazzava gli innocenti pesci
racchiusi nelle piccole vasche e distruggeva i nidi degli
uccelli con maggiore gioia se contenevano uova o neonati,
ora nei rapporti amorosi tormentava il partner e cercava,
con le unghie, con i denti, con piccoli calci, di farlo soffrire,
forse per punire la sua mascolinità. Questo le aveva creato
la fama di grande amatrice. Pensavano, gli illusi, che fosse il
risultato di un incontenibile orgasmo!
Anche dominare le piaceva e quasi sempre negli amplessi
assumeva posizioni tutt’altro che passive, e più dell’uomo
che della donna.
Con le amiche poi, quando le andava a genio e non poteva
proprio evitarlo, dettava legge. Non certo per quello che
diceva, ma per un innato senso di superiorità. Era insomma
dotata di carisma e tutto quello che diceva o faceva, fossero
anche le cose più banali, erano accolte con sommo interesse
e rispetto da chi le stava vicino.
Da qualche tempo il padre le aveva regalato numerosi libri
di storia e particolarmente quelli sul Grande Conflitto che
aveva insanguinato il mondo negli anni ‘39/’45. La pregava
di leggerli dicendole che erano la sua passione e che tanto
avrebbe voluto discutere con lei dei vari episodi e dei
protagonisti di quegli anni e precedenti.
Liii non amava lo studio, né la storia, ma provava un affetto
misto a tenerezza per Hugo e si sforzò di accontentarlo.
Stranamente quegli episodi, quei fatti la interessarono più
di qualsiasi romanzo che avesse mai letto. E i protagonisti,
che figure interessanti! Stalin, Hitler, Mussolini, Churchill,
Roosevelt e i vari generali e ammiragli, i marescialli, i
collaborazionisti, i traditori, le spie, i partigiani. E poi le
stragi, le deportazioni, i bombardamenti, le grandi battaglie,
i missili, la bomba atomica. Che periodo! Che anni!
Hitler in gonnella
Incominciò a chiedersi clii avesse ragione, se le potenze
dell’Asse, Germania, Italia e Giappone, o le grandi
democrazie come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia. E
la Russia come si inseriva? E la Svizzera che aveva fatto?
Incominciò a parlarne con il padre che le forni altri libri che
raccontavano del trattato di pace che ne era scaturito. Non
cercava, contrariamente a quanto faceva in altre occasioni,
di influenzarla o di indirizzarla. Esponeva fatti, senza
commenti.
Lili non era studiosa. A scuola andava avanti di classe in
classe solo per l’indubbia notevole intelligenza e per la
prodigiosa memoria e si accingeva, in quel suo diciottesimo
anno di vita, a concludere le scuole medie superiori.
Il giorno del conseguimento del diploma i genitori la
festeggiarono con particolare affetto e le mostrarono il
dono che le avevano preparato, una piccola automobile
tutta nera. Ma non sfuggi a Lili lo stato esasperato di
tensione che Hugo cercava di mascherare e che contrastava
in modo così stridente con quel suo carattere calmo ed
equilibrato in ogni occasione. Inizialmente pensò si
trattasse di commozione dovuta al diploma della figlia, ma
poi si accorse che vi era ben altro quando il medico la prese
per la mano e la condusse nel suo luminoso studio le cui
pareti erano letteralmente tappezzate di libri e dove, negli
ultimi tempi, tante piacevoli ore avevano trascorso a
parlare sui trattati di storia che Lilì aveva letto e sui vari
episodi che più l’avevano interessata.
In una grande poltrona un anziano e serio signore con i
capelli tutti bianchi e una rotonda pancetta li attendeva con
a lato una borsa colma di fascicoli dai quali si effondeva un
acuto odore di vecchio, di chiuso, di muffa.
Hitler in gonnella
«Siediti, cara. Dobbiamo parlarti di cose di grande
importanza. Fai molta attenzione a quanto ti diremo sia il
notaio Kulm che io».
La ragazza, come al solito, non disse nulla, ma si sentiva
turbata, agitata. Sedette sul divano di fronte ai vecchio
Kulm e fu presto raggiunta da Hugo che riprese:
«Ricordi quando Ellen ed io ti parlammo di come ti
avevamo adottata e le tue giuste domande sui tuoi genitori
naturali?... Ebbene, fui vago e reticente e un motivo c’era.
Non potevo allora dirti di chi eri figlia, non avevi l’età per
capire cose importanti e principalmente per giudicarle
secondo un’ottica esatta. Ricordi ancora che da un anno ti
ho pregata di leggere tutti quei libri di storia recente e il tuo
appassionarti su episodi e protagonisti? Ricorderai infine
che più volte mi hai chiesto un parere, ma io ho sempre ilfiutato
di dartelo. Ora saprai perché, cara...»
Le prese la mano fra le sue, la fissò intensamente e poi:
«So benissimo chi sono i tuoi genitori e il notaio ne ha le
prove... Sei la figlia di un grande uomo, checché voglia
giudicarlo la storia che sola conta, o perlomeno più degli
uomini... Lilì, sei la figlia di Adolf Hitler!”
Un vortice di sentimenti, sensazioni travolse Liii. Per la
prima volta nella sua vita provava intensamente
turbamento, sgomento, orrore, orgoglio, amore, voglia di
piangere, di ridere, di baciare, fare l’amore, uccidere,
distruggere, costruire, annullare, annullarsi, dominare,
comandare, edificare, saltare, correre, dormire, morire!
Sentì vagamente Hugo che continuava a raccontarle della
madre vera, Jena Gobill, una scienziata che viveva alla Corte
del FUhrer con incarico di dirigente dei servizi di
informazione scientifica della Gestapo e che era morta
suicida insieme ad Hitler ed Eva Braun in quel fatale 30
aprile 1945. Qualche mese prima la piccola Liii era stata
Hitler in gonnella
affidata al chirurgo svizzero Kubler, uno della equipe
medica del Fiuhrer e subito spedita con lui nella tranquilla
Zurigo.
Poi sentì la voce stridente e sottile di Kulm che le diceva di
osservare un segno, un marchio che aveva sulla natica
destra. Era quella la prova! Le era stato praticato nei primi
giorni di vita alla presenza ditestimoni e avallato da lui,
notaio zurighese, appositamente chiamato per
quell’occasione.
Lili a stento realizzava quanto di così sconvolgente le
veniva detto, ma ricordò, in uno sprazzo di lucidità, di
quello strano segno sul suo corpo che da bambina aveva
notato e delle domande e dell’ironia che spesso i suoi
partners sessuali le avevano rivolto, mentre proprio lissù la
baciavano ardentemente.
«Ed ora, signorina...”, la richiamò il notaio, “... osservi questa
busta, la prego...”. Le mostrò una grossa, robusta e vecchia
busta che, come le altre carte che aveva consultato, odorava
di muffa. «Controlli i sigilli...”. Indicò cinque grossi grumi di
ceralacca contrassegnati da una svastica e da una A e una H
incrociate. «... Anche lei, dottore... E la busta che il Fuhrer mi
fece l’onore di consegnare nei mar zo del quarantacinque...
Ora la apro, secondo le istruzioni che mi imparti allora».
Con enorme delicatezza le dita grassoccie manovrarono un
coltello e fecero saltare ad uno ad uno i sigilli, poi si
affondarono all’interno dell’involucro di carta e ne
estrassero una busta più piccola sulla quale era tracciato
con grafia nervosa: A mia figlia Liii al suo diciottesimo
compleanno. Kulm la porse a Liii che fece cenno al notaio di
leggerla lui. Il professionista, custode di tanti segreti e di
uno di così sconvolgente importanza, iniziò:
«Figlia, oggi hai saputo di esserlo. Spero ne sia felice ed
orgogliosa. Purtroppo non ho potuto goderti. Sarebbe stato
Hitler in gonnella
bello farlo, ma il destino mi ha chiamato ad altri compiti.
Edificare una grande Germania egemone in Europa e
dominante nel mondo. Distruggere la razza semita ne
costituiva il postulato. Gli ebrei, maledetti, ne hanno
sempre costituito il maggiore ostacolo. Purtroppo la mia
vita si chiuderà senza aver potuto realizzare quello che
volevo. Chissà non vi riesca tu. Mio sangue e mia erede. Ti
ho affidato al fedele e insospettabile Kubler e ti lascio,
insieme ad un grande passato, un capitale di 100 miliardi di
franchi svizzeri, la cui amministrazione sarà gestita dalla
Banca di Costanza a nome di Lili Kubler, e fogli del mio
diario che saltuariamente ho compilato. Leggilo e decidi tu
se farlo conoscere al mondo. ‘Sii forte. Ricorda di chi sei
figlia! Il nazismo non muore, ma sono certo avrà nuovo
splendore. Ti abbraccio. Adolf Hitler’”.
Il notaio concluse con voce solenne e commossa. Scattò in
piedi — era ripiombato in altri tempi —, tese il braccio ed
esplose in un «Heil, Hitler». Il volto fiammeggiava, la figura
goffa sembrò assumere proporzioni immense. Anche il
compassato, raffinato Kubler lo imitò. Per un attimo ‐ i due
si ricomposero subito — sembrò di essere tornati vent’anni
dietro!
La grande busta cadde in terra e ne usci un volumetto con
una copertina nera, con fogli dattiloscritti e firmati uno per
uno: IL DIARIO DI ADOLF HITLER.
Hitler in gonnella
CAPITOLO SESTO
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