BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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QUI I LIBRI ; LE RECENSIONI RICEVUTE E QUASI TUTTO SULLO SCRITTORE
 
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 IL CRITICOSCRITTORE, racconto

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MessaggioTitolo: IL CRITICOSCRITTORE, racconto   IL CRITICOSCRITTORE, racconto EmptyGio Gen 08, 2009 6:57 pm

IL CRITICOSCRITTORE

Da anni la vena gli si era inaridita. L'ultimo romanzo era stato un insuccesso anche se "il mestiere" lo sorreggeva e dava una parvenza esteriore ai suoi scritti di validità. La pagina, ancora tecnicamente perfetta, non riusciva però a mascherare ai lettori più attenti il vuoto di idee e di contenuti. La grande casa editrice che gli aveva pubblicato per anni i suoi lavori si era data da fare, come al solito, e aveva pubblicizzato in ogni modo il suo romanzo. I critici avevano fatto salti mortali per trovare qualche significato nelle
sue pagine ed uno, in fondo onesto ma a lui profondamente legato per passati favori, si era rifugiato a parlare diffusamente, per quasi tutta la recensione, della copertina. Non si poteva dire la verità: Punzo era ancora potente, autore di una casa editrice che conta, membro fisso di innumerevoli premi letterari, critico di grandi settimanali, di importanti quotidiani, ma principalmente facente parte di quella specie di mafia che ancora domina la letteratura nazionale.
Come osare scrivere che il suo libro si avvicinava molto a quella "letteratura rosa" che tanto mostravano di aborrire? Meglio sarebbe stato ignorare quella sua opera dal titolo, come al solito, affascinante.
Cosa restava di buono da dire? La copertina, il titolo, il mestiere, l'atmosfera? e poi? Ma comunque non lo si doveva ignorare: sarebbe stato a dir poco pericoloso; non per lui, proprio no, ma per i suoi protettori. E poi, non sono i critici maestri nel cogliere una insignificante nota positiva e costruirci su un pezzo addirittura colmo di lodi o, se vogliono, da una modesta nota negativa edificare una recensione stroncante?
Ma i lettori avevano capito e, anche quelli che avevano ammirato le sue opere
precedenti e che da anni attendevano un altro suo romanzo, non ne avevano potuto parlare bene. Addirittura sconsigliavano quel libro che li aveva profondamente delusi, ratificando un declino che già si era manifestato da tempo. Le critiche, pur con tutta la buona volontà, fra le righe lo confermavano.
Nella casa editrice non si nascondeva una profonda
irritazione e qualcuno pensava di incominciare a diminuirgli gli incarichi, ridurgli le colonne sui settimanali,
sostituirlo in qualche giuria. Migliaia di copie invendute, una resa" massiccia, una perdita economica . No, non la si poteva tollerare e la prova precedente non aveva dato risultati di molto superiori.
E Punzo se ne accorgeva? Dal suo volto serafico, gonfio e pieno dl pieghe come una brioche, da quegli occhi di bove, dalle movenze effeminate, da quella voce in faisetto dall'intonazione calma che staccava parola da parola con una lentezza esasperante, si sarebbe detto di no. Continuava a recarsi in giro per mostre d'arte, congressi, redazioni, trascinando il corpo tumido d'adipe, mascherato da abiti confezionati da fior di sarti, tenendo eretta la schiena e accentuando involontariamente le dunose chiappe e atteggiando l'espressione del volto ad essere bonariamente superiore quasi a voler dire "sì, sono io Punzo, il grande scrittore, ma non me ne vanto, sono gli altri, compresi voi, tutti voi, che mi debbono ammirare e venerare" ed era con tutti di una cortesia squisita, facendo credere che fosse un amico o perlomeno uno che ricordasse colloqui amichevoli ed accoglienze gentili.
Ma certamente Punzo non era uno stupido: lo aveva dimostrato nella sua ascesa quando si era reso gradito a tutti quelli che contavano ricavandone e ricambiando cortesie, incarichi e recensioni di favore.
Della fase calante, della progressiva decadenza era stato indubbiamente cosciente. Come spiegarsi altrimenti del suo arraffare, a volte postulare, incarichi anche lontani dalla sua professione di scrittore? Come giustificare quella sua pecoraggine di fronte alle richieste, imposizioni dei SUOI colleghi più decisi ed influenti? Non certo per bisogno di denaro. Di famiglia più che benestante, aveva accumulato i diritti d'autore degli anni d'oro senza minimamente intaccarli, ma arricchendoli con stipendi di giornalista, compensi come membro di giuria, buste o quadri per presentazioni di mostre di pittura. Certamente stupido no. Come riusciva con abilità a mascherare la sua profonda ignoranza sui movimenti artistici dell'ultimo secolo quando componeva il pezzo sunteggiando, con indubbia maestria e profondo mestiere, i giudizi dati da "veri" critici del settore e sfuggendo ogni discussione in
materia!
Era sempre stato attento a non inimicarsi la classe dominante e profondamente conformista, anche se, nei colloqui a quattrocchi, assicurava il non conformista che contava, che in fondo lui non la pensava molto diversamente. Un comportamento di sagge e vereconde equidistanze con propensioni verso i potenti e immediate ma accorte ritirate. Anche nello scrivere nessuna posizione ben delineata, ma una generica collocazione di secondo piano negli "scrittori che sfuggono a una collocazione precisa". E non poteva essere diversamente per un uomo come lui.
Negli anni giovanili si era guardato bene dallo spostarsi molto lontano dall a città di provincia dove era nato, ma già era stato per lui un atto di coraggio trasferirsi, anche se solo parzialmente, nel vicino capoluogo dove poteva, lontano da grandi confronti, godere di una posizione di preminenza nelle lettere con pochi altri di notorietà nazionale essendo, tranne qualche rara eccezione, convolati verso altre mete i più promettenti.
Ormai provinciale anche il capoluogo, era bello recitare la parte dell'uomo di successo, quella del padre nobile con i tanti scrittoruzzi che non avrebbero mai assurto a posizioni di livello nazionale e cercare di reprimere, scoraggiare o ignorare, insieme con la ristretta mafia dei pochi colleghi rimasti, quelli che avrebbero potuto raggiungere mete importanti. Concorrenti pericolosi con i quali, prima o poi, avrebbero dovuto dividere la torta degli inca
richi, delle pagine letterarie dei fogli cittadini, delle presentazioni e cedere qualche posto nelle giurie.
Ma i nuovi, i validi, premevano e non si fermavano all'editoria asfittica del capoluogo che non avrebbe potuto dare loro quella notorietà, prestigio e risonanza che Punzo e i quattro o cinque della sua generazione difendevano con i denti, aiutati da quella benedetta crisi dell'editoria. Santa crisi! anche i veri talenti difficilmente riuscivano a giungere alle grandi editrici, quelle che sole potevano lanciare un nuovo scrittore!
Non erano molti i nuovi talenti per fortuna, ma quante idee brillanti, che vena scoppiettante, che coraggio nell'affrontare temi sociali, di attualità e politici! Ma uno era sfuggito alla tenaglia crisi-mafia e li aveva surclassati per le vendite e la notorietà ma, in definitiva, il terrore causato in Punzo e colleghi si era presto quietato: era un concittadino, ma ormai viveva nella capitale, e poi il suo libro era un misto di saggio-narrativa e il cinema lo aveva presto catturato trasformandolo in uno sceneggiatore di successo e deviandolo da una forse luminosa carriera di narratore.
Ma un altro pericoloso era apparso all'orizzonte. Possedeva qualità, ma aveva imbroccato una strada sbagliata:
la piccola editoria. Bisognava ignorarlo, non recensirlo, non segnalarlo e il volume era rimasto sullo scrittoio di Punzo nascosto in una pila di libri nuovi che ordinatamente ne copriva uno degli angoli.
Che differenza oggi lo scrittoio del grande narratore da quello di anni prima. Allora un mare di carte, testi, appunti, fogli iniziati e cancellati sommergeva la piccola macchina da scrivere. Ora un ordine da diligente impiegato. Allora le idee, gli spunti premevano e si accavallavano, e non aveva il tempo di metterli su carta che subito erano superati da altri più brillanti. Ora il vuoto e un lavoro metodico, di routine.
Ma quel Gomito tornava a mettergli paura: nonostante il silenzio suo e dei colleghi locali, si stava imponendo. Recensioni erano apparse su grandi settimanali, su prestigiosi quotidiani. Cosa combinavano i suoi colleghi critici?
Lo aveva conosciuto in mostre d'arte - era uno che contava nel settore - aveva scambiato con lui qualche parola, avevano brindato insieme al successo della mostra, lo aveva trattato con cortesia e considerazione. Ora il biglietto che aveva accompagnato il libro con la richiesta di consigli e giudizi era finito nel cestino. Poteva essere pericoloso, un concorrente, e non contava più tanto nel mondo dell'arte. Si poteva permettere di ignorarlo. Ma quei successi, quelle recensioni? Forse due parole non compromettenti di augurio avrebbe anche potuto mandargliele. Avrebbe dovuto, lui così compìto e apparentemente gentile. Ma che avrebbero detto i suoi colleghi della mafia? Si era informato: si erano comportati come lui.
Improvviso era apparso in libreria un nuovo libro di Gomito, questa volta pubblicato da un grande editore. Attese un nuovo biglietto ma non giunse nulla. Mandò ad acquistare il romanzo: era bello, ben scritto, di attualità e non poté fare a meno di apprezzarlo, ma per fortuna non era stato sollecitato a giudizi o recensioni. La mafia era in agitazione e sembrò addirittura impazzita quando comparve nella pagina letteraria di uno dei quotidiani del capoluogo una recensione non appariscente ma ricca di elogi tutto sommato meritati. Come era potuto avvenire? Bisognava serrare i controlli, non permettere altri spiragli. Bisognava difendersi.
La crisi imperversava e il libro di Gomito non poté imporsi come meritava. Lo ritrovò in qualche premio dove era giurato: lo bocciò inesorabilmente. Il pericolo sembrava debellato.
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MessaggioTitolo: Re: IL CRITICOSCRITTORE, racconto   IL CRITICOSCRITTORE, racconto EmptyGio Gen 08, 2009 6:58 pm

Ma una mattina di primavera, mentre Punzo ancora con gli occhi cisposi (aveva scritto fino a notte tarda e ne era insoddisfatto: nulla di quello che metteva su foglio lo convinceva più) fissava il pothos pendulo contro il balcone immobile in una maniera che lo faceva sembrare finto e una strana luce bagnava le foglie d'un verde freddo come vi fosse piovuto addosso il riflesso di un tubo a neon e i gelsomini esalavano un odore intenso che si mescolava con quello caldo, resinoso dei pini, apparve il portalettere con la borsa a tracolla, una di quelle borse di cuoio duro, consunto e macchiato, dalla quale usciva un effluvio acre di sudore e di carta impregnata di odori, sacchi di canapa, inchiostro, treni e stazioni ferroviarie. Tese la mano a toccare il marmo della balaustrata: lo sentì tiepido di sole, leggermente ruvido al tatto.
La domestica gli consegnò il pacchetto attraversando lo studio nel quale aleggiava l'odore della cera per pavimenti mal stesa. Punzo svogliatamente ne estrasse (e non poté fare a meno di avvertire sulla sensibile palma la volgarità di quel cartone) un libro e un biglietto.
La copertina, al contrario di quelle dei suoi libri, era prepotente, immediata, violenta: ne fu scosso e irritato, e il contenuto del biglietto, invece di mitigare quanto provava, ingigantì quei sentimenti. Diceva pressapoco: "Caro professore, le invio il mio ultimo romanzo e mi auguro che le piaccia. Spero che voglia recensirlo sui settimanale 'Domani'. Dopotutto siamo concittadini e non siamo in molti ad essere approdati a case editrici di importanza nazionale..." Era ancora Gomito! Che tenacia, che impudenza!
Versò nel bicchiere dello sciroppo di amarena. Il bicchiere era opaco, rorido, violaceo: già ristorava prenderlo in mano e lo rigirava fra le dita con la gioia di sentire i polpastrelli inumidirsi, rinfrescarsi. Sopra un tavolino si trovava una coppa piena di biscotti e pensò di mangiarne un paio. Erano leggermente secchi, diventati friabii e si ruppero subito fra le mani. Strinse le gambe e raccolse le briciole che vi erano cadute. Sentiva caldo, un caldo innaturale e si accostò il bicchiere alla fronte per bagnarla, poi raccolse un ventaglio, piccolo, antico, con le stecche leggerissime di tartaruga e la ventola di piume di gallo cedrone: l'aprì adagio e un po' si fece vento. Incominciò a leggere il romanzo: era affascinante, colmo di idee, lo stile essenziale e fluido, i personaggi -approfonditi senza prolissità - si stagliavano netti nel contesto, e che coraggio nell'affrontare certi argomenti e che acuta analisi storica parallela a quella del mondo attuale; un gioiello! Quel Gomito meritava, doveva riconoscerlo, ma bisognava difendersi da scrittori come lui: pensava a se stesso e alla mafia. Come sarebbe stato bello e gratificante parlare con lui e aiutarlo con la sua grande esperienza, col suo mestiere: avrebbe finalmente fatto il maestro ad un allievo che avrebbe potuto forse un giorno superarlo! E non è questo il compito dei maestri?
Cominciava a confondersi, annaspando in quel pantano inaspettato di passioni alla ricerca ansiosa di razionalità e di coerenza dove non c'era stato altro che quell'impulso irrazionale e, probabilmente, un'ombra di follia.
No, non era per lui, non per la mafia. Lo avrebbe
ancora ignorato, doveva ignorarlo!
Ma il libro di Comito stava avendo successo, si vendeva bene, la gente ne parlava come di un best seller, recensioni uscivano in continuità nei grandi giornali e in uno, fra i maggiori, addirittura un articolo su cinque colonne con la riproduzione della copertina e il chiaro invito a leggerlo. Financo un altro giornale del capoluogo aveva dedicato un lungo pezzo elogiativo con un'attenta disamina dei contenuti e con la conclusione che il reale ne era, nonostante le apparenze, il deus cx machina.
Dal suo giornale gli era giunto un invito ad occuparsene e stava studiando il modo per rifiutano o dilazionario, quando dalla casa gli giunse il richiamo della moglie. Si mosse per rientrare. Nell'oscurità del giardino, procedeva quasi a tentoni, le mani avanti per ripararsi da possibili ostacoli di cespugli o rami, per rompere lo spessore del profumo dei gelsomini che gravava nell'aria con una realtà addirittura fisica, materiale. Marta era seduta nella hall e non mostrò sorpresa del ritardo e del suo passo stanco. Disse solo: "Ah, sei venuto" e sorrideva e aveva l'aria di mostrargli qualcosa che sui momento non distinse. "Vedi? Guarda che bel quadro ti ha inviato Gomito, lo ricordi che gentile persona alle mostre d'arte e ai convegni?"
E spinse avanti un quadro non grande, ma di squisita fattura. Odorava di colori ad olio misti a colla che teneva insieme le bacchette lisce e lineari della cornice. Un biglietto pendeva da uno dei lati trattenuto da una striscetta di scotch. Lo staccò, e i polpastrelli ereditarono parte della collosità e di quell'odore mieloso. Lo lesse: poche parole di saluto, nessuna pressione. Guardò il quadro quasi senza curiosità: era di un autore che amava, quante volte quelle immagini avevano acceso la sua fantasia, quante volte s'era incantato a sognare quelle figure; adesso le fissava quasi con indifferenza se non con rancore, e Marta, che lo osservava mentre lui lo contemplava in silenzio, pareva delusa, addirittura offesa. "Ma come! Non hai capito?"
Aveva capito sì, ma questo aumentava i suoi rimorsi, le sue incertezze che pensava di aver accantonato definitivamente. Non era un quadro di grande valore economlco, ma lo aveva sempre desiderato e, lui, il grande Punzo, presentatore di pittori, considerava quasi un'offesa dover comprare un quadro. Ed ora era lì a sua disposizione. Avrebbe potuto collocarlo subito su quella tappezzeria alle sue spalle che spesso carezzava ricavandone un piacere quasi sensuale.
Il quadro era ormai da giorni a far bella mostra di sé sulla parete, ma non aveva né ringraziato né composto il pezzo, e in redazione attendevano. Marta, che lo disapprovava, gli comunicò di aver ricevuto una telefonata dalla segretaria di Comito che voleva accertarsi solo (ma era una scusa, era ovvio) se fosse stato regolarmente consegnato. Allora Punzo si decise (si sentiva in forma quel giorno, quasi come ai bei tempi), prese la carta di un azzurro pallido, l'infilò nella macchina da scrivere e senza esitazioni compose:
"Caro dottore, è vero: non mi sono fatto vivo con lei dopo aver trovato, al mio rientro in città, il bellissimo Piselli. Se devo essere sincero, non mi son fatto vivo anche per imbarazzo, e mi son chiesto persino se dovevo tenerlo, e al tempo stesso non volevo usarle una sgarberia ma, mi chiedevo, mi spetta un dono del genere, e a quale titolo?" " (Curioso modo, il mio, di ringraziarla del suo gesto:
ma la franchezza sottolinea proprio il mio disagio)."
"Ho letto il suo romanzo e ne ho fatto una recensione per il quotidiano 'il Corriere del capoluogo' (che me l'aveva chiesta), dove giace da un paio di settimane. Per il settimanale 'Domani' la cosa è più complicata: tra scioperi e ritardi e salti, spesso, della rubrica, anche lì ci sono tre o quattro pezzi miei - ho perduto il conto - che aspettano. Vedrò di fare qualcosa più in là."
"Il suo libro è acuto e divertente ma, m'è parso, anche un poco ambiguo, o più esattamente pericoloso: nel senso, voglio dire, che in certi momenti sembrerebbe quasi un rimpianto o un'apologia del pisagismo, e forse il tono grottesco andava più marcato proprio perché si capisse da che parte sta lo scrittore. Così ho cercato d'indirizzare il lettore della recensione contro questa interpretazione...
'Le faccio tanti auguri, di cuore; e mi scuso per averle scritto solo oggi. Con la più viva cordialità, il suo Punzo.
Poi, soddisfatto, prese la carta bianca che normalmente usava per i romanzi o per gli articoli e compose un lungo pezzo nel quale risaltavano tutta la sua abilità e il suo mestiere: generici complimenti, intervallati da dubbi sottilmente insinuati, una prolissa e dettagliata esposizione della trama e, nota dominante, un giocare insistentemente su quella chiave della pericolosità e ambiguità che solo lui (su oltre venti recensori non mafiosi) aveva trovato e il lettore, invece di essere indirizzato contro questa interpretazione, ne veniva condotto quasi per mano. Ma in modo sfumato, ambiguo, timoroso, quasi gentile, proprio come lo stile di vita del critico.
E si sentiva soddisfatto, appagato: aveva toccato le vecchie vette di abilità. Tutto gli era riuscito mirabilmente: poteva tenere il quadro, aveva, fra le righe, elogiato un libro tanto valido, accontentato la mafia insinuando quel dubbio, avrebbe incassato dal giornale il compenso per il pezzo, e ridimensionato un concorrente tanto pericoloso.
Spalancò la finestra, osservò la fitta vegetazione, aspirò voluttuosamente gli effluvi di gelsomino, dei pini e di quante altre piante e fiori affollavano il suo giardino e che tanto gli erano utili per riempire pagine e pagine dei suoi ultimi vuoti ed insulsi lavori, e poi si girò e lo specchio ovale con una cornice a sbalzi, di conchiglie e pampini intrecciati, rifletté le poltroncine foderate di tessuto rosso, la dormeuse col copritesta di merletto, il mobile con le pallide tazzine di Sevres, la mensola con i soprammobili che si fronteggiavano, le stampe al muro, la console, il pothos sospeso e mantenuto da catenelle di ottone e il suo volto e... si vergognò.
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