BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 LA SOMIGLIANZA, racconto

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Bruno
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MessaggioTitolo: LA SOMIGLIANZA, racconto   LA SOMIGLIANZA, racconto EmptyGio Gen 08, 2009 6:24 pm

LA SOMIGLIANZA

S'era mosso presto. come ogni rn una, dal suo albergo-eremo nella località delle dolomiti dove solo pochi si fermavano, ed aveva iniziato a camminare come un automa su per il monte sotto abeti rossi dalla corteccia rosso-bruno e dai rami sottili che si dipartono dai primari e ricadono col denso fogliame aghiforme in opache frange, sostituiti più su da pini cembro armonie si, forti. dal tronco massiccio e poderosamente radicato alla roccia. i rami corti e robusti sviluppati con densità uguale dal piede fino al vertice, ed era sbucato nella hoscaglia di lanci protesi verso l'alto, i rami lunghi e sottili, le foglie tenere e caduche graziosamente sparse in piccoli ciuffi e s'era aggrappato a pini mugo, striscianti sui suolo in estesi e tenaci viluppi di colore cupo come l'umore dell'escursionista per forza, per prescrizione medica. Ansimante s era fermato su una ripida falda di sfasciume detritico fra blocchi spigolosi e ghiaietta cedevole al primo posar di piede e alzato lo sguardo ad ammirare quasi involontariamente le lontane cime pittoresche di colore cangiante: dal grigio ai giallastro, dal rosa al rossiccio. Vicino, una parete pietrosa, nuda, con esili piattaforme terminante in una guglia aguzza, slanciata. Faticosamente aveva ripreso la marcia lungo uno stretto sentiero serpeggiante tracciato sul ghiaione e infine aveva raggiunto il ghiacciaio, immenso, imponente, nei pressi del rifugio che è anche sede della scuola estiva di sci. Stanco s'era seduto su una panca di legno grezzo e aveva consumato una frettolosa colazione vicino all'ampio camino di pietra viva, dove lingue di fuoco facevano scoppiettare allegramente i ciocchi in combustione. Frammisto, ma estraneo, ad escursionisti vivaci e felici sentiva discorsi ai quali da tempo non era più abituato, chiuso com'era stato fra libri, aule e casa. Parlavano di rifugi, di gite, di ghiacciai, di sci, di balli, di corteggiamenti, di appuntamenti furtivi nei boschi, di giochi di società, di tennis, di minigolf e forse invidiava i coetanei o addirittura gente di età più avanzata che ancora poteva animarsi con quelle futiità. Volontariamente si teneva in disparte e respingeva qualche tentativo di coinvolgimento e poi muto era uscito dal rifugio. Escursionisti sciamavano nei dintorni e il sole si rifletteva sui ghiaccio conferendo immagini falsate, e d'improvviso una di queste lo fece trasalire e provare un'intensa emozione, mentre il cuore gli batteva come volesse schizzare dal petto: una sagoma era comparsa nel suo campo visivo, una figura snella nei pantaloni e nell'azzurra giacca a vento, capelli lunghi che sembravano d'oro nel pulviscolo aureo dei raggi che le facevano da cornice. Come pazzo le corse incontro, inciampando, cadendo, risollevandosi, anni furono annullati, una folle speranza, una triste realtà! La ragazza, che lo guardava stupita, era bella, era snella, era abbronzata, aveva i capelli lunghi, la bocca piccola, ma era castana chiara e non proprio bionda, gli occhi scuri e non azzurri, l'espressione dolce ma non soave, le membra lunghe ma non da gazzella. Sergio era crollato ai suoi piedi svuotato, deluso, mortificato.
"Che c'è?", gli aveva domandato la fresca voce "ha
bisogno di qualcosa, si è fatto male?"
Sì, certo che si era fatto male, un male tremendo, incurabile, ma non al fisico, come la sua gentile interlocutrice
pareva temere, bensì all'anima, al cuore, alla mente!
"No, nulla, un equivoco", si era affrettato a rispondere e aveva distolto lo sguardo da allucinato, mentre gli occhi s'inumidivano e li aveva mascherati con le lenti da sole. Alle spalle dell'oggetto della sua insensata speranza erano comparse tre figure, un uomo, una donna e un bambino. Sergio si era rialzato e, salutando con un rapido chinar di testa, si era allontanato veloce verso la funivia. Non se la sentiva più di camminare distrutto com' era
E voleva giungere presto all'albergo, rintanarsi nella sua stanza e poi ripartire per Napoli. Non era più per lui la gente spensierata, la gioventù, la gioia di vivere. Il suo
presente, il suo futuro potevano solo configurarsi con la casa, i ricordi, l'università, gli studi, le ricerche scientifiche, l'insegnamento di una disciplina severa come l'alta matematica.
Tutto era ormai programmato per il suo viaggio di ritorno, ma la sorte aveva deciso differentemente, riservandogli un'altra sorpresa. Di sera nella vastissima e desolata sala da pranzo dall'alto soffitto con squadrate travature in legno, ampie vetrate, diecine di tavoli vuoti e in fondo sull'impiantito in assito un vecchio ping-pong, un altro
tavolo accanto al suo era apparecchiato e rendeva ancor più triste l'ambiente previsto per tante persone ed usato, fino ad allora, solo per lui e due coppie di milanesi che sedevano alla sua sinistra. Poco se n'era curato: chi potevano essere? altri anonimi villeggianti raggruppati l'uno vicino all'altro, quasi per farsi coraggio in quella desolazione che accuratamente aveva cercato e che a volte gli era di peso, non poteva negarlo, però lo proteggeva da confronti fra la sua tristezza e la vitalità degli altri. La porta si era spalancata e il grosso e rubizzo proprietario guidava ossequioso e rumoroso la ragazza del ghiacciaio
e i suoi tre compagni. Che inverosimile coincidenza! Fra le migliaia di alberghi delle Dolomiti, giusto nel suo dovevano capitare? Aveva cercato di nascondersi dietro la
bottiglia del vino sperando di non essere riconosciuto, nondimeno lei lo aveva ravvisato immediatamente e salutato indicandolo ai parenti. Sergio aveva risposto timido,
infastidito e con fare poco cortese aveva girato subito il capo, mostrandosi occupatissimo nella scelta dei bocconi o a fissare il fondo della sala. Nel frattempo fitta s'era intrecciata la conversazione fra i nuovi arrivati e i milanesi ed involontariamente, ma ne era certo?, apprendeva che sono suoi concittadini (altra singolare coincidenza). Si era concentrato a mangiare velocemente nel timore di essere coinvolto, com'è d'uso in montagna, nello scambio di chiacchiere, presentazioni, commenti e aveva paventa to da un momento all'altro una domanda diretta del tipo: "E lei?" Più volte era stato tentato di alzarsi e andar via ma doveva salutare, ed era forse quello il momento più pericoloso, più consono alla definitiva conoscenza dopo il larvato scambio di saluti che fortunatamente non aveva avuto seguito, ed era rimasto indeciso. Proprio quando stava per vincere i timori e abbandonare il tavolo, gli era stato servito il dolce e s'era trattenuto ancora e l'udito, ma non il cervello che lavorava intensamente in un accesa battaglia fra il rimango e me ne vado, continuava a captare l'intreccio d'informazioni ed impressioni che avveniva a pochi metri da lui. Indubbiamente si sentiva turbato per la presenza della ragazza e l'aveva finalmente guardata di sottecchi: è bella, è aggraziata e che somiglianza! Doveva davvero andare via, allontanarsi e aveva trovato la forza per sollevarsi e rapido aveva salutato ed era scomparso dalla sala. Ma quella volta doveva sfogare il turbine di sentimenti non nel chiuso della stanza e nell'abituale lettura del libro sulla rivoluzione francese fra i Danton e i Robespierre. Avvertiva la necessità di scaricare la tensione nel moto e forsennatamente si era incamminato nella strada buia, nel silenzio assoluto. Solo nei pressi del vicino torrente il frangersi della corrente sui massi, contro le sponde rompeva la quiete e gli ricordava che la vita, al pari del minuscolo corso d'acqua, fluisce impetuosa, anche se a volte sembra ristagnare per improvvisi ostacoli, ma poi torna a scorrere verso una meta che non e dato di conoscere dal punto di osservazione. E la mente era tornata alla presenza femminile che tanto l'aveva sconvolto. Che impressione bizzarra le avrà fatto la mattina sul ghiacciaio e poco prima a cena. Sì, la somiglianza c'era, però solo nell'insieme, per un gioco di luci, per un'immagine cerebrale, tuttavia il fatto rimaneva. Doveva partire, non vederla più! Ma ancora la sorte o un pizzico di volontà inconscia aveva disposto diversamente e di lì a poco era stato letteralmente catturato dall'uomo ed insieme erano rientrati nell'albergo e Silvia gli era stata ufficialmente presentata: là piccola comunità l'aveva assorbito, assimilato o lui non aveva voluto liberarsene. La porta della grande sala era stata aperta e altre luci accese. Subito s' era organizzata una canasta e i più giovani avevano preso possesso del ping-pong e Silvia aveva giocato: non era brava, al contrario dello zio e del cugino, ma quanto era piacevole vederla respingere la pallina bianca e leggera con movenze, magari non ortodosse per il minisport, ma tanto attraenti e spiccatamente femminili. Lo sguardo attento sotto le lunghe ciglia, i capelli castano chiaro scomposti dai rapidi movimenti, il seno prepotente sotto il maglione. i fianchi e le gambe armoniose evidenziate dal pantalone di lana. Sergio avrebbe voluto andar via e un attimo dopo non più ed era stato preso da una folgore di spensieratezza e s'era anche riabilitato dalle brutte figure quando, dopo essersi a lungo schernito, aveva anche lui giocato e travolto gli avversari con una vertigine di smatch ritrovati come per incanto dopo i lunghi anni nei quali non aveva praticato sport. Silvia lo aveva affiancato in un paio di doppi e s'erano fatti onore addirittura applauditi dai valligiani attirati dal vicino bar all'insolita animazione che proiettava l'albergo e il proprietario, tutto contento, in più fortunati tempi ormai remoti. D'improvviso Sergio era ripiombato nella solita tristezza ed abulia e aveva inaspettatamente salutato, sordo ad ogni invito a rimanere e, chiuso nella stanza spoglia, s'era immerso nella lettura del libro tedioso per non pensare, per distrarsi dal miscuglio di sensazioni ora allegre, ora disperate fino a
precipitare in un sonno profondo.
Un budello buio, un baratro senza fine, pareti vischiose, dure, roccia e ghiaccio. E avvinghiato ad un arbusto contorto con strane foglie verdi e delicate e fiori gialli, cerca di sollevarsi, di andare più su ma scivola, cade verso il fondo. L'arbusto si allunga verso di lui, le foglie, i fiori sono forti, tenaci, lo trattengono. Non è più un arbusto, ma un alto albero di mimose, si arrampica verso la cima, la raggiunge e di li vede l'uscita. Su, su in alto, alla fine del budello, splende il sole, il cielo è d'un intenso azzurro. Come fare a raggiungerlo? Prova lungo le pareti, ma la mano non trova un appoggio fermo. Ritorna sulla mimosa e sta per rinunciare, è stanco, non vuole lottare e sta per abbandonare, andare giù nel nulla. D'improvviso un vento di primavera invade quel luogo ossessivo e nuovi rami fioriti spuntano sulla mimosa e il tronco si allunga, si allunga e sembra invitarlo. Riprende coraggio , si sente leggero , vivo, pieno di speranza e sale: e quasi in cima…
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