BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO, racconto

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Bruno
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MessaggioTitolo: DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO, racconto   DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO, racconto EmptyGio Gen 08, 2009 6:46 pm

DIECI ITALIANI PER UN TEDESCO

Hanno nuovamente una casa e la vita sembra riprendere quasi un ritmo normale e civile. Mentre la guerra sembra essere relegata nell'apparecchio radio, grande come un mobile ricco di colonnine e fronzoli intorno al quale di sera nel salotto dei Bosco, al piano di sopra, sui panciuti divani di pelle fra zanne di elefante, archi, frecce e istoriati scudi africani siedono adulti e ragazzi ad ascoltare canzonette, pezzi d'opera e il giornale radio. A una certa ora Luigi Bosco si alza e, atteggiando il volto esile a cospiratore, si accerta che ogni porta sia ben serrata, le tapparelle abbassate fino all'estremo limite, le finestre ben chiuse e poi, inciampando in qualcuna delle infinite pile di libri che spuntano da ogni parte, abbassa il volume della radio e tormenta la manopola della sintonia e non trova pace fino a quando un "don-don-don, don-don-don, qui Radio Londra, amici italiani buonasera..." non zittisce persino le donne e li fa attenti alla voce stentorea che diffonde nell'etere notizie ben diverse da quelle che solo mezz'ora prima ha fornito il notiziario dell'EIAR. Mauro non ci capisce più nulla, ha la testa confusa: da quando ha incominciato a intendere, ha ascoltato i notiziari della radio come verità in assoluto, ed ora sente che la battaglia di Cassino sulla linea Gustav e l'altra che infuria intorno ad Anzio a soli cinquanta chilometri da Roma, le stanno vincendo tutti! Trionfalistiche le informazioni dall'una e dall'altra fonte! Ma la verità non è una sola? Come è possibile che le truppe Alleate hanno allargato la testa di ponte e si accingono a muovere su Roma, se l'altra parte afferma invece che i tedeschi hanno lasciato loro solo un lembo di terra e si accingono (e questione di ore) a rigettarli in mare?... Scrolla le spalle il ragazzo e il suo pensiero torna ai giochi e agli appuntamenti con gli amici per l'indomani.
Ma la guerra manifesta le sue infinite crudeltà proprio vicino a loro, come ha modo di constatare con occhi s barrati una mattina che è uscito con Roberto nella Topolino targata Corpo Diplomatico. Sono in Trastevere, un quartiere popolare densamente abitato straripante di un'umanità a lui sconosciuta che si riversa in stradette e microscopiche piazze sulle quali si affacciano botteghe di artigiani, osterie, latterie e trattorie con i pochi tavoli, uno addossato all'altro, per guadagnar spazio e sentirsi più uniti. In via della Lungaretta uno sbarramento di tedeschi e repubblichini li blocca, ma non chiede loro documenti per la provvidenziale targa: c'è paura e agitazione intorno, drappelli di militari frugano nei secolari palazzotti e ne discendono, dopo urla, pianti e tramestii che giungono da ogni parte, con giovani dall'aria disfatta e disperata che sono malamente spinti a procedere dalle canne dei mitra. Alle finestre compaiono visi di donna con i capelli arruffati, gli occhi pieni di lacrime che imprecano, urlano e pregano al tempo stesso. E una retata! Quei giovani saranno avviati ai campi di lavoro in Germania o usati per scavar trincee, elevare barriere, stendere fili spinati lungo il fronte sotto il fuoco degli Alleati per una guerra che non è più la loro. Uno si divincola, fugge, guadagna cinquanta metri, è quasi salvo! Ma una scarica di mitra, possente, tremenda, inesorabile con il rumore secco ben diverso da quello che si sente nei film, lo arresta. Il giovane gira il volto: sembra stupito, un fiotto di sangue esce impetuoso dalla bocca spalancata e stramazza sul selciato che si tinge di sangue scuro e denso. Una mano copre gli occhi di Mauro, ma il ragazzo vuol vedere tutto e un moto di ribellione lo pervade: vorrebbe fare qualcosa, urlare, muovere contro i soldati, ma la mano questa volta più ferma e decisa lo blocca con forza e gli tappa la bocca e un braccio lo attira sul petto di Roberto.
Sulla strada di casa a non più di due chilometri il padre gli parla, ma il ragazzo non ascolta, quell'episodio di violenza lo ha cambiato: non ha più otto anni, ma tanti di più, la fanciullaggine è finita!
Anche nel quieto quartiere che lo ospita la guerra stende i suoi tentacoli possessivi ed invia i suoi strumenti di morte: lo sparo nervoso di una pistola, il boato di una bomba a mano, la raffica asmatica di una mitragliatrice e aerei da ricognizione Alleati volano alti sul vicino Montemario contrati qualche volta dai caccia tedeschi che ingaggiano dei veri e propri duelli conclusi perlopiù con la spettacolare caduta a spirale di uno o più aerei che emette un fumo denso e spesso fra il quale emerge il grande ombrello bianco di un paracadute. Gruppi di civili si sono riuniti in bande e impegnano in isolati scontri germanici e fascisti, ma più di sovente protetto dal buio della sera o dall'ombra di un androne o di un giardino, un cecchino fulmina un soldato che crolla al suolo e il silenzio circostante è turbato da un urlo strozzato e dal rotolare di un elmetto o dalla caduta di un mitra. Immediate lugubri sirene annunciano l'arrivo di un nugolo di SS e potenti fotoelettriche illuminano a giorno la zona, che viene circondata e perlustrata palmo a palmo, e tremanti vecchi, donne e bambini sono condotti in strada dove, in ottemperanza ai precisi ordini del Comandante della Piazza, vengono passati per le armi.
È un vero e proprio incubo per quanti hanno cercato rifugio nella Città Eterna e incominciavano a dimenticare il sangue, le macerie, il rombo dei cannoni, le conflagrazioni di bombe sempre più potenti, le lunghe ore trascorse nei rifugi con l'angoscia di non più rivedere la luce del sole o di ritrovare le abitazioni sventrate e i propri beni dispersi. Anche i quiriti che tanto si erano spauriti per il bombardamento del luglio del '43 che aveva causato duemila morti e la distruzione di metà della basilica di San Lorenzo fuori le Mura, non dormono più sonni tranquilli e non vedono l'ora che tutto sia finito. Ma gli Alleati cozzano a Cassino contro una resistenza tenace fra le rovine dell'Abbazia rasa al suolo nel dissennato bombardamento del 13 febbraio.
Mauro non sa cosa pensare dei partigiani che ammazzano un tedesco pur sapendo di condannare ben dieci innocenti connazionali e fuggono lasciando tanti poveretti nell'ansia e nel timore di una morte crudele quanto ingiusta. La sera è il primo a prendere posto vicino alla radio tutta colonnine e fregi e non perde una parola di Radio Roma e di Radio Londra e chiede a Luigi Bosco e al padre spiegazioni, ma i due uomini non lo ascoltano e si rinchiudono nello studio occupati in ben altri pensieri e preoccupazioni che perder tempo a rispondere a un bambino. Che senso hanno le azioni isolate, i veri e propri assassinii di qualche nemico solitario? Eppoi quali sono i veri nemici? I tedeschi che proseguono nella lotta a fianco dei fascisti ma, al tempo stesso, deportano e uccidono i nostri compatrioti, o gli americani e gli inglesi che hanno raso e continuano a radere al suolo le maggiori città italiane o mitragliano innocue automobili civili lungo le grandi strade di comunicazione come ricorda hanno ratto anche contro la Topolino nel travagliato viaggio da Fiuggi?
Ormai non gioca più il ragazzo, ma studia con serietà e legge e rilegge la storia sul testo di stato per la scuola elementare, zeppo di frasi roboanti sulla grandezza dell'antica Roma, dell'Italia dei Comuni e sulle glorie del risorto impero per la volontà e la tenacia del nostro Duce e del nostro Re. Ma il Re non è ora contro il Duce? Chi ha ragione? Allora fruga nella biblioteca alla ricerca di una risposta, ma non la trova né può trovarla in quei libri che parlano solo del passato e non di quanto più lo interessa. Si rivolge al maestro, ma il poveretto sembra sempre più spaurito e quando Mauro lo tormenta con i suoi interrogativi gli risponde:
"Non ti interessare di queste cose, riguardano i grandi, impara quello che ti è necessario per fare un buon esame."
È durante una lezione che sente uno sparo secco e poi urla, suoni, comandi imperiosi, stridio di freni, sfrigolare di pneumatici e il passo cadenzato di truppa. Si precipita alla finestra e vede sull'altro lato del viale un assembramento incredibile e un frenetico fuggi fuggi in ogni direzione. Una
ventina di individui sono trascinati, alcuni portati di peso, lungo il muro dell'edificio: sono perlopiù donne e vecchi, sembrano intontiti, incapaci di resistenza, uno è in pigiama. Un ufficiale delle SS nella maledetta inappuntabile divisa ormai stranota fa allineare un plotone a qualche metro dal muro. Sono tutti alti uguali, sembrano usciti da uno stampo: rigidi, perfetti, i passi all'unisono, i movimenti coordinati come elementi di un meccanismo fatto di leve ed ingranaggi esenti da polvere, lubrificati al punto giusto dove è impensabile anche un benché minimo inceppo. Di fronte a loro esseri umani che incominciano a rendersi conto di ciò che sta per succedergli e si agitano, piangono, pregano,  imprecano, svengono, si divincolano come in una
da inferno dantesco. Anche il maestro e Luisa, la sorella di Mauro, sono alla finestra, la ragazza non resiste e si accascia piangendo su una poltrona, il maestro lo strappa dai vetri e tenta di chiudere gli scuri, ma il ragazzo sguscia e preme il viso sulla superficie fredda trasparente. Gli occhi, il naso, la bocca sono deformati dalla pressione parossistica e il volto si deforma, lo sguardo sbarrato, le gote rigate da lacrime. Quei poveri esseri laggiù sono costretti lungo il muro, un comando perentorio e brillano centinaia di sinistri scintillii per il riflesso degli ultimi raggi del sole ormai al tramonto. La raffica parte e i corpi, in un attimo interminabile come la sequenza di un film di una fantasia perversa, si inarcano in uno spasimo ribelle e poi si afflosciano ormai vinti, mentre l'asfalto, il muro, le finestre del piano terra si picchiettano di schizzi rossobruno. Ma non e finita: lamenti si levano dall'ammasso di corpi e arti si muovono ancora e un viso  -indimenticabile-  emerge su tutto e sembra fissare i suoi carnefici quasi immobile. L'ufficiale e due graduati si avvicinano e puntano a meno di un metro pistole dalla canna lunga e fanno fuoco, gli stivali rovistano l'ammasso di carne e continuano a sparare per minuti lunghi una vita.
I timpani di Mauro rintronano degli spari come la sua mente. Il maestro riesce infine a tirarlo via e finalmente il ragazzo si lascia andare in un pianto dirotto gridando:
"Perché, perché?" e fugge nella sua stanza.
Per giorni non tocca quasi cibo e poi la vita riprende e alla fine di uno stupendo maggio romano quando i fiori rallegrano i giardini e i grandi alberi di quella città tanto ricca di verde sembrano trarre novello splendore, il nuovo Mauro serio e composto si reca insieme a Luisa alla scuola elementare Cristoforo Colombo per sostenere gli esami di idoneità alla 5a classe che supera brillantemente ricavandone una pagella con una lunga sfilza di lodevole sulla cui copertina campeggia un grande fascio stilizzato fra due triangoli, uno rosso e l'altro verde e la scritta:
"Ancora più vicino al mio cuore degli istituti, delle università fasciste, è una nuova istituzione che ha tutti i segni originali della rivoluzione fascista: l'opera balilla. Mussolini".
Solo due giorni dopo la vicina caserma Mussolini èsaccheggiata dalla popolazione e Mauro, un possibile balilla, assiste alla scena di donne scarmigliate che trasportano sedie, tavoli, divise, pentole, suppellettili di ogni genere ed interi mobili e qualche arma abbandonata dell'imponente edificio dalle linee moderne che ha forgiato per un ventennio elementi di un esercito che è riuscito soltanto a piegare un paese africano e si è disciolto, come neve al sole, di fronte alle Potenze che la ropaganda per anni ha definito imbelli ed incapaci di Fare una guerra precipitando quel popolo, che tanto ha osannato il Dittatore e i suoi gerarchi, nel più profondo e buio medioevo.
Il 4 giugno 1944 gli Alleati entrano in Roma e l'esercito multicolore composto da americani, inglesi, francesi, canadesi, marocchini, indiani, neozelandesi, australiani sfila acclamato da due fitte ali di folla alla quale, come si fa con gli straccioni, vengono lanciate sigarette, tavolette di cioccolatta e tanti barattoli di cibarie.  La finestra della camera di Mauro rimane chiusa: non può il ragazzo considerare amici quei soldati che hanno straziato il paese che li accoglie così benevolmente. Odia i tedeschi, è vero, ma l'immagine dei palazzi sventrati, ddle strade dissestate, delle donne che hanno pianto i loro figli uccisi in terra, in cielo e sul mare si forma chiara ora nella sua mente e mai lo dimenticherà, affiancandola sempre a quella del giovane ucciso in via della Lungaretta e di disgraziati individui che improvvisamente e incolpevoli sono stati strappati alla loro casa e fucilati senza pietà lungo il muro che ancora reca i segni delle pallottole e qualche macchia ormai stinta di sangue innocente.
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