BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 IL PARADISO!, racconto di Bruno Cotronei

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MessaggioTitolo: IL PARADISO!, racconto di Bruno Cotronei   IL PARADISO!, racconto di Bruno Cotronei EmptyVen Gen 20, 2012 1:11 pm

IL PARADISO!, racconto di Bruno Cotronei <a href=IL PARADISO!, racconto di Bruno Cotronei A1_bc_70" />
Mallow fece le
presentazioni: "mister Caracciolo, ufficiale della marina
mercantile italiana, naufragato al largo di Capo Datu, e miss
Mary, mia unica figlia". A Michele riuscì un perfetto baciamano
che io accreditò come gentiluomo ed ufficiale, e provò un
brivido di desiderio a sfiorare con le labbra riarse dal sole la
pelle morbida e fresca.
In un'accogliente stanzetta, messagli a disposizione,
mentre si strappava di dosso gli abiti consunti ed osservava
compiaciuto un lindo abito di tela disteso sul letto, dimenticò il
naufragio, i compagni,, la remota Sorrento, gli sporchi
bastimenti, l'infernale sala macchine, le bettole ed i bordelli dei
porti ed incominciò a pensare che forse la fortuna iniziava a
sorridergli. Non era più un marittimo in quella remota isola, ma
un'ufficiale, un uomo bianco, di ceto non inferiore a quello dei
suoi cortesi e forse un po' ingenui ospiti.
Michele s'era presto ambientato. La vita scorreva intensa
ma tranquilla, sicura. Di mattina era fuori con mister Mallow fra
gli albori del caucciù, si trattava di Hevea brasiliensis di alta
produttività che, pur essendo di origine amazzonica, trovano
condizioni ideali di sviluppo in Malesia. Si doveva, gli aveva
raccontato Mallow, a Henry Wickham l'importazione
clandestina dei semi nel 1876. Non era grande Templemore,
circa una trentina di ettari, ma ben organizzata con una rotazione
continua fra hevea interamente scortecciati e nuove semine. Il
lattico raccolto in grossi bidoni veniva portato alla fattoria e
separato con accurata acidificazione e stabilizzato con
ammoniaca per trasportarlo con la chiatta a Kuching da dove
veniva spedito a Singapore. L'irlandese, di stanza in Malesia con
la sua nave da guerra della quale era primo ufficiale, aveva
presto compreso le grandi possibilità di sviluppo del caucciù e,
stanco della vita militare, si era congedato e, vendute le poche
proprietà in patria, aveva acquistato una piccola fattoria da un
cinese nel Bomeo e vi si era trasferito con la moglie e la
figlioletta fondando Templemore quasi dieci anni prima. Un
rapido successo, un crescente benessere avevano confortato la
sua scelta, ma la morte della moglie per una misteriosa malattia
stava per fargli vendere tutto e tornare in Europa. Proprio Mary
s'era adoprata a dissuaderlo donandogli la forza per continuare
ed una nuova serenità.
Mary, l'attraente fanciulla. A lei pensava Michele
continuamente, pur ascoltando attentamente Mallow. Non
vedeva l'ora, durante la mattinata, di far ritomo al bungalow per
sederle vicino a tavola, ammirarla, sfiorarle la morbida mano,
riempirsi l'udito e la mente della voce soave e melodiosa
nonostante la durezza della lingua inglese.
L'amava? Non sapeva. Di certo la desiderava con
l'energia del suo giovane corpo, con la passione del suo
temperamento napoletano. E non solo lei, ma anche
Templemore, la tranquillità economica, il prestigio della
proprietà, il comando degli indigeni che vi lavoravano, così
obbedienti e rispettosi e che si accontentavano davvero di poco
per faticare instancabilmente per ore e ore ogni giorno.
Qualche volta di pomeriggio la fanciulla si accompagnava
al padre e a Michele e, con la scorta di qualche tozzo e olivastro
malese, si recavano in giro per il bosco o lungo il fiume.
Ma le ore più belle erano quelle della sera quando nella
grande sala, dopo il pranzo abbondante, si sedevano sul
divanetto su comodi cuscini a fumare, a discorrere e la
differenza di idioma mascherava le lacune di Michele rispetto
alla cultura degli ospiti. Mary raccontava delle sue esperienze a
Dublino nella severa scuola delle suore cattoliche dove fra lo
studio, il ricamo, le preghiere giungevano improvvise crudeli
pene corporali per la più piccola ed anche involontaria
mancanza, e poi della scuola inglese frequentata per anni a
Singapore, quando i genitori si erano trasferiti nel Borneo.
Anche lì studio assiduo e severità secondo lo stile dei popoli
anglosassoni che tendono a temprare il carattere, non come i
'mammisti' latini, aggiungeva mister Mallow con una punta di
sarcasmo. E Michele pensava a quale mammismo si riferisse.
Forse a quello della borghesia o della nobiltà o di un certo tipo
di popolo, non certo di suo padre che lo riempiva di ceffoni,
calci e colpi di cinghia non proporzionati alle mancanze che
commetteva, bensì all'umore o alla quantità di vino bevuto. La
mamma cercava di aiutarlo, è vero, ma poi anche lei, povera
donna, abbrutita dal lavoro e dalle sevizie del marito, gli
lasciava andare violenti schiaffoni e urla che rintronavano per
tutto il vicolo. Poi, dopo cinque anni di scuola, il padre l'aveva
sbattuto a lavorare presso un fabbro e infine lui, per
disperazione, s'era imbarcato e doveva a qualche bravo ufficiale
se aveva appreso nozioni di meccanica e letto qualche libro.
E Mary cosa provava per lui. Sarebbe stato necessario,
-fondamentale saperlo, il tempo a disposizione non sarebbe stato
infinito, anzi si andava consumando troppo in fretta. Si serviva
di Michele solo come di un diversivo alle giornate forse troppo
monotone per una fanciulla senza compagnia della sua età in
quel lembo sperduto di mondo? I neri occhi di Michele, i fratti
decisi del suo viso, il corpo non grande ma muscoloso e virile
l'avevano sedotta? O l'essere lui un europeo, crederlo un
ufficiale perdipiù, l'avevano indotta alla cortesia e niente altro?
Perché allora quando le mani si sfioravano non ritraeva la sua
subito, perché quando gli sguardi si incrociavano in dolce (a lui
sembrava amoroso) sorriso si illuminava e non era pronta a
distogliere il suo? Ah, se avesse potuto comportarsi come
aveva fatto con qualche giovinetta di Sorrento, afferrarla,
stringerla a sé e baciarla! Chissà non dovesse fare così anche
ora. Mary gli piaceva, gli piaceva e gli piaceva anche
Templemore e quel tipo di vita. Perché non approfittare di una
momentanea assenza di Mallow per attirarla a sé e farla sua? E
se avesse rovinato tutto? Se fosse scaduto dalla sua
considerazione e forse dalla simpatia o dal pallido amore che
sperava, come minimo, incominciasse a nutrire per lui? E se
l'avesse raccontato al padre dopo averlo respinto, magari con
l'aiuto di un servo? La morte, o come minimo la prigione
l'avrebbero accolto. No, calma, doveva ben valutare ogni cosa.
Ma il tempo, il maledetto tempo non era molto!
Mallow si era assopito o aveva gli occhi chiusi? Si accostò
impercettibilmente, tremava, il fianco contro il fianco, il braccio
ad urtare quello di lei, la gamba vicino alla sua. Era lui che
fremeva o anche la giovinetta? Mary non si allontanò, ne disse
nulla. Michele chinò il capo sul suo e le mormorò parole
d'amore che aveva letto in un romanzo. Mary arrossì e non
rispose. Michele si girò a guardare l'irlandese. Dormiva, ora ne
era certo. Si accostò ancor più vicino a Mary e le sfiorò il collo
con le labbra e profferì ancora una volta parole d'amore più
ardenti, sicure. Mary gli sorrise pallidamente, gli occhi subito
abbassati ma il braccio sfregò contro il suo. Poi,
improvvisamente alzatasi, gli lasciò una carezza lieve, dolce sui
capelli e scosse il padre e si accomiatò rivolgendo, prima di
uscire dalla sala, un sorriso pudico ma incoraggiante a Michele
che prese fuoco come lo zolfanello con il quale accese la
sigaretta e benedisse le fiammelle dei lumi a petrolio tenute
basse, che mascherarono la sua immensa agitazione ed il sudore
copioso sprizzato dai pori dilatati ad inondargli il viso.
"Alla buon' ora, mister Caracciolo, prendiamo l'ultimo
bicchierino e andiamo a dormire. Domattina dovrò alzarmi
prima del solito, farò caricare la chiatta. Saran mi ha segnalato le
buone condizioni del mare ed intendo approfittarne per andare a
Kuching. Come sempre Mary verrà con me e credo che lei sarà
lieto di poter conoscere nella capitale le possibilità di rientro in
patria".
La notte era illuminata da uno splendido plenilunio che
donava toni ovattati agli angoli della casa. L'umidore del clima
equatoriale dava irrequietezza e tanto gli ricordava le calde
roride notti estive di Sorrento quando il mare e gli incombenti
agrumeti scaricavano vapor acqueo in abbondanza. La porta
della stanza di Mary era chiusa, a chiave? Perché non provare a
dischiuderla? Si avvicinò, allungò la mano verso la maniglia, poi
si ritrasse. Troppo presto, meglio attendere, Mallow poteva
essere ancora sveglio. Entrò nella sua camera, accese una
sigaretta.
La giovinetta sognava. Verdi prati, aiuole colme di fiori,
un atletico abbronzato torace nudo, un muscoloso braccio
l'attirava a sé, occhi scuri l'osservavano adoranti, rosse tumide
labbra le si accostavano, la baciavano con dolcezza dapprima e
poi sempre più impetuose, violente, possessive. Tremava tutta,
s'agitava, si scopriva, si frugava, poi ogni cosa scomparve e si
ritrovò da sola nel letto caldo, sfatto. L'italiano, Michele!
L'aveva subito favorevolmente impressionata col suo fisico
bruno non diverso dai daiacchi, ma con lineamenti da europeo e
al tempo stesso tanto lontano da quella pelle bianchiccia,
lattiginosa, lentigginosa dei figli di Albione, i suoi compatrioti.
C'era qualcosa di fosco negli occhi del napoletano, di
terribilmente attraente: un certocché di femmineo e di maschio
al tempo stesso. Metallo fuso, tristezza e fierezza insieme: a
volte le suscitavano un senso di pena, di tenerezza, di voglia di
proteggerlo, cullarlo come un bambino spaurito, ed alfre il
desiderio di abbandonarsi a lui con fiducia anche se avesse
dovuto farle male, straziarla, distruggerla. Mai aveva provato
simili sensazioni se non forse nella lontana infanzia in Manda.
Com'erano squallidi, al suo confronto, i compagni che aveva
avuto alPhigh school di Singapore o i giovanottelli e i quasi
imberbi ufficiali frequentati nelle festicciole della grande città
della penisola di Malacca. Sembravano tutti usciti dallo stesso
stampo: o troppo rigidi e seri, o fanciulloni senza alcuna reale
attrattiva. Era stata corteggiata da molti di loro, ma mai aveva
provato un vero interesse, la passione che sentiva oggi crescerlo
impetuosa. Forse il lungo solitario soggiorno in quell'angolo di
Borneo con la sola compagnia del padre, dei malesi, dei daiacchi
e le periodiche visite a Kuching, dove tanto pochi erano i
residenti europei della sua età, avevano acuito il bisogno
d'amore, di rapporti nuovi mai avuti. S'era scoperta più volte ad
invidiare le. donne indigene quando fuggivano sorridenti nei
boschi o nell'interno delle capanne in compagnia di un uomo, o
quando recavano in braccio tondi vivaci bambini. Spesso s'era
soffermata ad osservare le membra muscoloso, i toraci levigati
dei daiacchi e s'era forzata di distogliere lo sguardo da quegli
esseri, umani sì, ma di razza a lei inferiore, vietata. Ora con
Michele non era più necessario farlo: era un europeo, anche se
non di una nazione particolarmente stimata dai suoi. Ma, folle,
perché insistere in pensieri senza senso, senza futuro? Michele
non era un loro vicino o un abitante di Kuching o del Borneo,
era lì solo di passaggio, presto sarebbe andato via, lontano, non
lo avrebbe più visto! Allora perché lui le avrebbe sussurrato le
parole accattivanti, alcune in quella lingua dolcissima che tanto
ricordava chitarre, mandolini e violini? La risposta giunse
immediata, ovvia: era un uomo, e che uomo! 'Attenzione, Mary,
è il prodotto di un popolo che da secoli ha fatto dell'amore
l'unico scopo della vita!' Si ricordò di frasi sentite di sfuggita in
conversazioni di grandi a Dublino, a Singapore e forse anche in
Sarawak. Non ne aveva mai conosciuti, ora si rendeva conto di
quanto potessero essere infidi, pericolosi, ma anche tanto
affascinanti! E lei? Che sarebbe stato della sua vita? Non
desiderava l'amore, il matrimonio, i figli? Che c'è di meglio per
una dorma? Si, ricordava a Singapore quando le sue compagne
discutevano animatamente del nuovo ruolo della donna nel
secolo ventesimo: una donna affrancata dall'uomo, non più ad
esso schiava, ne costretta a mille trucchi per sottometterlo, ma
conscia della sua nuova funzione, della sua indipendenza, di
poter intraprendere mestieri e professioni a lui riservate da una
lunga inveterata stantia tradizione. Non aveva mai assunto una
precisa posizione; sapeva, ora specialmente che non aveva
voglia di lottare, ma voleva solo abbandonarsi alle delizie che il
suo corpo, i suoi sentimenti le dettavano.
La porta si schiuse prudente, una mano abbronzata fece
capolino e poi il viso tanto bello, l'oggetto dei sogni, dei suoi
pensieri comparve. Un dito posto verticalmente sulle labbra
represse il suo istintivo moto a gridare e il corpo bruno e
muscoloso scivolò nella stanza. Parole sommesse, dolcissime,
una carezza, un bacio, quanto diverso da quelli ai quali era
abituata, e mani possessive, una pressione via via più possente
ed imperativa e poi... il Paradiso!

Antonio Carpediem Bel racconto che scivola leggero nella fantasia di chi legge e si affida alla fantasia. Quei pensieri, quei sussulti, quei timori sembrano i nostri.
Poi, come sempre accade, come sempre speriamo accada, la paura scompare e AMORE prende prepotentemente il centro della scena.
Anche per merito delle parole, antiche di lignaggio amoroso, di un napoletano o (perché no?) di un salentino che sussurra parole intrise di miele mandolino e pizzica.
Ed è davvero il PARADISO.
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