BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 IL DUBBIO, racconto di Bruno Cotronei

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MessaggioTitolo: IL DUBBIO, racconto di Bruno Cotronei   IL DUBBIO, racconto di Bruno Cotronei EmptyMer Ott 13, 2010 5:02 pm

IL DUBBIO
Il pensiero ritorna ineluttabile per l’en­nesima volta a quella sera.
È settembre. Un caldo opprimente, innaturale e una tem­peratura che da giorni e giorni supera i quaranta gradi: da oltre vent’arìni, scrivono i giornali, non si ricordava una fine estate così calda, benché l’umidità durante il giorno sia ri­dotta e permette nell’immobilità, nel cono d’aria smosso da un ventilatore, nell’immersione in mare o in piscina di trova­re qualche refrigerio, ma la sera i pochi gradi di diminuzione sono fin troppo compensati dall’umidore che sale dal mare e discende dagli alberi, depositandosi sulle case e sugli uomini e non dà sfogo al sudore che rimane rappresò sulla fronte, sulla pelle, mentre un’afa insopportabile toglie il respiro e si spera sfiduciatamente in un pò di vento che la mitighi. Nel giardinetto dello studio di Sergio alcuni amici si sono riuniti per trascorrere insieme qualche ora per cercare, nella distra­zione del gioco, di obliare quel calore intollerabile, ma prin­cipalmente di procrastinare il momento più terribile di gior­nate come quelle, quando distesi seminudi sul letto si tenta disperatamente di prendere sonno e il materasso raccoglie e restituisce decuplicato il caldo del corpo e il lenzuolo si Im-pregna di madore, il cui odore acre aumenta il senso di fasti­dio e di insofferenza. La luna e le stelle hanno strane forme sfrangiate con un alone che ricorda quello dei fanali nella nebbia e così appaiono le luci di Mergellina e della collina di Posillipo. Le ringhiere e i muretti sono roridi e il gelsomino sembra privo di profumo. Il tavolo da gioco è sotto un im­menso ombrellone, ma Sergio teme che l’umido dell’aperto aggravi un fastidioso ascesso che da giorni lo tormenta e lo obbliga a nutrirsi con quel caldo con purea e polpette e pre­ga Silvia di trasferirlo all’interno. Volenterosi raccolgono il grande tondo fornito di panno verde e Io sistemano su un ta­volo quadrato, mentre Nino rimane all’aperto davanti al te­levisore portatile che trasmette la nona di Beethoven. È par­ticolarmente pimpante quella sera e sul volto ebete riappare l’antica aria da padreterno. Lui, di solito così impacciato con gli amici, accompagna la musica esaltante con il movi­mento delle mani e delle labbra. Indossa una tenuta balneare con una specie di giubbotto di filo che gli lascia scoperto parte del torace grassoccio e dello stomaco adiposo, convin­to che l’abbronzatura annulli il grasso. Pantaloni di lino strettissimi sottolineano l’abbondante ventre e sandali da spiaggia rivelano i grossi piedi. Silvia sembra non soffrire il caldo e un leggero copricostume evidenzia il seno sodo ed alto e le gambe lunghe e abbronzate. È l’unica che dà una sensazione di fresco nella compagnia di individui boccheg­gianti. Le altre signore non riescono quella sera a maschera­re l’età, non proprio giovanile, con il sapiente maquillage semidistrutto dall’abbondante sudorazione, anche se si sfor­zano, -con i soliti atteggiamenti audaci e le battute piccanti infarcite di maleparole che fanno tanto chic, di rendersi in­teressanti Sono in Otto i giocatori e siedono intorno al tavolo che per l’ampiezza lascia spazio sufficiente fra l’uno e l’altro. L’ulti­mo a rientrare dal giardino è Nino che, ancora canticchian­do i passaggi della sinfonia, occupa la sedia vicino a Silvia. Franca siede di faccia al marito e rompe l’abituale silenzio che accompagna la sua presenza in comitiva per suggerire di mantenere le posizioni come sono e di non procedere al ri­tuale sorteggio. Il caldo non invoglia nessuno alla fatica di cambiar di posto e la proposta viene approvata. Si distribui­scono le carte e il gioco inizia e si trascina fra la noia, i la­menti, l’agitarsi, lo sventolarsi e il detergersi il sudore che scorre copioso. Solo la vivace Milena non smentisce il suo temperamento e, fra un lamento e l’altro, trova la forza per ridere e prendere in giro gli amici che replicano debolmente, ad eccezione di Nino, al quale evidentemente la musica bee­thoveniana (un ricordo dei tempi di Aristarco?) produce ef­fetti stimolanti, e di Silvia che ha una strana espressione sul viso più che mai attraente, ma non limpido come al solito. Sergio è silenzioso e per una vota la sua conversazione bril­lante non illumina la compagnia, ma il caldo e il dente lo tengono al tavolo di malavoglia e solo di tanto in tanto rivol­ge la parola e qualche suggerimento a Lisa e Franca che gli siedono ai lati. Si discorre di mare, di barche e di bagni e Ni­no racconta di quelli meravigliosi che con Silvia, Franca e i figli stanno facendo al Capo Miseno dove usufruiscono di una villetta che un collega di Sergio ha messo a sua disposi­zione per ripagarlo dei tanti aiuti ricevuti per la carriera. So­no discorsi che infastidiscono Sergio che dall’epoca dell’inci­dente non fa più bagni, nè si reca al mare per il pudore che la condizione di paraplegico, così crudamente contrapposta al­la precedente immagine di atleta, gli suscita. Eppoi vi sono sempre o quasi scale per raggiungere la battigia e l’essere portato a braccio o arrancare avvinghiato a persone che lo aiutino gli dà un senso profondo di tristezza e ancor più te­me di ispirare un senso di pietà proprio lui che è stato sem­pre invidiato. Ma ormai sono sette anni e si è abituato ad af­frontare di buona grazia anche argomenti sgraditi, discutendone come se anche lui potesse agire in perfetta normalità, ma quella sera il granuloma nella mascella lo tiene di malu­more.

Nino prosegue ed esalta la sua barca dallo scafo di plasti­ca con il fuoribordo da venti cavalli, i bagni di sole, i tuffi, le immersioni al largo in un mare ancora pulito e continua im­perturbabile anche quando Mario con fine umorismo ridico­lizza l’immagine della barchetta semiaffondata sotto il peso di ben otto persone che la rendono tanto più affollata di una spiaggia popolare.

Sergio non può impedirsi di ammirare le doti di recupero di Silvia: sembra che i giorni caotici che hanno preceduto quella sera non l’abbiano riguardata minimamente. Ore di grandi apprensioni e di meticolosi accertamenti per chiarire la causa degli spasmi intestinali che tanto la hanno tenuta in ansia, ingigantita dall’errata diagnosi del radiologo che ave­va avanzato l’ipotesi di un tumore confermando l’esame cli­nico di Nino. Fortunatamente Sergio aveva imposto un en­doscopia che aveva fugato ogni timore e ridotto a una bana­lità il male che quasi per incanto era scomparso. Colpa dell’incapacità di Nino le assurde paure e la scelta del radio­logo, ma come conservargli rancore quando il chirurgo tan­to si era adoperato e aveva dedicato tutto il suo tempo, tra­scurando anche l’ospedale, a Silvia e umilmente, con gioia che sembrava sincera, aveva ammesso i suoi torti dovuti, di ceva, all’amicizia che lo aveva spinto ad una scrupolosità che si era risolta tutto sommato bene. Anche Franca si era prodi­gata con affettuosità ed efficienza accompagnando Silvia e tenendole continuamente compagnia in quel periodo trava­gliato. Avevano festeggiato loro quattro la positiva conclu­sione, ma Sergio si era proposto di non consultare più Nino per futuri e non augurabili nuovi malesseri di Silvia.

L’inizio di quegli esami aveva segnato la fine di un grosso litigio a causa del quale non si erano rivolti parola per quasi un mese. Sergio era stato crudamente accusato di egoismo e di mancanza di affetto dalla moglie che gli aveva rinfacciato di dedicarsi troppo alle ricerche scientifiche e non a cercare di superare la condizione di semiparaplegico che la costrin­geva a condurre un’esistenza come se non avesse marito, ad andare con altri al mare, a fare spese, a rinunciare a una vera villeggiatura e a non uscire quasi mai di sera.

«Sono ancora giovane», gli aveva detto ((e non mi va di continuare a vivere in questo modo!» Come se a lui facesse piacere fare la vita di un handicappato, come se bastasse la volontà per riprendere l’uso completo delle gambe, come se non fosse più penoso trascinarsi dietro un uomo che saltella su stampelle e che ha bisogno di aiuto vigoroso e mortifican­te per salire e scendere le maledette scale che abbondano do­vunque!

Dopo l’incidente Sergio era ridotto su una sedia a rotelle e solo lui sa quanto gli era costato migliorare le condizioni delle gambe: le dolorose terapie, la ginnastica, i massaggi giornalieri e principalmente vincere la depressione psichica che lo aveva portato nei primi tempi a sfuggire la compagnia di amici e di colleghi e a trascurare l’università, gli esami e gli allievi che tanto amava. Ma non era per quello che aveva fatto progressi, tutt’altro, era stato l’amore per Silvia che l’aveva spinto fino allo stremo delle forze a compiere i picco­li miglioramenti e a ritornare a frequentare gente cercando di far pesare alla moglie quanto meno era possibile la sua si­tuazione. Ma doveva anche comprendere che il pudore, il suo carattere orgoglioso gli impedivano di frequentare locali pubblici di divertimento come teatri, stabilimenti balneari, cinematografi, ristoranti e anche alberghi. Per la verità Silvia era stata comprensiva e affettuosa con lui e si era dimostrata una moglie encomiabile, un’infermiera impareggiabile, in­somma una vera compagna, ricambiando il comportamento di Sergio quando lei era stata tanto malata. D’altra parte avevano tanti ricordi in comune del fidanzamento e dei pri­mi dieci anni di matrimonio nei quali Sergio, nonostante la sua attività, l’aveva condotta dovunque e trattata sempre co­me una regina. Fortunatamente lo stipendio di professore universitario, i diritti d’autore del suo libro "Complementi di Matematica" che era stato da tanti anni adottato in quasi tutti i licei scientifici d’Italia e, quelli per i testi di Geometria Analitica e Déscrittiva, oltre ai numerosi articoli pubblicati da riviste specializzate e da terze pagine di quotidiani, assi-curavano loro agiatezza se non addirittura ricchezza, e Silvia sapeva bene che alcune sue ricerche scientifiche dovevano presto assicurargli una fama ben più grande di quella assolu­tamente non trascurabile della quale già godeva e che avreb­be inorgoglito qualsiasi moglie. Certo, Sergio si rendeva conto della posizione non facile di Silvia, dei suoi disagi, ma riprendere l’uso completo delle gambe, anche se possibile se­condo i medici, sembrava sempre più un’utopia e i progressi erano piccoli e limitati anche se costanti. D’altra parte ses­sualmente, dopo i primi mesi, il suo comportamento era ri­tornato alla piena efficienza e faceva di tutto per non farle mancare villeggiatura o divertimenti, organizzandole bagni e distrazioni in compagnia sua dove possibile, o con parenti e amici fidati. Questo era stato uno dei motivi per i quali aveva accettato con piacere il nascere dell’amicizia con Fran­ca e da un paio d’anni li invogliava ad andare a mare insieme mettendo loro a disposizione la villetta del collega o, l’anno prima, una stupenda cabina nel più elegante stabilimento balneare del golfo.

Di tanto in tanto però, di iniziativa propria o per maligne ed invidiose soffiate di esseri miserabili, Silvia dava segni di irrequietezza che sfociavano in indegni litigi con il relativo rinfacciargli la sua condizione, il che portava i due coniugi a tenersi il broncio per qualche giorno, fino all’immancabile riconciliazione che si concludeva con baci, carezze, promes­se di non caderci più e un’appassionata notte d’amore. L’ultima volta però erano andati ben più in là ed erano vo­late parole grosse pronunciate con particolare cattiveria, che avevano condotto gli Spiga sull’orlo della separazione e forse non era giunta a sproposito la grande paura. Quella sera Sil­via non conserva tracce dei giorni burrascosi, ma il suo com­portamento non ~ normale, in particolare con Nino sostiene un atteggiamento contegnoso e scostante, ben diverso dalle premurose attenzioni che di solito gli riserva e, pur sedendo gli vicino, procura di mantenere una distanza che eviti a braccia e mani di incontrarsi.

La partita è agli sgoccioli e frettolosamente si fanno i con­ti, si paga o si incassa e gli ospiti incominciano a salutare de­siderosi di tornare alle proprie case a cercare refrigerio in una doccia o in una rubusta lavata che permetta ai pori inta­sati di traspirare liberamente, anche se presto nuovo sudore non evaporato li farà sentire peggio di prima.

Ora gli Spiga sono soli, compiono il solito rituale del do­pogioco allo studio: abbassare le avvolgibili, raccogliere car­te e gettoni, spegnere le luci e infine ritornare a casa. Segio avverte una tensione strana in Silvia che, mentre lui si spo­glia incontrando le solite difficoltà per i pantaloni e le scar­pe, si avvicina e si allontana continuamente con mille prete­sti. Sul viso è ormai evidente un’ansia repressa e sottili rughe appaiono a deformare la pelle che gli anni sembrano non po­ter intaccare. Improvvisamente si ferma e chiede:

((Cosa ti ha raccontato Manù?»

Sergio è meravigliato, ma guardingo: teme un nuovo scontro.

«Niente, cosa mi doveva dire?», risponde.

«Non sei sincero. Prima delle radiografie, quando ancora non ci parlavamo, è venuta allo studio ed è rimasta con te per più di due ore».

((Ah, parli di sabato scorso? Mi ha chiesto dei consigli per il fitto del suo appartamento».

«Solo questo?»

«E cos’altro, Silvia. Non ti nascondo nulla, lo sai. Quante volte ti ho detto che la mia concezione della famiglia vuole che non ci siano mai misteri fra marito e moglie, e ricordati che la mia famiglia sei tu. Solo in secondo ordine vengono gli altri compresi genitori e parenti».

((Sì. Non bisogna permettere a nessuno di entrare nelle co­se della famiglia e non dobbiamo nemmeno avere, amicizie troppo strette, ma solo conoscenti un pò più intimi o meno. Ad esempio sono stanca dei Peri e vorrei vederli più di rado. Come hai sentito ho detto a Franca di non aspettarmi per il mare domani. Se farò altri bagni, magari andrò con Manù al circolo». Il labbro trema sempre più percettibilmente. «Dim­mi che ti ha raccontato Manù».

«Sai che sei strana? Ti ripeto che non mi ha detto nulla!»

Una nube passa e le offusca lo sguardo, le rughe sono più fitte e profonde.

«Ebbene, non ha importanza quello che ti ha riportato e se te l’ha raccontato. Ho qualcosa da dirti... » Non solo il labbro, ma tutto il corpo è scosso da brividi. «Promettimi però che non farai nulla... »

Sergio è incuriosito e preoccupato, una sensazione di tra­gedia lo pervade.

«No, te lo prometto, ma parla».

«Giuralo».

«Te lo giuro, ma parla perdiana!»

«Mi sono vista da sola con Nino!»

Sergio impallidisce, ma non commenta. Accende una siga­retta, le mani tremano.

«Ricordati che mi hai promesso... »

«Sì, sì».

«La settimana scorsa, venerdì, ricordi quando non ci parlavamo e avevo lasciato detto che non sarei andata al mare ma a fare commissioni, ho avuto uno spasmo terri­bile e due pillole lo hanno solo attenuato. Avevo paura e ho telefonato a Franca e lei mi ha spinto a chiamare Nino in ospedale per un consiglio. Ero agitata, ho pianto e lui mi ha chiesto di raggiungerlo subito... » Il capo è chino, lo sguardo fisso in terra. Sergio è allibito. Silvia sa bene che tutto deve passare per lui, ma non interloquisce, deve sa­pere fino in fondo. «Sono andata al San Francesco, ma lui non era in reparto come credevo, mi attendeva sul cancel­lo, è montato in automobile e mi ha fatto segno di seguir­lo con la mia, poi alle spalle dell’ospedale si è fermato e mi ha invitato nella sua macchina per parlare con più cal­ma. Io non volevo, ma il dolore si è intensificato e sono salita. Lui si è diretto verso Chiaiano e giunto al tratto di campagna si è fermato e mi ha domandato cosa avevo e mi ha tranquillizzata dicendomi che non doveva essere nulla di importante, perché quei dolori, anche se di mino­re intensità, già li avevo avuti. Comunque era opportuno che mi visitasse e ha aggiunto che sarebbe venuto a casa il giorno dopo con Franca. L’ho pregato di trovare una scu­sa perché non ci parlavamo e non volevo chiederti nulla e ho pianto, temevo un brutto tumore. Mi ha accarez­zato. ."«Continua». Il viso di Sergio è bianco, l’espressione terri­bile.

Silvia lo abbraccia forte e gli mormora:

«Mi hai giurato che non farai nulla, ti prego... »

«Continua! »

«Mi ha stretta e ha tentato di baciarmi. Mi sono liberata immediatamente e gli ho dato uno schiaffo, ho aperto lo sportello e sono scesa, proprio in quel momento ho visto la macchina di Manù che passava».

«E poi?»

«Lui si è scusato tante volte, mi ha scongiurato di risalire e mi ha riportato alla mia macchina e sono venuta a casa».

Qualcosa si spezza nel cuore di Sergio. ~ la conferma di larvati sospetti che, di tanto in tanto in quei due anni di più stretti rapporti con i Peri, lo hanno tormentato, ma che si è sempre rifiutato di approfondire: non poteva ammettere che la sua Silvia, una moglie insospettabile, una donna seria e aliena da protagonismi del tipo romanzi a fumetti, la sua compagna che tutto gli raccontava; potesse agire come le al­tre. Con immensa tristezza le chiede:

«E poi?»

«Più nulla, sono tornata a casa...>>

«E non mi hai detto niente... »

«Come avrei dovuto fare, non ci parlavamo. .. »

«Ah, di fronte a un episodio così grave, alla prima volta che non ti sei rivolta a me per aiuto, stavi a pensare a uno stupido litigio. . . »

«Ma non era stupido, volevamo separarci... . »

<
«Perdonami Sergio, perdonami. Te l’avrei detto se gli av­venimenti non me lo avessero impedito: la radiografia, le paure, l’endoscopia e ora, vedi, ti ho raccontato tutto,>>

Silvia è aggrappata a Sergio e lo stringe spasmodicamente, piange.

«Sì, perché sospettavi che Manù mi avesse parlato, rac­contato... e quel farabutto ti ha baciata... »

«Ha tentato... anche per questo non sapevo più cosa fare, se dirtelo... ti conosco, so le tue reazioni, ma mi hai promes­so, ricordalo. Sono stata una pazza, ora capisco, ma il dolo­re, la paura...»

«Andiamo a letto!» Una disperazione cupa si è impadronita di Sergio: è la fine di tutto, vent’anni di vita in comune fra fidanzamento e ma­trimonio, un’unione perfetta, un amore che aveva resistito a ogni prova nonostante i dispiaceri, le disgrazie e quel mondo corrotto che li circondava. Il crollo di un mito, la perdita del punto di riferimento della sua esistenza! Che gli importava­no i successi, le pubblicazioni, le ricerche e la stima di cui go­deva! E' finita, lo sente. Ma è confuso, ha bisogno di riflette­re, di mettere ordine nei suoi pensieri, di decidere cosa fare e poi ha promesso, e lui ha sempre tenuto fede alla sua parola. E un uomo serio lui! Silvia ha il volto rigato di lacrime e con timidezza gli si avvicina, lo accarezza. Sergio la scosta e si spinge verso il bordo del letto. Anche Silvia si allontana e i singhiozzi rimbombano nel silenzio della notte. Sergio pensa intensamente. Fissa con gli occhi sbarrati un punto indefini­bile nel fioco chiarore che passa fra le stecche dell’avvolgibi­le. Allora c’era qualcosa fra i due! Chissà da quanto tempo! E lui che non aveva dato grande importanza alla confidenza, alle occhiate complici durante il gioco o le cene, allo stare vi­cini, alle braccia che si urtavano, sfioravano, si sovrappone­vano e alla stima che Silvia mostrava per Nino, ed era forse l’unica! L’aveva sempre attribuito alla gratitudine, alla con­vinzione di essere stata salvata da lui durante l’ormai lonta­no intervento chirurgico, alla commiserazione per quell’uo­mo sgraziato e dalla vita piena di insuccessi! Ma non è pro prio questo che stimola il senso materno delle donne? Si era ritenuto troppo superiore per preoccuparsi. Come aveva po­tuto una donna intelligente preferirgli uno come Nino? E in­vece... E lui, quel grande farabutto, figlio di puttana aveva osato corteggiare Silvia, sua moglie, una paziente prima che amica! Gliela avrebbe fatta pagare! Ah se lo sarebbe dovuto ricordare quel maledetto! E lei? Diceva la grande paura? Perché non si era rivolta al marito come sempre? Come se non sapesse chi l’aveva sempre aiutata con sagacia, con effi­cienza, con infinito amore! Come ha potuto dimenticare?

Un’ira profonda ha preso il posto della disperazione, dello smarrimento. Una smania di fare, di sapere, di vendicarsi.

Si alza e va in salotto. E se fosse autentico quanto gli ha raccontato Silvia? Perché non può esserlo? Non si parlavano da quasi un mese, e lui è il suo medico. E poi ha telefonato prima a Franca! Se ci fosse stato qualcosa fra i due avrebbe telefonato alla moglie? Un alibi. Troppa raffinatezza! Non èdel carattere di Silvia così franco, sincero da rischiare storie e litigi pur di affermare ciò che sente. Ha sempre agito così, lui lo sa bene! Ma che sa? E sicuro di conoscere Silvia? E se anche fosse vero perché non rivolgersi a lui? Il litigio? Scioc­chezze di fronte a cose così gravi! Come si può perdere una consuetudine di lustri? E poi perché salire sull’automobile di Nino? Ah no! Non ce la fa più, deve sapere! Rientra da Sil­via, ora la luce è più intensa, albeggia. Guarda la moglie che dorme sotto l’influsso dei tranquillanti che le ha sentito prendere. Continui sobbalzi e trasalimenti turbano quel son­no. La scuote, la sveglia, la interroga e vive ore allucinanti.

Quanto apprende nell’interrogatorio sfiancante, cattivo, opprimente è di una gravitù enorme per lui, per il suo carat­tere, per il suo modo di concepire la vita, anche se non riesce ad accertare se è esistito un rapporto di tipo adulterino. Sil­via lo ha negato sempre recisamente. Ha solo ammesso che fra lei e Nino si era creata una confidenza da vecchi amici e si raccontavano le loro pene, i loro problemi, ma soltanto quando andavano al mare o nelle serate di ricevimento, mai da soli. C’era sempre o Franca, o i figli, o Sergio, o tutti.

Non si sono mai incontrati a quattr’occhi e mai si sono scambiati nemmeno un’amorevolezza a parte ciò che anche Sergio ha potuto vedere. Quella è stata l’unica volta che so­no stati insieme a tu per tu e per pochi minuti. Quelle le uni­che carezze e l’unico tentativo di bacio. Sì, è vero che Nino la corteggiava, aveva avvertito di piacergli, ma non si era mai spinto ad azioni o parole che Silvia non avrebbe accetta­to e che le avrebbero subito fatto interrompere ogni rappor­to. E vero che l’aveva tante volte compianta per la sua vita difficile come moglie di un paraplegico e lei se ne era spesso lamentata. Anche con Franca. Pure lei l’aveva confortata e commiserata. C’era confidenza, molta fra loro tre, ma quel­la di tre amici! Un’amicizia pelosa, ora se ne rendeva conto, ma nulla di più, lo giurava. Ripetutamente Sergio si è fatto raccontare delle telefonate e dell’incontro e mai Silvia si ècontraddetta, anche se lo ha arricchito con altri piccoli parti­colari. Si era persuasa che lui avesse saputo da Manù, ma nulla le aveva rinfacciato per quei giorni caotici della grande paura, per pena, per tenerezza. Sì, aveva parlato convinta che lui sapesse, ma lo stesso gli avrebbe raccontato tutto. Magari più tardi, fra qualche giorno. No, non avrebbe resi­stito con quel peso sulla coscienza e nel frattempo avrebbe rallentato ogni relazione con i Peri fino a farla cessare total­mente. Perché era salita in macchina? Perché si era recata al San Francesco? Perché era rimasta coinvolta! Dapprima ave­va telefonato a Franca per conforto e per trovare una solu­zione per un esame clinico da parte di Nino, poi a lui dietro invito e pressioni della moglie, all’ospedale per la richiesta del chirurgo che le era sembrata al momento naturale e infi­ne in macchina perché, giunta a quel punto, non aveva sapu­to tirarsi più indietro: lo avrebbe offeso, ma di colpo aveva reagito quando il comportamento non era stato corretto e allora aveva compreso i suoi errori. Perché aveva accettato di essere visitata il giorno dopo da Nino? Ma era stato Ser­gio a proporlo quando l’aveva trovata sofferente per i dolo­ri! Come rifiutare senza creare un putiferio e in quel momen­to, con la paura in corpo? Sono esausti entrambi quando il sole prepotentemente si fa strada fra le connessure della per­siana e disegna strisce luminose entro le quali galleggia un pulviscolo impalpabile. In un gioco di luci ed ombre i mobi­li, i quadri, i ninnoli assumono forme strane, irreali come vi­sioni che gli occhi stanchi di Sergio stentano a mettere a fuo­co. Sono due notti che non dorme: prima l’ascesso, poi la stupefacente confessione. Può continuare una vita in comu­ne dopo ciò che ha saputo e principalmente dopo quello che non ha saputo? Ma ci sarà tempo per pensarci, forse anche troppo, ora deve regolare i conti con quel pover’uomo, col subdolo individuo che ha carpito la sua fiducia minando la sua posizione con Silvia giorno per giorno e che si è permes­so come minimo di tentare di baciarla!

E’ alba inoltrata quando telefona a casa Peri. Gli risponde Franca, le chiede di passargli Nino.

«Perché, che è successo?»

«Niente, ho bisogno di parlargli>>

Attimi che sembrano ore, e finalmente.

«Pronto, Sergio, che c’è?»

Come vorrebbe averlo a portata di mano. Cerca di assu­mere un tono naturale.

«Nino, ho bisogno di vederti al più presto, puoi venire al mio studio? O dimmi dove possiamo incontrarci». C’è ansia nella voce quando chiede:

«Perché che è successo, forse Silvia non sta bene?»

«Te lo dirò di persona. Allora dimmi dove e quando, ma rapidamente».

«Ma oggi non posso. Dimmi per telefono».

La voce è timorosa, forse ha subdorato qualcosa.

«Come non puoi? Vengo all’ospedale, a Ercolano, ti ven­go incontro?»

«Ma so che non puoi affaticare le gambe, ci vediamo nei prossimi giorni, ti telefono... ma di che si tratta, dimmi».

Sergio non ce la fa più. Il suo carattere impulsivo è stato tenuto a freno fin troppo a lungo e sbotta:<

«Si tratta che Silvia mi ha raccontato del vostro incontro e mi devi delle spiegazioni. Incontriamoci».

Il timore si fa palpabile.

«Ah, ma si tratta di quando mi ha telefonato ed era spa­ventata per il tumore».

«E invece di venire o di telefonarmi l’hai invitata in mac­china?»

«Ma cosa c’entro io, era spaventata e l’ho tranquillizzata. Non potevo muovermi ed è venuta in ospedale...»

«Non potevi muoverti e te ne sei andato girando in auto? Dove ti posso trovare, non perdiamo tempo!»

«Ma non posso, che vuoi da me, invece di ringraziarmi. . . »

((Sei un uomo di quattrosoldi! E hai tentato di baciarla, pezzo di disgraziato! Dimmi subito dove ti posso rintraccia­re, mi devi spiegazioni e soddisfazione... »

«Ma che spiegazioni, te le ho date, io che c’entro?...»

«Sei un individuo abietto, mi fai schifo! Se non sei un vi­gliacco, ti devi vedere con me. Tanto non ti illudere, ti sco­verò, o pensi che puoi sfuggirmi per le mie gambe? Uomo di merda!»

((Ma, Sergio, te l’ho detto e non ho altro da dire, scusami.. . »

«Sei un gran vigliacco, ma ti prendo».
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