BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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QUI I LIBRI ; LE RECENSIONI RICEVUTE E QUASI TUTTO SULLO SCRITTORE
 
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 IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine

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Bruno
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MessaggioTitolo: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyVen Mag 08, 2009 6:45 pm

Cap. VIII
SCRITTORI AFFERMATI E ASPIRANTI
Forse, amico lettore, ti verrà spontaneo chiedere,
giunto a questo punto nella traversata — mi auguro tutto
sommato piacevole — del mio pamphiet, quale sia il rap-
porto, o per meglio dire, l'atteggiamento degli scrittori
affermati nei confronti degli aspiranti scrittori.
Non è facile ricavarlo perché spesso mutevole e con-
traddittorio, ma da quanto hai letto nelle pagine prece-
denti, puoi comprendere che molti di loro si adoperano
per farne pubblicare qualcuno, mentre altri, per una
sorta di strano fastidio, perché ne temono la concorrenza,
perché preferiscono viaggiare più larghi e comodi sullo
sgangherato tranvai della nostra editoria, li respingono
in massa senza misericordia.
Sarebbe interessante allora valutare le motivazioni
che spingono quelli di loro che lo fanno a muoversi in
favore di qualche aspirante scrittore.
Sarebbe bello poter pensare, esserne convinti, che sia-
no indotti da uno spontaneo moto intcriore del tutto
disinteressato e che si adoperino gettando oltre l'ostacolo
tutto l'ingente peso del proprio nome, dell'autorità deri-
vante da anni di militanza nelle file della grande editoria,
dalle centinaia di migliala di copie vendute, dai presti-
giosi premi vinti, dal favore popolare o dei critici o dalla
felice fusione dell'uno e dell'altro come, secondo Ferretti,
avviene agli autori del cosiddetto best seller all'italiana.
In questo caso meraviglioso sembrerebbe di assistere ad
una specie di lento, progressivo passaggio della, fiaccola
che assicurerebbe continuità alla nostra letteratura.
Quasi l'immagine consueta del padre che si preoccupi del
futuro del proprio nome, di quello dell'azienda faticosa-
mente tenuta su per anni e anni; con la differenza che
in questo caso non si tratterebbe di padri e figli ma di
estranei ritenuti in grado, in una sincera e genuina ottica,
di proseguire un lavoro anche se su basi e modi di espri-
mersi dissimili, ma pur sempre validi.
Idilliaca visione che, analizzata bene, è rarissima an-
che fra consanguinei perché, gratta gratta, anche lì spesso
il privilegiare un figlio in luogo di un altro è più frutto
di servilismo o furberia, o di puro egoismo.
Più probabile è invece il desiderio di crearsi dei se-
guaci, degli utili leccapiedi, sorta di comodi cortigiani che
esaltano con continue lodi qualità quasi mai eccelse per-
ché non di rado fa piacere agire come antichi o moderni
baroni e bearsi in una specie di sempiterno ed innalzante
omaggio pagandone un ben misero prezzo, perché sovente
sono più le promesse delle vere realizzazioni.
Ma tutto questo fa parte di illazioni, sia pure non
molto lontane, in vari casi, dalla realtà. Preferisco, come
al solito, tenermi ed operare sul concreto e quindi ti
farò conoscere, amico lettore, come hanno scritto o rispo-
sto sugli aspiranti tré scrittori variamente affermati: sono
Giovanni Arpino, Domenico Rea e Antonio Spinosa.
Incominciamo da Giovanni Arpino, romanziere-saggi-
sta e giornalista, vincitore dello Strega e del Campiello,
che così scrive su « II Giornale u del 3 dicembre 1984
(uscita de I Segreti dell'editoria, maggio/giugno 1984) :
In un elzeviro che uscì su questa pagina 1'8 novembre
scorso dedicato alla pena dello scrivere, al disagio e al
malcostume creati dall'inflazione editoriale più smaccata,
alla dissennatezza — talora ingenua, sovente no — di chi
pretende romanzare e postare e soprattutto pubblicare in
Italia, ho evidentemente inciampato fino a rischiare le
ossa. Mai ricevute tante lettere, messaggi, telegrammi,
minacce, insulti (non conto ovviamente le testimonianze
a favore) quasi avessi costretto centinaia di persone ad
abbrancarsi ad un ferro incandescente.
Hanno scritto romanzieri sconosciuti che si ritengono
vittime delle macchinazioni editoriali, altri che denun- •
ciano l'oblio ove si sentono prigionieri, poeti e poetesse
uà gogò», certi di meritare titoli su quattro colonne per
i loro libbriccini auto finanziati, furbacchioni che ironiz-
zano sull'ironia. Tutti individuando in quel mio dolentis-
smo scritto una nota alta di superbia letteraria, una disu-
manità e un'immoralità deplorevoli. Ve perfino un tizio
che ha aggiunto: seguiterò a comprare il « Giornale^
anche se continuano a scrivervi Arpino e Pampaloni.
Ma cosa avevo detto, diomio? Solo che si pubblica
troppo, che se tutti i pretendenti leggessero un paio di
libri all'anno (un paio di libri « usciti in questo secolo » )
non vi sarebbe crisi d'editoria e altre amenità. Aggiun-
gendo: l'arte è pena, è agonia, è condanna. Cose non nuove.
Senza andar troppo lontano, cose dette anche di recente,
da Piovono a Fenoglio, da Pavese a Landolfi.
Non intendo affatto giustificarmi, difendermi o am-
plificare il tema. Ma una faccenda è certa: se « tocchi »
o appena « sfiori » questa aperta piaga dell'ambizione scrit-
toria, autentica o artefatta che sia, dilettantesca o mania-
cale che sia, tocchi e sfiori un sottobosco ardente, gremito
di autori, contrassegnato da premiucoli turistici locali,
folto di convenzioni e conventicole, fervido di sogni sballati
anche se infantilmente legittimi. Ve, all'interno del po-
polo italiano, un altro popolo convinto d'essere depositario
di capolavori. I Tornasi di Lampedusa e i Morselli scono-
sciuti si sentono legittimati dalle venture e sventure di
un unico Lampedusa e di un unico Morselli. Stanno in
agguato in attesa di vendicarsi epistolarmente, con tanto
di « egregio signore » e « signor direttore ».
Basterebbero pochi dati per dar peso specifico a questo
discorso: un funzionario editoriale medio-alto riceve cin-
que o sei manoscritti al giorno; una casa editrice di pro-
porzioni medio-alte deve stipare sui suoi tavoli circa die-
cimila manoscritti annui. Se in Italia si pubblicano poco
più di diecimila titoli nuovi all'anno, quanti ne restano
sommersi? Più di duecentomila. Eppure, dicono gli esperti
dell'editoria, è ormai considerata accettabile vendita libra-
ria la ridicola misura delle cinquemila copie, che certo
non vengono disputate dai duecentomila narratori o poeti
sconosciuti, certi di sé, sommersi.
Mia colpa non è la superbia, forse l'unico peccato
capitale che mi è ignoto. Mia colpa è aver detto: si pub-
blica troppo, e in ogni caso non mandate niente a me,
che non sono un critico, non sono un redattore editoriale,
leggo a lume di naso mio e non so aiutare chissacchì.
Mia colpa, poi, è aver specificato che scrivere è saper por-
tare un cilicio di verità: nel momento in cui non si sop-
porta quel cilicio, si può interrompere il momento di scrit-
tura (non credo al rigo quotidiano, permanentemente, mi
sa di ingegneria letteraria, di premeditazione pestilen-
ziale, abnorme meccanica ripugnante).
Le parole mentono sempre, come sanno gli studiosi
della Parola. Ma l'arte la si fa usando le parole proprio
nell'attimo in cui anch'esse u non possono n mentire. Detta
così, è semplice; vivere questa condizione è patologico.
Uno scrittore può convivere con la sua patologia, ma certo
non oserebbe discettare nemmeno davanti al più stupido
dei suoi familiari. Anzi: finge di star bene e in pace più
di un tranquillo geometra.
Beati i sommersi, allora, se credono davvero che le
loro « balletette » e memoriali creino personali consolazio-
ni. Ma, se rispettano queste « ballatette » e questi memo-
riali, li trattengano nel cassetto, come una volta usavano
fare tutte le fanciulle con i loro diari e tanti militari con
i loro ricordi bellici.
Che dire ancora? Che questo buio declino della civiltà
scritta, vivisezionata spudoratamente dagli ultimi u ad-
detti » e appetita da chicchessia, offre esempi singolari di
contraddizione: cedono alla libidine del libro personaggi
inverosimili, che si presentano da sé sugli schermi e par-
lano di sé come reclamizzerebbero una cravatta. A costoro
si ispirano i sommersi che si sentono traditi o negati al
Successo? Ma allora il gioco è semplice, signori, prima si
diventa mezzibusti, onorevoli, galeotti, faccendieri, divor-
ziati celebri, e poi un bei libro di memorie non ve lo ne-
gherà nessuno. Non è il sentiero misterioso e malato dello
Scrivere, ma porta ugualmente in libreria, dati i tempi e i
costumi.
Su agonie e dolomie dell'arte non posso mettere in
carta altre parole, per pudore, per desideri di estraneità, ,
perché non ci si può confessare ai sordi e ai finti tonti o
agli increduli col ghigno sotto il baffo. Ho vissuto e scritto
per capire e compatire (mi ripeto venutamente) e quindi,
se mi espongo, so benissimo il rischio che corro, la « pie-
tas » che non incontrerò. L'arte non si insegna, come ben
sanno coloro che tengono cattedre nelle accademie. E nem-
meno la disciplina...
I commenti a dopo: per ora proseguiamo con Dome-
nico Rea, narratore di vaglia e giornalista, premio Via-
reggio, che rispose in questo modo ad un'inchiesta pro-
mossa, pubblicata e curata da Mirella Laraia su un'intera
pagina di « Napoli Oggi » del 12 luglio 1984, che traeva
spunto dall'uscita e dal successo de I Segreti dell'edi-
toria, al quale era dedicata una fitta colonna di recen-
sione.
Rifacendomi alla mia esperienza posso dire che il mio
esordio come scrittore è avvenuto molto semplicemente.
Avevo diciassette anni ed ho inviato una novella ad un
giornale. È stata pubblicata senza alcuna difficoltà.
Comunque ritengo che ancora oggi gli editori abbia-
no tutto l'interesse a scoprire nuovi talenti, a presentare
opere scritte bene.
Ciò che bisogna ricordare, e l'ho scritto già tante volt0
e in tanti saggi che non dovrei nemmeno più ripeterlo,
è che ormai l'era del libro è tramontata. Cioè il libro è
un genere che fra breve non si venderà più. Diverrà quasi
un reperto del passato, ed i fatti lo stanno dimostrando.
Il cinema è in crisi, il teatro è in crisi, ^editoria è in
crisi; tutto distrutto, divorato dalla televisione.
Gli scrittori? Oggi rassomigliano ai frequentatori di
certi clubs, di certi circoli. Se ne trovano quanti se ne
vuole: il circolo del naso più lungo, della barba più folta,
della carabina, gruppi a sé. Anche lo scrittore fa parte
di un gruppo privato perché gli manca la più reale con-
troparte, il pubblico.
Il pubblico, infatti, oggi vuole altro. Sono le condizioni
dell'immaginario ad essere cambiate profondamente. Ed
il libro (ad eccezione del testo scolastico) è stato sempre ^
un genere d'elite. In Italia hanno chiuso quest'anno circa
1400 sale cinematograflche, ed è una notizia che si può
leggere su qualsiasi giornale. Eppure il film è un prodotto
molto più accessibile del libro, contenta un po' tutti, grosso
modo anche un ignorante può trovare sempre un genere
di film adatto a lui. Ed è stato sostituito da quel cinema
in casa che è la televisione perché la massa non possiede
quegli strumenti che potrebbero far operare una scelta fra
cinema e televisione. Figurarsi col libro. È una storia
definitivamente chiusa!
Infine — e rinviamo ancora una volta i commenti —
le dichiarazioni di Antonio Spinosa, autore di biografie
romanzate e giornalista, nella stessa inchiesta e sulla
stessa pagina di « Napoli Oggi i>.
Le difficoltà per chi comincia ci sono sempre e certa-
mente solo davanti ad un'opera molto valida l'editore può
prestare attenzione al manoscritto di uno sconosciuto.
Però c'è da dire che difficilmente da uno sconosciuto,
nel senso più completo della parola, ci si può aspettare
un'opera valida. In genere chi ha prodotto un buon testo
si è già fatto conoscere attraverso altri canali. Si può
trattare, tanto per fare degli esempi estremamente esem-
plificativi, di un giornalista, o di un giovane che abbia
già pubblicato qualche racconto o qualche saggio. Persone
che, quindi, hanno già avuto modo di entrare in contatto
con quegli ambienti culturali che costituiscono il canale
per raggiungere l'editore, o per attirare il suo interesse.
Ritengo, perciò, che non incontri grande difficoltà a
pubblicare la propria opera chi abbia già avuto modo di
mettersi in luce, quindi penso che ci si trovi, tutto som-
mato, di fronte ad un falso problema; mi sembra anzi che
gli editori pubblichino troppi libri, quindi io rovescerei la
questione.
Il mercato è saturo di volumi che non sempre meri-
tano la pubblicazione. Ogni anno si pubblicano ventimila
titoli, mi sembrano davvero troppi, sarebbe quindi più
opportuno che gli editori facessero davvero gli editori e
non si limitassero a fare gli stampatori. '


Ultima modifica di Bruno il Ven Mag 08, 2009 7:06 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyVen Mag 08, 2009 6:46 pm

Fare l'editore significa non pubblicare molti libri, ma
pubblicarne pochi e buoni; purtroppo gli editori preferi-
scono la via più semplice. E quindi, per esempio, invece di
tirare, diciamo, ottomila copie di un libro la cui vendita
imporrebbe un certo impegno, preferiscono pubblicare due
titoli da quattromila copie ciascuno, poiché in tal maniera
sarà più semplice rientrare nelle spese sema troppi sforzi.
Come avrai potuto notare, amico lettore, non è che
Giovanni Arpino sia proprio dolce con gli aspiranti scrit-
tori; tutt'altro, sembra che a dir poco gli diano fastidio,
quasi il prodotto di una combustione di materiale pesti-
lenziale che gli giunga opprimente al naso, alla bocca, alla
gola, agli occhi.
Cosa è successo?
Aveva, dice, pubblicato un elzeviro « dedicato al disa-
gio, al malcontento creati dall'inflazione editoriale più
smaccata, alla dissennatezza — talora ingenua, sovente
no — di chi pretende romanzare e soprattutto pubblicare
in Italia » e ha ricevuto « tante lettere, messaggi, tele-
grammi, minacce, insulti». E perché? Forse per come de-
finisce le « pretese » degli aspiranti che lui chiama in altro
modo, ma l'essenza è la stessa. Pretese di pubblicare!
Quasi che chi scrive non tenda più che giustificatamente
a questo.
Non ho letto l'elzeviro, ma se il tono che ha usato
per definire il lavoro degli aspiranti scrittori è lo stesso
che usa nel pezzo che hai da poco letto, amico lettore, pur
non giustificando certo le minacce e gli insulti, una certa
reazione c'era da attendersela. Non ti pare?
Sostiene, il grande, versatile scrittore, autore di libri
famosi, vincitore — lo ripeto — di uno Strega (1964) e
di un Campiello (1980), di volumi di racconti, di com-
medie, di pamphiet sullo sport, di libri per ragazzi e, credo,
per ultimo di un saggio-biografìa su Salgari, che si pub-
blica troppo in Italia, e probabilmente ha ragione, ma
forse non ha esaminato perché e chi, e mi sembra con-
danni senza rimedio tutti coloro che da sconosciuti si
permettono di scrivere e di aspirare alla pubblicazione
definendo la loro « ambizione scrittoria, dilettantesca o «
maniacale ". E forse non ha torto, se non si riferisse a
tutti perché, lo ribadisco ancora una volta, mi sembra
esagerato che nemmeno qualcuno meriti le gioie della
pubblicazione. Con tutto il rispetto, mi sembra un po'
troppo categorico e con ogni probabilità, preso dalla spi-
rale, dal calore asfissiante del « sottobosco ardente » si
lascia andare a fornire dati « per dare peso specifico » che
davvero hanno poco a che fare con la verità o una certa
logica. Difatti sostiene, senza citare le fonti, che « una
casa editrice di proporzioni medio-alte deve stipare circa
diecimila manoscritti annui » quando Mondadori (l'editore
che ne riceve di più) ha dichiarato 2800 ogni 365 giorni
e, deciso, afferma che sono ben più di duecentomila quelli
che rimangono sommersi! Inoltre, come se non bastasse,
sembra aver trovato la soluzione alla crisi dell'editoria:
sarebbe sufficiente che tutti i pretendenti leggessero un
paio di libri all'anno! Ma quanti ne dovrebbero essere,
dieci milioni? e sarebbero davvero sufficienti, se si tien
conto che le copie stampate (al di fuori della scolastica)
ammontano a oltre cento milioni annui ed è pensabile a
perlomeno un 20 per cento di invenduti, o è un'amenità?
Vedi, amico lettore, non che bisogna dare grande peso
a qualche dato errato, e i problemi degli aspiranti sono ben
più importanti di questo, ma quando ci si rivolge ad una
platea grande e si vogliono affrontare argomenti che per la
controparte (purtroppo, dato l'atteggiamento di Arpino,
mi viene di definirla in questo modo) sono di parossistico
interesse, va pesata ogni parola ed ogni definizione non
provocando chi, a torto o a ragione, è frustrato da rifiuti
in continuazione che non sempre sono giusti. Un narra-
tore, e Arpino lo è di vaglia, deve poter « capire e compa-
tire » e possibilmente dare una mano. Il definire le opere
di tutti gli aspiranti con generici « ballatette » e « memo-
riali » può solamente aizzare e dare l'immagine del sazio
che non vuoi credere al digiuno o il trincerarsi a strenua
difesa della « casta ». Certamente, me ne rendo conto e
condivido, da un senso di fastidio l'intrusione sempre più
massiccia di « personaggi inverosimili, che si presentano
da sé sugli schermi e parlano di sé come reclamizzerebbero
una cravatta ». Ma i « sommersi » ovverosia gli aspiranti •
nella loro porzione migliore di sicuro non si ispirano a loro
e vorrebbero essere veri e sempre più bravi scrittori, e
probabilmente avranno avuto bisogno de I Segreti dell'edi-
toria (pagina 72) per comprender0 che « Sei un uomo
politico famoso, un artista di moda, un cantante, un cal-
ciatore? O ancora meglio, un giornalista di vaglia? Un
mezzobusto della TV? Un critico cinematografico o tele-
visivo che conta? Un critico letterario, un traduttore pre-
zioso? Allora sì, tutto va bene: il lancio è facile, la pub-
blicità non sprecata, si può far leva sul nome o sull'im-
magine ben conosciuta! » e disapprovarlo prima che Arpino
riecheggiasse: « Ma allora il gioco è semplice, signori, pri-
ma si diventa mezzibusti, onorevoli, galeotti, faccendieri,
divorziati celebri, e poi un bei libro di memorie non ve lo
negherà nessuno ».
Domenico Rea a sua volta si limita a raccontare la
personale esperienza di quando divenne scrittore pubbli-
cato e non mostra alcuna acredine verso gli aspiranti scrit-
tori, se si esclude forse un generico accenno che gli edi-
tori « hanno tutto l'interesse a scoprire nuovi talenti, a
presentare opere scritte bene». Quello che più interessa Rea
non è tanto il problema degli aspiranti, ma di tutti gli
scrittori che sarebbero accomunati da un triste, deprimente
destino: la mancanza di pubblico, dei lettori attratti oggi
più che mai dal nuovo idolo buono per tutti, la televisi-
sione!
Ma Rea era con ogni probabilità pessimista oltre mi-
sura e non trascura, dimostrando apertura mentale e con-
siderazione agli aspiranti scrittori di oggi (periodo, per
vari motivi, tanto più difficile di quello dei suoi inizi)
quando nel suo stupendo saggio « Gutenberg, addio! » am-
mette che un « ragazzo di talento che avesse la ventura
di scrivere: II cuore rivelatore di Poe, La mosca di Kathe-
rine Mansfleld, /; muro di Sartre, o Boule de Suif di Guy
de Maupassant, o La voglia di dormire di Anton Cechov,
o II sogno di un uomo ridicolo di Fiodor Dostoiewskij, o
Una rosa per Emily di William Faulkner, o II racconto
della 672° notte di Hugo Hofmannstall, o Jeli, il pastore
di Verga, o la cinquantina di pagine de La monaca di
Moma... («La signora era la figlia del...») di Manzoni, «
o Tonino e Tanotto di Pirandello, o il Giovanni Episcopo
di D'Annunzio, o I morti di James Joyce, o Amazzoni rosse
e nere di Theodor Dreiser, o La bella genovese di Goethe,
o II giro del sole di Massimo Bontempelli, o Inverno di
malato di Alberto Moravia, o la Novella degli scacchi di
Zweigg, o La fidanzata di San Domingo di Kleist, o il più
grande racconto di tutti i tempi e di tutti i pensieri del
genere umano, YIvan Iliic del conte Tolstoi, dall'editore si
vedrebbe rispondere che egli non pubblica libri di racconti
e tantomeno un racconto, perché racconti e poesie non
hanno mercato. Oggi può quindi accadere, nell'età della
grande e quasi terribile salute della massa, che Peter
Schlemill e la sua meravigliosa storia, che tanto piaceva
a Benedetto Croce, rimangano inediti e La metamorfosi
non trovi collocazione ne in un libro, ne, peggio, in una
rivista letteraria ».
Anche in questo saggio inserito nelle storie de « II
Fondaco nudo » c'è pessimismo e La Santa Madre Televi-
sione è considerata come un ammazzatutto, compreso il
nostro cervello.
In definitiva non è così, e il grande autore di « Spac-
canapoli», «Gesù fate luce», «Una vampata di rossore»
e di altri meravigliosi libri, ritornato massicciamente
nelle librerie di tutt'Italia dopo anni di assenza, ha ritro-
vato pubblico e consensi raggiungendo presto i vertici della
classifica dei più venduti, confermando un'affermazione
di Tuttolibri del 2 marzo, in relazione allo strepitoso suc-
cesso del referendum sui romanzi, di questo tenore, a mio
avviso tutt'altro che sbagliato: « Chi aveva detto che il
romanzo italiano non ha più pubblico? E dove sono finiti
gli annunciatori della sua morte? I lettori ci sono, dap-
pertutto, appartengono ad ogni categoria sociale... » Pro-
prio Rea, il pessimista, quasi catastrofico sulla sorte del
libro, ha rappresentato una controprova, e con un libro
di racconti! Secondo me il suo successo, il successo del
suo libro, è uno dei sintomi di quale desiderio di nuovo
il lettore abbia. Sì, perché Rea in questo caso è stato (data
l'assenza di anni) come un nuovo autore, favorito però
da una specie di attestato di qualità che il pubblico non
aveva dimenticato,
Secondo Antonio Spinosa tutto è chiaro, tutto è sem-
plice, tutto è facilmente risolvibile se però, si badi bene,
si segue la strada che lui consiglia, che a lui è più con-
geniale, che è, con ogni probabilità, quella che lui ha
seguito. O sbaglio?
Sempre per il giornalista-scrittore di biografie, il pro-
blema sollevato è, tutto sommato, un falso problema.
L'angolo visuale di lui, giornalista, è di una lampante
chiarezza: gli apparati di lettura non servirebbero; chi
vuole pubblicare deve fare il giornalista, deve pubblicare
qualche racconto o qualche saggio su un giornale, una
rivista letteraria, essere entrato, insomma, in quegli am-
bienti culturali che costituiscono il canale per raggiungere
l'editore, per attirare il suo interesse. In sostanza, se ho
ben compreso, il giornale, la rivista, il salotto letterario
quale anticamera dell'editore: nuovo potere alla stampa,
agli organizzatori (in senso lato) letterari. Evviva!
Ma come si fa ad entrarvi? Non costa davvero nulla
la servile, timida frequentazione di ambienti giornalistici,
culturali o pseudo tali? E non ci vogliono raccomandazioni
o denaro? O l'ingresso avviene solo per merito? E chi si
sente votato al romanzo deve per forza scrivere prima
saggi, racconti e articoli?
Con questo modo di affrontare l'ostacolo, tutti do-
vrebbero optare per quello che va, che piace, e occupare
parte preponderante del proprio tempo a sviluppare tema-
tiche e forme dello scrivere che non gli sono evidente-
mente congeniali perché, altrimenti, non attenderebbe
consigli di tal genere per farlo. Hai voglia di scrivere un
romanzo? Ti senti portato e bravo? Pazienza, attendi, ma-
gari anni, decenni: per ora un pozzetto di cronaca, una
mini-recensione, la biografia del sindaco, l'inchino al di-
rettore, il fascio di fiori e un compito baciamano alla
padrona di casa nel cui luminoso, sfarzoso salotto, ricco
di quadri o di ninnoli, si raccolgono settimanalmente l'au-
tore della biografia che va tanto di moda, o del saggio
cse ha suscitato tanto clamore e sì, là in fondo, con il
volto annoiato, il famoso narratore che tanto hai ammi-
rato per ciò che ha scritto e che ora vorresti dimenticare
nel vederlo in simile compagnia. E gli editori? Davvero hanno sbagliato tutto, se fosse
vero quanto esemplifica Spinosa: « invece di tirare, dicia-
mo, ottomila copie di un libro la cui vendita imporrebbe
un certo impegno, preferiscono pubblicare due titoli da
quattromila copie ciascuno, poiché in tal maniera sarà
più semplice rientrare nelle spese senza troppi sforzi ».
Già, infatti è tanto facile vendere quattromila copie! La
stampa prò copia costa meno; e la pubblicità, la distribu-
zione e la promozione moltipllcate per due sono un vero
affare! O torse è l'esatto contrario?
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyGio Mag 14, 2009 12:58 pm

Cap. IX
LA MUNGITURA S'INTENSIFICA
Alle pagine 85 e 86 de « I Segreti dell'editoria » accen-
nai ad editori che si erano specializzati nel lancio di nuovi
autori, o nomi poco conosciuti. Nel senso che questi edi-
tori — alcuni scopertamente, altri mascherandolo — pub-
blicavano, e credo pubblicano, esclusivamente a spese degli
aspiranti gravando il costo di un certo guadagno, in modo
da immettere il libro sul mercato (vendita diretta, distri-
butori o libreria) con la loro operazione, finanziariamente
attiva, già conclusa. Tutto quello che sarebbe giunto suc-
cessivamente con le eventuali vendite, sarebbe stato un di
più. Indubbiamente un comodo sistema (per loro) ma
probabilmente utile per gli aspiranti meno dotati e più
impazienti. -
L'importante era ed è, a mio avviso, che il nuovo
autore fosse cosciente di un tale modo di agire, che com-
porta spesso la pubblicazione senza nemmeno leggere il
dattiloscritto, tranne che per sommi capi.
Accennai ad un editore toscano che invfa un manua-
etto pulito, intelligente e chiaro e trascrissi il suo con-
tratto standard d'edizione e lo commentai. Scrissi anche
che altri editori, più o meno dello stesso genere, li avresti
potuto trovare, amico lettore, nelle pagine gialle di Milano
alla voce case editrici.
Quante ce ne fossero che operassero esclusivamente
nel modo descritto non lo sapevo allora e non lo so oeei
ma sicuramente dopo l'uscita de I Segreti dell'editoria'
di più. '
Pur apprezzando la sincerità e la chiarezza, non con-
sigliai di servirsene, ma di - se proprio lo volevano aspi-
ranti esasperati dai rifiuti, sovente ingiustificati, dei gran-
di, medi e piccoli editori di nome — tentare con altri, i
tantissimi editori che compaiono sulle pagine gialle di
tutt'Italia, che per buona parte non sarebbero rimasti in-
sensibili alla presentazione di un manoscritto di qualità
(anche se non eccelsa, ma più che dignitosa) e di un'of-
ferta di concorrere alle spese. Qui il discorso sarebbe stato
diverso, il manoscritto letto con minuziosa attenzione e il
nome dell'aspirante inserito in un contesto più che de-
cente, se non addirittura ottimo.
Ebbene, su &IÌ Corriera della sera» dì domenica 2
dicembre 1984, su « II Giornale » di lunedì 10 dicembre e
non so più quante altre volte e su quali altri quotidiani,
ho letto il seguente avviso di sei moduli (costo circa tré
milioni e mezzo e due milioni per volta) :
Editrice Black-Out Regione Lombardia
Con il patrocinio della regione Lombardia, Assessorato
alla Cultura e Informazione, la Casa Editrice Black-Out
indice il:
PREMIO LETTERARIO
« Concorso Opera Prima » per il Romanzo e la Poesia
riservato ad Autori esordienti.
Lo scopo dell'iniziativa è di favorire i contatti con
il mondo dell'Editoria ad aspiranti romanzieri e poeti, as-
sicurando la pubblicazione delle opere ritenute meritorie
dalla commissione giudicatrice.
Per informazioni e per richiedere la scheda di ade-
sione, telefonare a (tré numeri di Milano. Nota di B.C.)
oppure scrivere a: Editrice Black-Out, via... Milano speci-
ficando i dati anagrafici ed un recapito telefonico.
Cosa ne pensi, caro lettore? Forse la Regione Lom-
•bardia, il suo assessorato alla cultura, l'assessorato della
regione dove c'è la maggior concentrazione di editori, dove
si stampano la maggior parte dei 150 milioni di copie
annue di libri ha voluto dare una mano agli aspiranti e,
con l'autorità di un ente pubblico che dovrebbe essere di-
sinteressato e quindi garantire imparzialmente il prevalere
delle opere migliori, degli aspiranti più degni, si è mosso
per avviare a risoluzione, sia pure parziale, il problema
delle nuove leve? E da dove salta fuori questa Casa Edi- '
trice Black-Out? Forse dei nuovi mecenati pensosi dell'av-
venire della letteratura italiana?
Per la verità un facile istinto, un fiuto da quattro
soldi (maggiore non sarebbe stato necessario) mi diceva,
mi sussurrava impertinente all'orecchio come il eri eri di
un grillo che senti ma non vedi, che sarebbe stato troppo
bello che I Segreti dell'editoria avesse avuto un primo
tangibile immediato risvolto concretamente positivo, oltre
quelli principalmente di adesione e consenso che hai letto
nei capitoli precedenti; e non poteva esser vero.
Mentre mi accingevo agli opportuni accertamenti con
un pizzico d'ansia e una montagna di scetticismo, leggevo
su « Tuttolibri » dell'8 dicembre 1984 un articolo di Erne-
sto Ferrare dal titolo: « II black out genera poeti». Tè ne
riporto il solito stralcio:
>
... Già è bizzarra l'idea di chiamare Black-out una casa
editrice che vuole promuovere gli esordienti: forse si tratta
di un lapsus freudiano. Black-out significa inesorabilmente
una interruzione nell'erogazione dell'energia elettrica, si-
gnifica comunicazioni saltate, ascensori bloccati, industrie
ferme, invettive contro la malvagità innata della tecnolo-
gia. Ma quante belle, nuove editrici per esordienti si po-
trebbero progettare seguendo questa falsariga catastrofica
alla quale, bisogna pur dirlo, nessuno aveva pensato:
Crash, Tilt, Splash, per restare in area anglosassone; Tita-
nio, Caporetto, se siamo affezionati ai grandi disastri sto-
rici; Krakatoa, se ci impressionano le esplosioni di vulcani
in area tropicale; Corea, se vogliamo ricordare ai giovani
la bruciante sconfitta della nostra nazionale ai mondiali
di calcio ai tempi di Edmondo Fabbri. Ma poi, black-out
di che cosa? Delle case editrici tradizionali? Della società
letteraria « falsa e bugiarda » ? Della letteratura? O per
black-out si intende qualcosa che vorrebbe avere a che
fare che l'underground e l'off-off? Da quando impazzano
i disc-jockey delle radio pubbliche e private, l'uso impro-
prio dell'inglese ha raggiunto vertici esilaranti.
È noto che esiste, e anzi prospera, un sottosistema di
microeditori che pubblicano a pagamento poeti e narra- i
tori, facendo leva sulla loro solitudine, sulla loro mancanza
di relazioni, sulla loro ansia di esistere come Autori. Le
spese di adesione al concorso Black-out si aggirano sulle
170.000 lire, la pubblicazione dell'opera vincitrice è gra-
tuita. L'annuncio sul « Corriere » costo sui tré milioni, con
i costi tecnici di produzione bisogna aggiungere altri quat-
tro o cinque milioni, ben che vada: a questo punto il con-
corso è una scommessa commerciale, il cui esito non ci
interessa.
Ci interessa invece la questione del patrocinio della
Regione Lombardia. All'assessorato minimizzano: il patro-
cinio è gratuito, mah, chissà, sarà stato un qualche fun-
zionario frettoloso, un patrocinio non si nega a nessuno,
non è il caso di drammatizzare...
No, amico lettore, nemmeno a me sembra il caso di
drammatizzare, seppure il patrocinio della Regione — sia
pure gratuito e che « non si nega a nessuno » — conferi-
sca quel peso, quel quid in più che altri editori a paga-
mento (sui quali tornerò nuovamente) non hanno, perlo-
meno nella gran parte, forse perché non vi hanno pensato.
Mi soffermerei invece su quella che secondo Ernesto
Ferrare è una « scommessa commerciale ». Per me è tut-
t'altro che una scommessa. Scommesse così arricchirebbero
il commercio senza rischi! Ti spiego perché.
Da un'indaginotta (meglio non merita di esser chia-
mata) telefonica, svolta il 28 marzo alle ore 16,40, mi
sono state riferite le seguenti notizie:
1) II premio è suddiviso in due settori: uno per il romanzo
e l'altro per la poesia.
2) I due vincitori (uno per settore), proclamati il 28 set-
tembre 1985 da una giuria composta da personaggi
della cultura, saranno pubblicati gratuitamente da que-
sta casa editrice, che per i libri è novizia, giovincella,
di primo pelo. .
3) Vi sono delle « spese di partecipazione » ammontanti a
150.000 lire più IVA con fattura regolarmente rila-
sciata.
4) La scadenza è imminente (31 marzo 1985), comunque
sono disposti a concedere qualche giorno di proroga i
« facendo un'eccezione » con invio immediato al con-
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyGio Mag 14, 2009 12:59 pm

corrente della scheda o consegnandogliela a mano ne-
gli uffici della Black-Out.
5) I partecipanti sono di un numero vicino al mille, na-
turalmente per settore.
6) Se proprio si vuole (o forse con invito successivo) si
potrà concordare « al di fuori del concorso » una pub-
blicazione con il contributo finanziario dell'aspirante
scrittore.
7) Saranno anche assegnate n° 20 targhe (dieci per set-
tore) ad opere meritevoli.
Vogliamo fare, caro amico, dei semplici calcoli?
Supponiamo quindi che partecipino 1500 concorrenti
al prezzo di 150.000 lire ognuno: raggiungeremmo la bella
cifra di 225 milioni!
Se vorranno farsi pubblicare, con proprio esborso di
denaro, un libro un minimo di cento aspiranti scrittori e
su ognuno di loro ci si vuoi limitare a guadagnare, dedotte
le spese vive e generali, un milioncino (cos'è oggi un mi-
sero, negletto, snobbato milioncino in questo mondo di ric-
chi, in questo paese di Bengodi), altri cento di utile entre-
ranno nel carniere della Black-Out.
Ma le spese? Interverrai forse non ancora completa-
mente convinto. Certo, le spese. 10 milioni per pubblicare
(poco più o poco meno) le due opere vincenti; 20 di pub-
blicitàj^ un'altra ventina fra giuria e festa di proclama-
zione; ancora 20 di generali e, via, abbondiamo, 20 per
ufficio personale e postali. Totale 90, o vogliamo fare 100?
Rimarrà pure un guadagno di 225 milioni! Ti pare poco?
D'altra parte cosa c'è di male: due aspiranti saranno
pienamente soddisfatti e forse entreranno nel firmamento
degli autori pubblicati e conosciuti; altri venti potranno
mostrare orgogliosi la bella targa e... un centinaio (o è
poco?) spiaccicherà il volto ansioso, commosso, quasi ad
inserirsi nella vetrina dove il suo libro, sia pure per soli
tré o quattro giorni, sarà esposto fra i grandi, i sommi,
gli scrittori consacrati o quanto meno professionisti!
Sia ben chiaro, amico lettore, tutto quanto ho più
sopra scritto è una mia illazione perché il numero potreb-
be non esser quello, e le spese sicuramente risulteranno
maggiori. Ma cosa vuoi, un po' mi sento imputato perché,
se oggi aderiscono tanti aspiranti, la colpa, per chi ne
rimarrà frustrato non rendendosi conto in anticipo a cosa
va incontro, è anche de « I segreti dell'editoria ovverosia
Come si fa a farsi pubblicare un libro » quando non è
stato letto con la dovuta attenzione e sagacia e quando
con il suo successo avrà dato l'idea per concorsi del ge-
nere. O forse è un merito per l'apertura di nuove strade?
Nuove strade, o meglio vecchie, vecchissime nella so-
stanza, le percorre una casa editrice bolognese che ha
inviato a tappeto (financo a me!) in data 23 gennaio 1985,
una circolare a stampa così concepita:
In alto a sinistra, fra due strisce che lo evidenziano,
un « inserimento gratuito » ; poi il titolo in carattere spesso
e grande: ci CONTRO LA VIOLENZA», e più in piccolo: «Un
appello da Bologna. La più grande antologia poetica con-
tro tutte le violenze nel mondo»; segue il testo:
I poeti (il primo ben noto per essere— in altre cir-
colari indirizzate a pittori — perito, esperto della camera
europea, critico d'arte e docente universitario, e il secondo
a me sconosciuto. Nota di B.C.) La invitano — personal-
mente — a partecipare alla più grande antologia poetica
mai pubblicata in Italia dal tìtolo « Contro la violenza ».
Egregio Poeta, pubblicheremo una Sua poesia che do-
vrà avere uno dei seguenti temi:
contro la violenza, lotte a favore della
pace nel mondo, ecc.
Saranno accettate poesie nuove ma anche poesie già
pubblicate in riviste o in libri di qualsiasi genere. La poesia
non dovrà superare i trenta versi. Se lo desidera, ci potrà
inviare più di una poesia; le leggeremo tutte e sceglieremo
noi quella da pubblicare.
L'antologia sarà pubblicata dalla famosa e grande casa
editrice ...di Bologna, nel mese di giugno.
UN GESTO D'AMICIZIA E DI COLLABORAZIONE
La Sua poesia sarà pubblicata GRATUITAMENTE. Per
far conoscere l'iniziativa (che sarà sicuramente grandiosa
e che sarà apprezzata a livello internazionale) Le chiedia-
mo di voler prenotare SOLTANTO UNA COPIA dell'anto-
logia a lire 50.000, prezzo straordinario per lei. •
LA PRIMA COPIA A PERTINI
La prima copia dell'importantissima antologia « Con-
tro la violenza » sarà inviata in omaggio a Sandro Pertini,
Presidente della Repubblica, che è uno dei più convinti e
accaniti difensore della pace nel mondo. Il volume sarà
inoltre presentato — pubblicamente — durante una ceri-
monia che si svolgerà all'insegna della serenità e del più
alto valore culturale, a Bologna, entro l'autunno.
Fin da ora tutti i poeti sono ufficialmente invitati a
presenziare, nei limiti della loro disponibilità di tempo.
La data esatta sarà comunicata a tutti in tempo utile.
SCOPI E FINALITÀ' DELL'ANTOLOGIA
L'antologia vuole dare l'opportunità ai poeti di espri-
mere liberamente la loro voce contro la violenza — sia
in Italia che all'estero — e non vuole assolutamente per-
seguire scopi di carattere politico ne interferire con le
Autorità che già operano con impegno.
Lo scopo dei poeti (promotori. Nota di B.C.) è pura-
mente culturale, perché la poesia è l'unico modo per stare
uniti e far arrivare a tutti i popoli il più entusiasmante
messaggio di pace.
I promotori dell'antologia La ringraziano fin d'ora
per la Sua adesione e collaborazione.
Seguono le firme autografe (ovviamente riprodotte)
dei due poeti promotori.
Più in basso nel foglio, il modulo di adesione che
recita:
Intestare ogni cosa e spedire tutto a:
CASA EDITRICE ... SPEDIRE ENTRO IL
BOLOGNA 28 FEBBRAIO 1985
Cognome ............................................................................... Nome ................................................
Tei. ......................................./........................ Via e numero ................................................
........................................................ Gap. ................................ Città ........................................................
Invio la poesia dal titolo .................................................................................... di
non oltre 30 versi, dattiloscritti, dichiarando che è originale
e scritta da me, e che sarà pubblicata gratuitamente nel-
l'antologia CONTRO LA VIOLENZA.
Mi impegno a prentore soltanto una copia dell'anto-
logia per lire 50.000 che pago nel seguente modo (cancel-
lare la formula che non interessa): con assegno bancario qui accluso, numero ........................................:.:....
con vaglia postale o telegrafico numero
La cifra è già comprensiva dele spese postali.
Data ........................................................ Firma ................................................................
E in piccolissimo, ma in neretto: « Óoloro che desi-
derano altre copie — oltre la prima — possono ordinarle
con questa scheda ».
Così, il primo dei due poeti — quello altre volte defi-
nito dottor, professor, perito, docente, e non so quante
altre cose — ha trovato il modo (risolvendo il suo perso-
nale problema editoriale) di superare la crisi delle ven-
dite di libri. Lui o la casa editrice stampano l'antologia
« la più grande antologia poetica mai pubblicata in Ita-
lia » nel numero di copie già pagate, assicurandosi in par-
tenza un guadagno valutabile perlomeno del 50 per cento
del prezzo di copertina, e più saranno gli aderenti, più
la percentuale aumenta! (Perché ovviamente il costo uni-
tario diminuisce più cresce il numero delle copie). •
Ma anche qui un piccolo merito verso gli altri (oltre
che verso se stesso o il suo personale patrimonio e quello
dell'editore), verso i frustrati poeti non pubblicati, non
lo ha?
Cosa sono cinquantamila lire quando si può ammirare
e principalmente far ammirare il proprio componimento
in una robusta antologia profumata di fresca stampa?
Ciò che non mi va, amico lettore, è quel tirare in
ballo Pertini, lo sbandierare che lo scopo dei due poeti
invitanti «è puramente culturarale », lo stampigliare in
rcsso « scrittore raccomandato dal redattore capo del
catalogo nazionale dei premi letterari » facendo pensare
a chissacché, a quale alto riconoscimento, a quale stima
si ha dell'opera poetica dell'invitato.
Meglio senz'altro, infinitamente molto meglio l'editore
toscano che con sincerità offre un servizio e pretende un
guadagno.
E, a proposito, caro lettore, quell'editore (il toscano)
dopo l'uscita de I Segreti dell'editoria si è fatto più ar-
dito ed ha intensificato la pubblicità promozionale per
ricevere dattiloscritti su un noto quotidiano nazionale ed '
ha fatto anche capolino su « II Mattino » di Napoli, oltre
a presentare di tanto in tanto libri pubblicati in inserzioni
di ben otto moduli su «la Repubblica».
Gli affari a lui e ai suoi colleghi staranno andando
bene? E ci sarà stato un utile per gli aspiranti scrittori?
Se proprio mungitura ci deve essere, che perlomeno
sia dolce e lasci ancora del latte.
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyVen Mag 15, 2009 12:17 pm

Cap. X
L'AUTOEDITORE E IL CASO DARIO BERNAZZA
Fra le tante, tantissime lettere (ma, attenzione, amico
lettore, mai le « caterve » affliggenti, ossessive che molti
dei miei colleghi sbandierano con fare annoiato e l'occhio
orgoglioso) licevute « dopo » I Segreti dell'editoria, una
si segnala per originalità e veemenza.
Milano, 25 gennaio '85
Egr. Sig.
BRUNO COTRONEI
ho letto il suo libro « / SEGRETI DELL'EDITORIA ».
L'ho acquistato perché ho scritto un romanzo di cui ac-
cludo la bozza di un depliant pubblicitario che invierò, a
stampa avvenuta, ai possibili acquirenti.
Ho sottoposto il dattiloscritto a tré giornalisti-scrit-
tori. Parere favorevole.
Non ho seguito la solita trafila: editori conosciuti, edi-
tori che stampano a spese dell'autore, ma una via diversa.
Ho creato una casa editrice (ho altre due aziende di tutt'
altro genere). Scelgo il fotolitista, lo stampatore, la lega-
toria. Pubblicizzo io il libro. Tutto a mie spese, MA IN-
CASSO (se incasserò) DIRETTAMENTE, in barba ai grossi
editori e agli editori truffaldini.
Questa via lei non l'ha presa in considerazione. Se ci
riesco salto il distributore, proponendo il libro direttamen-
te alle librerie (quelle che vanno per la maggiore, in Ita-
lia, sono circa un migliaio).
Vedrà la pubblicità del mio romanzo sui maggiori quo-
tidiani nazionali, su qualche rivista quindicinale o men-
sile. Forse nelle televisioni private,
Un agente della Garzanti mi ha detto che sono pazzo.
Ha pronosticato un insuccesso, non per la scarsa validità
dell'opera che, ami, anche lui ha apprezzato, ma per la
crisi attuale dell'editoria.
È probabile che tale sia il destino di Hotel Tritone,
però... tutto può darsi.
Tante porcate (non in senso letterale) di autori cono-
sciuti tirano anche 50.000/100.000 copie. Il mio che è una
vera porcata (dare al termine la giusta interpretazione),
però interessante e scorrevole come lettura, perché non
dovrebbe superare detta tiratura? Ce l'ha fatto « il nome
della rosa », ci riuscirò anch'io. Ho sessant'anni, nella mia
vita non ho sbagliato un colpo, forse è giunta la mia ora
di errare.
Se va non incasso il 6 di emolumento sul prezzo
di copertina, ma il doppio del costo che sostengo. E in...
ai grandi editori.
Saluti.
Acclusi, in fotocopia e su carta intestata di un noto
settimanale femminile, i giudizi dei tré giornalisti scrit-
tori Maurizio Polverini, Anna Carissimi e Nunzia Monanni.
Eccoli:
È difficile trovarsi d'accordo con quanto scrive l'au-
tore ma può essere stimolante confrontarsi con questo vate
della violenza e del sesso che, non a caso, scrive di un'
epoca violenta in questi anni di piombo. Modernissimo ma
vi sono comunque precedenti in letteratura nel romanzo
francese di fine Ottocento.
È un libro che non vorrei vedere in mano a mio ma-
rito o a mio figlio, ne sarei gelosa: troppe donne, troppo
sesso, troppa violenza, anche se mi piace molto il prota-
gonista, Riccardo, un giovane che u vive » malgrado tutto:
solo, senza amore, senza soldi, senza lavoro, senza amici,
inseguito da tutto e da tutti, in una città che lo divora,
durante una guerra tremenda.
Non ho mai letto niente di così forte, così sfrenato,
così violento, così atroce e affascinante insieme. Fatti e
personaggi sono tutti in piedi, in rilievo, in tré dimensioni. '
Un film a luci rosse in confronto è sema colori. Il romanzo
così tragico allucinante e vero è scritto con un realismo
che sconvolge, una forte emozione per chi ha cuore forte.
Il depliant ad otto facciate reca sulla prima il nome
dell'autore, il titolo e le seguenti scritte raggruppate come
strofe di una poesia:
Non è un libro per tutti. / Un'esplosione di sesso tur-
pe, / di lucida e terrificante violenza, / sullo sfondo della
Seconda Guerra mondiale.
Il protagonista, un giovane / dissoluto e corrotto,
spesso I abietto, a vòlte infinitamente / seducente e ge-
neroso.
La realtà che supera la più / sfrenata fantasia. Un
romanzo / vero, vissuto, disperato.
Uno scrittore rovente che / imprime un marchio in-
delebile I nella mente del lettore.
Moneglia, in / Liguria, Milano, Genova, / i teatri di
guerra, sono gli I indimenticabili scenari dell' / azione.
Segue il nome delle edizioni che è posto in maggior
evidenza nell'ultima facciata, preceduto da un «vendite
per corrispondenza — sped. abb. post. gruppo V » e seguito
da « settori di produzione: narrati va-saggistica varia ». Poi
in grande, al centro, la riproduzione della copertina: una
specie di esplosione, e « un best-seller; due volumi in cofa-
netto; a casa sua; a un prezzo di assoluta convenienza».
Sotto in piccolo: uffici e direziono, stabilimenti e numero
d'iscrizione alla camera di commercio e di partita IVA.
Le altre sei facciate sono zeppe della trama, del pa-
rere dei critici (per ora in bianco), di caratteristiche e
prezzi dell'opera. Sono due volumi « inseriti in un elegante
cofanetto»; il formato è 13x21,5 su carta da grammi 80;
le copertine, in brossura, sono a colori e in cartoncino pa-
tinato da grammi 200. Viene proposta direttamente al
lettore « a condizioni di assoluto favore anziché al prezzo
di copertina di... (già un prezzo molto contenuto in con-
siderazione del numero di pagine dei due volumi e della
realizzazione molto bella) a L.... per pagamento anti- •
cipato e a L.... per pagamento contrassegno u. C'è infine,
in ottima evidenza, un dettagliato buono d'ordine.
Che dirti, amico lettore, dell'iniziativa e di come si
intende o sì è inteso realizzarla?
Può essere un'altra stortura, se il libro vale, conse-
guenza dell'esasperata difficoltà di pubblicazione cui vanno
incontro gli aspiranti scrittori, o delle smanie, se il libro
non vale, di chi vuole pubblicare, essere scrittore cono-
sciuto a tutti i costi. Certo, ci si sente stringere il cuore
se si ama questo stupendo lavoro (perché tale è, e fra i
più duri) a vederne trattare il prodotto alla stregua di
un paio di scarpe, di un orologio, di un'automobile o di
un televisore; di un prodotto, insomma, dello sfrenato con-
sumismo che ci divora.
Ma, potrai obiettare, molti editori esperti non fanno
cosi? Sì, forse, ma non con tanto poco buon gusto perché,
diciamo la verità, mettere sul depliant di un romanzo
(non di un'opera di divulgazione) già «un prezzo molto
contenuto...» è davvero condannabile, anche se può avere
(ripeto, in altro tipo di libro) precedenti illustri.
Probabilmente l'autore non si sente inferiore a scrit-
tori tanto pubblicizzati a botte di centinaia di migliala
di copie vendute in tutto il mondo, ma sbaglia quando
confronta la sua opera con il romanzo di Eco. Non conosco
cosa e come ha scritto, ma mi sembra più che evidente
che tutt'al più si possa paragonare ad una Collins o a
un Follett che davvero non fanno opera di raffinato im-
pasto letterario, sebbene posseggano tanto mestiere e tanta
esperienza ed un solido impianto da professionisti. E il
fatto, amico lettore, che non riesca ad individuare l'area
dove il suo libro possa esser0 collocato (non in termini di
vendita) mi fa dubitare che, in questo caso, la colpa del-
l'esasperazione possa essere attribuita agli editori.
Decisamente di esasperazione deve trattarsi, esaltata
dall'età alquanto avanzata, la disponibilità finanziaria e
l'essere imprenditore.
Non è complicato creare una casa editrice, con un
unico obiettivo o con obiettivi comunque modesti, special-
mente se già si dispone di ufficio, di impiegati, di consu- >
lente fiscale; ma il libro è oggi forse il prodotto più dif-
ficilmente smerciabile, caro lettore.
Un precedente di successo c'è, e la relativa storia ha
fatto il giro del mondo del libro.
Si tratta di Darlo Bernazza, un commerciante-filosofo
romano, che quasi sessantenne decise di superare d'un
balzo la solita, quasi sempre senza vie d'uscita, trafila.
Avvicinò, se ricordo bene, nel '79 un distributore facente
parte di un consorzio e si fece pubblicare un libro dal
titolo: «O si domina o si è dominati u. Stanziò senza timori
o tentennamenti quasi un centinaio di milioni (del 1979)
e predispose una massiccia, pressante pubblicità sui mag-
giori quotidiani italiani. Non tentò, però, la via della di-
stribuzione diretta, bensì attirò e convinse i vari mèmbri
del consorzio, con parole e principalmente denaro a fondo
perduto e premi di produzione, a diffonderla. Abile e intel-
ligente, avvicinò librai, ne divenne amico ed ottenne " ve-
- trine " ed attenzione, controllando attentamente e con
"" dolcezza sia loro che i distributori.
Il suo non era un romanzo, ovverosia un prodotto
che il lettore desidera di nome o di qualità, ma uno di
quei volumi che tanto fanno breccia sugli insicuri (e chi
non lo è, sia pure in minima parte?) che sono pronti,
disposti ad essere sedotti dalla medicina nuova e miraco-
losa, dall'amuleto portafortuna, dal libro di ricette che
trasforma una semplice casalinga poco esperta in insupe-
rabile cuoca, dal piccolo ineguagliabile elettrodomestico
multifunzionale, dalla crema dimagrante dal pronto im-
mediato prodigioso effetto, dal reggisene che fa tutte pro-
caci e attraenti, dal corso che in pochi giorni insegna senza
fallo una lingua straniera o ti fa tecnico a cui non si
può negare il posto o il lavoro, e così via.
E il libro di Bernazza, in colossali pile nelle librerie
di tutto il Paese, dal Brennero a Capo Passero, si inco-
minciò a vendere; dapprima lentamente e poi in maniera
che sembrava incredibile sperare, fino a giungere, con le
successive edizioni, alla selezione del premio Bancarella,
cioè al premio per i libri più venduti.
Cosa conteneva il suo libro specificatamente?
Ecco quanto era scritto in copertina:
Questo è IL LIBRO DELL'INDIVIDUO, ossia è il libro
del valore, della dignità e dell'affermazione dell'individuo
« elevati alla massima potenza ». È il libro di chi vuoi
vivere da protagonista e non da semplice comparsa, da
dominato; di chi vuoi essere « il vero artefice » della pro-
pria esistema; di chi « non sopporta di non conseguire il
successo » ; di chi è convinto che « meno si è individui,
meno si vive ». È il libro di chi merita di affermare: « IO,
ED IO SOLTANTO, SONO IL VERO SIGNORE DI ME
STESSO».
E all'interno, con filosofia popolare, i capitoli di un
indubbio effetto:
La verità assoluta; La verità relativa; La più preziosa
attività dell'uomo: cercare la verità; La facoltà che con-
ferisce il più alto grado d'intelligenza, di sicurezza e di
predominio: saper filosofare; Come cercare la verità ossia
Come risolvere tutti i problemi reali; I più subdoli e osti- .
nati nemici della verità; La spieiata e inevitabile vendetta "^—^
della verità; Chiunque vive nel contesto della nostra civiltà
può conseguire il successo; Tristezza e inadeguatezza del
primo articolo della nostra Costituzione; I miei veri amici;
Trucioli di verità; L'aborto, la ragione e la coscienza; L'on-
nipotenza dell'educazione; « S'olii è meglio essere amato
che temuto, o è converso» (Machiavelli: u II Principe»);
Di chi sarà la vittoria finale, del bene o del male?; Pro-
cesso a noi stessi; II signore di se stesso ovvero Ritratto
dell'individuo dominatore.
Comprenderai, amico lettore, che con questi argo-
menti ,con la strombazzante psicologica pubblicità, con la
perfetta distribuzione qualche decente risultato positivo
non era poi tanto folle attenderselo. Ma i fatti, ribadisco,
superarono di gran lunga le previsioni, e l'audace e voli-
tivo autore sembra sia rientrato in tutte le considerevoli
spese e ci abbia pure guadagnato in denaro; perché il suo
vero guadagno era stato vincere la battaglia contro le in-
numerevoli, possenti difficoltà. Risultato: migliala, forse
diecine di migliala di affezionati lettori e l'inserimento
magari non a vele spiegate, nella media e grande editoria
con i nuovi suoi libri dalle pretese progressivamente e, •
a mio avviso, sempre più esagerate e smisurate. « La solu-
zione del problema vita », prima, e « La soluzione del pro-
blema Dio», poi, dagli esiti buoni ma decisamente infe-
riori a « O si domina o si è dominati ».
Forse il mio corrispondente-aspirante scrittore di. Mi-
lano ha letto il primo volume di Bernazza? Vuole dominare
anche nel mondo del libro? Guardi che è estremamente
difficile. Non intendo scoraggiarlo, convinto come sono che
ognuno deve maturare le esperienze una volta che con
chiarezza sa esattamente a cosa va incontro.
Vedi, amico lettore, e tu dovresti saperlo, le misteriose
vie per le quali un libro di narrativa diventa un best seller
sono davvero imprevedibili, ma una cosa sembra certa:
è rarissimo (e in questo gli editori hanno ragione) che
, un nome sconosciuto, non protetto, non avvolto ed espo-
sto nella bambagia dei molti, moltissimi recensori, non
premiato in manifestazioni che, a torto o a ragione, sono
ritenute qualificanti e selettive per qualità, possa aspirarvi.
E poi io non so quali cose vendano o fabbrichino le due
aziende dell'aspirante scrittore milanese e non conosco se
la distribuzione di ciò che tratta oggi sia tanto polverizzata
come quella del libro. Tenga presente, se non lo sa, che è
noioso e stressante emettere mille e più piccole fatture
d'importo, mettiamo, di poche diecine di migliala di lire
ed esigerne il pagamento dai librai che non ricevono la
visita del distributore che può accomunare più libri di più
editori. E' un'impresa da Sisifo. E allora migliala di lettere,
solleciti, messe in mora o visite con un costo spesso supe-
riore alla cifra che si deve incassare. Ognuno deve fare il
suo mestiere: invadere altrui campi spesso è pericoloso e
deludente.
Forse più ragionevole potrebbe essere il tentativo della
vendita diretta, per corrispondenza ai potenziali lettori;
ma, anche in questo caso, la contrapposizione fra nomi
sconosciuti sia dell'autore che dell'editore e l'enorme qua-
lificata (per meriti o commerciabilità) concorrenza, lascia
prevedere risultati ben magri che probabilmente non co-
prirebbero nemmeno le spese di stampa; immaginiamoci
quelle della costosissima pubblicità! Chissà se l'aspirante
di Milano, amico lettore, conosce il costo di 4 moduli (cir-
ca 8x8 centimetri) su La Repubblica, La Stampa, II Cor-
riere della Sera o La Nazione: rispettivamente, a meno di
ultimi aumenti, di quasi un milione e mezzo, due milioni
e mezzo, tré milioni, e settecentomila lire. Sa che deve
ripeterla più volte? Certo non si spaventa, convinto come
sembra di poter vendere 50-100 mila copie; ebbene, ci
mediti su perché pochi libri giungono a tanto e le cifre
che spesso vengono sbandierate quasi sempre si riferiscono
alle copie distribuite, non a quelle realmente vendute, che
i librai sono capaci di restituire copie inattese dopo molti
mesi, se non un paio d'anni.
Non ha quindi tutti i torti l'agente della Garzanti
quando lo definisce " pazzo " e pronostica un insuccesso,
e non solo (a prescindere dalle qualità del libro) per la
crisi attuale dell'editoria. In questo modo e con nomi sco-
nosciuti sarebbe stato sempre lo stesso anche negli anni
del boom editoriale. Ma, ripeto, ognuno deve consumare le
proprie esperienze e... e non è detto. Se ci riesce si saprà
e forse diventerà un editore importante... e può darsi si
offra di pubblicare un mio libro, proponendomi i diritti
d'autore più alti. Io attendo: non si sa mai. Auguri!
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptySab Mag 16, 2009 12:42 pm

ASPIRANTE SCRITTORE RINGRAZIAMI, MA LEGGI!
Ed ora, amico lettore, che hai percorso con me questa
nuova avventura fra le pagine fitte, intense e spero appas-
sionanti del pamphiet che stai per terminare, forse con il
dispiacere con il quale si saluta un compagno caro che ci
ha raccontato tutto di sé e solo qualche scampolo ha anco-
ra da offrirci sulla soglia di casa mentre ci tende la mano
per stringere la nostra e poi la solleva in segno d'addio o
di un più confortante arrivederci, vogliamo tirare le som-
me, riassumere i risultati del « doposegreti »?
E' probabile che la testa ti giri, che una certa confu-
sione si sia impadronita di tè, passato come sei fra lettere
di consensi, recensioni, problemi distributivi ed editoriali,
dati, cifre, sospetti di boicottaggi, black-out, un inedito
volto di Valerio Riva — il babau de I Segreti dell'edito-
ria —, l'arroganza e la spocchia della scrittrice superpro-
tetta, l'intervista e le domande banali a Domenica in...
i dubbi sulla veridicità dei motivi d'una santificazione, le
frecciatine e i consigli sorprendenti di Guerri, l'insospet-
tato astio o il pessimismo di scrittori che dovrebbero essere
sazi e soddisfatti, l'apprendere di premi per aspiranti
che — pur nell'ambiguità d'intenti — s'avvalgono del pa-
trocinio della Regione Lombardia, una intensificata mun-
gitura, il progetto d'autoedizione e infine il caso meravi-
glioso (per lui) di Bernazza.
Risultati, direi, più che positivi, addirittura trionfali
e non solo per gli aspiranti scrittori, gli autori italiani,
ma anche per gli editori e principalmente per il prodotto
libro che, in definitiva, al di là di egoismi, è ciò che più ci
interessa.
Esaminiamoli, se non ti dispiace, caro lettore, uno
per uno.
117

Grandi e medi editori a livello nazionale ed internazionale
I Segreti dell'editoria dovrebbe aver fatto loro piacere
ed essere stato utile. Non sei d'accordo, caro lettore?
Se come vivamente mi auguro, gli aspiranti scrittori
in buona parte hanno compreso i problemi dell'editoria a
livello industriale, i suoi costi e l'esigenza di tirature mi-
nime di molte migliala di copie, assedieranno in modo meno
ossessivo e più selezionato le segreterie letterarie dando
possibilità ai responsabili di respirare e, con mente più
serena di poter meglio giudicare la pubblicabilita di nuo-
vi autori che davvero possono avere un avvenire nel campo
delle lettere. I retrivi, gli illusi, coloro che, mancando di
seria autocritica, continuano a ritenersi novelli Svevo,
Moravia, Ungaretti o Montale, saranno più facilmente
individuabili, perché indubbiamente i peggiori, e la " scre-
matura " ne risulterà semplificata. Ma i grandi, medi edi-
tori avranno avvertito da I Segreti dell'editoria, e prin-
cipalmente dalla marea di articoli che si sono occupati
dei problemi sollevati dal pamphiet le istanze di rinno-
vamento dei lettori, dei loro clienti, di chi, in definitiva,
fa girare e muovere i loro impianti tipografici, permette
di retribuire i loro dirigenti, i loro redattori, i loro addetti
alla promozione e distribuzione; il profondo desiderio in-
samma di conoscere, acquistare e leggere libri di nomi
nuovi ai quali progressivamente (e non è banale ricordare
che il mondo non è stato creato o si è formato in un gior-
no) affezionarsi per farli assurgere alle vette delle classa
fiche di vendita e farne il centro delle loro conversazioni
culturali, che sono meno rare di quanto non si pensi.
E gli autori stranieri?, ti domanderai, caro amico.
Gli stranieri certo vanno pubblicati, ma i migliori,
quelli che davvero hanno qualcosa da insegnarci, non
l'infima moltitudine dei " commerciali " o quelli che altri-
menti vengono definiti « esponenti di una narrativa po-
polare » che sicuramente sono anche fra di noi, qui nel
nostro Paese. Basterà incoraggiarli, fornir loro qualche
adatto, non oppressivo o invadente suggerimento e lasciare
loro un po' di spazio e principalmente liberarli dalla con-
vinzione che il romanzo — in particolare quello di con-
sumo, tanto caro agli autori e agli editori di oltre con-
i
118

fine — non deve essere solo l'estrinsecazione di alti livelli
linguistici e contenutistici.
Allora, e solo allora, " l'urlo di dolore " delle svariate
migliata di aspiranti scrittori, o quanto meno delle dieci-
ne o centinaia di loro forniti di buone qualità, potrà
placarsi.
Ma, amico lettore, non voglio essere semplicistico:
i problemi sono complessi e i nostri grandi, medi editori,
una volta avvertita la necessità e la popolarità d'un cam-
biamento, anche se leggero, di rotta, sapranno bene come
fare; infinitamente meglio di chi vuoi solo segnalare ed
evidenziare un'esigenza che essi, ne sono sicuro, già av-
vertivano, forse senza rendersi conto di quanto fosse di-
retta, incalzante.
Autori affermati o pseudo tali
E' probabile che proprio da loro sia giunta qualche
critica, diretta o indiretta, all'attualità dei problemi se-
gnalati da I Segreti dell'editoria. Ritengo tuttavia, e chie-
do venia se mi sbaglio, che siano stati quelli ormai sul
viale del tramonto, per età o per vena declinante, o chi è
forse pervenuto alla notorietà, al successo, alla pubbli-
cazione senza veri consolidati e duraturi meriti. Sono
loro che si lamentano — per paura? per vezzo? perché
fa chic? — dell'invadenza degli aspiranti scrittori, quasi
essi siano giunti alla grande editoria per volere celeste,
o per un fatto naturale, dovuto, per un contatto non
mediato da fattori umani. Ebbene, amico lettore, mi au-
guro che gli aspiranti scrittori siano tanto intelligenti da
lasciarli nella pace che desiderano, a rotolarsi nella loro
richiesta solitudine, ad osservare con sgomento la cas-
setta della posta vuota, il telefono muto, perché — forse
non lo sanno — i loro lettori non di rado sono anche
aspiranti scrittori.
Eppure una qualche gratitudine avrebbero dovuto mo-
strarla a I Segreti dell'editoria perché alcuni meriti, alcuni
risultati positivi, il pamphiet li ha con loro. Quando, ad
esempio, li ha difesi (pagine 53, 54, 55, 56, 57) senza
risparmio dalle dichiarazioni di Valerio Riva, che aveva
accusato gli autori italiani (evidentemente non tutti an-
che se così sembrava) di far correre troppi rischi all'odi- '
119

toria, di « taglieggiare u gli editori, di percepire royalties
e anticipi esagerati, richieste smodate di spazi pubblicitari
e collaborazioni. Oppure quando, per idea propria o sulla
scia del movimento generato da I Segreti dell'editoria,
Raffaele Crovi, ex direttore della Rusconi e del gruppo
Fabbri, ha deciso di fondare una nuova casa editrice de-
stinata esclusivamente agli autori italiani, come è ripor-
tato in questo trafiletto di « Tuttolibri » del 13 ottobre
1984.
Una nuova casa editrice, destinata agli autori italiani,
nasce sotto il segno di due leonesse, riprodotte anche in
copertina. Si chiama Camunia, in omaggio alla antica
civiltà della Val Camonica; la dirige lo scrittore Raffaele
Crovi, che ne è anche comproprietario.
I tré primi volumi appena arrivati in libreria, danno
una immagine del programma editoriale: u Fedele alle
amicizie » di Ceno Pampaloni, raccolta di scritti autobio-
grafici e narrativi, moralità e commenti giornalistici;
« La scala si è rotta », romanzo giallo ambientato nel
grande teatro milanese, scritto dal musicista Gino Negri;
« Maria Luigia di Parma », biografia della moglie di Napo-
leone a cura di Pier Damiano Ori e Giovanni Perich.
Fra pochi giorni saranno pronti altri tré libri: « La
smortina », romanzo di Guglielmo Zucconi, « Valentino
vestito di nuovo », storia del celebre sarto, di Marina Cosi,
e « Eleonora d'Arborea», biografia della principessa sarda,
di Bianca Pitzorno.
A questo punto, amico lettore, scusa la digressione,
ma non posso fare a meno di raccontarti un episodio cu-
rioso, anticonformista ed addirittura clamoroso, dati i
tempi che corrono e la smodata ricerca di pubblicità a
tutti i costi. Guglielmo Zucconi — giornalista di vaglia,
più volte direttore di quotidiani e settimanali, narratore
e saggista e principalmente vero gentiluomo — fu in-
trodotto con i dovuti riguardi nella seguitissima trasmis-
sione di Mike Bongiorno, « Superflash », per la presenta-
zione del suo ultimo libro: il romanzo « La smortina ». Ma
con somma meraviglia del presentatore, e credo degli •
120

spettatori tutti, aveva dimenticato la copia del libro che,
di solito, chi ha la fortuna di poterlo pubblicizzare da
una tanto vasta platea, s'affretta a mostrare, con la co-
pertina saggiamente rivolta verso la telecamera e tenerlo
in vista quanto più a lungo possibile. Un episodio d'in-
credibile candore, ma anche di assoluto disinteresse all'ele-
mento commerciale. Se qualche recriminazione alla sua
dimenticanza Zucconi avrà fatto, ne sono certo, è perché
alla sua sensibilità sarà apparsa quasi come una snobisti-
ca scortesia verso il pubblico e il suo editore.
Aspiranti scrittori
Decisamente la categoria (se categoria si può defini-
re) alla quale, amico lettore, più dovrebbe essere stato
utile I Segreti dell'editoria e alla quale, tutto sommato,
dovrebbe essere andato più a genio, è stata quella degli
aspiranti scrittori.
Sì, caro aspirante, credo tu sia rimasto soddisfatto
quando, interpretando i tuoi problemi ed esponendomi di
persona, ho detto senza peli sulla lingua ciò che, ne sono
sicuro, avresti voluto dire tu ai direttori, ai lettori e ai
redattori editoriali, che, a volte con gentilezza, altre con
fare dittatoriale, respingevano il frutto della tua fatica,
della tua passione, per dare magari spazio ad altri auto-
ri — italiani e stranieri — che a tuo avviso non espri-
mevano nulla di superiore alla tua opera, ed il sospetto
di nepotismi e le (per tè) meschine considerazioni eco-
nomiche frustravano ogni tuo sforzo rendendoti sempre
più sfiduciato, disperato, ma non del tutto domo.
Ebbene, ora, hai visto, il tuo problema è stato evi-
denziato, reso pubblico dai tanti articoli che bene o male,
citando o non I Segreti dell'editoria, ne hanno parlato
facendoti sentire come categoria — sì, proprio come cate-
goria anche se lo scrivere, il creare è secondo un'accezione
comune un fatto eminentemente individuale — non tra-
scurata, a simiglianza di quanto avviene per le altre per
le quali sindacati, uomini di governo, politici, ordini pro-
fessionali e svariate confederazioni si danno, e non da
oggi, da fare con il massimo, perlomeno apparente, im-
pegno, probabilmente (malignamente, penserai) perché di
tanto superiori, come numero di esponenti, alla tua (quale •
121
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptySab Mag 16, 2009 12:42 pm

che sia la valutazione spesso sballata del numero di aspi-
ranti scrittori data da autorevoli firme).
Buona parte delle maggiori testate si è occupata di
tè e, oltre a molte televisioni private, il moloc della rete 1,
addirittura Domenica in..., lo ha fatto. Hai potuto così
capire chi ti è favorevole e chi ti è contro, ma pochi ti
hanno ignorato e probabilmente, come ho già accennato
in altro capitolo, per un malinteso senso di omaggio al
potere, per una forma inveterata di stupido servilismo
che ancora non accenna a scomparire del tutto nel nostro
Paese.
Ma non finisce certo qui l'utilità per tè de I Segreti
dell'editoria.
Qualcosa si sta rafforzando per una tangibile valoriz-
zazione dell'aspirante scrittore davvero valido, e per il
quale non è azzardato, sia pure con tutte le incognite con-
nesse, prevedere un luminoso o quanto meno più che
buon futuro di scrittore. E poi, non è l'eccessivo timore di
azzardo, o meglio di rischio, che ha bloccato in questi
ultimi anni la pubblicazione di alcuni di voi che lo
meritavate?
So che si stanno attentamente valutando alcune pro-
poste per maggiori aperture, non a pagamento, agli aspi-
ranti scrittori che, è vero, nel quadro attuale dell'econo-
mia di mercato e dell'organizzazione più o meno indu-
striale dei grossi e medi editori, non può trovare qui la
sua iniziale collocazione. Si è pensato di incoraggiare, in
un futuro non lontano, alcuni piccoli ma seri appassionati
editori a pubblicare narratori e poeti sconosciuti che poi,
una volta collaudati, possano passare, come d'altra parte
quasi sempre avviene, alla grande, media editoria met-
tendo, in cambio, a disposizione, anche dei piccoli, i sofisti-
cati servizi di promozione e distribuzione di megaeditori.
E, come ormai sai, amico lettore, promozione e distribu-
zione rappresentano forse la maggiore differenza e il più
grande ostacolo alle vendite.
Ma come, domanderai, e tanti nomi sconosciuti e tan-
ti testi non migliori del mio non vengono pubblicati di-
rettamente dai grandi senza questo giro complicato?
i
122

E' vero, ma non puoi pretendere, in un colpo, di an-
nullare abitudini di anni, l'influenza di pressanti racco-
mandazioni, il fascino della bagarre letteraria e, se si riu-
scisse ad attuare quanto ti ho appena rivelato, sarebbe un
gran passo avanti e un indubbio merito per la nostra
editoria.
Altra iniziativa che mi è stata riferita è il voler ten-
tare di ottenere da una delle reti (la prima o la seconda)
della televisione di Stato uno spazio per gli aspiranti scrit-
tori: una specie di concorso gratuito che, con l'indubbia
pubblicità derivantene, porterebbe, come premio o come
logica conseguenza, alla pubblicazione presso un grande
editore dei vincitori.
Auguriamoci che presto diventi realtà questo proget-
to. Allora rimarrai stupito nell'apprendere chi l'ha ideato
e chi lo condurrebbe, perché è un noto personaggio edi-
toriale-giornalista che proprio I Segreti dell'editoria ha
convcrtito alla causa degli aspiranti scrittori.
Seno progetti però, caro amico, e attendine quindi
la realizzazione prima di esaltarti, e punta sul concreto,
su quanto, spero, hai compreso da I Segreti dell'editoria,
ossia che il rapido compimento delle tue aspirazioni di
pubblicazione — se davvero non puoi accantonarle o rin-
viarle — deve passare per la piccola, media editoria a
"parziale" o "tutto contributo".
Per ora, prima che si concretizzi una reale simbiosi
grandi-piccoli editori, gli Adelphi, i Serra & Riva, i Fras-
sinelli, i Milano Libri, i Marsilio, tanto per fare dei nomi
di "piccoli-grandi", considerarli alla stregua di Mondadori,
Rizzoli, Fabbri, Mursia, Laterza, Rusconi, Feltrinelli, Lon-
ganesi, Sugarco e quindi diffìcilmente raggiungibili. E sappi
utilizzare ciò che hai appreso di costi di pubblicazione che
sono quasi, se non sempre, di molto inferiori a quanto ti
viene chiesto. Metti a profitto la legge della concorrenza,
perché una vera e propria battaglia si è scatenata nel
« doposegreti » fra quegli editori che sono nati con il pro-
gramma del " tutto contributo " o si sono votati a stam-
pare e diffondere testi — non tutti ma un buon cinquanta
per cento — a spese dell'autore. Devi contrattare: sì, pro-
prio come oggi si usa per le automobili il cui prezzo di «
123

listino è puramente indicativo e solo chi ha troppa fretta
o eccessiva timidezza paga nella sua totalità. Sconti per
acquisto contanti e supervalutazione dell'usato, sconti e
abbattimento interessi, per acquisto rateale e una serie
di omaggi sempre maggiore. Pensa che se è copioso il
numero delle marche automobilistiche, ben maggiore è
quello degli editori che sono disposti a pubblicarti a pa-
gamento. Se quindi la richiesta va al di sopra di un già
eccessivo 21 per cento sul prezzo di copertina (Valerio
Riva, pagine 25 e 54 de I Segreti dell'editoria) oltre alla
reale spesa di stampa, chiedi pure una riduzione o orien-
tali verso altra sigla editoriale e non ti fermare mai ad
un'unica stazione. Ricordati, inoltre, quanto ho in pre-
cedenza scritto: « (i contributi) sarà meglio darli ad un
editore che pubblichi anche altri libri a sue spese e, senza
essere un suicida, non abbia perso il gusto del rischio
e di pubblicare, contributi o no, quello in cui realmente
crede. Non fidarti di chi, senza nemmeno aver avuto il
tempo di esaminare o far leggere il tuo dattiloscritto, ti
invia la proposta di edizione. Chiedi o acquista perlomeno
un libro da lui edito e leggi le note biobibliograflche del-
l'autore pubblicato e, se non ti soddisfano, esamina atten-
tamente, con giusto spirito critico, il testo. Ricorda che è
qualificante e rappresenta una garanzia di serietà sapere
che con quell'editore ha pubblicato perlomeno un libro
un autore noto " uscito " anche con una casa editrice
" grande " o comunque ben conosciuta e presente nella
pubblicità e nelle librerie ».
Ed ora aggiungo: pretendi che sia stabilito in con-
tratto la permanenza di qualche mese del tuo libro per-
lomeno nelle librerie delle maggiori città e dei capoluoghi
di provincia e che sia inviato ai servizi culturali delle
principali testate quotidiane, settimanali e mensili. E' il
minimo a cui devi aspirare; altrimenti i tuoi sforzi, anche
economici, sarebbero vani e assomiglierebbero a ciò che
usavano fare aspiranti scrittori del passato non lontano
quando, in buona parte, si affidavano al tipografo di fami-
glia e facevano stampare libri di narrativa, di poesia, di
viaggi, che inviavano in omaggio ad amici e conoscenti
con dediche del tipo: « A ... con molto affetto e con la pre- •
124

ghiera di essere generoso e indulgente verso di me ». For-
mula apparentemente cortese e modesta, ma che conte-
neva l'oppressivo e mascherato ricatto « tè ne faccio omag-
gio, ma leggimi e complimentati con me ». Con quanta
gioia per chi lo ricevesse, puoi ben immaginare!
I libri (propri), amico aspirante scrittore, non si re-
galano. Debbono (a parte i critici) essere acquistati da
chi, per passione o curiosità, vuole leggerli. E ricordati che
se un moderato uso di bugie può essere accettato e forse
utile, lo " spararle grosse " specialmente ad un editore, ad
uno scrittore affermato o a chi — per il suo lavoro — se
ne intende, è dannoso e ridicolo, facendoti perdere, forse
per sempre, ogni credibilità. Ho, a tale proposito, ancora
il ricordo fastidioso di una neoscrittrice, dal fare impu-
dente e altero, nel suo caso più che mai ingiustificato,
che senza essere stata assolutamente sollecitata, mi rac-
contò di essere stata pubblicata gratuitamente, di aver
venduto in pochi mesi e senza pubblicità tremila copie
in una sola regione. Risultò invece che aveva speso circa
dieci milioni di " contributo ", aveva venduto al massimo
trecento copie (già un buon risultato) in quella regione
e che in tutto erano state tirate millecinquecento copie!
'No, non è questa la strada giusta: alla lunga, se non
subito, diventa un boomerang, come quella sorta d'ac-
cattonaggio tanto comune con parenti, amici, clienti per
far comprare copie del proprio parto letterario e l'osses-
sionarli durante visite, inviti e incontri occasionali con
il racconto dei successi o dei problemi inerenti ad esso
volendo far diventare universale quello che, il più delle
volte, è solo personale, ahimè, strettamente personale.
Gli amici e i parenti più cari, colti e sinceri vanno
invece utilizzati a monte della pubblicazione o dell'invio
del dattiloscritto a qualsiasi tipo d'editore. Si dovrà chie-
dere loro (senza annoiarli) un'approfondita lettura e uno
spartano giudizio ed attenersi alla maggioranza di essi,
magari, anzi sempre, dopo aver confrontato la propria
opera con quella dei maggiori narratori o poeti contempo-
ranei e del passato. Leggere molto, leggere sempre, è il
segreto, non disgiunto da un rigoroso uso dell'autocritica
e del senso del ridicolo, che debbono essere sviluppati al
massimo. *
125

Invece il difetto di molti, moltissimi aspiranti scrit-
tori, è di leggere poco o niente, di ignorare non solo i
classici, ma anche i pilastri della narrativa o della poesia
del nostro secolo, ài aver abbandonato ai tempi di scuola
(se pure la si è fatta bene e con bravi insegnanti) la sto-
ria della letteratura, di non aver acquistato e letto testi
più aggiornati da assimilare con religiosa attenzione, del-
l'affidarsi spesso, troppo spesso, a genitori, coniugi, paren-
ti, amici, colleghi o dipendenti incompetenti o oltremodo
affettuosi o servili che non di rado si sostituiscono al-
l'autore nell'assediare editori ed altri potenti del settore,
magari ancor oggi sbandierando il legame di sangue con
il monsignore di antiche memorie e di un passato ormai
superato e purtroppo non definitivamente defunto, laddo-
ve lo si è sostituito con l'onorevole o il senatore o anche
il consigliere regionale, provinciale o addirittura comunale.
Il dramma, amico lettore, è che talvolta non si leg-
gono nemmeno testi come « II best seller all'italiana » o
« I Segreti dell'editoria ovverosia Come si fa a farsi pub-
blicare un libro » limitandosi, conosciuto l'indirizzo del-
l'editore, ad inviare dattiloscritti preceduti o accompa-
gnati da lettere o telefonate d'un incredibile squallore od
ottusità.
Non sono, fortunatamente, molti questi casi (perlo-
meno per la mia diretta esperienza) ma permangono, ed
allora sono costretto a dirti, amico aspirante:
« Ringraziami per quello che ho fatto per tè; ma non
mi deludere e, ti prego, leggi, leggi molto! »
Se si vuole, se si avverte il bisogno, si può scrivere:
fa bene. Ma per pubblicare, a pagamento o meno, ci
vuole ben altro che un esasperato autobiografismo non
sufficientemente condito da fantasia, forma letteraria,
profonde esperienze di letture appropriate e, principal-
mente, la DOTE INNATA senza la quale è inutile, e solo
frustrante, insistere.
Febbraio-aprile 1985
126
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptySab Mag 16, 2009 6:43 pm

Cap. XII
CAPITOLO ZERO: TRA FANTASIA E REALTA'...
IL CRITICOSCRITTORE
Da anni la vena gli si era inaridita. L'ultimo romanzo
era stato un insuccesso anche se " il mestiere " lo sorreg-
geva e dava una parvenza esteriore ai suoi scritti di vali-
dità. La pagina, ancora tecnicamente perfetta, non riu-
sciva però a mascherare ai lettori più attenti il vuoto di
idee e di contenuti. La grande casa editrice che gli aveva
pubblicato per anni i suoi lavori si era data da fare, come
al solito, e aveva pubblicizzato in ogni modo il suo ro-
manzo. I critici avevano fatto salti mortali per trovare
qualche significato nelle sue pagine ed uno, in fondo
onesto ma a lui profondamente legato per passati favori,
si era rifugiato a parlare diffusamente, per quasi tutta la
recensione, della copertina. Non si poteva dire la verità:
Punzo era ancora potente, autore di una casa editrice
che conta, membro fisso di innumerevoli premi letterari,
critico di grandi settimanali, di importanti quotidiani,
ma principalmente facente parte di quella specie di mafia
che ancora domina la letteratura nazionale.
Come osare scrivere che il suo libro si avvicinava
molto a quella « letteratura rosa » che tanto mostravano
di aborrire? Meglio sarebbe stato ignorare quella sua ope-
ra dal titolo, come al solito, affascinante.
Cosa restava di buono da dire? La copertina, il titolo,
il mestiere, l'atmosfera? e poi? Ma comunque non lo si
doveva ignorare: sarebbe stato a dir poco pericoloso; non
per lui, proprio no, ma per i suoi protettori. E poi, non
sono i critici maestri nel cogliere una insignificante nota
positiva e costruirci su un pezzo addirittura colmo di lodi
o, se vogliono, da una modesta nota negativa edificare
una recensione stroncante?
Ma i lettori avevano capito e, anche quelli che ave-
vano ammirato le sue opere precedenti e che da anni
attendevano un altro suo romanzo, non ne avevano potu-
to parlare bene. Addirittura sconsigliavano quel libro che
li aveva profondamente delusi, ratificando un declino che
già si era manifestato da tempo. Le critiche, pur con tutta
la buona volontà, fra le righe lo confermavano.
Nella casa editrice non si nascondeva una protonda
irritazionp e qualcuno pensava di incominciare a dimi-
nuirgli gli incarichi, ridurgli le colonne sui settimanali,
sostituirlo in qualche giuria. Migliala di copie invendute,
una "resa" massiccia, una perdita economica. No, non
la si poteva tollerare e la prova precedente non aveva dato
risultati di molto superiori.
E Punzo se ne accorgeva? Dal suo volto serafico,
gonfio e pieno di pieghe come una brioche, da quegli
cechi di bove, dalle movenze effeminate, da quella voce
in falsetto dall'intonazione calma che staccava parola da
parola con una lentezza esasperante, si sarebbe detto di
no Continuava a recarsi in giro per mostre d'arte, con-
gressi redazioni, trascinando il corpo tumido d'adipe,
mascherato da abiti confezionati da fior di sarti, tenendo
eretta la schiena e accentuando involontariamente le du-
nose chiappe e atteggiando l'espressione del volto ad esse-
re bonariamente superiore quasi a voler dire « si, sono io
Punzo il grande scrittore, ma non me ne vanto, sono
gli altri, compresi voi, tutti voi, che mi debbono ammi-
rare e venerare » ed era con tutti di una cortesia squi-
sita, facendo credere che fosse un amico o perlomeno uno
che ricordasse colloqui amichevoli ed accoglienze gentili.
Ma certamente Punzo non era uno stupido: lo aveva
dimostrato nella sua ascesa quando si era reso gradito a
tutti quelli che contavano ricavandone e ricambiando
cortesie, incarichi e recensioni di favore.
Della fase calante, della progressiva decadenza era
stato indubbiamente cosciente. Come spiegarsi altrimenti
del suo arraffare, a volte postulare, incarichi anche lon-
tani dalla sua professione di scrittore? Come giustificare
quella sua pecoraggine di fronte alle richieste, imposizioni
dei suoi colleghi più decisi ed influenti? Non certo per
bisogno di denaro. Di famiglia più che benestante, aveva
accumulato i diritti d'autore degli anni d'oro senza mi-
nimamente intaccarli, ma arricchendoli con stipendi di
giornalista, compensi come membro di giuria, buste o
quadri per presentazioni di mostre di pittura. Certamente
stupido no. Come riusciva con abilità a mascherare la sua
profonda ignoranza sui movimenti artistici dell'ultimo se-
colo quando componeva il pezzo sunteggiando, con indub-
bia maestria e profondo mestiere, i giudizi dati da " veri "
critici del settore e sfuggendo ogni discussione in materia!
Era sempre stato attento a non inimicarsi la classe
dominante e profondamente conformista, anche se, nei
colloqui a quattrocchi, assicurava il non conformista che
contava, che in fondo lui non la pensava molto diversa-
mente. Un comportamento di sagge e vereconde equidi-
stanze con propensioni verso i potenti e immediate ma
accorte ritirate. Anche nello scrivere nessuna posizione ben
delineata, ma una generica collocazione di secondo plano
negli «scrittori che sfuggono a una collocazione precisa».
E non poteva essere diversamente per un uomo come lui.
Negli anni giovanili si era guardato bene dallo spo-
starsi molto lontano dalla città di provincia dove era
nato, ma già era stato per lui un atto di coraggio tra-
sferirsi, anche se solo parzialmente, nel vicino capoluogo
dove poteva, lontano da grandi confronti, godere di una
posizione di preminenza nelle lettere con pochi altri di
notorietà nazionale essendo, tranne qualche rara ecce-
zione, convolati verso altre mete i più promettenti.
Ormai provinciale anche il capoluogo, era bello reci-
tare la parte dell'uomo di successo, quella del padre no-
bile con i tanti scrittoruzzi che non avrebbero mai as-
surto a posizioni di livello nazionale e cercare di repri-
mere, scoraggiare o ignorare, insieme con la ristretta
mafia dei pochi colleghi rimasti, quelli che avrebbero po-
tuto raggiungere mete importanti. Concorrenti pericolosi
con i quali, prima o poi, avrebbero dovuto dividere la
torta degli incarichi, delle pagine letterarie dei fogli cit-
tadini, delle presentazioni e cedere qualche posto nelle
giurie.
Ma i nuovi, i validi, premevano e non si fermavano
all'editoria asfittica del capoluogo che non avrebbe po-
tuto dare loro quella notorietà, prestigio e risonanza che
Punzo e i quattro o cinque della sua generazione si erano
conquistata e che ora difendevano con i denti, aiutati
da quella benedetta crisi dell'editoria. Santa crisi! anche
i veri talenti difficilmente riuscivano a giungere alle gran-
di editrici, quelle che sole potevano lanciare un nuovo
scrittore!
Non erano molti i nuovi talenti per fortuna, ma quan-
te idee brillanti, che vena scoppiettante, che coraggio nel-
l'affrontare temi sociali, di attualità e politici! Ma uno
era sfuggito alla tenaglia crisi-mafla e li aveva surclassati
per le vendite e la notorietà ma, in definitiva, il terrore
causato in Punzo e colleghi si era presto quietato: era
un concittadino, ma ormai viveva nella capitale, e poi il
suo libro era un misto di saggio-narrativa e il cinema lo
aveva presto catturato trasformandolo in uno sceneggia-
tore di successo e deviandolo da una forse luminosa car-
riera di narratore.
Ma un altro pericoloso era apparso all'orizzonte. Pos-
sedeva qualità, ma aveva imbroccato una strada sbagliata:
la piccola editoria. Bisognava ignorarlo, non recensirlo,
non segnalarlo e il volume era rimasto sullo scrittoio di
Punzo nascosto in una pila di libri nuovi che ordinata-
mente ne copriva uno degli angoli.
Che differenza oggi lo scrittoio del grande narratore
da quello di anni prima. Allora un mare di carte, testi,
appunti, fogli iniziati e cancellati sommergeva la piccola
macchina da scrivere. Ora un ordine da diligente impie-
gato. Allora le idee, gli spunti premevano e si accavalla-
vano, e non aveva il tempo di metterli su carta che subito
erano superati da altri più brillanti. Ora il vuoto e un
lavoro metodico, di routine.
Ma quel Gomito tornava a mettergli paura: nonostante
il silenzio suo e dei colleghi locali, si stava imponendo.
Recensioni erano apparse su grandi settimanali, su pre-
stioriosi quotidiani. Cosa combinavano i suoi colleghi cri-
tici?
Lo aveva conosciuto In mostre d'arte — era uno che
contava nel settore —, aveva scambiato con lui qualche
parola, avevano brindato insieme al successo della mostra,
10 aveva trattato con cortesia e considerazione. Ora il
biglietto che aveva accompagnato il libro con la richiesta
di consigli e giudizi era finito nel cestino. Poteva essere
pericoloso, un concorrente, e non contava più tanto nel
mondo dell'arte. Si poteva permettere di ignorarlo. Doveva
ignorarlo. Ma quei successi, quelle recensioni? Forse due
parole non compromettenti di augurio avrebbe anche po-
tuto mandargliele. Avrebbe dovuto, lui così compito e ap-
parentemente gentile. Ma che avrebbero detto i suoi col-
leghi della mafia? Si era informato: si erano comportati
come lui.
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptySab Mag 16, 2009 6:44 pm

Improvviso era apparso in libreria un nuovo libro di
Gomito, questa volta pubblicato da un grande editore.
Attese un nuovo biglietto ma non giunse nulla. Mandò
ad acquistare il romanzo: era bello, ben scritto, di attua-
lità e non potè fare a meno di apprezzarlo, ma per for-
tuna non era stato sollecitato a giudizi o recensioni. La
mafia era in agitazione e sembrò addirittura impazzita
quando comparve nella pagina letteraria di uno dei quo-
tidiani del capoluogo una recensione non appariscente ma
ricca di elogi tutto sommato meritati. Come era potuto
avvenire? Bisognava serrare i controlli, non permettere
altri spiragli. Bisognava difendersi.
La crisi imperversava e il libro di Gomito non potè
imporsi come meritava. Lo ritrovò in qualche premio dove
era giurato: lo bocciò inesorabilmente. Il pericolo sem-
brava debellato.
Ma una mattina di primavera, mentre Punzo ancora
con gli occhi cisposi (aveva scritto fino a notte tarda e
ne era insoddisfatto: nulla di quello che metteva su
foglio lo convinceva più) fissava il pothos pendulo contro
11 balcone immobile in una maniera che lo faceva sem-
brare finto e una strana luce bagnava le foglie d'un verde
freddo come vi fosse piovuto addosso il riflesso di -un
tubo a neon e i gelsomini esalavano un odore intenso
che si mescolava con quello caldo, resinoso dei pini, ap-
parve il portalettere con la borsa a tracolla, una di quelle •
borse di cuoio duro, consunto e macchiato, dalla quale
usciva un effluvio acre di sudore e di carta impregnata
di odori, sacchi di canapa, inchiostro, treni e stazioni fer-
roviarie. Tese la mano a toccare il marmo della balau-
strata: lo sentì tiepido di sole, leggermente ruvido al tatto.
La domestica gli consegnò il pacchetto attraversando
lo studio nel quale aleggiava l'odore della cera per pavi-
menti mal stesa. Punzo svogliatamente ne estrasse (e non
potè fare a meno di avvertire sulla sensibile palma la
volgarità di quel cartone) un libro e un biglietto.
La copertina, al contrario di quelle dei suoi libri, era
prepotente, immediata, violenta: ne fu scosso e irritato,
e il contenuto del biglietto, invece di mitigare quanto
provava, ingigantì quei sentimenti. Diceva pressapoco:
«Caro professore, le invio il mio ultimo romanzo e. mi
auguro che le piaccia. Spero che voglia recensirlo sul set-
timanale " Domani ". Dopotutto siamo concittadini e non
siamo in molti ad essere approdati a case editrici di
importanza nazionale...» Era ancora Gomito! Che tena-
cia, che impudenza!
Versò nel bicchiere dello sciroppo di amarena. Il bic-
chiere era opaco, rorido, violaceo: già ristorava prenderlo
in mano e lo rigirava fra le dita con la gioia di sentire
i polpastrelli inumidirsi, rinfrescarsi. Sopra un tavolino si
trovava una coppa piena di biscotti e pensò di man-
giarne un paio. Erano leggermente secchi, diventati fria-
bili e si ruppero subito fra le mani. Strinse le gambe
e raccolse le briciole che vi erano cadute. Sentiva cal-
do, un caldo innaturale e si accostò il bicchiere alla
fronte per bagnarla, poi raccolse un ventaglio, piccolo,
antico, con le stecche leggerissime di tartaruga e la
ventola di piume di gallo cedrone: l'aprì adagio e un
po' si fece vento. Incominciò a leggere il romanzo: era
affascinante, colmo di idee, lo stile essenziale e fluido, i
personaggi — approfonditi senza prolissità — si staglia-
vano netti nel contesto, e che coraggio nell'affrontare
certi argomenti e che acuta analisi storica parallela a
quella del mondo attuale; un gioiello! Quel Gomito me-
ritava, doveva riconoscerlo, ma bisognava difendersi da
scrittori come lui: pensava a se stesso e alla mafia. Come
sarebbe stato bello e gratificante parlare con lui e aiu-
tarlo con la sua grande esperienza, col suo mestiere: avreb-
be finalmente fatto il maestro ad un allievo che avrebbe
potuto forse un giorno superarlo! E non è questo il com-
pito dei maestri?
Cominciava a confondersi, annaspando in quel pan-
tano inaspettato di passioni alla ricerca ansiosa di razio-
cinio e di coerenza dove non c'era stato altro che quel-
l'impulso irrazionale e, probabilmente, un'ombra di follia.
No, non era per lui, non per la mafia. Lo avrebbe
ancora ignorato, doveva ignorarlo!
Ma il libro di Gomito stava avendo successo, si ven-
deva bene, la gente ne parlava come di un best seller,
recensioni uscivano in continuità nei grandi giornali e
in uno, fra i maggiori, addirittura un articolo su cinque
colonne con la riproduzione della copertina e il chiaro
invito a-leggerlo. Financo un altro giornale del capoluogo
aveva dedicato un lungo pezzo elogiativo con un'attenta
disamina dei contenuti e con la conclusione che il reale '
ne era,'nonostante le apparenze, il deus ex machina.
Dal suo giornale gli era giunto un invito ad occu-
parsene e stava studiando il modo per rifiutarlo o dilazio-
narlo, quando dalla casa gli giunse il richiamo della mo-
glie. Si mosse per rientrare. Nell'oscurità del giardino,
procedeva quasi a tentoni, le mani avanti per ripararsi da
possibili ostacoli di cespugli o rami, per rompere lo spes-
sore del profumo dei gelsomini che gravava nell'aria con
una realtà addirittura fisica, materiale. Marta era seduta
nella hall e non mostrò sorpresa del ritardo e del suo
passo stanco. Disse solo: « Ah, sei venuto » e sorrideva e
aveva l'aria di motrargli qualcosa che sul momento non
distinse. « Vedi? Guarda che bei quadro ti ha inviato
Gomito, lo ricordi che gentile persona alle mostre d'arte
e ai convegni? »
E spinse avanti un quadro non grande, ma di squi-
sita fattura. Odorava di colori ad olio misti a colla che
teneva insieme le bacchette lisce e lineari della cornice.
Un biglietto pendeva da uno dei lati trattenuto da una
striscetta di scotch. Lo staccò, e i polpastrelli ereditarono ,
parte della collosità e di quell'odore mieloso. Lo lesse:
poche parole di saluto, nessuna pressione. Guardò il qua-
dro quasi senza curiosità: era di un autore che amava,
quante volte quelle immagini avevano acceso la sua fan-
tasia, quante volte s'era incantato a sognare quelle figure;
adesso le fissava quasi con indifferenza se non con ran-
core, e Marta, che lo osservava mentre lui lo contemplava
in silenzio, pareva delusa, addirittura offesa. «Ma come!
Non ha capito? »
Aveva capito sì, ma questo aumentava i suoi rimorsi,
le sue incertezze che pensava di aver accantonato defini-
tivamente. Non era un quadro di grande valore econo-
mico, ma lo aveva sempre desiderato e, lui, il grande Pun-
zo, presentatore di pittori, considerava quasi un'offesa
dover comprare un quadro. Ed ora era lì a sua disposi-
zione. Avrebbe potuto collocarlo subito su quella tappez-
zeria alle sue spalle che spesso carezzava ricavandone un
piacere quasi sensuale.
Il quadro era ormai da giorni a far bella mostra di
sé sulla parete, ma non aveva ne ringraziato ne com-
posto il pezzo, e in redazione attendevano. Marta, che
lo disapprovava, gli comunicò di aver ricevuto una tele-
fonata dalla segretaria di Gomito che voleva accertarsi
solo (ma era una scusa, era ovvio) se fosse stato regolar-
mente consegnato. Allora Punzo si decise (si sentiva in
forma quel giorno, quasi come ai bei tempi), prese la
carta di un azzurro pallido, l'infilò nella macchina da
scrivere e senza esitazioni compose:
« Caro dottore, è vero: non mi sono fatto vivo con lei
dopo aver trovato, al mio rientro in città, il bellissimo
Piselli. Se devo essere sincero, non mi son fatto vivo
anche per imbarazzo, e mi son chiesto persino se dovevo
tenerlo, e al tempo stesso non volevo usarle una sgarberia
ma, mi chiedevo, mi spetta un dono del genere, e a quale
titolo?
« (Curioso modo, il mio, di ringraziarla del suo gesto:
ma la franchezza sottolinea proprio il mio disagio).
,«Ho letto il suo romanzo e ne ho fatto una recen-
sione per il quotidiano " il Corriere del capoluogo " (che
me l'aveva chiesta), dove giace da un paio di settimane. ,
Per il settimanale " Domani " la cosa è più complicata:
tra scioperi e ritardi e salti, spesso, della rubrica, anche
lì ci sono tré o quattro pezzi miei — ho perduto il conto —
che aspettano. Vedrò di fare qualcosa più in là.
« II suo libro è acuto e divertente ma, m'è parso,
anche un poco ambiguo, o più esattamente pericoloso: nel
senso, voglio dire, che in certi momenti sembrerebbe quasi
un rimpianto o un'apologià del pisagismo, e forse il tono
grottesco andava più marcato proprio perché si capisse
da che parte sta lo scrittore. Così ho cercato d'indirizzare
il lettore della recensione contro questa interpretazione...
« Le faccio tanti auguri, di cuore; e mi scuso per
averle scritto solo oggi. Con la più viva cordialità, il suo
Punzo».
Poi, soddisfatto, prese la carta bianca che normal-
mente usava per i romanzi o per gli articoli e compose
un lungo pezzo nel quale risaltavano tutta la sua abilità
e il suo mestiere: generici complimenti, intervallati da
dubbi sottilmente insinuati, una prolissa e dettagliata
esposizione della trama e, nota dominante, un giocare
insistentemente su quella chiave della pericolosità e am-
biguità che solo lui (su oltre venti recensori non mafiosi)
aveva trovato e il lettore, invece di essere indirizzato con-
tro questa interpretazione, ne veniva condotto quasi per
mano. Ma in modo sfumato, ambiguo, timoroso, quasi
gentile, proprio come lo stile di vita del critico.
E si sentiva soddisfatto, appagato: aveva toccato le
vecchie vette di abilità. Tutto gli era riuscito mirabil-
mente: poteva tenere il quadro, aveva, fra le righe, elo-
giato un libro tanto valido, accontentato la mafia insi-
nuando quel dubbio, avrebbe incassato dal giornale il
compenso per il pezzo, e ridimensionato un concorrente
tanto pericoloso.
Spalancò la finestra, osservò la fitta vegetazione, aspi-
rò voluttuosamente gli effluvi di gelsomino, dei pini e
di quante altre piante e fiori affollavano il suo giardino
e che tanto gli erano utili per riempire pagine e pagine
dei suoi ultimi vuoti ed insulsi lavori, e poi si girò e lo
specchio ovale con una cornice a sbalzi, di conchiglie e
pampini intrecciati, riflette le poltroncine foderate di tes- ,
suto rosso, la dormeuse col copritesta di merletto, il mo-
bile con le pallide tazzine di Sevres, la mensola con i
soprammobili che si fronteggiavano, le stampe al muro,
la consolle, il pothos sospeso e mantenuto da catenelle di
ottone e il suo volto... e si vergognò.
Settembre 1982
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MessaggioTitolo: Re: IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine   IL DOPOSEGRETI dal cap. VIII alla fine EmptyLun Mag 18, 2009 8:25 pm

POSTFAZIONE: « IL GATTOPARDO» RICESTINATO
I corsi e ricorsi storici di vichiana memoria hanno
riscontro anche... nelle vicende della stampa dei miei
" segreti ". E' infatti un iter agitato, una lotta contro il
tempo, una scommessa con l'attualità.
Un libro, un saggio difficilmente sono rigorosamente
attuali: gli eventi incalzano, si evolvono in continui scop-
piettii o fragorose esplosioni.
Ne « I segreti del mondo artistico » si era già alla
fotocomposizione quando intervennero i fatti della « beffa
di Livorno», ossia lo scandalo delle false teste di Modi-
glioni e dei clamorosi abbagli di critici e storici dell'arte
e relative pungenti, dissacranti polemiche.
In questo saggio mi sono ritrovato addirittura alle
seconde bozze corrette e ai sedicesimi già in stampa,
quando mi è capitato sottocchi un nuovo articolo di Tron-
carelli sull'u Europeo » n. 22 del 1° giugno 1985 giunto
nelle edicole napoletane fra il 24 e il 25 maggio. Ho
quindi solo poche ore per trattarne e commentarne i con-
tenuti e i comportamenti del protagonista e dell'autore.
La fretta, si sa, non è una buona consigliera, ne in
generale permette parti indolori o perfetti. Ma tant'è, mi
ci provo: non posso, non voglio negligere un qualcosa
che s'inserisce in modo mirabile nel mio pamphiet che,
unitamente al primo, ovvero ul segreti dell'editoria»,
costituisce un corpo unico, quale guida e denuncia degli
scompensi comportamentali nei confronti dell'aspirante
scrittore.
E' vero, un libro difficilmente è rigorosamente attuale,
ma quando si è convinti (con l'ausilio di precisi fatti)
che rimarrà nella storia del nostro mondo editoriale, nel
mondo dei libri come cronaca e denuncia di costume, non
si può e non si deve trascurare d'includere un ulteriore
episodio significativo ed esemplificativo di come I segreti
dell'editoria abbia generato una specie di prolungata e
interessante e utile reazione a catena.
Torniamo, quindi, amico lettore, all'articolo di Tron-
carelli dal titolo: « Beffe letterarie / un famoso libro e gli
editori italiani. POVERO GATTOPARDO, DI NUOVO NEL
CESTINO n. Eccone un succoso stralcio:
Giuseppe Pontiggia l'aveva previsto. In un suo rac-
conto pubblicato da Mondadori c'è l'odissea di un datti-
loscritto anonimo nel labirinto di una moderna, arrogante
casa editrice. Naturalmente il testo viene respinto. Poi si
scopre che era Dostoevskij. La realtà ha superato la fan-
tasia. La storia immaginata da Pontiggia si è svolta dav-
vero e ha avuto come protagoniste alcune delle più pre-
stigiose case editrici italiane, a cominciare proprio dalla
Mondadori. Il testo-civetta, lo specchietto per le allodole,
non poteva che essere l'opera più incompresa dell'editoria
riostrana, l'esempio proverbiale dell'incomunicabilità tra
lo scrittore e i mandarmi della carta stampata: il Gatto-
pardo di Giuseppe Tornasi di Lampedusa, più volte rifiuta-
to prima di essere riconosciuto come capolavoro e dato
alle stampe.
La « beffa » è stata ideata da un conterraneo di Lam-
pedusa: il nobile siciliano Luigi Bruno di Belmonte. Autore
di romanzi che fecero scandalo negli anni Sessanta, di
soggetti cinematografici per produttori come Franco Cri-
staldi e Dino De Laurentiis; amico di Ernest Hemingway
e di Luchino Visconti, era uno dei personaggi tipici della
Dolce Vita, celebre per le notti brave e i giorni perduti...
Ma eccolo di nuovo: un « pupo » siciliano che si è ribella-
to al puparo, per difendere i deboli e gli oppressi. Ma
perché? Lo abbiamo chiesto direttamente a Luigi Bruno
di Belmonte.
Come le è venuta l'idea di un simile tiro all'editoria?
« Non ci crederà, leggendo l'Europeo. L'estate scorsa ,
c'era un suo articolo, sì, firmato Troncarelli, sull'editoria
(quello che citava I segreti dell'editoria, riportato in ampio
stralcio e commento nel capitolo primo di questo saggio.
Nota di B.C.). E' vero quello che scriveva. In Italia ci sono
migliala di giovani scrittori sconosciuti e di non più gio-
vani scrittori misconosciuti. L'editoria preferisce gli stra-
nieri affermati. Così ho pensato di fare una prova e tirare
un sasso in piccionaia. Ho preso il Gattopardo e gli ho
cambiato il titolo; l'ho chiamato Sulle orme della gloria.
Anche il nome dell'autore, ovviamente: Lampedusa è di-
ventato il mio cuoco: Giovanni Barone...»
E il resto?
« Ho cambiato solo i nomi di persona... »
Ha mandato tutto il libro?
« No. Non aveva senso. Ho mandato un " campione "
per avere un giudizio rapido: le prime quaranta pagine.
E' una parte inconfondibile, con quel rosario recitato in
apertura e la visita del Principe al bordello accompagnato
da un prete...»
A chi l'ha mandato?
« A Mondadori, Dall'Oglio, Rusconi, Einaudi, Bom-
piani, De Agostini ».
E che cosa hanno risposto?
« Solo la De Agostini ha risposto che era uno scherzo ...
Mi presentavo come un estraneo dell'ambiente: che so, un
petroliere, che aveva ricevuto per combinazione questo ma-
noscritto, insieme ad altri che inviavo loro (erano i miei
inediti) da un amico che è morto. Io dicevo esplicitamente
che il morto ero io, Bruno di Belmonte.......
Perché proprio il « Gattopardo »?
« Io ho vissuto indirettamente le angosce e l'amarez-
za di Tornasi di Lampedusa che ho conosciuto a Palermo,
alla libreria Flaccovio, luogo d'incontro di intellettuali. Era
molto amareggiato per i rifiuti degli editori. Il suo è un
caso assolutamente emblematico. Incompreso da Elio Vitto-
rini, da Italo Calvino, da Natalia Ginzburg, da tutti, fu sco-"
perto per caso solo molto tempo dopo da Giorgio Bassani.
Poi è diventato un best-seller... E' un testo impossibile da ,
confondere con un altro ».
Eppure non è stato riconosciuto.
« E' proprio così. Non basta neppure il Gattopardo per
sfondare il muro di omertà e di indifferenza delle case edi-
trici. E' successo questo: Einaudi e Bompiani non hanno
risposto. Forse non l'hanno ancora letto. Ma allora hanno
tempi di lettura lentissimi, visto che le altre hanno rispo-
sto e che 40 pagine non sono lunghissime! La Mondadori,
la Rusconi e la Dall'Oglio, invece, hanno restituito il datti-
loscritto, con lettere di cortese rifiuto ».
E la De Agostini?
« Come le ho detto ha riconosciuto il testo. Mi ha scrit-
to Vincenzo Ceppellini chiedendomi che razza di scherzo
era. Io ho risposto: " Congratulazioni! ". Ma ho risposto
anche alle altre case editrici, raccontando tutta la storia
e dicendo: come si può ritenere valido il rifiuto a un autore
interessantissimo ma sconosciuto... quando un comitato di
lettura non sa non dico riscoprire il Gattopardo, ma nean-
che ritenerlo idoneo alla pubblicazione! E' evidente che il
sistema dei " lettori " non funziona ».
Perché accusa il « sistema » e non singoli « lettori »
incapaci?
« Ho sempre sostenuto che i " lettori " dei libri devono
essere scelti fra gente comune mediante annunci sui gior-
nali. Perché è la gente comune che un domani affollerà o
diserterà le librerie. Chi sono i " lettori " delle case editrici?
Sono spesso degli sconosciuti protetti dall'anonimato che
si permettono di assassinare gli scrittori e che magari
proiettano nel lavoro degli altri le loro frustrazioni di
scrittori falliti. Dentro di loro la serenità di giudizio viene
svilita dall'arroganza che fa sentire un brigadiere 'un gene-
rale, quando ha un po' di potere in mano. E poi, anche nel
migliore dei casi, i " lettori " sono oberati da una tale mas-
sa di dattiloscritti che non hanno ne il tempo ne la possi-
bilità di leggere con attenzione. Tanto è vero che anche i
miei sono spesso stati rinviati senza che nessuno li abbia
sfogliati...»
Come fa a dirlo? Come può averne le prove?
« Ho cosparso di colla le pagine: ed erano ancora
intatte! »
Le sue accuse sono pesanti. Come si sono difese le
case editrici?
« Mondadori ha taciuto. Allora io ho scritto diretta-
mente a Mario Formenton, presidente e amministratore
delegato, mandando una copia ai consiglieri d'amministra-
zione per conoscenza, il 17 aprile scorso... E chiedevo più
fiducia per gli scrittori " made in Italy " e un sistema più
serio di leggere i testi ».
E la risposta?
« Nulla. Neppure una lettera di insulti. Ma c'è stato
di peggio...»
Che vuoi dire?
« Prendiamo il caso della Dall'Oglio. Quando mi han-
no rimandato il manoscritto, ho chiesto spiegazioni senza
rivelare la " beffa ". Mi ha risposto il 19 aprile un certo
signor Romano, che io avevo conosciuto a Milano. Mi ha
detto: " Non ho ne tempo, ne voglia — e la volontà è
incoercibile — di darLe un giudizio critico " ...» ...
Qualche rapido commento, amico lettore. Il primo è
la, credo, giusta domanda del perché ne Troncarelli, ne
Luigi Bruno di Belmonte citano I segreti dell'editoria che
indubbiamente ha generato l'articolo del giornalista del-
l'Europeo dal quale — per sua ammissione — il nobile
siciliano ha, dice, tratto l'idea della " beffa ". Forse Tron-
carelli non voleva, dopo averlo largamente preceduto ci-
tandomi, riecheggiare Valerio Riva e il suo pezzo su
« L'Espresso » del 7 aprile 1985. E Luigi Bruno di Belmon-
te forse non ha letto il mio primo saggio sull'editoria. Ma
da ciò che afferma, ho ragionevoli motivi per dubitarne.
Ho torto, amico lettore? E allora perché non dichiararlo?
Per quanto riguarda la " beffa ", davvero mi lascia
perplesso il giudicarla. Quaranta, per quanto — come lui
assevera — inconfondibili pagine, sono davvero poche e,
per quanto ormai famoso II Gattopardo, non è la Divina
Commedia e non è obbligatorio conoscerlo a memoria o
riconoscerlo a primo fiuto. Non mi vanno in generale pro-
dezze siffatte, non mi va lo strumentalizzare lacune
mnemoniche che possono essere più che umane e compren- •
sibili e nelle quali probabilmente tutti possiamo incorrere.
L'infallibilità non è dell'uomo. Ma sia anche chiaro (l'ho
scritto ne I segreti dell'editoria) che condivido la condan-
na o quanto meno una nota di basimo su molti dei
lettori editoriali e sul sistema in generale. I risultati della
" beffa ", anche se è criticabile, sono quindi una conferma
della carenza del sistema, e di quanti validi scrittori sco-
nosciuti e non raccomandati, o non pronti ad inchinarsi
in mortificanti salamelecchi, possano rimanere a lungo e
forse per sempre non pubblicati. E l'esito del tiro birbone
rivela anche una preoccupante " ingenuità " o una " arro-
ganza " di fondo di alcuni nostri grandi editori che non
dovrebbero nemmeno prendere in considerazione, e quindi
respingere immediatamente, dattiloscritti di sole quaranta
pagine, quando queste sono soltanto l'inizio di un lungo
romanzo.
Devi sapere, amico lettore, che non più tardi di un
mese fa, il dottar Ceppellini (direttore editoriale di De
Agostini e dell'Editoriale Nuova) mi aveva detto, in una
conversazione telefonica, che ormai i tempi di lettura di
opere sottoposte al giudizio delle case editrici delle quali
è dirigente si allungheranno ineluttabilmente anche a
causa adi uno scherzo che hanno tentato di consumare
ai nostri danni: II Gattopardo fatto passare per inedito.
Bisogna stare con gli occhi ben aperti», aveva concluso.
Ebbene, si dia a Ceppellini e ai suoi " lettori " ciò che
spetta loro: complimenti sinceri e nuovi stimoli per pub-
blicare conosciuti o sconosciuti che valgano, e auguriamo-
ci che anche gli altri vogliano farlo superando barriere
e paure che possono, in tempi bravi o meno, sciogliersi al
sole di una narrativa italiana dai molti nomi nuovi che
facciano davvero narrativa dove valori emozionali, artisti-
ci prevalgano o perlomeno eguaglino i forse eccessivi
consensi e le vendite riservati a narratori alla Eco sul
quale, sia pur fugacemente, mi sono soffermato nel capi-
tolo sesto di questo libro. Se rileggi, amico lettore, il mio
giudizio su «II nome della Rosa», troverai il succo della
polemica che in questi giorni impazza sull'autore di Ales-
sandria in articoli su fogli prestigiosi ed in convegni sul
best seller. Ed anche qui un po' di moderazione non gua- ,
sterebbe e sottoscrivo quanto Diego Gabutti afferma, in
conclusione di un lungo pezzo uscito proprio questa mat-
tina su » II Giornale»: « ... ma resto dell'idea che soltanto
un buontempone può seriamente pensare che una scimmia,
battendo i tasti a caso, finirà per scrivere II nome della
rosa o anche soltanto Uccelli di rovo. Ci vuole altro. Simili
buontemponi, tuttavia, sanno e siedono negli uffici stampa
delle case editrici, negli studiali operosi, nelle redazioni
culturali ».
Bruno Cotronei
26 maggio 1985
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