BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei

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MessaggioTitolo: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 7:25 pm

PARABOLE

Il dottor commendator Gabriele Torelli è abbandona-
to nella grande poltrona di faccia alla finestra prospicien-
te il mare. Da più di due anni è il suo rifugio preferito e
la bombola di ossigeno sempre pronta gli da sicurezza,
mentre il mobiletto, traboccante di carte libri pratiche, e
il tavolino quadrato, ingombro di medicinali giornali pac-
chetti di sigarette che fanno da corona a una macchina da
scrivere portatile, rappresentano ormai tutto il suo mon-
do e non lo fanno sentire completamente avulso dalla
vita attiva e di lavoro che per dodici lustri è stata lo sco-
po preminente della sua esistenza. Ad ottant'anni vuole
sapersi ancora utile, anche se da qualche tempo il pensie-
ro della fine, che avverte imminente, lo tormenta e gli
riempie gli occhi di sciocche lacrime che cerca furtivo di
mascherare alla presenza di altri.

È agitato quel pomeriggio: Maria gli ha riferito con
grande tatto, deve riconoscerlo, del grave incidente che
ha condotto Giorgio, il suo unico figlio, in ospedale. È
dovuto ricorrere all'ossigeno e a una tazza fumante di
camomilla. Voleva intervenire, fare qualcosa, ma il vetro
della finestra gli ha rimandato la sua immagine stuccata:
è quella di un vecchio rinsecchito, rimpicciolito, senza
più energie e ha riflettuto sulla parabola del suo corpo
nella sua lunga vita. Da giovane era magro quasi come
ora, ma i cinquanta chili erano ricchi di muscoli e nervi
tesi, scattanti, efficaci, poi aveva messo su pancia, stoma-
co, adipe e acquistato l'aspetto da florido commendatore
quasi a voler l'onorificenza che gli era stata conferita dal
Capo dello Stato.

Suo figlio in ospedale per una grave imprudenza di
guida dovuta alla fretta, a quella vita tumultuosa che lo
spingeva a fare mille cose contemporaneamente e ad as-
sumere troppi impegni per il suo lavoro indipendente e
coraggioso di inviato speciale. Era proprio come lui, anzi
meglio di lui!

Se ripensa alla storia della sua vita che tante volte ha
raccontato, lui, Gabriele, è stato coraggioso, audace, ri-
belle fino a trent'anni e poi si è fatto assorbire dal siste-
ma. I suoi anni ruggenti li ha consumati tutti subito, poi
è diventato un borghese come gli altri: il denaro e lo sta-
tus in un avvilente conformismo, ecco perché i suoi ricor-
di sono vivi, attuali quando ripensa a D'Annunzio e
Mussolini!

Il giovane Gabriele, studente da geometra, si rammari-
ca di non poter partecipare al Grande Conflitto che può
fare dell'Italia non solo un paese che conquisti le "fron .
tiere naturali" completando l'epopea risorgimentale, ma
una vera Grande Potenza. "L'iniqua Versaglia" glielo
impedisce. Il gioco politico-diplomatico e l'acquiescenza,
la codardia dei nostri governanti ci vuole Potenza di se-
condo piano e ci nega il ruolo che abbiamo svolto come
paese belligerante con seicentomila morti, mezzo milione
di mutilati e una grande vittoria. Quel quacchero di Wil-
son, il presidente americano, nega valore al Patto di Lon-
dra e i nostri diplomatici non sanno opporglisi, e con
insipienza perdono anche la possibilità di negoziare com-
pensi. La voce di D'Annunzio esalta Gabriele quando
parla di "vittoria mutilata" e il ragazzo si sente pronto a
sacrificare anche la sua vita per lui e per la Patria! Non
può e non deve dimenticare il fratello maggiore morto in
guerra! D'Annunzio ha dimostrato di non essere solo un
parolaio, ma di saper mettere a repentaglio la sua vita per
l'Italia: ha perso un occhio eppure ha continuato ad agi-
te, ricorda i voli su Trieste, Pola e Vienna e "la beffa di
Buccari". Legge sul "Popolo d'Italia" di Mussolini la cro-
naca del radioso 12 settembre 1919 quando il Poeta mar-
cia su Ronchi e, incorporati i granatieri di Rejna e i legio-
nari di Venturi, si dirige su Fiume. Il generale Pittaluga
vuole fermarlo e D'Annunzio gli mostra il petto grondan-
te di medaglie e dice: «Se lo considerate vostro dovere,
sparate qui» e Pittaluga lo abbraccia gridando: «Viva
Fiume italiana!» imitato da tutta la guarnigione, compre-
si gli equipaggi delle navi da guerra che si mettono agli
ordini del Poeta. Decide di partire, andare come tanti
giovani italiani ad ingrossare le file dei Legionari. La sua
è una fuga dalla famiglia borghese, dal padre piccolo,
tondo con la grande nobile testa ricciuta nella quale viva-
cissimi occhi sono incorniciati dal pince-nez che gli strin-
ge il naso lasciandogli due profondi solchi. E un apprez-
zato viceprefetto a Caserta dove è approdato con moglie
e cinque figli dopo burrascosi trascorsi di seduttore, che
lo hanno fatto trasferire da una prefettura all'altra per
buona parte dell'Italia, tanto che ogni figlio è nato in una
differente città. Ora la morte del primogenito gli ha tolto
l'irrequietezza, quel prurito di donna e l'ha ridotto in un
essere ansioso della salute dei figli tanto da indurlo ogni
notte a fare più volte il giro dei ragazzi dormienti per
accertarsi con la mano che sfiora le labbra, se respirano
regolarmente, se sono ancora vivi. Da moderato rivolu-
zionario con idee spiccatamente liberali è diventato con-
servatore e molti sono i suoi scritti, considerati un vero e
proprio modello, sulla teorizzazione della difesa dell'or-
dine costituito.

La casa immacolata e tranquilla, le sorelle studiose e
obbedienti, le sere grigie fra le pallide sorelle che fanno
corona alla madre dedite al ricamo, allo studio e alla
musica sinfonica, la cittadina angusta afflitta dalla catena
collinosa culminante nel monte Tifata e l'acuto odore di
canapa tenuta a macerare, rendono ancora più esaltante
l'occasione, unirsi ai Legionari fiumani, agire per fare della
patria, della propria vita, qualcosa di eccitante e di utile.
Affida a una lettera fanatica il saluto alla famiglia e ap-
proda a Fiume.

Che vita entusiasmante! Che mesi! Che bello indossa-
re la camicia nera istoriata di teschi, la cintura con il
pugnale, il grido di Eja, eja, alala, ascoltare il Poeta con
le sue vibranti parole condite di "immancabili destini", «


Ultima modifica di Bruno il Sab Lug 25, 2009 7:28 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 7:25 pm

mare nostrum", "legioni romane", "sacrificio sublime"
e "patria imperiale". Quanto gratificante quell'ambiente
internazionale col ministro degli esteri, un belga di nome
Koschnitzy, l'inviato di D'Annunzio, un giapponese na-
poletanizzato dal nome esotico di Harukici Shimoi e
Keller, l'asso dell'aviazione, e lo scrittore Comisso, e le
gentildonne e le prostitute tutte ardenti e disponibili, e
gli attori e gli artisti, e gli omosessuali e gli spacciatori di
droga. Le giornate trascorrono in rituali e a rispondere
compatti e convinti al Vate che interroga dal balcone: «A
chi, l'Italia? A chi, Fiume?» e lui frammisto alla grande
folla, che risponde: «A noi!» con vicino ragazze ardite e
disinibite che indossano come unico indumento una ban-
diera tricolore portata a mo' di sciamma. La notte in fe-
ste, nel libero amore, nelle interminabili discussioni sui
dettami dei Poeta che vuole il potere gestito dai "miglio-
ri", la popolazione divisa in sei categorie di produttori
come le Arti fiorentine, e afferma che la vita è bella e
degna di essere magnificamente e severamente vissuta,
che la religione nazionale deve essere la Bellezza e l'Ar-
monia per cui la ginnastica e il canto rappresentano do-
veri sociali e lo Stato deve signorilmente provvedere ai
vecchi e ai disoccupati e i sessi parificati.

Gabriele, pur essendo nato a Milano, non può dimen-
ticare l'adolescenza trascorsa a Caserta e la mentalità
meridionale, e indirizza messaggi esaltati alla famiglia. Il
padre non risponde, è indignato e la mamma e le sorelle
Io invitano, addirittura lo supplicano, di ritornare, di
chiedere perdono al genitore, ma il giovane è ancora in-
fervorato da tutta la messa in scena e da promesse o lar-
vati programmi di "Marcia su Roma", dalla marcia sulla
cittadina di Traù, dalla spedizione su Zara, dall'introdu-
zione a Fiume del divorzio che la vede invasa di coppie
in dissesto, dalle imprese del capitano Giulietti alla testa
di una flottiglia salgariana di pirati che con le spericolate
imprese fanno di Fiume una specie di "nido della filibu-
sta" avvalendosi della giustificazione di dover provvedere
ai rifornimenti dei legionari e della popolazione. Come
può un giovane fanatico non approvare e non sentirsi •
eccitato da tutto ciò se la Marina e la pubblica opinione
approvano, tanto da costringere il presidente Nitti a ri-
mangiarsi il richiamo dell'ammiraglio Millo? Se Badoglio
definisce l'impresa di Ronchi la più bella dopo quelle di
Garibaldi?

Il nuovo governo di Giolitti, la trattativa diretta con
gli iugoslavi, la firma del trattato mettono D'Annunzio in
crisi. La città è ormai stanca del continuo clima sagraiolo,
lo abbandonano Rejna, Millo e Giuriati e l'avvento dei
maggiori agitatori europei come l'egiziano Zaghuiul Pa-
scià, l'irlandese O'Killy, l'ungherese Bela Khun e la stima
di Lenin, aprono gli occhi a molti. Anche Gabriele è stan-
co e spesso sente nostalgia della quieta vita casertana e
della famiglia. Non vi sono più imprese avventurose, ma
solo programmi velleitari e goliardici nei lunghi bivacchi
nei caffè e quella che doveva rappresentare il preludio
per una grande azione a livello nazionale, langue in uno
stato di fastidio e di accidia. Indirizza una lettera al pa-
dre, chiede con toni umili perdono e si dichiara disposto
a riprendere il suo posto in casa e sui banchi di scuola.
Immediata la risposta positiva e Gabriele abbandona Fiu-
me seguendo l'esemplo di ben tremila altri legionari.

Il ritorno alla penembra silenziosa della casa paterna,
agli odori familiari dominati dalla giornaliera bagnacau-
da, vera e propria mania della mamma piemontese, alla
vita ordinata e scandita dagli orari di scuola, di pranzo e
di cena, fanno apprezzare all'irrequieto giovane l'esisten-
za sicura, tranquilla, protetta che gli era sembrata tanto
oppressiva e gli donano serenità e voglia di studiare, an-
che se il fascino della fuga, dei mesi vissuti nella bollente
Fiume, l'aver conosciuto da vicino D'Annunzio e parteci-
pato a spedizioni ed imprese che hanno avuto così vasta
eco nel paese e tanta risonanza specialmente nei piccoli
centri dimenticati, gli coagulano intorno l'ammirazione
degli elementi più esaltati della cittadina che lo conside-
rano quasi come il loro capo. Gabriele ne è lusingato e
trascorre le lunghe sere invernali a sbruffoneggiare su
imprese che, di volta in volta, diventano sempre più eroi-
che e cruente. Tuttavia non perde un giorno di scuola,
attento alle lezioni e a non farsi coinvolgere dalle tante
baruffe politiche di quegli anni agitati. Consegue il diplo-
ma e inizia a frequentare la facoltà di scienze economiche
e commerciali nella vicina Napoli. Il padre è stato nomi-
nato prefetto e la madre e le sorelle pregano per la sua
incolumità, messa a repentaglio dagli scioperi dei lavora-
tori e dalle violenze squadriste particolarmente brutali
nella confinante Puglia e nelle zone agrarie per eccellen-
za. I raid dei manipoli a cavallo di Caradonna, gli articoli
di Mussolini infiammano nuovamente Gabriele che di-
venta un'attivista del fascismo napoletano. Lo conforta la
malcelata propensione per Mussolini dei due più presti-
giosi artefici della vittoria nel Grande Conflitto, Diaz e
Thaon de Revei e persino della Regina Margherita e del
Duca d'Aosta. Lo esalta il sempre più esplicito progetto
di Marcia su Roma e la grande adunata a Napoli del 24
ottobre del '22. Ed eccola la grande giornata: la città
partenopea brulica di camice nere, più di sessantamila,
ridiscendono dal Campo di Marte dove s'è svolto il radu-
no, e vengono giù a frotte per il Museo con labari e ga-
gliardetti oscillanti che aumentano l'impressione di mol-
titudine. Una pioggia di fiori li ricopre mentre per ordi-
nanza prefettizia le saracinesche dei negozi sono abbassa-
te e cosparse di manifesti e strisce di omaggio e benvenu-
to alla gioventù fascista. Capannelli di soldati, carabinieri
e guardie regie sono accantonati negli androni dei palazzi
con un atteggiamento timoroso che inorgoglisce Gabriele
che sfila facendo ondeggiare il fiocco pendulo del berret-
to calzato sfrontatamente. Intorno a lui sidecar, automo-
bili, carrozzelle strapiene, la cavalleria di Caradonna e
anche ragazze con camicia nera e gonna-pantaloni grigio
scuro. Se il giovane guardasse più attentamente con l'oc-
chio critico che solo le tristi esperienze degli anni futuri
gli daranno, stigmatizzerebbe il guazzabuglio caotico così
diverso dall'inquadramento militare che il Movimento
vorrebbe darsi, le uniformi scalcagnate, l'indisciplina da
corteo sudamericano, i cavalieri con atteggiamenti truci,
ma l'entusiasmo è immenso e diviene incontenibile in
piazza San Carlo quando Mussolini in persona pronuncia

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MessaggioTitolo: Re: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 7:42 pm

il discorso con accenti infuocati e dice: «Prenderemo per
la gola la vecchia classe dirigente...»

Gli ordini sono tassativi: il 28, in tutte le città, si deb-
bono occupare gli uffici pubblici, le prefetture, le stazio-
ni ferroviarie, le centrali telefoniche e telegrafiche. Subi-
to dopo le squadre devono concentrarsi a Monterotondo,
Santa Marinella e Tivoli per lo scatto sulla capitale!

Solo il 30, dopo due giorni di freddo e pioggia, posso-
no entrare in Roma e molti, esasperati per l'attesa, si scon-
trano, dopo averli provocati, con gli operai del quartiere
San Lorenzo causando una dozzina di morti, e gozzovi-
gliano a spese di trattorie, caffè e taverne. Infine, il 31
sfilano per sei ore sotto il Quirinale salutati dal Rè affian-
cato da Diaz e Thaon de Revei, mentre gran parte di loro
non comprendono cosa è esattamente accaduto e i capi li
convogliano alla stazione e li rispediscono a casa.

Gabriele è profondamente deluso: quella non è una
rivoluzione, ma un accomodamento, uno dei tanti all'ita-
liana e, come moltissimi altri, si sente tradito da Musso-
lini che non ha saputo o voluto mantenere quanto aveva
promesso o ciò che lui aveva compreso. Solo a scorrere la
lista dei ministri del nuovo governo del quale il capo del
Fascismo non è il dittatore, c'è da farsi cadere le braccia:
appena tré fascisti su due democratici, due popolari, un
liberale, un demosociale, un nazionalista, un indipenden-
te e due militari! Ma la cosa più ridicola e mortificante è
il consenso della quasi generalità degli uomini politici più
autorevoli e della stragrande maggioranza del Paese. Si
dice che la gente è stanca di tré anni di guerra civile e che
non gli importa di perdere l'uso della libertà. Del resto
Mussolini promette anche quella! E gli antifascisti inco-
minciano ad essere convinti che il castigamatti delle in-
temperanze squadriste è proprio Benito Mussolini e si
permettono anche prudenti e moderate preseingiro! Ma
il fatto più traumatizzante per Gabriele è l'atteggiamento
paterno ormài favorevole al nuovo primo ministro e ai
precisi e severi ordini che impartisce di contenere anche
con la forza le camice nere più scalmanate. Il giovane
abbandona ogni frequentazione attiva del partito, mentre
imperversa la corsa alla "tessera" da parte di tanti che
improvvisamente si scoprono una irresistibile vocazione
per il Fascio, e si dedica esclusivamente allo studio uni-
versitario che, per il cervello pronto e gli indubbi menti
da marcia su Roma, conclude anche prima del previsto.

La laurea potrebbe significare per Gabriele un lungo
periodo di tranquillità in famiglia, ma un amaro destino
stabilisce che fra lui e il padre non vi sia mai accordo e
gli avvenimenti tumultuosi di quegli anni siano sempre
vissuti da posizioni contrastanti. Caratteri forti si fondo-
no con le incomprensioni generazionali per scatenare dis-
sidi e Gabriele proverà, anche se in chiave diversa, con
Giorgio ciò che il padre ha assaggiato con lui.

L'assassinio del giovane esponente del socialismo rifor-
mista di Turati, Giacomo Matteotti soprannominato "tem-
pesta" dai suoi compagni per il carattere battagliero, il
ritiro dell'opposizione parlamentare sull'"Aventino", il
discorso di Mussolini del 3 gennaio del 1925 alla Camera
che segna l'inizio di una vera e propria dittatura, le die-
cine di disposizioni ai prefetti di sciogliere organizzazioni
sowersive, le norme repressive sulla libertà di stampa,
inducono il prefetto Torelli a rassegnare le dimissioni. E
una decisione grave per una famiglia numerosa che ha
come unico sostentamento lo stipendio paterno e amici si
precipitano a cercare di fargli cambiare idea. Ma l'uomo
è severo e risoluto e dopo mesi finalmente accetta la di-
rczione di un modesto istituto privato con uno stipendio
che a stento riesce a soddisfare i bisogni primari della
moglie e delle figlie. Tempi duri per i Torelli, ma grande
è la stima che circonda l'ex prefetto, anche se nessuno la
manifesta apertamente e Gabriele non è d'accordo, pur
ammirandolo, col padre perché l'aspetto autoritario del
fascismo è quanto ha sempre desiderato, convinto che
non si può governare l'Italia, renderla grande e rispettata
senza eliminare la caotica opposizione ognora pronta ad
aperture servili verso lo straniero. Ma il giovane uomo
sente anche il dovere di aiutare il padre nermantenimen-
to della famiglia e, rinunciando a progetti ben più ambi-
ziosi, accetta l'offerta di uno zio di entrare in una piccola
industria meccanica alla quale si dedica anima e corpo,
riuscendo in appena quattro anni a rappresentarne il vero
pilone portante. Solo lui sa i tesori di intelligenza, il lavo-
ro instancabile che vi ha profuso, lo studio continuo per
impadronirsi di nozioni tecniche, amministrative e com-
merciali adeguate ai tempi di grande evoluzione tecnolo-
, gica. Ha trascurato politica, amici, antichi camerati, di-
vertimenti e anche le ragazze. Si può dire che non cono-
sca donne se non quelle dei bordelli dove si reca periodi-
camente per dare sfogo a bisogni fisiologici più che per
evadere dalla massacrante fatica.

Un giorno capriccioso di marzo, quando il sole splen-
de a tratti prepotente e subito dopo scompare ricoperto
da una spessa coltre di nubi minacciose, mentre raffiche
di vento sibilano fra le aperture, i corridoi e i cento an-
fratti dell'antico palazzo Donn'Anna a Mergellina, dove
si sono trasferiti i Torelli, quasi si scontra con una ragaz-
za bella ed elegante e viene a sapere che abita al piano
superiore. Da allora, Gabriele, il Legionario, il fascista, il
lavoratore infaticabile incomincia a conoscere le pene
d'amore e dimentica tutto fin quando non riesce a farla
sua. Non sa nulla di corteggiamenti Gabriele, non è bel-
lo, non è elegante, il suo fisico si avvicina stranamente al
suo idolo giovanile, D'Annunzio, ma non possiede gli
occhi magnetici, ne la parola alata, ne l'esperienza. Tut-
t'altro, i suoi occhi miopi sono contornati da modesti
occhiali rotondi, la favella gli si inceppa maledettamente
quando non deve parlare di politica o di lavoro, non ha
mai corteggiato una ragazza: le fiumane più che essere
conquistate, conquistavano, e nei bordelli non c'è biso-
gno di molte parole. Matilde è una ragazza viziata dai
genitori e dagli spasimanti, il padre è un ricco commer-
ciante e la madre ha qualche quarto di nobiltà, nella sua
casa non c'è molta cultura, ma abbondanza e rapporti
con la nuova classe emergente frammista a nobili squat-
trinati, vi si danno feste, pranzi e il denaro scorre in una
quantità che i Torelli, sempre legalità precisi stipendi,
non hanno mai potuto maneggiare. È vero che gli altri
inquilini del seicentesco palazzo lambito dal mare guar-


Ultima modifica di Bruno il Sab Lug 25, 2009 7:45 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 7:43 pm

dano con rispetto l'ex prefetto di Caserta, ma le sorelle
di Gabriele, con gli abitucci modesti, i corpi dalle forme
tutt'altro che prepotenti, i visi squallidi, sembrano ben
poca cosa nei confronti di Matilde e delle sue amiche.
Eppure il viso affilato lo sguardo torvo, i suoi trascorsi
politici e gli atteggiamenti scimmiottanti il Poeta, le lette-
re deliranti che sembrano ricopiate da epistolari dannun-
ziani, soggiogano Madide e le fanno preferire quel giova-
ne del quale ammira la grande volontà e il lampo d'intel-
ligenza che le sembra di scoprire al di là delle brutte
lenti. Ma la famiglia non è d'accordo: sogna per l'avve-
nente fanciulla un titolo nobiliare o un ricco imprendito-
re e ai due giovani non rimane altro che vedersi di nasco-
sto e, dopo una lunga serie di missive tempestose e una
minaccia quasi attuata di suicidio compilata in termini
fra salgariani e dannunziani, porre i genitori di fronte al
fatto compiuto.

A Gabriele sembra di toccare il cielo con un dito quando
conduce la sua Matilde nell'appartamento del Vomere dove
non pare di stare a Napoli con le strade larghe, l'aria fina, i
marciapiedi alberati, la gente meglio vestita e dagli accenti
e cadenze prevalentemente settentrionali che appartengono
sicuramente a mogli o fìglie di funzionar! governativi venuti
dal Nord. E felice, e quando la moglie lo informa raggiante
di orgoglio di attendere un figlio, centuplica le sue forze e
trova il coraggio per tentare il grande passo che da tempo
va progettando: mettersi in proprio, aprire una sua fabbri-
chetta di macchinarii per edilizia. Napoli, come tutto il pa-
ese, sotto la spinta mussoliniana e un grande cantiere e le
imprese di costruzione si moltipllcano ricorrendo sempre
più di frequente alla meccanizzazione il cui costo viene ra-
pidamente ammortizzato dalla maggiore velocità di esecu-
zione. Ma, come al solito, il Nord fa la parte del leone nel
fornire prodotti industriali. Gabriele parte per Milano Ge-
nova Bologna e Roma e si aggiorna sulle ultime novità.
Passa notti insonni per mettere a punto progetti e calcoli
economici e infine si reca presso varie banche per ottenere
il prestito necessario. Quanto espone è accolto benevol-
mente e apprezzato, ma sono necessarie garanzie immobi-
liari che non possiede ne, orgoglioso com'è, vuole rivolgersi
al suocero che peraltro, a causa di speculazioni sfortunate,
non attraversa un buon momento finanziario. Un direttore
di banca gli suggerisce di utilizzare la sua antica militanza
fascista e di chiedere l'appoggio del partito dove trova una
burocratizzazione ben diversa dai caotici, ma entusiastici
inizi. Gli viene offerta una carica, ma per garanzie non trova
disponibilità. Gli si dice che deve fare carriera e per lui, con
i suoi precedenti, non sarà difficile, poi potrà ottenere tutto
ciò che vuole o rivolgersi subito al vero deus ex machina
della sede napoletana, il professor Tazzi. Lo ricorda bene!
E stato il suo capitano a Fiume e lui l'ha tratto tremante per
la paura da una forra dove era caduto durante una scara-
muccia con gli slavi. Non aveva avuto una buona impressio-
ne di quell'uomo imponente e pomposo, tanto propenso a
parlare di eroismo, quanto pavido alle prime fucilate. An-
che nella grande adunanza del '22 era sul palco nei pressi di
Mussolini e assumeva atteggiamenti battaglieri, ma a Tivoli
durante la marcia su Roma era giunto in una lussuosa auto-
mobile e, mentre tutti loro si consumavano nell'attesa al
freddo e alla pioggia, alloggiava nell'accogliente villa di un
caporione locale.

Chiede di essere ricevuto e, dopo ore di anticamera, vie-
ne riconosciuto ed abbracciato dal gerarca ma, quando gli
sottopone i suoi problemi, il sorriso scompare dal volto al-
tero e con farraginosi discorsi infiorati dai soliti luoghi co-
muni e dagli immancabili elogi al fascismo e al Duce, gli fa
comprendere che tutto ha un prezzo: farà apporre la firma
di garanzia solo dietro versamento di una congrua somma
di denaro! Gabriele è disgustato, il suo disprezzo per l'indi-
viduo aumenta. Ma come, pensa, questo è uno dei nostri
maggiori scienziati? e non dovrebbe occuparsi di ricerche e
lezioni? e allora i commercianti e gli imprenditori o i buro-
crati di professione cosa faranno? e Mussolini lo sa? Ga-
briele torna alla banca con la garanzia, ma anche con idee
più chiare su quello che è diventato il Regime.
La gioia per l'entrata in funzione della piccola fabbri-
ca, un capannone a San Giovanni a Teduccio nella zona
industriale della città, si annulla nel dispiacere per la
perdita del bambino che mantiene Matilde fra la vita e la
morte per alcuni giorni. Una brutta caduta ha causato
l'aborto rivelando all'indaffarato Guido tutto il pesante
lavoro che la moglie ogni giorno svolge in casa. La giova-
ne donna, abituata ad essere servita nell'abitazione pater-
na, si è buttata a capofitto nelle sue nuove mansioni di
padrona di casa: senza aiuti tiene puliti come specchi i
modesti pavimenti facendoli brillare di cera e di olio di
gomito, lava, stira e cucina succulenti pranzetti per il
marito. Con il poco denaro non fa mancare nulla e prov-
vede anche ad aggiusti per i quali sarebbe opportuno l'in-
tervento dell'idraulico, dell'elettricista o del falegname.
Ma quando Gabriele torna a casa la sera stanco ed affa-
mato trova ad accoglierlo un delizioso e sereno donnine
che nulla gli racconta delle difficoltà che quotidianamen-
te deve superare sorretta dall'amore e dalla considerazio-
ne della grande avventura che il marito ha intrapreso, e
Gabriele sente di volerle bene ancora di più ed è lieto
della scelta fatta. Presto il lavoro lo riassorbe: le mesco-
latrici, le molazze, le carriole, gli elevatori elettrici che
ogni giorno si allineano pronti per la spedizione, odorosi
di vernice fresca con la grande T dipinta in nero che
spicca sul grigio chiaro sono per lui come tanti figli e lo
spingono ad aumentare, se fosse ancora possibile, il rit-
mo del suo lavoro. Fa di tutto: il direttore tecnico, l'am-
ministrativo, il commerciale. Con soli dieci operai e un
venditore aumenta la produzione e la fortuna lo assiste. I
prodotti della ditta Torelli, anche se non di avanguardia,
sono solidi e i prezzi concorrenziali e le imprese napole-
tane li acquistano in quantità crescente. Il risparmio, la
possibilità di immediata assistenza, le consegne rapide e
precise vincono l'innata esterofilia dei partenopei e solo
le imprese più vecchie e snob continuano ad ordinare
analoghi prodotti a Milano e Genova. Rapidamente il
debito con la banca si riduce e Gabriele acquista nuova
sicurezza che trae radici anche nella consapevolezza della
buona compagna che la sorte benigna gli ha affiancato.
Avverte allora il bisogno di un vero figlio, l'erede, colui
che proseguirà ed amplierà quanto con il suo coraggio e
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Bruno
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MessaggioTitolo: Re: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 8:04 pm

la sua tenacia ha creato e puntuale il figlio arriva: è come
lo voleva, maschio, bello, robusto e sano! Decidono di
chiamarlo Giorgio come il nonno e per l'occasione gli
antichi attriti sono dimenticati.

Siamo nel '36 e l'Italia palpita per la trionfale impresa
etiopica. L'intero Paese si sente partecipe di un avveni-
mento fondamentale. "L'impero è riapparso sui colli fata-
li di Roma"! Il conflitto abilmente propagandato come
scontro italo-inglese, il superamento delle "inique sanzio-
ni", la speranza di trovare in terra d'Africa gli spazi e il
lavoro che da sempre ha spinto gli italiani ad emigrare,
l'orgoglio di sentirsi cittadini di una nazione assurta fi-
nalmente al ruolo di Grande Potenza, l'ammirazione per
quello che sembra, e forse lo è, una dimostrazione di
coraggio e di memorabile efficienza, fanno coagulare il
popolo intorno al suo Duce dimenticando il buco finan-
ziario di dodici miliardi che la guerra è costata e conside-
rare ben poca cosa i 1304 morti in combattimento, i 1009
per cause di servizio e i 1600 delle truppe indigene e
obliare del tutto i 453 operai caduti. Anche vecchi libera-
li come Vittorio Emanuele Orlando, socialisti come Artu-
ro Labriola o intellettuali contrari come Sem Benelli si
riconciliano o riawicinano al fascismo. Persino l'ex pre-
fetto Giorgio Torelli evita ogni polemica fino a parlarne
senza più l'antico rancore o addirittura con larvata ammi-
razione.

C'è più benessere in casa di Gabriele, la sorte sembra
volerlo favorire senza tentennamenti: Matilde assume una
domestica che tratta con autorevolezza e con quella dose
di cattiveria che è tanto diffusa nei rapporti fra padroni e
dipendenti. Inizia una girandola interminabile di volti
nuovi, di ragazze tremanti dal dialetto campano, veneto,
friulano e ciociaro, identici a quello del raddoppiato per-
sonale delle officine Torelli che possono permettersi ora
anche un capofabbrica e un secondo capannone. La pro-
duzione è triplicata e il debito con la banca interamente
saldato quando Gabriele acquista un appartamento con
giardino e una Topolino con la quale si reca ogni mattina
al lavoro e in.giro per uffici. Si sente a trentasette anni un
uomo quasi arrivato e indubbiamente il più ricco e con le
migliori prospettive fra i cognati sia della sua famiglia
che di quella di Matilde che è orgogliosa di aver cosi
clamorosamente potuto smentire le infauste profezie dei
genitori. Come ha fatto bene a non seguire i loro consi-
gli! I nobili, i ricchi commercianti che avrebbero voluto
propinarle non navigano più in buone acque come del
resto il padre che malauguratamente non si è ripreso da
investimenti sbagliati e che non vive più nel lusso, mam
una mediocrità stentata e sofferta. Delle cameriere del
cocchiere e dei tanti commessi, non è rimasto altri che la
vecchia Emilia ormai troppo anziana e malandata per
cercarsi un nuovo servizio. Gabriele, anche se ha dovuto
accollarsi il mantenimento della madre rimasta vedova,
non ne sente il peso, tutt'altro, donarle agiatezza rende
ancora più palpabile la coscienza del suo successo che
trova riscontro all'Unione degli Industriali dove non è
più uno sconosciuto e nel Partito in cui ricopre una cari-
ca di un certo rilievo.

L'Italia fascista è al centro della politica europea, i capi
di stato, i popoli la guardano con ammirazione, partiti
recanti come emblema il Fascio sorgono dovunque, altri
gli si ispirano, ma per i più avveduti il nazismo con alle
spalle una grande nazione come la Germania e un capo
come Hitler rappresenta il vero pericolo, ed ecco che U
dittatore tedesco è davanti ai loro occhi! L'intero Paese è
stato mobilitato per far bella figura: sul percorso Brenne^
ro-Roma vetuste costruzioni sono state abbattute e tutti
gli edifìci ridipinti di fresco, dovunque un'orgia di fiori e
di bandiere. Napoli, dove si svolge la parata navale, ha
messo l'abito della festa fra un misto di atmosfera piedi-
grottesca e da epopea: la statua di Nicola Amore è stata
rimossa dai Quattro Palazzi nel tentativo di trasformare il
Rettifilo in una specie di via dell'Impero e piazza Plebi-

scito addobbata con girasoli dorati recanti svastica e fa-
scio littorio, i balconi di Palazzo Reale con una doppia
fila di candele e quello della Prefettura con arazzi azzurri
e purpurei e drappi gialli e rossi. Davanti alla chiesa di
San Francesco di Paola carri armati, emblema di potenza ,
guerriera, e avanguardisti e giovani italiane, simbolo di
educazione militaresca. Gabriele è fra i sostenitori della
tesi che non bisognava permettere l'AnschIuss e mai si
dovrà apporre la firma in calce al Patto di Alleanza con
la Germania. È oltremodo guerrafondaio Hitler e fin trop-
po chiare sono le sue mire sulla Cecoslovacchia e la Po-
lonia. Viene zittito e gli si rinfaccia il suo consenso alla
decisione mussoliniana di inviare truppe e rifornimenti in
Spagna. Risponde che la situazione è ben diversa: lì è una
lotta fra fascismo e comunismo, ossia fra noi e un regime
peraltro peggiore del già razzista nazismo. Gli si crea un
vuoto attorno e solo pochi rimangono a discutere, men-
tre il corteo è preceduto da un fremito che scuote la fol-
la, nella piazza gremita scrosciano gli applausi e fragoro-
so squilla il grido di «Heil Hitler, Du-ce, Du-ce!» intan-
toché i colombi spaventati volano alti nel cielo azzurro,
piccole cose contro il sole che dardeggia implacabile.

Gabriele prende le distanze dal partito e abbandona
ogni carica ufficiale, anche se i folgoranti successi del '39
gli confondono le idee. Come non essere orgoglioso della
vittoria di Franco in Spagna che tanto è dovuta a Musso-
lini, e dell'occupazione dell'Albania? Ma come non esse-
re spaventati dalla firma del Patto d'Acciaio e dalla ful-
minea sconfitta polacca?

Gli avvenimenti precipitano e la stentata duttilità delle
potenze democratiche sembra vieppiù spingere Mussolini
nell'abbraccio mortale del suo ex allievo Hitler. Ed è con
sentimenti contrastanti che il 10 giugno 1940 l'industriale
ascolta la voce metallica del duce annunciare l'entrata in
guerra dell'Italia contro Gran Bretagna e Francia. Ogni
volta che va con la mente agli anni della guerra un malin-
conico buio cala sui ricordi di Gabriele attraversato da
lampi che illuminano quel terribile giorno che è scolpito
indelebile nella sua memoria: il 4 dicembre 1942 ! È un'im-
magine di sangue, di urla, di gemiti, di morti e di feriti
ammucchiati tutti insieme nei cortili degli ospedali, scari-
cati da autoambulanze, carretti, autocarri militari che arri-
vano colmi e ripartono vuoti per raccogliere gli altri. Ba-
rellanti che scavalcano corpi straziati alla ricerca di chi ,















Ultima modifica di Bruno il Sab Lug 25, 2009 8:06 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei   PARABOLE, racconto di Bruno Cotronei EmptySab Lug 25, 2009 8:04 pm

deve entrare con urgenza in sala operatoria guidati solo
dai lamenti. I grembiuloni dei medici e degli infermieri già
sporchi, marroni di sangue e materia. Sirene di ambulanze
e di vigili del fuoco, fiamme ossidriche per strappare dalla
ferraglia contorta di tram, dell'incrociatore Attendolo, dalle
macerie della Posta Centrale e dei tanti palazzi colpiti
poveri esseri spauriti che lottano per sopravvivere, per non
essere confusi con i morti e che non sanno più se il braccio
o la gamba insanguinata e immota gli appartiene o è parte
di quell'altro, poveretto che gli giace accanto, sopra, sotto
con occhi sbarrati che non vedono più nulla. Sagome im-
polverate che vagano chiamando disperatamente chi fino
a pochi attimi prima era li vicino a loro e dovunque fumo,
fiamme, esplosioni. Cittadini terrorizzati corrono a perdi-
fiato dentro portoni, nei ricoveri, urtandosi, travolgendo
donne e bambini e ostacolando i già caotici soccorsi. Sem-
bra un cataclisma, eppure sono solo venti aerei americani,
venti "Consolitaded Liberator" che si sono accodati a una
formazione tedesca di "Junkers" e da seimila metri d'al-
tezza scaricano bombe da 500 e 1000 libbre a grappoli sul
porto, sulle industrie e sulla città indifesa. Ordigni di morte
cadono sugli incrociatori Attendolo, Eugenio di Savoia e
Montecuccoli, su navi mercantili, sulla zona industriale,
sui vicoli di Toledo, sulla Posta, sulla Riviera di Ghiaia, al
Chiatamone, a Porta Nolana, a via Colonna, al Corso e su
verso il Vomere e l'Arenella. Gabriele abbandona dispera-
to le officine Torelli miracolosamente indenni e cerca con
la sua Topolino di raggiungere casa, Matilde e Giorgio. I
telefoni non funzionano, riesce con giri inenarrabili a giun-
gere alla stazione, ma via Carbonara è interrotta, prova
per il Rettifilo, ma Monteoliveto è addirittura stravolta,
torna dietro e una, due, cinque volte tenta di arrivare al
Vomere, ma gli dicono che è tutta una maceria! Dopo tré
interminabili ore riesce a scorgere il palazzo dei suoi affet-
ti: è intatto! Poi tutto si confonde nuovamente, non ricor-
da bene, non vuole rammentare: lo sfollamento, l'Italia
divisa e preda di eserciti contrapposti che parlano tutte le
lingue meno l'italiano e infine il ritorno e la faticosa ripre-
sa. •
Le officine Torelli non esistono più. I camion, i mac-
chinari, i disegni, le materie prime, tutto scomparso. Bi-
sogna ricominciare daccapo: la casa di proprietà e il suo-
lo delle officine costituiscono la garanzia, ma ben tré anni
sono necessari per vedere nuovamente pronta e fiammante
la prima mescolatrice della nuova serie. Un vicino prepo-
tente e superprotetto ha ostacolato la ricostruzione della
fabbrica e cause su cause sono state necessarie per ri-
prendere i lavori interrotti appena all'inizio. Gabriele tra-
scura la famiglia e la salute per la sua attività e sempre di
più la considera il centro del suo universo. Giorgio e
Matilde non lo vedono quasi mai; nevroticamente, anche
quando è terminata la necessità, le dedica ogni attimo,
ogni pensiero, ed improvvisamente si ritrova un figlio gran-
de alle soglie dell'università. Lo vuole ingegnere, quante
volte ha sognato suo figlio ingegnere meccanico, che con-
duce a grandezze che a lui non è stato dato di realizzare,
le officine Torelli, ma un solco si è aperto fra padre e
figlio: anni di incomprensione li dividono, la fabbrica, la
sua creatura meccanica, gli ha fatto trascurare l'altra sua
creatura, quella di carne, ossa, sangue e cervello. Il ragaz-
zo è venuto su affidato praticamente alla sola madre e
quando padre e figlio si parlano è solo per litigare. Idee
politiche, concezioni di vita, di affetti li dividono. Eppu-
re che caratteri simili, forti, cocciuti, tenaci e taciturni
entrambi. Gabriele non si sente di rinnegare il suo passa-
to politico, anche se del fascismo non approva la dissen-
nata avventura nella quale ha precipitato il Paese e dalla
quale ha preso, per sua fortuna, in tempo le distanze. Ma
le corporazioni, l'indubbio orientamento di destra, l'at-
teggiamento epico, la distanza incolmabile fra padroni e
lavoratori, il riconoscere diritti solo a una certa classe e
poco o niente alle altre meno difese e forti lo trovano
ancora d'accordo e il suo voto va al partito dei nostalgici.
Giorgio è di tutt'altro avviso e da solo, come praticamen-
te ha dovuto formare il suo carattere, prepara il suo avve-
nire. Sceglie Lettere e rapidamente fa carriera nell'am-
biente giornalistico fra la stima nascosta di Gabriele, sep-
pellita da una continua aria di insoddisfazione scimmiot-
tata dalla madre e dai parenti compiacenti e timorosi di
perdere il favore dell'agiato commendator Torelli.

E ora cosa rimane al vecchio Gabriele? Matilde non
c'è più, la fabbrica è stata venduta da anni a un gruppo
industriale del Nord, la fedele Concetta lo accudisce, e
Maria, la figlia di una sorella morta che ha praticamente
adottato dagli anni Quaranta, si reca a visitarlo ogni gior-
no. E le telefonate di Giorgio. Ma ora suo figlio, il suo
unico vero figlio, è grave in ospedale. Cosa può fare per
Giorgio? Vuole agire, darsi da fare, stargli vicino, ripren-
dere tutto ciò che si è fatto sfuggire così sventatamente,
ma si sente debole, inutile e vecchio, tanto vecchio e pri-
vo di forze, e la notte che giunge a lui dalla finestra ormai
buia è nel suo cuore e nella sua mente e si sente come
avvolto da essa, facente parte di quel manto scuro, senza
stelle, senza speranza.























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