CHI ME LO FA FARE?
E' notte fonda, mi aggiro per la casa tranquilla e addormentata. Ho la testa come un vulcano. Eccola l'ispirazione! Ho voglia di scrivere, di comporre sulla pagina bianca quanto mi attraversa la mente e il cuore. Sono certo che nascerà un buon racconto o quantomeno un utile sfogo e l'inconscio sarà per un poco appagato, tranquillizzato.
Ma chi me lo fa fare? Perché non torno nel letto caldo dove, fra un pensiero e un ricordo, potrò risprofondare nel sonno benefico? Perché rabbrividire nell'umidore della notte? Perché riempire i polmoni del malefico fumo delle sigarette che mi sono necessarie per scrivere? In fondo a cosa serve comporre narrativa di qualità quando pochi la leggono e pochissimi la comprano? Non è meglio scrivere di giorno quando solo il lucido mestiere mi fa produrre saggi e racconti più commerciali, quelli, e sono i soli, che sempre danno il guadagno e qualche volta financo la ricchezza e la grande notorietà? L'inconscio? Ma lo posso chetare a letto rigirandomi fra le coltri morbide a pensare, a dialogare fra me e me senza l'impegno dello scrivere.
Chi me lo fa fare di distruggermi la salute? Di rimanere intontito e sonnacchioso per l'intera giornata che segue quelle notti di scrittura? Già troppe, tante ne ho trascorse così, e con quale risultato? Un incipiente enfisema e un cuore affaticato? Ne è valsa la pena?
Suvvia, in fondo qualche critico si è accorto di me anche prima che lo scrivere di giorno ed il mestiere subentrassero, e qualche valido collega mi ha stimato e lo ha fatto sapere, e qualche apprezzato editore, pur rimettendoci denaro, mi ha pubblicato. Ma quanti mi leggevano allora, e quanti sono oggi che l'editoria di consumo si è impadronita di me? Chi me lo fa fare quando ora, con l'artificioso scrivere di giorno, le recensioni (sia pur meno sincere) e le segnalazioni si susseguono a ritmo intenso sui grandi fogli, sui seguitissimi mass-media perché facenti parte della spirale produttiva di denaro-successo? No, non ne vale la pena consumarsi nel "tormento" narrativo che, come ogni cosa di qualità, viene relegato in ghetti, perché pericoloso, perché fa pensare, perché scopre le finzioni e i meccanismi perversi della scoppiettante società di oggi dove tutto deve essere funzionale e finalizzato per risultati rapidi e sicuri.
Sì, me ne torno a letto. Mi avesse sempre guidato il "chi me lo fa fare". Tanta fatica in meno e quanta possibilità di vivere in più. Ma è proprio vero? E le esaltanti ore del comporre libero, e le sensazioni dolorose e illuminanti che ravvivano ricordi sopiti, scomparsi e non quelli tenuti saggiamente nell'area di parcheggio dei pensieri, da dove, ubbidienti schiavi, son richiamati a volte per brevi controllati gratificanti voli. Questi, invece, svolazzano come uccelli solitari attraverso nuvole dense formando stormi, lasciando traccia. Non abitanti docili e tranquilli, ma vorticanti nello spazio immenso del cervello tanto largo quanto è stretto il mondo, e lì si urtano duramente in modo lancinante, non più vestiti di bianco come fanciulli alla prima comunione, ma negri spettri perché nessuno di essi è contento di sé, ed una volta espresso è una bugia e non è più rivoltabile come un saggio o uno studio, per servirsene parecchie volte. Sono loro che comandano, ti prendono la mano, sono indomabili ed infinitamente belli nell'orrido dei rimorsi della verità di una vita intensamente vissuta. Non si può barare, pena la banalità il falso il costruito su misura. Narrare costa fatica, sangue, quanto e più di un percorso nelle scure tortuose anse di un fetido labirinto, e la vivida luce, il raggio caldo del grande astro che ogni tanto con meraviglia ti raggiunge, non ti compenserà mai a sufficienza. La molteplice faccia dei fatti ti attrae e ti respinge, e, infine, ti lascia stordito ammutolito quando pensi di averne toccata l'essenza, il mistero. Ma il vasto pubblico non lo comprende più, tutto preso dell'effetto gregge imposto dall'attuale società dell'apparenza che dell'individuo, anche dell'artista, tende a valorizzare stereotipe immagini e non la sostanza. Eppure, a ripensarci, ancor oggi all'artista della notte, a differenza di quello artificioso e consumistico del giorno cui s'offrono la miriade di fatue fan capaci di sfornare a ritmo continuo deboli passioni, capita d'essere amato per le sue opere, per la sua cultura, per la sua arte. Allora il vero compenso, il più bello del mondo, lo appaga e non conta più il suo fisico, i suoi abiti e il suo denaro. Qualche rara stupenda vera donna, che riesce ancora a comprendere il fascino della mente e della creatività diviene sua e in modo completo, dimentica del risonante e solo all'apparenza fulgido consumismo. A me è capitato e mi è sembrato di rivivere le stupende storie d'amore che hanno accompagnato e illuminato le tormentate vivide esistenze dei tanti artisti della notte del passato. E' proprio vero? Sì, certo, ma solo per i primi tempi, perché quelle donne, sia pur stupende, son sempre il prodotto dei nostri tempi e della nostra società, e son possessive e ti vogliono tutto per loro e, pur ammirando il tuo lavoro, il prodotto della notte, ne son gelose e ti costringono prima o poi ad una scelta.
Chi me lo fa fare? Torno nel letto caldo, alla vita ordinata, al facile denaro dello scriver di giorno e alla salute, che se proprio deve essere intaccata, lo sia per più realistiche e immediatamente godibili prestazioni.