BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 GIMMI e RAMONA

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Bruno
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MessaggioTitolo: GIMMI e RAMONA   GIMMI e RAMONA EmptyLun Nov 07, 2011 1:13 pm


STORIA di GIMMI (e RAMONA) inizia così e prosegue in PADRONI ATTENZIONE!
(libro che potrete leggere in https://brunocotronei.forumattivo.com
(Ramona è vissuta invece fino a quasi 15 anni vicino, sempre fedelissima e attenta ai suoi (padroni) genitori.!)


Avevo telefonato all'allevamento Montespino da dove qualche ora dopo tre dalmati. due femmine e un maschio, giunsero per conquistarci. Avrei desiderato un cucciolo di due mesi, non quei cuccioloni di cinque e dieci. Ma in quel tiepido aprile l'allevamento non ne disponeva e l'invio, l'arrivo dei tre cani, era stato un ripiego. Le femmine mi sembrarono subito insignificanti, per quanto graziosissime e con un viso dolcissimo. Il maschio, alto, robusto, altero, dal corpo muscoloso, perfetto, mi conquistò a prima vista, specialmente per quel "capocchione" grosso, pesante, i grandi occhi rotondi nerissimi che alternavano lampi selvaggi ad un certo che di triste, sofferto. Era, mi avevano raccontato, uno dei maschi, il più giovane, sui quali contavano come futuro stallone. ma era anche, mi dissi, un cane che non aveva famiglia e che non l'avrebbe mai avuta. Un allevamento non è una famiglia: li nutre più che bene, li fa correre, li allena, ma non può ovviamente dare al cane - essere più che mai desideroso di carezze, di un padrone tutto suo, di una casa da proteggere -l'affetto, unica vera cosa che lo rende felice, realizzato.
A differenza delle due femmine di molto più piccole d'età e di taglia, Gimmy (questo era il suo nome) non corteggiava, non veniva verso di noi con movenze suadenti, con l'umida lingua distribuente baci -toccatine veloci, calde alle nostre gambe, alle nostre mani-, ma s'aggirava lento, dignitoso, altero per il mio studio, il terrazzo, per poi accucciarsi con la testa, il capocchione, tenuta ben alta sul collo sodo, bellissimo, dal pelo vellutato. Sembrava una specie di leopardo, più attraente ancora con quel manto impareggiabile, brillante, dal fondo bianco, puro, costellato di dense macchie nere senza sbavature, rotonde e ben delimitate. Fu un amore a prima vista: un dalmata - razza stupenda - che poteva rivaleggiare in potenza con un dobermann, un boxer di grossa taglia, un piccolo alano arlecchino; e poi quegli occhi, quel portamento, quella tristezza ...
Avrei dovuto convincere mia moglie. Ero consapevole che mai avrebbe accettato un altro dalmata maschio. Il ricordo, l'amore di Cepry, il nostro precedente cane, era ancora troppo vivo, e se proprio avesse acconsentito, avrebbe preferito una delle due femmine, dolci, piccole, affettuose. Lentamente, con abilità riuscii a far convergere la sua attenzione su quel magnifico esemplare e tentai di fugare ogni perplessità per l'età, il sesso, il ricordo. Rimaneva la prova-casa, più volte negli anni passati pressappoco rivoluzionata da Cepry, al quale quasi se non tutto si perdonava per la tenerezza e il calore infiniti che ogni giorno ci donava, viziato e trattato come un figlio e che più di un figlio ci ricompensava. Lasciammo allevatore e dalmate allo studio e salimmo verso la nostra abitazione lungo le scale del palazzo seguiti da Gimmy. Non era timido, non era invadente, ma dignitoso e serio e seppe comportarsi da vero gentleman: ubbidiente quel tanto necessario, mai abbandonandosi a corse sfrenate che avrebbero compromesso mobili, ninnoli, tappeti e pavimenti e . . . si conquistò il posto e poi l'affetto.
Dormiva in una stanzetta con balcone in una di quelle cucce per cani di panno colorato avvoigente un'anima di gommapiuma, e non si muoveva di lì se non riceveva un preciso ordine. Solo la mattina, quando mi vedeva prepararmi per uscire, dava qualche segno d'agitazione nel dubbio, per lui angoscioso. se l'avessi condotto con me o lasciato in casa e dava manifeste prove di gioia quando gli facevo cenno di seguirmi allo studio ed uscivamo insieme sul terrazzo, una specie di grossa L di settanta metri quadrati al primo piano e prospiciente un grande meraviglioso parco dove dagli alberi secolari sempreverdi giungono profumi e sensazioni di bosco e un suadente concerto d'uccelli che si mescola all'aria ossigenata, pura, solo sul tardi parzialmente inquinata dall'intenso traffico. Soltanto allora Gimmy si scatenava in tutta la sua prepotente energia, nella scattante vitalità e inseguiva e afferrava la piccola palla di gomma che gli lanciavo due, tre volte o abbaiava con veemenza, correndo velocissimo lungo la balconata, a qualche cane di passaggio. Poi mi raggiungeva e si ac cucciava ai miei piedi, rispettoso del mio lungo lavoro allo scrittoio.
All'una ritornavamo a casa e Gimmy affondava il muso nella scodella colma di cibo che divorava con voracità insaziabile, fino all'ultima mollica, passando e ripassando la lingua sul fondo e sui bordi del contenitore, tanto da renderlo pulito e splendente al punto tale che solo ad un attento esame non sembrava accuratamente lavato con acqua e sapone.
Nei primi tempi non aveva occhi che per me, viveva quasi in simbiosi con me, afferrando a volo, intuendo ogni mia più riposta intenzione e gioiva agitando violentemente la coda se ero contento, o intristendosi, la coda bassa, se avevo qualche problema, se ero nervoso o turbato. Avvertiva, con sesto senso spiccatissimo, che lo avevo accettato, gli volevo bene, mentre sembrava consapevole di non godere ancora dei favori di mia moglie; né si mostrava servile, ruffiano per accattivarsene l'affetto. Ero io che lo spedivo, senza farmene accorgere, da lei e lo vedevo aggirarsi nei pressi sempre dignitoso, con i grandi occhi rivolti verso quelli di lei, e quando lo lasciavo a casa rimaneva per ore in attesa silenzioso e tranquillo nella sua cuccia e non varcava, se non ne riceveva l'ordine, la soglia della sua stanzetta. Quale differenza in casa rispetto all'invadenza gioiosa, sicura, a volte nevrotica di Cepry, padrone incontrastato degli ambienti, dei letti e del cuore di mia moglie, di mia figlia e della domestica. Eppure Gimmy non era quieto di carattere, non era riservato. Ce ne accorgemrno con il passare delle setti mane con le prime carezze, con le prime lotte e i primi giochi sui tappeto che mia moglie gli concesse, e allora si sciolse, perse ogni timore, ogni riservatezza e la sua presenza anche in casa, la sua spiccata propensione alla guardia. alla socialità, s'esplicarono con feste, salti, abbaiate, richieste di pezzetti di pane che attendeva dalle donne di casa. sollevandosi e mantenendosi a lungo eretto sulle zampe posteriori dai muscoli di ferro il capocchione proteso verso l'alto, gli occhi lampeggianti.
Ma in me quel terrazzo dello studio, da tempo desiderato e inseguito, con i bracci lunghi oltre quindici metri, aveva scatenato il desiderio, represso per anni, di avere perlomeno un altro cane. Ero convinto che una coppia sarebbe stata l'ideale e, amante come sono dei cani, avrei voluto possederne magari un
esemplare di ognuna delle razze di taglia medio-grande più diffuse. Forse un pastore tedesco, un alano, un dobermann, uno schnauzer gigante. Avevo molti libri sui. cani e nei momenti liberi li consultavo, arrovellandomi su quale - non era pensabile di averne ancora più di uno - potesse fare al caso mio e di Gimmy, che mi piaceva, sì, e amavo, ma non era ancora riuscito a riempire del tutto il vuoto lasciato da Cepry, bello, affettuoso e coccolone come ogni dalmata, fedele come un pastore tedesco, aggressivo e difensore del padrone come un dobermann.
Prolungate furono le discussioni e i contrasti conmia moglie e poi, alla fine, riuscii a spuntarla e giunse Ramona.
Un contenitore rosso fuoco e da una porticina forata spuntò un esserino nero con qualche tenue focatura sulle zampe e orecchie diritte come antenne, mobili come un periscopio che s'ergevano sulla testa piccola dal muso non ancora di lupo, come comunemente viene chiamato il pastore tedesco. Era timidissima, piccola - non aveva due mesi -, gli occhi carboni ardenti che si fondevano quasi del tutto con il capo e il tartufo spugnoso. I patti con mia moglie erano chiari: la nuova arrivata doveva rimanere nello studio, usufruire del terrazzo e dormire in una stanzetta-ripostiglio. (SEGUE)



<>Quando arrivò e incominciò a muovere i primi incerti passi sulla maiolica eravamo tutti lì, mia moglie, mia figlia, io e Gimmy, e Ramona subito si diresse verso quel colosso bianco e nero che l'annusava curioso e si protese verso il muso di lui cercando senza riuscirvi di raggiungerlo nel tentativo di baciarlo, la linguetta guizzante, e Gimmy scodinzolò, la leccò e la prese sotto la sua protezione che non venne mai meno. E Ramona viveva per lui, lo seguiva muovendo a velocità folle le zampette corte dai solidi larghi piedi che scivolavano sul pavimento per cercare di tenere il passo del fratello maggiore che rallentava l'andatura e si fermava per farsi raggiungere, attento sempre, magari quando si scatenava ad abbaiare ai passanti, a non travolgerla, a non farle male e si rovesciava per terra, la pancia all'aria, per permetterle di essere più alta di lui, di sovrastarlo, di aggredirlo con piccoli innocui morsetti e poi con un lento movimento del capocchione l'allontanava per rialzarsi. Era nato un amore, un grande amore, tanto più strano ed apprezzabile se si pensa che Gimniy - allevato per stallone - aveva un'aggressività violenta, possente verso gli altri cani e una volta aveva quasi squartato un grosso boxer che aveva osato sfidano, uscendo dalla lotta, da me subito interrotta. del tutto indenne. macchiato dal sangue delle ferite che aveva procurato all'avversario.
Ma altri amori erano nati: quello di mia moglie per il piccolo essetino nero e per Gimmv, tanto bello, forte, affettuoso e generoso. Era gratificante vederli giocare insieme in un agitarsi di braccia e zampe di varie dimensioni e colore e ci conquistava osservare il capocchione di Gimmy poggiato sul bracciolo o il piano di una poltrona, quasi gli pesasse, con gli occhi vivi, contenti, ammiccanti, mentre la coda vorticava in un mulinello senza tregua.
Ramona era timida, paurosa, ma quando si usciva tutt'insieme procedeva fiduciosa con andatura corretta, sicura se il breve guinzaglio assicurato al minuscolo collare giallo di cuoio era afferrato dai denti di Gimmy, che con il massimo impegno e pressione dolce e costante, la guidava, attento alle gambe dei passanti o agli ostacoli del terreno.
E Ramona incominciò a crescere, ad irrobustirsi, a correre sempre più velocemente sul pavimento di gomma che avevo fatto applicate su parte del terrazzo. Quasi ogni giorno la misuravo con un metro pieghevole o confrontavo l'altezza del garrese con quella dei vasi di varie dimensioni. Venticinque centimetri, trenta e così via. Ora, quando non c'erano visitatori allo studio, non solo Gimmy, ma anche Ramona rimaneva a lungo accucciata ai miei piedi e nessuno dei due abbaiava, guaiva,~ rispettosi, orgogliosi di custodire il mio lavoro. E Gimmy aveva lasciato alla sua protetta il posto che fino ad allora era stato occupato da lui e poi fuori, su1 terrazzo, rallentava la corsa e si faceva precedere dalla lupetta invadente ma baciona, quando lanciavo ai due compari la palla di gomma, e se nei primi tempi avevo definito " signor Gimmy e palla "il suo non separarsene mai, presto dovetti aggiungere " signorina Ramona e palla ", perché lei tutto imitava del suo grande compagno, anche il correre a perdifiato ifl un continuo andirivieni lungo la ringhiera della balconata.
E, pur timida e paurosa, come lo sono buona parte dei lupi nei primi mesi di vita, seppe utilizzare ogni più riposto coraggio quando incominciai a tentare d'insegnarle a saltare un piccolo ostacolo, alto non più di trenta centimetri, che ponevo nella parte più lunga e stretta del terrazzo. Le ordinavo di seguirmi e poi d'improvviso iniziavo a correre superando l'asta e lei mi seguiva ubbidiente per poi fermarsi - orecchie basse - con gli occhi imploranti, l'espressione mortificata per non potermi accontentare. La blandivo allora e le impartivo piccole punizioni, ma sembrava non ci fosse nulla da fare fin quando Gimmy, che seguiva incuriosito tutto quel nostro affannarci, non spiccò a sua volta il salto con breve rincorsa e una specie di volo rettilineo che lo portò ben più in alto e ben oltre l'asticella, abituato com'era a superare senza la minima paura ostacoli molto più consistenti. E . . . miracolo, potenza dell'imitazione e della totale fiducia, anche Ramona saltò e risaltò e sempre più su ad ogni mio oplà. fermandosi solo quando non msistevo più, quasi delusa perché quello per lei costituiva un lavoro, e i pastori tedeschi amano lavorare, rendersi utili, accontentare in ogni occasione il padrone.
Differente era il comportamento di Gimmy, gli occhi grandi, intelligenti, umani, sembrava disapprovare tutto quel saltare a vuoto, senza uno scopo e si rifiutava di ubbidire a quegli, per lui, insulsi oplà; ma lo faceva con naturalezza e coraggio quando per seguirmi doveva far salti alti anche più di un metro e su un terreno scivoloso e meno sicuro del pavimento di gomnìa o di moquette.
Caratteri diversi: allegro, ciancioso, festaiolo, guardiano vigile, addirittura sconsiderato il dalmata che si lanciava senza timore, senza preventiva valutazione contro la fonte del più impercettibile rumore di notte o di giorno, da solo o in compagnia; attenta, riservata, misuratrice Ramona, tutta dedita alla difesa dei padroni e di Gimmy, e quando c'era un ospite in casa o allo studio s'accucciava pronta allo scatto, all'azione immediata ad ogni minimo gesto che, secondo il suo cervello, poteva costituire un pericolo sia pur minima per i suoi protetti. Anche quando le esigenze corporali si facevano impellenti, il comportamento dei due compari era diverso. Qualsiasi posto del terrazzo o della strada era buono per Gimmy; sempre il solito nell'angolo più nascosto e che meno poteva dar fastidio, per Ramona. Pari invece era l'entusiasmo quando all'una s'infilavano con me in ascensore per ritornare a casa a mangiare e, nel breve tragitto e nell'angusta cabina, musi, gambe e code bianche, nere e grigiastre mi giravano intorno e mi urtavano in un'ansia a stento controllata. Ma, non appena la porta di casa si spalancava, Gimmy partiva a razzo verso la stanzetta e il terrazzino dove le scodelle colme li attendevano, mentre Ramona si fermava prima a salutare chi apriva, scodinzolando e guaendo di felicità ed impiegava il doppio del tempo per consumare il cibo, ringhiando al fratello e compiendo attacchi dimostrativi contro di lui nel timore che s'impadronisse anche della sua razione, più abbondante, ma poi, quando vedeva il fondo del contenitore in plastica, lo lasciava, quasi con noncuranza o per un atto generoso, al compagno che ripuliva e lucidava meticolosamente anche quello dopo aver reso già splendente il suo.
Era ormai divenuta una cagnona, Ramona: il corpo senza difetti, compatto, robusto seppur non muscoloso quanto quello di Gimmy, il manto lucido, perfetto, le focature più grandi e meno tenui, la coda lunga e folta di pelo, il muso allungato, gli arti diritti dalle ossa massicce, i piedi grossi arrotondati, ben chiusi ed aveva superato in altezza al garrese ogni vaso del terrazzo e Gimmy, raggiungendo una misura record per una femmina di pastore tedesco. La sua mole, la sua aggressività d'impareggiabile guardia del corpo ci costringevano, io allo studio e mia moglie a casa, a tenerla chiusa quando c'era qualche visita non abituale, mentre Gimmy gioiva nel poter essere presente a raccogliere carezze e complimenti ai quali, vanitosissimo, tendeva allo spasmo il corpo da campione assumendo posizioni scultoree e rispondendo con immediatezza insolita quando lo si chiamava " bello ". Ma anche lui era grande difensore dei padroni e guai se un malintenzionato avesse attentato alla nostra incolumità e a quella della sua compagna. Quando partiva all'attacco - e non avveniva se proprio non era necessario e giustificato - non c'era più nessuno che potesse fermarlo. al contrario di Ramona che preventivamente abbaiava e ringhiava ed era pronta all'alt lanciatole tempestivamente da me o da mia moglie per poi rimanere in posizione d'attacco e infine, terminata l'emergenza, per bearsi all'appellativo di " brava ".
Una strana coppia davvero, il grande dalmata e la possente lupa, nei quali col tempo stava avvenendo una specie di osmosi caratteriale, assimilando ognuno dei due pregi e difetti della razza, o meglio del rispettivo inseparabile idolatrato compagno.
Presto costituirono una vera e propria attrazione per i passanti di via Cimarosa o per gli habitués del parco, ed i bambini impazzivano per loro quando s 'affacciavano fra corse ed abbaiate furiose, dimenar di coda violenti, le teste tanto diverse infilate, protese verso l'esterno fra il passamano in plastica e l'ultimo tratto in ferro della ringhiera della balconata.
La sera prima di salutarli - ormai dormivano allo studio del tutto affidato alla loro abnegazione e coraggio- sfregavamo con forza le teste, spesso accomunate, percorrendo con le mani i lati dal pelo morbido, vellutato del capo e i loro occhi assumevano uno sguardo sognante, pieno di gioia e d'affetto, di dedizione e felicità assolute.
(SEGUE nella II parte del libro)
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