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| L' Arte pittorica in sintesi schematica | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 12:37 pm | |
| Il primo libro di Bruno Cotronei è stato il saggio:L'ARTE MODERNA IN SINTESI SCHEMATICA Ed ecco alcuni stralci critici: ENTE NAZIONALE QUADRIENNALE D’ARTE DI ROMA. IL SEGRETARIO GENERALE, prof. Fortunato Bellonzi. «Caro Cotronei, ho letto con piacere ed interesse il bel libro “L'arte moderna in sintesi schematica” che, come opportunamente rivela il suo titolo, è un agilissimo strumento di consultazione e di divulgazione per quanti vogliano accostarsi al complicato labirinto delle definizioni e dei movimenti a catena. Credo che si tratti di un lavoro meritorio al quale auguro ogni successo...>> R.A.I. RADIOTELEVISIONE ITALIANA, MILANO. Guglielmo Zucconi. «Gentile dottor Cotronei la informo di aver presentato nella rubrica “Tuttilibri”, in onda sulla 1^ rete, il suo pregevole volume “L'arte moderna in sintesi schematica.”». PAESE SERA, ROMA. Eleonora Puntillo. « Un volume di duecento pagine, pieno di tavole, schede informative, dati e capitoli brevi e leggibili permette di districarsi agevolmente nel groviglio di movimenti artistici degli ultimi cento anni dove difficilmente si muovono collezionisti, amatori e studiosi e spesso non osa avventurarsi chi non appartiene a tali categorie... Un volume il cui contenuto man tiene ciò che il titolo promette e quello che, in tema di sistematicità e chiarezza, ci si attende da uno come Cotronei che viene dagli studi di ingegneria. Con estrema chiarezza il libro fa comprendere quello che è accaduto in un periodo che ha visto, in parallelo con una grande evoluzione tecnologica, l’altra grande evoluzione nel campo delle arti visive...». IL MATTINO, NAPOLI. MV. «Gli ISMI dell’arte moderna e contemporanea, si sa, spaventano tutti quanti si avvicinano all’arte del nostro secolo... Il volume di Bruno Cotronei è un tentativo di creare un rapido e facile rapporto tra pubblico, studenti, giovani curiosi e l’arte... Un libro utile per chi non vuole perdersi nelle speculazioni della critica. Rispettando questa impostazione, Cotronei ha dedicato l’intera terza parte al mercato dell’arte. Un argomento complesso che per la prima volta appare in maniera divulgativa». IL ROMA, NAPOLI. Elio Bruno. «La divulgazione in Italia incontra molto successo. Di questa propensione di mercato si sono avvantaggiate sia l’arte che la scienza. Si potrebbero addurre numerosi esempi, che dimostrano come le austere forme della meditazione, della ricerca e della creatività estetica siano agevolmente riconducibili nei moduli pieni della divulgazione. In questo prospetto s’inquadra il recentissimo volume di Bruno Cotronei nel quale l’autore, napoletano e direttore di un centro d’arte,offre una visione sintetica, rapida della pittura dell’800 fino ai nostri giorni, passando in rassegna, attraverso brevi note biografiche, artisti, quali pittori e scultori, ed esponendo i concetti fondamentali di varie poetiche dell’arte moderna, come l’impressionismo, il dadaismo, la pittura metafisica ed il surrealismo, fino (esemplifichiamo, perché l’elencazione sarebbe lunga) all’informale ed al movimento spaziale. Lo scopo di Cotronei, peraltro raggiunto, era quello, come dice il titolo del libro, di fornire concetti schematici, attinenti tanto all’arte nei confronti del ciclo classico e romantico, la cui teorizzazione dette vita ad una vera e propria estetica o filosofia dell’arte. Ed è appunto nella contrapposizione fra antico e moderno che si è creata una dicotomia in sede dottrinaria e speculativa... In conclusione diremo che il libro, oltre ai meriti divulgativi, presenta anche il carattere di facile consultazione, approntando cifre di orientamento e di scelta a chi voglia muoversi nei complicati meandri della pittura contemporanea ancora soggetta a giudizi interessati, a catalogazioni di maniera». IL CORRIERE DELLA SERA, MILANO. Guido Marè. «È un libro di cui c’era bisogno. È un libro chiaro, tanto chiaro e schematico da infastidire la maggior parte dei “di professione critico d’arte”. Un libro d’arte scritto da un ingegnere, da una persona, mi pare di capire, che l’arte la vive come necessità culturale più che come professione. E ciò è molto importante perché l’uomo ideale, io credo, dovrebbe essere contemporaneamente “operaio” (cioè produttore di beni) e “artista” (cioè creatore di genialità)... Ritengo l’opera decisamente meritoria in quanto è questo uno dei metodi più sicuri per sfrondare il campo artistico dai “fasulli” e combattere il sottobosco artistico ed i suoi innumerevoli imbrogli mercantili. Bella persino la prefazione (che di solito sono ovvie e noiose) là dove dice che “gli artisti non debbono essere confusi con gli artigiani del pennello", ed ha ragione... Bene anche l’ultima parte dedicata al mercato dell’arte, dalle origini ai nostri giorni, e alla funzione delle gallerie d’arte private... Condivido, infine, anche l’opinione espressa nella presentazione circa l’opportunità che il volume venga adottato in alcune scuole, e ciò grazie alla chiarezza e alla sua imparzialità». LA STAMPA, TORINO. <<...Il volume analizza i movimenti artistici che vanno dall’Impressionismo all’Astrazione Analitica integrandoli con alcune note esplica tive sulle tematiche dei maggiori artisti. La terza parte tratta i problemi del mercato dell’arte dall’origine ai nostri giorni». ANNABELLA, MILANO. Laura B. Piccoli. «Chi frequenta gallerie e mostre d’arte moderna ma confessa di capirci poco, trova nel volume di Bruno Cotronei un panorama schematico ma chiaro e completo di tutti movimenti artistici susseguitisi nel mondo occidentale dall’800 ad oggi, presentati nella loro realtà storica, nelle motivazioni ideologiche, e attraverso le figure degli artisti più rappresentativi di ciascun movimento, a loro volta presentati con brevi note biografiche e critiche e con molte riproduzioni delle loro opere più significative. L’autore tende a sottolineare che questo libro, scritto in linguaggio semplice evitando intenzionalmente i termini difficili che rendono spesso incomprensibili le presentazioni dei pittori sui cataloghi delle mostre, intende rivolgersi a coloro che non hanno compreso i volumi più impegnativi e tuttavia vorrebbero avvicinare l’arte moderna con un minimo di competenza indispensabile per capirla..>> INDICE GENERALE DELL'ARTE PITTORICA INDICE GENERALE PARTE PRIMA Dal 40000 a. C. al 400 d.C. Schema della prima parte................................................................................. 6 I - Arte Pittorica............................................................................................................. 7 II - Arte Antica................................................................................................................. 9 III - Arte Classica .............................................................................................................. 11 PARTE SECONDA Dal 280 al 1400 Schema della seconda parte................................................................................ 16 I - Pittura Paleocristiana e Pittura Bizantina................................................... 17 II - Pittura Romanica .................................................................................................. 19 III - Pittura Gotica............................................................................................................ 21 IV - Cimabue e Duccio di Boninsegna.................................................................. 24 V - Ciotto, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti...................... 26 PARTE TERZA Dal 1426 al 1550 Schema della terza e quarta parte..................................................................... 30 I - La Pittura Rinascimentale................................................................................... 31 II - Masaccio e il Beato Angelico.............................................................................. 34 III - Andrea del Castagno, Paolo Uccello e Filippo Lippi............................. 36 IV - Piero della Francesca, Jan Van Eyck, Antonello da Messina e Ro- gier Van Der Weyden............................................................................................. 38 V - Luca Signorelli, Molozzo da Forlì e il Perugino....................................... 41 VI - Giovanni Bellini, il Ghirlandaio, Andrea Mantegna e Sandro Bot- ticelli............................................................................................................................... 43 VII - Leonardo...................................................................................................................... 45
Vili - Michelangelo ............................................................................................................. 47 IX - Raffaello ...................................................................................................................... 49 X - Durer, Altdolfer, Correggio, Giorgione e Tiziano.................................. 51 PARTE QUARTA Dal 1550 al 1850 I - Pittura Manieristica................................................................................................ 57 II - Pittura Barocca......................................................................................................... 53 III - Caravaggio .................................................................................................................. 60 IV - Rubens, Pietro da Cortona, Luca Giordano, Van Dyck, Nicolas Poussin, Pellegrini e Tiepolo............................................................................ 62 V - Velazquez, de Ribera, Rembrandt, Terbrugghen e Goya.................... 64 VI - Pittura Neoclassica ................................................................................................. 67 VII - Pittura Romantica................................................................................................... 69 PARTE QUINTA Dal 1850 al 1940 Schema della quinta parte.................................................................................... 72 I - Arte Moderna ............................................................................................................ 73 II - Impressionismo......................................................................................................... 74 III - Postimpressionismo ............................................................................................... 75 IV - Neoimpressionismo, Simbolismo e Espressionismo.............................. 78 V - Cubismo e Futurismo............................................................................................. 80 VI - DerBIaue Reiter e Astrattismo.......................................................................... 82 VII - Dada e Pittura Metafisica.................................................................................... 84 Vili - Surrealismo e Concretismo................................................................................ 86 IX - L'Arte fra le due grandi guerre.......................................................................... 88 X - L'Arte in Italia fra le due guerre (Valori Plastici, Novecento, Scuola Romana, Chiarismo e Corrente)....................................................... 89 XI - Monet, Pissarro e Renoir..................................................................................... 91 XII - Redon, Moreau, Munch, Matisse, Kirchner, Nolde, Kokoschka e Permeke........................................................................................................................ 93 XIII - Picasso, Braque, Leger e Delaunay................................................................. 96 XIV - Boccioni, Balla, Carrà, Severini e Sironi...................................................... 99 XV - Kandinskij, Klee, Mondrian, Van Doesburg, Malevig, Tatlin e Moholy-Nagy........................................................................................................... 102 XVI - Picabia, Duchamp, Man Ray e Ernst............................................................. 105 < XVII - De Chirico e Morandi............................................................................................ 107 XVIII - Mirò. Dali, Magritte e Chagall.......................................................................... 109 XIX - Campigli, Soffici, Scipione, Cassinari, Guttuso, Merlotti, Sassu, Modigliani, Soutine e Sutherland.................................................................... 111
PARTE SESTA Dal 1945 al 1970 Schema della sesta parte....................................................................................... 116 I - L'Arte secondo dopoguerra ............................................................................... 117 II - Informale e Action Painting............................................................................... 119 III - New Dada, Pop Art, Arte cinetica e visuale................................................ 121 IV - Arte dei nostri tempi............................................................................................... 123 V - Minimalismo, Land Art, Anti Form e Arte Povera................................ 125 VI - Arte concettuale e Arte di comportamento................................................. 127 VII - Iperrealismo e Astrazione analitica................................................................. 128 Vili - Magnelli, Munari, Lam, Matta, Licini e Bacon........................................ 130 IX - Dubuffet, Burri, Hartung, Capogrossi, Pollock, De Koonong e Motherwell.................................................................................................................. 132 X - Rauschenberg, Johns, Christo, Baj, Del Pezzo, Rosenquist, 01- denburg e Warhol................................................................................................ XI - Fontana, Gallizio e Manzoni.............................................................................. 138 Bibliografia................................................................................................................. 141 Indice delle illustrazioni....................................................................................... 143 Indice dei nomi.......................................................................................................... 147 Indice generale........................................................................................................... 153 i
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 12:40 pm | |
| Anni dopo, Cotronei riprendeva l'argomento e lo completava scrivendo: L'ARTE PITTORICA IN SINTESI SCHEMATICA COPERTINA: IV DI COPERTINA: (DA METTERE ALL'INIZIO DEL TESTO DEL LIBRO:) ARTE PITTORICA Ogni attività che produca e agisca sulla base di regole e conoscenze tecni- che particolari e con l'aiuto della genialità, del gusto e della fantasia personali, viene definita ARTE. Essa è, più propriamente, ciò che l'uomo crea per esprimere i suoi sentimenti, la sua ideologia, la realtà che lo circonda, in opere esteticamente valide. Per secoli il termine ARTE indicò qualsiasi attività, in prevalenza manuale, che si esercitava con perizia, ma anche l'insieme di cognizioni teoriche e pratiche necessario per l'eccellente esercizio di ogni singola attività. L'apprendista di ogni ARTE presentava un proprio lavoro per essere ammesso tra i mèmbri di una corporazione e anche grandi creatori non si staccarono mai dalla corporazione artigiana o manuale della quale facevano parte. ARTE era quindi l'abilità in un mestiere. Con il progredire dell'ARTE, dei veri e propri baratri vennero a formarsi tra, ad esempio, il migliore dei muratori e il Brunelleschi. Dal normale artigiano s'incominciò a distinguere l'ARTEFICE, owerosia colui che esercitava un'arte con lavoro non servile. Nacque di conseguenza, nell'Uma- nesimo, il concetto di ARTISTA quale artefice che crea. Al di sopra delle differenziazioni dei mezzi espressivi, l'ARTE viene intesa come attività dello spirito che non si può piegare a qualsiasi altra e nasce dall'intuizione: essa comprende tutte le creazioni dove vi sia la sintesi inscindibile di intuizione ed espressione ed è ARTE non solo quella che si realizza nelle forme visibili come pittura, scultura, architettura, ma anche ciò che, con intuizione ed espressione, si serve della parola e del suono. L'aggettivo PITTORICO significa ciò che è relativo alla pittura che, a sua volta, è il rappresentare qualche cosa per mezzo di linee e colori. Come la musica, la poesia e tutte le arti, anche la PITTURA si serve di un linguaggio che si evolve secondo certe regole nel corso dei secoli, e il credere di poter capire spontaneamente opere d'arte del passato è indice di ignoranza o addirittura di presunzione. Gli studiosi contemporanei sono convinti che in ogni nuova epoca storica non solo i soggetti tradizionali sono visti e rappresen- tati in modo diverso, ma diversa è la scelta dei soggetti da rappresentare. Così attraverso gli anni il significato fondamentale del messaggio trasmesso dal- l'artista si trasforma non solo nella forma, ma anche nel contenuto. La definizione di pittura come linguaggio è valida per tutta la sua lunga storia. Le parole di quel linguaggio sono, in gran parte, preesistenti, ma il fatto fondamentale è il come una parola viene usata; è il significato che assume insieme ad altre parole: esse rappresentano ciò che il pittore sente e pensa e vuole comunicare ai suoi simili. Ecco perché la pittura è un grande strumento sociale non solo quando gran parte degli uomini non sapeva ne leggere ne scrivere, ma anche nella contemporaneità perché il linguaggio pittorico non conosce frontiere nazionali come, a volte, avviene nella letteratura.
II ARTE ANTICA Per arte antica intendiamo quelle pitture che furono realizzate nel pe- riodo Preistorico, nell'antico Egitto, nell'antico Medio Oriente e nella civiltà minoica e micenea. Sarebbe quantomeno presuntuoso e comunque fuori tema in un volume come questo che si propone intenti semplificativi, cercare di scendere in particolari o sottili distinzioni. Basti quindi al lettore conoscere che per la pittura Preistorica ci si basa su ritrovamenti che permettono agli studiosi di suddividerla in quattro diverse zone: la franco catambrica, la Spagna orientale, il Sahara e l'Africa meridionale. Essa risale, per la franco catambrica, probabilmente al Paleolitico supe- riore (40000 a.C.), mentre per la Spagna orientale, inizia nel Paleolitico supe- riore e continua attraverso il Mesolitico (12000/7000 a.C.) fino al Neolitico e continua fino all'alba dell'era cristiana, mentre per l'Africa meridionale po- chissimo si sa; si suppone che abbia avuto inizio nel Paleolitico superiore, ma che continuasse in epoche posteriori ad opera dei Boscimani. Sono pitture rupestri dove predominano le immagini di animali in una società dove l'animale selvatico, oggetto di caccia, aveva un'importanza fondamentale. Ciò vale per la zona franco catambrica (foto 1) e per quella dell'Africa meridionale, mentre nella Spagna orientale compaiono, in eguai numero, immagini di uomini e di animali in scene di caccia, ma anche di guerra e di danza. La tecnica usata va dal disegno realizzato con la punta di un dito sulla morbida argilla (grotta di Gargas in Francia) al graffito, alla pittura a tocchi (grotte di Altamira e di Lascaux). Spesso queste pitture rupestri sono di un'eccezionale bellezza formale con l'uso d'uno o più colori ed indubbiamente hanno un significato magico nell'intento o di propiziare una profìcua caccia — fondamentale per la sopravvivenza — o una sempre maggiore abbondanza di selvaggina. La Pittura dell'antico Egitto dura circa 4000 anni conservando un'unità stilistica che si spiega con l'isolamento geografico (deserto, monti e mari ' intorno ^lla valle del Nilo) e con la grande stabilità dovuta alle solide istituzioni religiose e politiche, con sacerdoti e Faraoni assoluti protagonisti. È una pittura parietale con tecniche assai lontane dall'affresco comune- mente da noi inteso ed ha analogie con la tecnica del guazzo usata in Francia nel 1700. Ha uno stile puramente lineare completamente indifferente alla prospettiva, allo spazio e all'ombreggiatura. Il pittore, con l'approvazione e forse la richiesta del Faraone o dei suoi funzionari, rappresenta i soggetti nella loro realtà oggettiva e i personaggi o l'oggetto è raffigurato o tutto di profilo o tutto di fronte. Ma lo squisito senso artistico del colore e della linea offrono un considerevole fascino estetico. Ricordiamo: Ritratto di Neferti-abet (foto 2), lastra di calcare dipinta intorno al 2500 a.C., dove davanti alla defunta principessa ci sono offerte di cibo raffigurate nell'opera in modo da sostituire quelle reali che si colloca- vano nella tomba; nel Sacrifìcio di un toro, pittura murale eseguita intorno al 2200 a.C., c'è un sarcofago dipinto in giallo e sotto un toro bianco pezzato di nero rovesciato sul dorso e due servi, vi sono anche pittogrammi che fanno appello alla buona volontà del dio-sciacallo; II giudizio del morto (psicostasi) è un'illustrazione del Libro dei Morti di Hunefer ed è una tempera su papiro eseguita intorno all'800 a.C. e raffigura un giudizio delle anime con giudici e il defunto che pronuncia parole, dipinte in geroglifici, che gli fanno superare la prova per entrare in paradiso. Per la pittura dell'antico Medio Oriente, intendiamo quella che si sviluppa fra popoli ed epoche diverse nel vasto territorio fra il IV millennio e il VI secolo a.C. Dai Sumeri ai Babilonesi ai Persiani ai Frigi. La civiltà creata dai Sumeri, che inventarono la scrittura a caratteri cuneiformi, esercita un influsso notevole in tutta la vasta area e ciò giustifica in parte il raggruppamento che, per rapidità e semplificazione, facciamo. Nella pittura i Sumeri furono iniziatori di tradizioni artistiche e tecniche quali il mosaico, Y intarsio, la ceramica dipinta, le piastrelle smaltate, lo stile lineare e la gamma dei colori della pittura murale. La pittura minoica e micenea fiorisce a partire dal 2500 a.C. a Creta, nella Grecia continentale e nelle isole e costituisce il fenomeno più eclatante e stili- sticamente qualificato nella cultura preistorica; e con il suo carattere originale e definito rispetto alle altre civiltà dell'Asia minore può considerarsi introdut- tiva all'arte figurativa greca. Nel periodo minoico, durato fino a circa il 1400 a.C., la pittura parietale è ricca di colori e di liberà di scelta dei soggetti. Ma motivo principale di ispi- razione è la natura che viene raffigurata con vivacità e freschezza. Vi sono però anche soggetti con figure umane (danzatrici e sacerdoti) abbigliate con ricchezza. La fase micenea si fa luce quando i centri minoici vengono distrutti (fine del XV secolo a.C.) e il dominio dell'Egeo passa ai regni (Micene e Tirinto) e ' dura fino a circa il 1100 a.C. La pittura si rifa a quella minoica con, forse, una maggiore monumentalità. Ricordiamo il fregio raffigurante una proces- sione di donne e quello della caccia al cinghiale. mente da noi inteso ed ha analogie con la tecnica del guazzo usata in Francia nel 1700. Ha uno stile puramente lineare completamente indifferente alla prospettiva, allo spazio e all'ombreggiatura. Il pittore, con l'approvazione e forse la richiesta del Faraone o dei suoi funzionari, rappresenta i soggetti nella loro realtà oggettiva e i personaggi o l'oggetto è raffigurato o tutto di profilo o tutto di fronte. Ma lo squisito senso artistico del colore e della linea offrono un considerevole fascino estetico. Ricordiamo: Ritratto di Nefertì-abet (foto 2), lastra di calcare dipinta intorno al 2500 a.C., dove davanti alla defunta principessa ci sono offerte di cibo raffigurate nell'opera in modo da sostituire quelle reali che si colloca- vano nella tomba; nel Sacrifìcio di un toro, pittura murale eseguita intorno al 2200 a.C., c'è un sarcofago dipinto in giallo e sotto un toro bianco pezzato di nero rovesciato sul dorso e due servi, vi sono anche pittogrammi che fanno appello alla buona volontà del dio-sciacallo; II giudizio del morto (psicostasi) è un'illustrazione del Libro dei Morti di Hunefer ed è una tempera su papiro eseguita intorno all'800 a.C. e raffigura un giudizio delle anime con giudici e il defunto che pronuncia parole, dipinte in geroglifici, che gli fanno superare la prova per entrare in paradiso. Per la pittura dell'antico Medio Oriente, intendiamo quella che si sviluppa fra popoli ed epoche diverse nel vasto territorio fra il IV millennio e il VI secolo a.C. Dai Sumeri ai Babilonesi ai Persiani ai Frigi. La civiltà creata dai Sumeri, che inventarono la scrittura a caratteri cuneiformi, esercita un influsso notevole in tutta la vasta area e ciò giustifica in parte il raggruppamento che, per rapidità e semplificazione, facciamo. Nella pittura i Sumeri furono iniziatori di tradizioni artistiche e tecniche quali il mosaico, V'intarsio, la ceramica dipinta, ^piastrelle smaltate, lo stile lineare e la gamma dei colori della pittura murale. La pittura minoica e micenea fiorisce a partire dal 2500 a.C. a Creta, nella Grecia continentale e nelle isole e costituisce il fenomeno più eclatante e stili- sticamente qualificato nella cultura preistorica; e con il suo carattere originale e definito rispetto alle altre civiltà dell'Asia minore può considerarsi introdut- tiva all'arte figurativa greca. Nel periodo minoico, durato fino a circa il 1400 a.C., la pittura parietale è ricca di colori e di liberà di scelta dei soggetti. Ma motivo principale di ispi- razione è la natura che viene raffigurata con vivacità e freschezza. Vi sono però anche soggetti con figure umane (danzatrici e sacerdoti) abbigliate con ricchezza. La fase micenea si fa luce quando i centri minoici vengono distrutti (fine del XV secolo a.C.) e il dominio dell'Egeo passa ai regni (Micene e Tirinto) e ' dura fino a circa il 1100 a.C. La pittura si rifa a quella minoica con, forse, una maggiore monumentalità. Ricordiamo il fregio raffigurante una proces- sione di donne e quello della caccia al cinghiale.
Ultima modifica di Bruno il Mar Gen 22, 2013 1:03 pm - modificato 5 volte. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 12:49 pm | |
| III ARTE CLASSICA Per arte classica intendiamo le pitture che furono realizzate sotto il nome di: Pittura greca, Pittura etnisca e Pittura romana. In esse si raggiunge, anche se in tempi e fasi differenti, la conquista della «classicità», ovverossia l'equilibrio tra resa naturalistica e trasfigurazione ideale. In sostanza è considerato classico ciò che è degno di porsi come modello per il grado di perfezione raggiunto e, nella pittura, il classico è caratterizzato da costanti come: la ricerca di ordine, proporzione, simmetria, la tendenza all'oggettività, alla funzione didascalica, alla nobiltà ed eleva- tezza dei contenuti. La Pittura greca, come tutta l'arte greca, è l'espressione di un'alta civiltà. Si localizza nella parte meridionale dei Balcani, nelle isole dello Ionio e dell'Egeo e lungo le coste mediterranee dell'Asia Minore: si diffonde per quasi tutto il bacino del Mediterraneo e le rive del Mar Nero, mantenendo una fondamentale unità nei suoi caratteri essenziali. Purtroppo la nostra conoscenza della parte forse migliore della Pittura greca, quella eseguita su tavola e su pareti, deriva quasi totalmente da fonti letterarie e dai suoi riflessi nelle pitture delle tombe etrusche, nelle decora- zioni parietali di età romana e nelle riproduzioni in mosaici pavimentali. Ma dalla pittura vascolare, giuntaci in abbondanza, possiamo trarre molte indicazioni di quello che doveva essere la pittura su grandi dimensioni. Nel IX secolo a.C. si sviluppa la produzione detta «geometrica» nella quale si matura l'organicità delle forme in una sintassi rigorosa ed essenzial- mente astratta. All'inizio delI'VIII secolo ad Atene incomincia ad apparire la figura nel modo più semplice che si avvale di forme geometriche sovrapposte. Le decorazioni su enormi vasi destinati alle tombe, ricordano la cerimonia funebre o scene di battaglia alle quali aveva partecipato il defunto. Poi, con gradualità, la figura umana prende il sopravvento insieme a quella animale contornata da motivi vegetali di chiaro influsso orientale. Questa produzione è detta « orientalizzante » ed ha i suoi centri in Corinto, Rodi, Atene e Sparta. ' Tali motivi orientalizzanti inquinano il geometrismo precedente. Nel VII secolo a.C. nella ceramica, che nei soggetti è da ritenere derivazione di opere pittoriche, accoglie complesse figurazioni mitologiche 11
con divinità ed eroi. Ad Atene i pittori si concentrano sulla rappresentazione umana mentre trascurano la decorazione vegetale: figure nere con incisioni e correzioni in colore che nella loro lucente vernice si evidenziano dal fondo in argilla rossa. Verso il 500 a.C. compaiono i primi vasi a figure rosse e i ceramisti traducono le conquiste della grande pittura contemporanea dei primi pittori di cui ci è giunto il nome: Cimane, Micene e Polignoto. Essi realizzano con grande bravura la rappresentazione dello spazio e la psicologia dei perso- naggi. Nel IV secolo a.C. (diffusione del panellenismo) la Pittura greca vive il suo massimo sviluppo con Zeusi, Parrasio e Apelle e parallelamente il disegno nelle ceramiche diviene sempre più banale e meno curato. In conclusione la Pittura greca è un mirabile esempio di alto equilibrio fra contenuto e forma (essa è la vera pittura classica, di perfezione assoluta, eterna ed universale), sia che si esprima sulle grandi dimensioni, sia in quella vascolare dove l'alto livello artistico, mantenuto per secoli, è un fatto unico in tutta la storia dell'arte. Ricordiamo: Salma esposta in pubblico, particolare di una anfora funeraria àttica in stile geometrico (Vili secolo a.C.) dove è rappresentata l'esposizione in pubblico del morto a cui assistono familiari e amici; Guerrieri che vanno a combattere, particolare del « Vaso Chigi » da Veio (VII secolo a.C.) che è opera del cosiddetto pittore di Macmillan, dove la delicata pittura su un vaso vinario esprime policromia, contorni incisi e disegno lineare di particolari entro le figure: La nascita di Atena, particolare di una tazza attica del vasaio Frino, stile attico a figure nere (VI secolo a.C.), dove è rappresentato il mito della nascita di Atena con il parto del padre Zeus che, aiutato da Efeso, dalla testa, emette la dea completamente armata e dove la scena ha un'esuberanza di gesti tipicamente mediterranea ed è probabilmente umoristica: Preparativi per il bagno (foto 3), interno di una tazza, opera del pittore Duride, uno dei più celebri della pittura vascolare greca (460 a.C.), dove vi è un'eleganza di composizione e di tecnica con due giovani donne nude di belle forme che posano i loro abiti su due sedie: è una notevole rappresentazione di corpi umani che si muovono nello spazio. La Pittura etnisca si mantiene in un rapporto particolare con quella greca. Infatti la civiltà etrusca, che si sviluppa in Italia fra l'VIII e il I secolo a.C., ha sempre rapporti culturali con la Grecia, sia perché gli Etruschi provenivano dall'Asia Minore, sia perché commerciavano attivamente con le città elleniche. • A riprova di ciò basta la considerazione che la maggioranza dei vasi greci conservatisi sono stati ritrovati in Etruria. La Pittura etrusca è considerata dai Greci non «classica», ma quasi «barbara» perché in essa non mancavano anche influssi della civiltà «villanoviana» dell'età del ferro, ramo italiano della cosiddetta civiltà dei campi d'urne diffusa nell'Europa centro-occidentale fra il X e il V secolo a.C. La fusione dell'influenza preistorica e di quella greca si traduce in una grande fioritura della pittura tombale etrusca specialmente a Tarquinia (650/450 a.C.) con tecnica a fresco e ritocchi a tempera sull'intonaco secco con temi riguardanti la vita reale in tutti i suoi aspetti. Quando Roma conquista le città etrusche e determina una interruzione dei rapporti con il mondo greco, la Pittura etrusca decade sensibilmente. Per la Pittura romana bisogna innanzitutto dire che l'austero costume di vita della nuova potenza che va espandendosi ed egemonizzando, dapprima l'Italia e poi il Mediterraneo, non da spazio all'esperienza estetica, ne considera l'esercizio della pittura, arte manuale, degno di un cittadino romano. Ci si accorge però dell'utilità della pittura per celebrare i fasti delle armate romane e quindi, secondo fonti letterarie, la Pittura romana, di chiaro influsso etrusco-italico, incomincia a fiorire verso la fine del III secolo a.C. come «pittura trionfale» che illustra al popolo guerre vittoriose. Nel I secolo a.C. nella Pittura romana si opera un distacco dalle ascendenze precedenti e ci si avvicina direttamente ai modelli greci che vengono assimilati con gradualità, ma con sempre maggiore evidenza, al punto che nei ritrovamenti successivi hanno spesso il dubbio se si tratti di produzione greca o romana e non di rado accertano che si tratta della copia di un dipinto noto come greco. Le testimonianze della Pittura romana a noi giunte, hanno come principale provenienza, le città campane di Pompei, Ercolano e Stabia e risalgono fino al 79 d.C., anno dell'eruzione del Vesuvio. Sono grandi pitture murali che hanno la funzione di decorare gli interni di ville di ricchi romani. Questi, ormai conquistati dalla raffinata produzione di dipinti d'importazione, ne fanno eseguire a profusione facendo ricoprire tutte le pareti d'una stanza o di un intero edificio spesso, se non sempre, con soggetto unitario. Anche a Roma si sono ritrovare preziose documentazioni di Pittura romana che ripetono un modello ellenistico nei soggetti mitologici. Sempre a Roma, nella Domus Aurea di Nerone, opera Fabullo che è uno dei pochi pittori di cui conosciamo il nome, e la decorazione da lui eseguita comprende elementi fantastici e bizzarri. • Là dove la Pittura romana ha qualità specifiche è nella levigatezza dello strato pittorico, raccomandata anche da Plinio e da Vitruvio, mentre la sua differenziazione da quella greca consiste nell'accentuazione realistica che si limita però ad un appesantimento dell'immagine che viene intensificata per dare l'illusione del vero. Là dove la Pittura romana si diffonde in buona parte delle provincie dell'Impero fondendosi con le esuberanti tendenze artistiche delle «pro- vincie». Ricordiamo: Nozze Aldobrandini (foto 4), pittura parietale di una casa romana sull'Esquilino (fine del I secolo a.C.); Perseo e Andromeda, pittura murale della casa dei Dioscuri in Pompei (65 d.C.) dove con un gesto elegante una fanciulla rassetta le pieghe della sua veste accanto ad un bei giovane; Flagellante e danzatrici, e Scena di divinazione, che sono particolari di una pittura murale nella Villa dei Misteri in Pompei (50 a.C.) dove il significato simbolico riguarda l'iniziazione di una sposa ai misteri dionisiaci; Veduta di un porto, pittura murale da Stabia (circa 70 d.C.) dove, nonostante il piccolo formato, si distinguono molti dettagliati particolari e lo stile si distacca da modelli greci ed è interamente romano. k
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 12:55 pm | |
| PITTURA PALEOCRISTIANA E PITTURA BIZANTINA Per medioevo s'intende quel periodo storico compreso fra la fine dell'età antica (476 d.C., caduta dell'impero romano d'occidente) e l'inizio dell'età moderna (1492, scoperta dell'America). Esso si distingue in due sottope- riodi: l'alto medioevo (dal V al X secolo) e il basso medioevo (XI-XV se- colo). Naturalmente per l'arte ed in particolare la pittura le date ed i termini non sono così coincidenti. Più propriamente il medioevo pittorico va dalla nascita delle prime forme artistiche del mondo cristiano (fine del III secolo d.C.) al Rinascimento (all'incirca 1450 d.C.). La Pittura paleocristiana si colloca nell'orbita della Roma imperiale e le forme usate sono quelle della pittura della tarda antichità. Essa si estende nei territori dell'Impero, ma il suo centro più vivo rimane Roma. La Pittura paleocristiana nasce nella clandestinità delle catacombe dove le pareti sono dipinte con colori chiari e luminosi con una tecnica che si avvicina a quella di alcuni affreschi pompeiani. È ancora una pittura pagana, ma con significati diversi. Le iscrizioni tombali sono accompagnate da simboli visivi come figure convenzionali in atteggiamento di preghiera. Vi sono il Buon Pastore, la Madonna ed il Bambino e solo più tardi determinati santi, le Sacre Scritture e le gesta eroiche dei fedeli. Quando l'imperatore Costantino proclama il cristianesimo nuova reli- gione di Stato (313 d.C.), la Pittura paleocristiana esprime la volontà imperiale che desiderava la conversione universale alterando quanto meno possibile le istituzioni vigenti. Si comprende allora perché, usciti dalle catacombe, i pittori paleocristiani, a Roma come a Salonicco, raffigurino i Romani nel solito aspetto esteriore. In sostanza la Pittura paleocristiana non cerca tecniche illusionistiche, ne produce grandi innovazioni, ma diventa un codice convenzionale dai pochi temi essenziali e formule figurative. Ricordiamo: La Vergine e il Bambino, affresco nelle Catacombe di Priscilla in Roma (III secolo) dove si da forma materiale al divino: rappresenta la Vergine con il Bambino, ma sembra che il significato simbolico sia la Chiesa madre del fedele; Cristo in gloria (foto 5), mosaico in Santa Pudenziana a Roma (V secolo) dove è raffigurato Cristo in trono, circondato dagli Apostoli e dalle figure allegoriche della Legge Nuova e della Vecchia (la Chiesa e la Sinagoga). La Pittura bizantina sorge a Costantinopoli al tempo di Giustiniano (VI secolo) e si sviluppa fino alla conquista della città per mano dei Turchi (1453). Ha le sue radici nella pittura tardoromana (IV secolo) ed ha il suo massimo splendore proprio all'inizio del suo ciclo con una prima ripresa nel IX/X secolo ed una seconda ed ultima intorno al XIII secolo. La Pittura bizantina si esprime in modo stupendo principalmente attra- verso la tecnica del mosaico. Essa, infatti, è estranea agli intenti divulgativi del cristianesimo di Roma, ma mira a produrre effetti di elevazione e di estasi sul fedele. Il mosaico con la sua superficie riflettente alla quale è assoggettata l'illuminazione dell'ambiente, da l'impressione che le figure in esso rappre- sentate siano contornate da un alone mistico di gloria. Nella Pittura bizantina ci sono delle collocazioni precise: il Cristo Pantocratore viene raffigurato nelle cupole, la Vergine nelle absidi, e gli episodi della vita della Madonna, delle immagini dei santi hanno anch'esse sistemazioni stabilite. Secondo molti critici e storici dell'arte la qualità dei mosaici della Pittura bizantina ed anche quelli della Pittura paleocristiana, è elevatissima tale da superare qualsiasi altra a noi nota dell'antichità. Gli artisti adoperano il colore con grande maestria e creano complessi la cui bellezza va molto al di là del messaggio intellettuale. La Pittura greca ha una serena perfezione, i mosaici della Pittura bizantina danno l'immagine più suggestiva possibile di un universo immagi- nario. Essi testimoniano l'alta spiritualità dell'epoca nella quale la teologia è ciò che maggiormente appassiona l'uomo. Ricordiamo: L'imperatrice Teodora (foto 6), mosaico nella basilica di San Vitale in Ravenna (VI secolo), ricchissimo di colore dove l'imperatrice è Collocata sullo stesso piano elevato dei grandi eroi biblici; Sant'Apollinare e la trasfigurazione, mosaico absidale nella basilica di S. Apollinare in Ra- venna, dove l'opera, sia pur valida, incomincia a mostrare i primi sintomi di accademismo.
II PITTURA ROMANICA Per arte romanica s'intende quella dell'Europa occidentale dall'XI ai primi decenni del XIII secolo. Ma per la Pittura romanica i limiti cronologici sono meno rigorosi e si allargano, non di poco, specialmente come presunta data d'inizio. Gli anni dell'alto medioevo, che vanno dal 700 al 1000, sono caratteriz- zati da profonde dicotomie verbali, sociali e di linguaggio figurativo. C'è infatti il bilinguismo verbale costituito dal latino e dai dialetti preromanzi; e due linguaggi figurativi. Il primo è di timbro aristocratico con retroterra sociale aulico, come il bizantino e il carolingio (che si riferisce a Carlo Magno e ai suoi successori — VIII/X secolo — e all'arte carolingia, promossa da quella corte) e può considerarsi continuazione dell'arte classica. Il secondo è invece un linguaggio di impronta popolare (arte preromanica) che prosegue sulla via della tradizione dell'arte provinciale romana. Dopo i secoli di devastazioni barbariche, il bisogno di ripristinare la cultura fu sentito particolarmente ai tempi di Carlo Magno e gli studiosi, rifacendosi a Costantino (apertura al cristianesimo) e non ad Augusto, s'adoprarono per la conservazione e trasmissione ai posteri di tutto lo scibile attraverso testi ed immagini. Così in molti monasteri nacquero gli scriptoria, i laboratori degli amanuensi, e i libri furono arricchiti dalle miniature, spesso splendide manifestazioni dell'arte pittorica nonostante le piccolissime di- mensioni. Quando molti monaci occidentali si uniscono agli sforzi di laici politica- mente attivi, avviene la rinascita della città e nelle chiese-cattedrali (dal X secolo in poi) una pittura popolare fiorisce sulle pareti per proclamare agli occhi di tutti la dottrina della fede. Accanto ai temi sacri vi sono però motivi allegorici, simbolici, memorie classiche trasformate dalla tradizione leggen- daria, favole e proverbi. Gli affreschi, quindi, con figure piatte, tinte opache, compatte, utilizzano l'immagine per impersonarvi le credenze fondamentali del popolo. La Pittura romanica si diffonde in un arco molto ampio che va dalla Spagna alla Polonia e dall'Italia alla Gran Bretagna. Ricordiamo: Presentazione del Libro all'imperatore Carlo il Calvo, miniatura dalla Bibbia di Viviano realizzata nell'abbazia di Saint-Martin di Tours (c.ca anno 850), dove l'imperatore è raffigurato come qualcosa di più del semplice potere secolare: vi sono i tré ordini dello stato, nobili, guerrieri e clero, tutti intorno al trono con la mano di Dio che legittima il sistema sociale carolingio non più basato soltanto sull'autorità sacra; il Profeta Geremia, affresco della chiesa di San Vincenzo in Galliano-Como (1007), dove vi è un buon esempio dei nuovi valori che si vanno affermando; Adamo fra gli ammali del Paradiso terrestre (foto 7), particolare di un affresco in Feren- tillo. San Pietro in Valle (c.ca 1190): è una pittura ancora colta, ma rivolta a popolarizzare i suoi contenuti stimolando la fantasia dei fedeli.
III PITTURA GOTICA Per Pittura gotica s'intende quella che va dalla fine della Pittura romanica all'inizio del Rinascimento. Nell'Europa del Nord copre un arco di tempo che va dalla seconda metà del XII secolo all'inizio del XVI secolo, mentre in Italia è compresa tra gli albori del XIII e i primi decenni del XV secolo. Quando il declino dell'Impero d'Oriente si fa più evidente ed incomin- ciano a formarsi culture nazionali nel mondo neolatino, nasce la cultura artistica gotica. Il suo centro è la Francia, ma presto l'arte gotica si sviluppa anche in Italia e in Germania. Con l'arte romanica abbiamo visto presentarsi dei fermenti nuovi che con l'antico hanno rappresentato una specie di dicotomia di linguaggio. Ebbene l'arte gotica riunisce tali fermenti e li organizza a sistema. La filosofia di San Tommaso che rinuncia al principio platonico dell'i- dea, propone un ritorno alle fonti classiche, al sapere antico rappresentato da Aristotele e da come fondamento, sistema della cultura occidentale, la razionalità d'origine divina che appare nella natura creata e nella storia voluta da Dio e che deve essere principio e modo di vita. Gli ordini religiosi militanti instaurano la loro dottrina dell'esistenza attiva, della salvezza eterna da ottenersi con l'azione e non con la contempla- zione. Accanto ai poteri tradizionali (imperatori, rè e clero) si afferma un altro potere secolare, quello delle classi medie, la borghesia, concentrate nelle città. Nuova è anche la figura dell'artista che non solo deve fare ed ideare, ma deve essere responsabile del significato ideologico dell'opera e mentre, ad esempio, il mosaicista bizantino eseguiva secondo l'ideologia di corte e dei vari poteri costituiti, Giotto esprime la propria ideologia religiosa che entra a far parte e contribuisce in quella dell'epoca. La Pittura gotica è linearistica, predominando in essa gli effetti della linea sia che questa si svolga «in tensione», come suggeritrice di slancio verso l'alto, sia che si sviluppi «ondulata» a definire sentimenti di commo- zione sottile espressi in un'atmosfera di grazia. ' In qualche caso, come in Giotto, il linearismo scompare sotto il serrato gioco pittorico delle masse e si trasforma in palpitante tensione che domina figure e composizioni. Mentre la Pittura romanica aveva avuto le sue origini in una pluralità di centri, la Pittura gotica ha un unico nucleo di nascita che è la Francia del Nord dove c'è la solida struttura monarchica capetingia. Si diffonde velocemente in Inghilterra e lentamente nel meridione francese, in Germania ed in Italia. Il vero e proprio inizio della Pittura gotica avviene con le vetrate di Saint Remi di Reims (fine del XII secolo), e nella prima metà del XIII secolo il nervoso linearismo iniziale si sviluppa nelle forme serenamente classiche delle vetrate di Chartres e di Bourges e giunge, alla metà del secolo, a vette di lirica intensità ed eleganza nelle vetrate di S.te Chapelle in Parigi. Strettamente connessa alla pittura delle vetrate è quella della miniatura francese ed inglese. I primi esemplari gotici si hanno verso il 1208, mentre alla fine del secolo il pittore miniaturista Honoré da consistenza plastica alle figure imitato da Jean de Pucelle che è anche sensibile alle soluzioni spaziali di origine italiana, come Jean de Bruges che verso il 1350 rinnova la pittura in senso naturalistico prevenendo quindi il gotico fiorito. Artisti senesi e francesi affrescano la residenza dei Papi ad Avignone ed altri edifici in Francia. Il più antico dipinto francese su tavola, il ritratto del rè eseguito nel 1360, risente anch'esso di influssi senesi. In Germania invece vetrate e miniature conservano a lungo uno stile tardoromanico, ma un dittico di Giovanni di Valkeburg inserisce verso il 1330 il linearismo gotico su esiti del classicismo bizantino, ottenendo un clima mistico particolare. La pittura murale in Italia assume una grandissima importanza e partecipa in modo personalissimo alla Pittura gotica principalmente con Ciotto (foto , Simone Martini e Pietro e Ambrogio Lorenzetti. Di questi, insieme ad altri pittori, tratteremo più diffusamente in successivi capitoli destinati soltanto alle figure degli artisti più importanti, ma è bene dire subito che GIOTTO è: «un personaggio storico che muta la concezione, i modi, la finalità dell'arte esercitando una profonda influenza sulla cultura del tempo. Non si loda solo la sua perizia nell'arte, ma il suo ingegno inventivo, la sua interpretazione della natura, della storia, della vita. Dante stesso, cosi fiero della propria dignità di letterato, riconosce in Giotto un uguale, la cui posizione, rispetto ai maestri che l'hanno preceduto, è simile alla propria rispetto ai poeti del dolce stil novo» (G.C. Argan). Verso la fine del Trecento e i primi del Quattrocento si diffonde in tutta Europa la corrente pittorica chiamata Gotico internazionale. Anche in Italia essa prevale specialmente nel settentrione dove contrasta ' il passo alle novità rinascimentali provenienti dalla Toscana. Il gotico internazionale è caratterizzato, anche nella miniatura da un gusto ornamentale che è espressione estrema del linearismo gotico e da un naturalismo epidermico fastoso e fiabesco anche nei temi più tradizionali di argomento sacro. In Lombardia primeggia Michelino da Besozzo, pittore e miniatore di squisita eleganza, ed è da ricordare Bonifacio Bembo, a cui, fra l'altro, è attribuita una serie di carte da gioco dette tarocchi, mentre il miniatore Belbello da Pavia mostra ben altra tempra di pittore dal segno goticamente arrovellato e dall'acceso cromatismo. Antonio Pisano detto // Pisanello, lavora presso il Gonzaga, gli Estensi e gli Aragonesi ed è abile disegnatore. Della sua opera pittorica poco ci è giunto e nell'affresco Leggenda di S. Giorgio coglie, in luogo del momento drammatico, quello più sottilmente lirico che precede l'azione del combattimento col drago. Esegue anche alcuni ritratti. L'influsso del pittore veronese si ritrova in molte zone della penisola come a Venezia e a Palermo. In Toscana la pittura tardogotìca risente di meno degli influssi interna- zionali, sia perché è legata alla grande tradizione trecentesca locale, sia perché la nuova civiltà pittorica è alle porte con Masaccio. A Firenze il camaldolese Don Lorenzo Monaco, non dimentico delle sue origini senesi, sviluppa coerentemente il linearismo gotico sottoponendolo peraltro ad una fiammante spiritualità, come dimostra nelle miniature e nelle tavole. Altro pittore di spicco del tardogotico è Masolino da Panicale (1383-dopo il 1435). L'artista, seppure affascinato dalla pittura «cortese», si mantiene più legato alla austera tradizione della religiosità trecentesca. Nella Pietà (affresco del battistero in Empoli) egli si accosta a Masaccio con il quale ha collaborato. Ma per quanto le sue figure abbiano più consistenza plastica di quelle dei tardogotici, e le composizioni, ariose e spaziali, svelino qualche aspirazione prospettica, la sua opera è ancora pregna dell'immaginoso mondo medievale gotico e rinnova, sia pur in modo misurato, incanti da fiaba. Nel Festino di Erode (Battistero di Castiglione Olona) vi è svagatezza e mancanza di interesse drammatico, ma le fantastiche fughe di arcate e un paesaggio dove la luminosità rende tenera ogni tinta, pone Masolino in contrapposizione col cromatismo un po' cupo dei pittori del gotico interna- zionale.
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 12:58 pm | |
| [size=18]IV CIMABUE E DUCCIO DI BONINSEGNA CIMABUE. Il suo nome è Cenni dei Pepi ed è detto Cimabue. Non si conosce ne l'anno della sua nascita, ne quello della sua morte che comunque si suppone avvenga intorno al 1303/4. Di sicuro è a Roma nel 1272 dove entra in contatto con un'arte assai diversa dai suoi modelli che sono quelli della scuole toscana bizantineg- giante. Ciò gli desta il senso della grandezza e della potenza. Mantiene la costruzione del quadro come gliela aveva data la tradizione della sua città, ma ne rende più nobile la forma e cerca la novità nei particolari: la bellezza dei volti, la verità degli atteggiamenti, la profonda umanità nel divino. È considerato il maggior maestro d'ancone (pale d'altare per lo più dipinte, spesso suddivise in riquadri) che è un genere importantissimo come padre del quadro di cavalietto. Il valore estetico e l'importanza storica dell'opera di Cimabue non sono facili da stabilire perché'molti suoi dipinti sono spariti, di altri è incerta l'attribuzione e tutti sono stati alterati dal tempo, dai ritocchi e risultano sbiaditi nel colore. Di sicuro è sua la Maestà di S. Trinità che è conservata agli Uffizi di Firenze. In questa opera egli si contrappone alla fissità delle icone bizantine, che però è ancora avvertibile nei volti e nei gesti, mentre una nuova intensità espressiva appare in particolare negli angeli e nei profeti da lui raffigurati, e un nuovo senso dello spazio e del volume corporeo. In Assisi dipinge affreschi e una Crocifissione nella chiesa superiore e una Madonna con angeli e S. Francesco, nell'inferiore. In queste opere sembra sia stato affiancato da Duccio e dal giovane Giotto di cui la leggenda lo fa maestro. In sostanza Cimabue, al patrimonio della tradizione locale, ha aggiunto le esperienze romane ed è riuscito ad esprimere la sua visione personale entro le vecchie forme. Il suo è un disegno preciso, un colorire unitario nei toni pur con la più ricca tavolozza. DUCCIO DI BONINSEGNA. (Siena 1255 c.ca-1318). Mentre a Firenze si > costituisce per gradi una maniera locale di dipingere che dalla iconografia bizantina giunge all'idealizzazione personale della vivente realtà, a Siena prende corpo un proprio indirizzo pittorico. Nella piccola città toscana non v'è tradizione di mosaico e la pittura comincia su tavola a cui fa seguito l'affresco. Il primo pittore senese è Guido da Siena che nel 1221 dipinge una Madonna in trono dove la forma resta bizantina, ma molto liberamente perché il disegno si ammorbidisce, la rigidezza si attenua, i colori sono vivi, ma dolci. Duccio di Boninsegna porta alla perfezione la maniera creata dai suoi predecessori senesi e dipinge, fra l'altro, la Madonna Rucellai. In quell'an- cóna l'artista dipinge dolci forme e mansueti volti d'angeli e dal volto ovale della Vergine, ancora paludata d'un manto da diaconessa, fa emanare un insolito sorriso aggraziato e di mansuetudine femminile. Nella pala d'altare, la Maestà (1308/11), che è un'ancóna di vaste dimensioni dipinta sulle due faccie, su quella anteriore v'è la Madonna fra schiere di santi e nella posteriore ventisei quadretti colmi di figure, Duccio di Boninsegna inaugura la nuova visuale dell'arte che consiste nel rendere, attraverso i fissi temi del dogma, la visione molteplice e suggestiva della vita, e infonde nella pittura, con la spontaneità ed i balbettii d'un iniziatore, un'anima d'eleganza e di ritmi destinata a durare nei successori. Cimabue e Duccio operano entrambi nell'orbita bizantina, ma Cimabue cerca a modo suo di uscirne, mentre Duccio vuole rimanervi magari apportandovi precocemente ritmo gotico, pur esaltando al massimo lo splendido smalto del colore orientale. •
GIOTTO, SIMONE MARTINI, PIETRO E AMBROGIO LORENZETTI GIOTTO. (Vespìgnano, Vicchio di Mugello 1267/1337). Le sue origini sono incerte: alcuni sostengono che sia figlio di un lavoratore della terra, altri invece di un fiorentino dell'«arte della lana». Sembra che abbia svolto il suo apprendistato presso Cimabue (1280/90). Di sicuro ha conosciuto l'ambiente artistico romano che ruotava intorno a Pietro Cavallini traendone la fonte della sua cultura latina. Probabilmente sempre a Roma viene in contatto con lo scultore pisano, Arnolfo. Ciotto è un vero e proprio innovatore. Nuovi sono in lui la composizione, la forma ed il colore. Al posto della composizione scandita della vecchia scuola dove le scene sacre si dispongono secondo le regole di rigidi schemi, egli pone liberamente le figure nell'ambiente seguendo soltanto la sua intuizione anche geometrica. In Ciotto la forma è volume, modella a larghi piani e la figura umana compare in una sua struttura monumentale dove il panneggio ha la funzione di condurla a fine in masse compatte, squadrate e severe. Ciotto non sparge copiosamente in larghi campi uguali il colore, come nelle acòne medievali, ne lo spezza con tocchi d'alluminio, ma lo stende solido e compatto e affina le immagini e le individua. La luce nelle sue opere è calma e uguale. Gli scrittori del Trecento (Dante, Petrarca, Boccaccio, etc.) hanno un'immediata coscienza della grandezza e fondamentale importanza di Gioito nel più complesso mondo della cultura e ne apprezzano non solo la manuale abilità, ma principalmente il suo ingegno inventivo che, trasfor- mando fondamentalmente il fatto artistico, lo rende personaggio storico. Forse il giudizio più appropriato su Ciotto è stato dato dal pittore e teorico della pittura Cennino Cennini che, alla fine del Trecento, scrive: «Ciotto rimutò l'arte del dipingere di greco (bizantino, nota dell'autore) in latino, e ridusse al moderna (gotico, n. dell'a.) et ebbe l'arte più compiuta c'avesse mai più nessuno». «Dunque Giotto rientra nell'ambito europeo della-cultura gotica, ma elimina in essa quanto conservava di bizantino e ne • fa una cultura fondata sul latino... Ciotto trasforma l'immobilità iconica in imponenza monumentale, la tragedia in dramma» (G.C. Argan). Giotto non è un pittore isolato, ma in imprenditore e progettista della pittura: ha allievi ed aiuti che compiono sotto la sua guida ciò che ha ideato. Quindi nelle tante opere che gli hanno attribuito e che si trovano in tutt'Italia, si può riconoscere il suo pensiero, la sua dirczione, ma poche volte l'azione diretta della sua mano in tutto il dipinto. Circa del 1290 sono le sue prime opere: Storie dell'antico e nuovo testamento che si trovano nella zona alta della navata della chiesa superiore di S. Francesco in Assisi. In questi affreschi spazio, figure ed azione si fondono in una espressione di trattenuta drammaticità. Ancora nella chiesa superiore di S. Francesco di Assisi, nella parte inferiore della navata e nella controfacciata, Ciotto affresca con molti collaboratori la serie della Leggenda di S. Francesco che inizia nel 1298 e interrompe nel 1300 quando papa Bonifacio Vili lo chiama a Roma per il Giubileo. Il grande artista toscano interpreta la leggenda francescana con il protagonista visto non più come asceta, ma battagliero campione della chiesa. Ogni capitolo dello stupendo poema trova la sua espressione com- mossa e precisa, larga e lucida. Giotto con il suo seguito opera anche a Roma nelle basiliche di S. Pietro e S. Giovanni in Laterano e nel Castel Nuovo di Napoli. Dal 1303 al 1305 è a Padova nella cappella dell'Arena dove raffigura episodi della vita della Vergine e di Cristo, come il Cristo morto pianto dalle pie donne. Presentazione della Vergine al Tempio, Le nozze di Cana, II Bacio di Giuda e Crocifissione. Questo ciclo da l'immagine per sempre che la somma qualità di Giotto è rappresentare solo l'essenziale di un fatto, non perdendosi nei particolari, e concentrare energicamente senza mai cadere nello scheletrico. Nel 1314 l'artista è di nuovo in Assisi e affresca la volta a crociera della chiesa inferiore. Ciotto (e i suoi aiuti) continua ad operare con intensa alacrità sommerso com'è dalle richieste e nel 1334 disegna il campanile del Duomo di Firenze^ In conclusione Giotto, che ha assimilato, trasfigurandoli nel suo genio, il classicismo bizantino, la pittura medievale romana e paleocristiana, la sobrietà della scultura romanica e la dinamica lineare gotica, può rappresen- tare una specie di « summa» dell'arte pittorica del Medioevo. L'influsso della sua opera è notevole nelle scuole trecentesche italiane e d'oltralpe ed ha costituito fonte d'ispirazione anche per alcuni artisti del Rinascimento. SIMONE MARTINI. (Siena 1285 c.ca-1344). È allievo di Duccio di Boninse- gna, ma, ai suoi tempi, supera il maestro per fama ed è amico e rivale di Giotto. • Dal 1317 è pittore di corte a Napoli presso il rè Roberto D'Angiò e nel 1340 viene chiamato alla corte papale di Avignone dove è trattato come un figlio diletto ed incontra il Petrarca e ritrae Laura.
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 1:01 pm | |
| LA PITTURA RINASCIMENTALE Per Rinascimento si intende il movimento culturale nato in Italia agli al- bori del XV secolo e diffusosi in tutta Europa fino al XVI. Esso è caratterizzato dall'uso rinnovato della lingua e letteratura latina classica (umanesimo), dal libero rifiorire delle arti, degli studi, della politica, dei costumi nello spirito e nelle forme dell'antichità classica. Motivo principale del rinascimento è la riscoperta del mondo e dell'uomo nei loro valori connaturati, laici e naturali, avversi alla trascendenza (che è al di là dei limiti di ogni conoscenza possibile) della concezione medievale. In tale senso si ha il progresso in parallelo alla scienza che tende a riconoscere nel mondo un ordine regolato da leggi matematiche (Leonardo e Copernico). Nell'arte il rinascimento si manifesta con una nuova concezione che investe non solo le forme di rappresentazione, ma il concetto ed il valore stesso, umano e sociale, delle arti figurative e degli artisti. La prima generazione del rinascimento artistico, Brunelleschi (archi- tetto), Donatella (scultore) e Musacelo (pittore), prende coscienza dalla propria superiore dignità, il che significa, in quel tempo, lo svincolarsi delle arti figurative che passano da «meccaniche» a «liberali», assurgendo addirittura ad un compito e ad una posizione di guida su tutta la vita culturale dell'epoca. Ciò si sviluppa particolarmente nella generazione succes- siva nella quale nasce la meditazione diretta e specifica sul fatto artistico nei suoi aspetti umani ed espressivi e non solo tecnici. Ne è tipico esponente il ge- novese Leon Battista Alberti, che, letterato e poeta, umanista e teorico del- l'arte, studioso della classicità, urbanista oltre che architetto, scrisse numerosi trattati fra i quali De pictura (1436) dedicato al Brunelleschi, da lui esatta- mente individuato come instauratorc della visione nuova attraverso lo studio e l'applicazione della prospettiva scientifica, lineare-geometrica. È proprio in questo periodo o anche qualche tempo prima, che gli artisti incominciano a studiare i monumenti della Roma antica degli scavi, da cui le forme splendide ed armoniose vengono alla luce: si fanno misurazioni, si entra in possesso della copia disegnata di antiche sculture e si apprende da ' fonti letterarie come quella di Vitruvio. L'ottica, la prospettiva, l'anatomia e la geometria svelano nuove possibilità e la scienza e l'osservazione acuiscono la genialità creativa. Ora l'artista nuovo esce dall'anonimato quasi completo del Medioevo e, accanto ai nomi dei prìncipi, dei filosofi, dei giuristi, dei condottieri, si impongono le personalità degli architetti, degli scrittori e dei pittori. La pittura rinascimentale si manifesta per la prima volta con Masaccio nella Trinità (foto 9) in S. Maria Novella di Firenze dove egli applica la prospettiva lineare che non va tanto considerata come un complesso di norme atte a rendere musivamente su due dimensioni la profondità, ma come una nuova concezione dello spazio intesa a definirlo razionalmente, con rigore geometrico, conferendogli una struttura omogenea. La prospettiva svolge un ruolo fondamentale anche nella trasformazione dell'iconografia religiosa ridimensionando le figure del Padre Eterno e degli angeli (più lontane dagli occhi dell'osservatore e quindi più piccole per la costruzione proporzionate delle forme) e assegnano una nuova dimensione eroica all'uomo e alla natura. II primo considerato come soggetto e la seconda come oggetto. È pittura rinascimentale non solo quella di Masaccio, del Beato Angelico, di Paolo Uccello, di Filippo Lippi, del Verrocchio, ma anche dei fiamminghi ' fratelli Hubert e Jan van Eyck che nei primi decenni del '400 rivelano nelle loro opere una concezione dello spazio diametralmente opposta, ma altret- tanto chiara e coerente e rispondente non solo alla medesima esigenza di ottenere una visione oggettiva della realtà, ma anche allo spirito profonda- mente umano che deve animare le figure. Nella cultura delle terre transalpine, in cui Borgogna, Fiandre e Svevia hanno posizione predominante, non si ha, come a Firenze, un distacco netto dalla tradizione gotica, ma una profonda e complessa evoluzione come, ad esempio ulteriore, nello svizzero Konrad Witz che nella Pesca miracolosa (1444) dipinge figure goticamente panneggiate, veramente immerse in un paesaggio reale del lago di Ginevra; è il primo modello del senso moderno della natura in pittura. Proprio una sorta d'osmosi di influenze ed i sempre maggiori rapporti con l'arte settentrionale fanno sì che la pittura rinascimentale italiana, nata fiorentina, muti sensibilmente le sue prospettive verso la metà del Quattro- cento. Dapprima con Piero della Francesco e Antonello da Messina e poi in Firenze stessa come mostra l'arte del Ghirlandaio e di Leonardo giovane, mentre a Venezia Giovanni Bellini realizza un alto e fruttuoso equilibrio fra l'originaria logica della pittura rinascimentale fiorentina e il naturalismo settentrionale. Le sue figure e quelle di Leonardo introducono alla genera- zione di Michelangelo, Raffaello, Giorgione, Tiziano, Carreggio, Dùrer e ' Altdorfer che sono i grandi protagonisti del secondo secolo (il Cinquecento) della pittura rinascimentale. Non c'è dubbio che è con loro che la nuova dignità dell'artista e della pittura raggiunge i maggiori riconoscimenti. Nel frattempo però, proprio quando le forme della pittura rinascimentale si diffondono in tutta Europa sopraffacendo la residua tradizione gotica, in Italia un rapido declinare della cultura e del genuino spirito informatore della pittura rinascimentale del primo secolo (il Quattrocento), sotto la spinta di più vaste ma meno determinate concezioni, si riflette già dal 1530 in quella che viene chiamata pittura manieristica. Di essa ci occuperemo in seguito dopo aver parlato più diffusamente, in successivi capitoli, dei maggiori artisti della pittura rinascimentale che potrà essere meglio appro- fondita e capita quando si conosceranno più da vicino la vita, i criteri informativi e l'operare dei protagonisti pittorici di questo splendido periodo che va sotto il nome di Rinascimento. Tutti, anche se in varia misura, rappresentano delle grandi individualità, su una sola cosa veramente con- cordi: considerarsi uomini di cultura, dei veri professionisti consapevoli e validi attraverso lo studio della storia. Nascono quindi le prime Accademie, come quella del Disegno che si costituisce a Firenze nel 1563 per iniziativa di un gruppo di artisti capeggiati dal Vasari. Essa, come le altre, tende a proteggere la dignità dell'artista e si sostituisce alle antiche corporazioni artigiane per poi far prevalere intenti didattici su quelli organizzativi. È Federico Zuccheri che nel 1565 propone all'Accademia del Disegno di distinguere gli insegnamenti teorici da quelli pratici o tecnici e nel 1578 fonda a Roma l'Accademia di San Luca, vero centro di cultura dove gli artisti discutono di problemi professionali, ma anche di quelli più propriamente artistici. Sui modelli italiani nascono nel Seicento e Settecento l'Accademia di Francia, la Reale di Londra e quella di San Fernando a Madrid. Nei due secoli della pittura rinascimentale, nonostante la teorizzazione della prospettiva, lo studio dell'anatomia, la «riscoperta» dell'arte e della cultura antica, non corrisponde nelle tecniche un'identica fiammeggiante trasformazione. Continua con procedimenti esecutivi simili al passato l'affresco in Italia, mentre i maestri fiamminghi introducono la pittura ad olio. Solo verso la fine del Quattrocento da Venezia si diffonde nell'Occidente l'uso della tela come supporto, sostituendo gli affreschi sulle pareti, ma l'uso della tavola seguita a prevalere nelle opere da cavalietto.
II MASACCIO E IL BEATO ANGELICO TOMMASO DI SER GIOVANNI DI MONE CASSAI detto MASACCIO. (San Giovanni Valdarno 1401-1428). Giunge molto giovane a Firenze e nel 1422 risulta immatricolato nell'Arte dei medici e speziali. Di sicuro entra nella cerchia del pittore Masolino da Panicale, di lui molto più anziano, e vi collabora influenzandolo con il suo impeto rivoluzio- nario. Muore a Roma ad appena 27 anni. Masaccio rappresenta per la pittura quello che Donatelle e Brunelleschi sono stati rispettivamente per la scultura e l'architettura: grandi innovatori ed iniziatori dell'arte rinascimentale. I dati della rivoluzione naturalistica di Masaccio sono: il nuovo senso dello spazio, rigorosamente definito secondo le recenti leggi della prospettiva scientifica (Trinità, affresco nella chiesa di S. Maria Novella in Firenze); l'incidenza della luce che, partendo da una fonte ben definita, determina con l'effondersi delle ombre il rilievo dei corpi (Storie di S. Pietro, Cacciata dei progenitori, affreschi della cappella Brancacci in S. Maria del Carmino in Firenze); l'intensità emotiva, ma calcolata, dei volti e dei gesti dei personaggi (Crocifissione, particolare del polittico nel Carmine di Pisa - oggi al Museo di Capodimonte di Napoli-); la nuova interpretazione del racconto sacro immerso nella realtà del momento (Storie di S. Pietro, affreschi al Carmine e Adorazione dei Magi, ora in Berlino). Nei pochi anni della sua attività artistica Masaccio compie una rivolu- zione che non ha precedenti in pittura se non in Ciotto. Quanto abbia assimilato dalla frequentazione del Brunelleschi e dello spazio prospettico della sua architettura, lo si può comprendere in tutte le sue opere, ma in particolare nella Trinità il cui simbolo è un triangolo e tutta la composizione è rigorosamente iscritta in un triangolo. Ma non è il simbolo che interessa Masaccio: lo interessa l'idea che non deve essere comunicata per simboli, ma per validissime forme, e quindi tutte le figure del suo dipinto, compresa quella del Padre Eterno, sono reali e storielle in uno spazio altrettanto reale e storico, e questo spazio è quello prospettico dell'architettura del Brunelle-' schi. Nella Crocifissione la posizione delle braccia della Maddalena, china ai piedi di Cristo, esprime il gesto più drammatico rappresentato in pittura dopo Giotto (Compianto), ma quel gesto tanto umano misura esattamente la distanza dal primo piano al fondo del dipinto e «lega» al Cristo le due figure dolenti poste ai suoi lati. In conclusione la qualità rivoluzionaria della pittura del giovane Masac- cio, che non ebbe il tempo di diventar vecchio, fu il modello a cui si ispirarono maestri fiorentini e non, nel corso dei secoli, e il Vasari (1511- 1574), autore del famosissimo Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori, scrisse: « ...egli rinnovò e messe in luce quella maniera moderna che fu in quei tempi sino ad oggi e da tutti i nostri artefici seguitata... ». FRA' GIOVANNI DA FIESOLE detto BEATO ANGELICO. (Vicchio di Mugolio 1400 c.ca-1455). Intorno al 1417 entra nel convento di S. Domenico a Fiesole e nel 1449 ne diviene priore. Nel 1440/50 il Beato Angelico è ritenuto il maggiore pittore vivente di Firenze. Per qualche tempo la sua opera viene considerata in contrapposizione a quella del Masaccio e alle idee rinascimentali. In effetti i suoi inizi, miniature e tavole, risentono della pittura gotica, ma presto è conquistato dalle dirompenti novità pittoriche, anche se ne è, quale uomo di chiesa, spaventato. Teme infatti una totale secolarizzazione del- l'arte e tende, pur aderendo alla cultura prospettica ed umanistica, a conservare alla pittura un carattere ed una finalità religiosi pur attraverso un profondo rinnovamento dei fondamenti della visione. Rifiuta quindi il plasticismo corposo e la razionalità della costruzione masaccesca ed eviden- zia una bellezza ideale di uomini e cose immersa in una luce trasparente che assume il significato di trascendenza. La sua operazione è, in definitiva, un abile trasferimento della nuova concezione plastica e spaziale in termini di luce e di colore. Nel suo Tabernacolo dei Linaioli (tavola del 1433 in Firenze), la forma chiusa, triangolare, fa pensare alla massa conica inserita da Masaccio nel dipinto iniziato da Masolino intitolato Madonna con S. Anna. Nella Deposi- zione (tavola del 1440 in Firenze) oltre la grande scena tutta in primo piano, vi è un paesaggio prospettico, ma la prospettiva rigorosa offre superfici colorate al trasmettersi senza ostacoli della luce del cielo. Nell'Annuncia- zione e nella Trasfigurazione (affreschi del 1440 nel convento di S. Marco in Firenze), dipinti più per la meditazione dei frati che per decorare gli ambienti, si nota una crescente semplificazione formale. All'ultimo periodo della sua attività appartengono gli affreschi Storie di S. Lorenzo (cappella di Niccolo V in Vaticano 1447/4. Qui il Beato Angelico si orienta verso effetti di più sostenuta classicheggiante monumen- talità con vasti ambienti architettonici e prospettici. Muore a Roma nel 1455.
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 1:06 pm | |
| III ANDREA DEL CASTAGNO, PAOLO UCCELLO E FILIPPO LIPPI ANDREA DEL CASTAGNO. (Castagno, Mugello 1421-1457). Figlio di un contadino si forma artisticamente nella Firenze dominata dalla personalità dei tré grandi, Brunelleschi, Donatelle e Masaccio, ed è il vero scultore che dipinge con la nettezza del disegno e il trionfo dei valori plastici. Nel Cenacolo (convento di S. Apollonia in Firenze) in rigide squadrature prospettiche raffigura i dodici Apostoli dotandoli di fattezze asciutte e di atteggiamenti nerboruti. (mancano diversi righi) In un affresco nella villa Pandolfini a Legnaia, allinea nel 1450 nove figure di personaggi illustri e raggiunge un aspro realismo. PAOLO DONO detto PAOLO UCCELLO. (Firenze 1397-1475). Appena decenne è impiegato presso lo scultore Ghibertì e lascia Firenze prima ancora che si manifesti il genio rivoluzionario di Masaccio, e a Venezia lavora come mosaicista. Tornato a Firenze nel 1431 non tarda ad individuare il punto focale delle ricerche dei suoi maggiori contemporanei: il problema della rappresenta- zione prospettica. Ma Paolo Uccello (foto 10) non la intende come Masac- cio, ossia quale mezzo per ambientare un'azione drammatica in uno spazio certo e misurabile, bensì per cogliere gli oggetti nella situazione spaziale che più di ogni altra può conferire loro la regolarità di solidi geometrici euclidei, proiettandone nitidi contorni sul piano e campendoli con stesure del suo cromatismo che ancora ricorda il gotico. Il risultato è di costruzioni astratte di volumi geometricamente definiti (Monumento equestre al condottiero inglese Giovanni Acuto - affresco del 1436 in S. Maria del Fiore -, Diluvio - affresco semicircolare del 1450 in S. Maria Novella - e Sacrifìcio ed ebbrezza di Noè). Paolo Uccello è senza dubbio da considerare come uno dei padri della prima generazione della pittura rinascimentale: egli è artista e scienziato per il rigore delle sue ricerche d'ordine plastico e prospettico con un gusto di assolutezza geometrica tanto spinta al punto da portare all'estremo limite la riconoscibilità degli oggetti, per esprimere liricamente la sua emozione di fronte agli aspetti del mondo. FILIPPO LIPPI. (Firenze 1406-1469). Nel 1421 prende i voti nel convento dei Carmelitani nella cui chiesa, qualche tempo dopo, Masolino e Masaccio affrescano la cappella Brancacci. Risulta quindi facile per Lippi conoscere L' opera innovatrice di Masaccio ed esserne influenzato (Confermaà della regola - affresco 1432 nel Chiostro del Carmine) appena due anni aver conseguito la qualifica di pittore. Ma in lui l'ascendente di Masaccio sembra limitarsi ad una ricerca di intensa plasticità nelle ^sue opere poderosamente rilevate e tondeggiantiure memtre il colore, a gamme chiare e tenere, forse risente di Masolino Nella Madonna con Bambino (1437) si nota un dominio della linea che seppure non è quella tardogotica, non è nemmeno quella energica evocale di valori spaziali di Andrea del Castagno cvocaince II cosiddetto Tondo Bartolini (1465) ha il fondo suddiviso in più ambienti di diversa profondità prospettica: vi si sviluppa la scena dellaN^vUÒdi Mona e nella tenera Madonna con Bambino e due angioli vie un de cati profilo e una finestra aperta su un gioioso paesaggio In definitiva l'opera di Filippo Lippi traduce le posizioni di Masaccio e del Beato Angelico in modi più profano ed è propedeutica all'arte del Botticelli che gli è discepolo.
IV PIERO DELLA FRANCESCA, JAN VAN EYCK, ANTONELLO DA MESSINA E ROGIER VAN DER WEYDEN PIERO DELLA FRANCESCA. (Borgo S. Sepolcro 1415 c.ca-1492). In- dubbiamente l'artista umbro è da considerare uno dei maggiori d'ogni tempo e d'ogni paese. Nel 1439 lavora a Firenze con Andrea del Castagno e Domenico Veneziano. Studia Masaccio e il Beato Angelico e le leggi prospettiche e proporzio- nali teorizzate dall'Alberti. La prospettiva delle sue opere si ispira anche a quella di Paolo Uccello e vuole essere il mezzo per costruire sinteticamente gli oggetti e farne comba- ciare volumi idealizzati con superfici levigate piene di nitido colore. Si propone, in sostanza, di raggiungere una sintesi fra spazio prospettico e spazio luminoso. Opera a Ferrara, dove entra in contatto con la pittura rinascimentale fiamminga, e principalmente ad Urbino dove la sua dottrina formale è elemento formativo di tutta la pittura dell'Italia Centrale, dell'Emilia e di Venezia. Negli ultimi decenni della sua attività Piero della Francesca (foto 11) compila i trattati De prospectiva pingendi e De quinque corporibus regulari- bus nei quali i suoi interessi teoretici vengono espressi nel ricondurre tutta l'immensa varietà degli oggetti naturali alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche. C'è genio anche ideativo nella sua maggiore impresa pittorica nell'affre- sco nella chiesa di S. Francesco ad Arezzo, Storia del Sacro Legno della Croce (1452-1466). Egli riduce a pochi episodi essenziali quella complessa materia iconografica. Sono: Morte di Adamo, Regina di Saba che adora il ponte fatto con quel legno. Rimozione del ponte. Sogno di Costantino, Vittoria su Masserizia al Ponte Milvio, l'Annunciazione, Tortura dell'Ebreo, Ritrovamento, Prova della Vera Croce, Battaglia di Eraclio, Esaltazione della Croce. Nella realizzazione di questo vero e proprio romanzo, v'è altissima contemplazione sottoposta a norme d'un ordine matematicamente rigoroso perché Piero della Francesca ritiene «divino» tale ordine. • C'è fascino poetico nella Flagellazione di Cristo (tavola nel Palazzo Ducale d'Urbino) con una sorprendente equivalenza fra architettura e personaggi modellati in modo scultoreo e in positure calme.
JAN VAN EYCK. (Maastricht 1390-1441). Entra in servizio da Filippo di Borgogna nel 1425 dopo essere stato presso la corte di Giovanni di Baviera e svolge importanti ambascerie in Portogallo, Spagna ed altri Paesi di tutt'Europa. Nel 1430 si stabilisce a Bruges dove rimane fino alla morte. È il primo grande maestro della scuola fiamminga del Quattrocento e la sua posizione artistica nelle Fiandre è rivoluzionaria quanto quella di Masaccio a Firenze. Egli, però, al contrario di Masaccio, che ha una visione unitaria e sintetica, tende ad una visione analitica e descrittiva (foto 12) dello spazio e dell'immagine. La sua pittura è del tutto distaccata dalla tradizione gotica dei Paesi Bassi. Infatti le figure sono inserite in una spazialità - che appare il risultato di ricerche e osservazioni empiriche piuttosto che della razionale applicazione di un sistema prospettico-matematico - tramutantesi in «ambiente» mediante l'analitica rappresentazione di oggetti domestici. Il suo capolavoro è L'adorazione dell'Agnello Mistico (polittico, olio su tavola 1425/32, Cattedrale di S. Bavone in Gand). Esso è di grandi dimensioni e di immensa trama narrativa. Vi sono raffigurati: il mondo quotidiano, il cavalieresco e quello religioso con unitarietà rinascimentale. In altre sue opere come la Madonna del canonico Van der Paele (1436), La Madonna di Lucca (1435) e La Madonna del Cancelliere Rollin (1435) c'è eccezionale evocazione naturalistica di particolari ottenuta con infinite gradazioni luminose, e l'atmosfera è gioiosa, ma distaccata. Quello di Van Eyck non è però solo un verismo oggettivo, in quanto nuovo è il senso dello spazio, nuovi sono la concezione della luce, del colore e del disegno e il pittore non copia ma crea una nuova realtà che ha la precisione analitica d'una ricerca scientifica. ANTONIO DE ANTONIO detto ANTONELLO DA MESSINA. (Messina 1430-1479). A Napoli, dove sotto gli auspici del rè d'Angiò la pittura fiamminga è ben presente con i quadri di Jan Van Eyck, presso il pittore Colantuono, compie la sua formazione artistica Antonello da Messina. Egli riesce a fondere la visione oggettiya e realistica fiamminga con la nuova spazialità prospettica della pittura rinascimentale italiana. Ciò incomincia ad apparire nella Crocifissione (1463 c.ca) e in S. Gerolamo nello studio (1463 c.ca) dove vi è chiarezza analitica e profonda magica quiete. Nel Salvator Mundi (1465) c'è nella mezza figura del Cristo l'influenza fiam- minga, ma la mano benedicente viene raffigurata dall'artista in un gesto che crea attraverso lo scorcio, lo spazio. Sono evidenti nell'opera di Antonello da Messina incontri romani con Piero della Francesco e il Beato Angelico, come risulta mirabilmente nella Annunciata (tavola del 1470) dove la consistenza plastica si fonde con l'incanto poetico dell'atmosfera in penembra. Nel 1475 Antonello si trasferisce a Venezia con notevoli risultati per la pittura locale ed in particolare per Bellini, Carpaccio e Cima da Conegliano. Di quel periodo è il San Sebastiano (olio su tavola, 1475) dove l'impulso fiammingo è superato dalla nuova costruzione dello spazio: c'è perfezione ideale delle forme, immobili, ma prospettiva e volumetria, e il Santo è contornato da un mondo popolaresco. Antonello da Messina è anche grande ritrattista e l'acuta definizione psicologica e fisionomica dei personaggi assume un monumentale rilievo. ROGIER VAN DER WEYDEN. (Tournai 1400-1464). Dal 1435 è a Bruxel- les come pittore ufficiale della città e nel 1450 si reca a Roma per il Giubileo, poi a Ferrara dove lavora per gli Este. Dopo Van Eyck è il maggior pittore fiammingo del Quattrocento. Molte sono le sue composizioni sacre intensamente drammatiche e con elevata severità di forme. Notevolissimo ritrattista (Ritratto di un cavaliere - tavola del 1460 - e Ritratto femminile - tavola del 1460) si differenzia da Van Eyck, che li esegue solenni, distaccati e sicurissimi, per le ricerche psicologiche sui caratteri umani. Raggiunge un'intensità di disegno che si avvicina alla pittura rinascimentale fiorentina, ma con prevalenza dell'analisi del particolare rispetto all'unità spaziale.
LUCA SIGNORELLI, MOLOZZO DA FORLÌ E IL PERUGINO LUCA SIGNORELLI. (Cortona 1450-1523). È discepolo di Piero della Francesco, ma si avvicina anche agli esponenti dell'ambiente fiorentino della seconda metà del Quattrocento. Dal primo trae le ampie e salde costruzioni volumetriche, dai secondi assimila l'incisiva energia dei contorni e non sempre riesce a fondere tutto ciò armonicamente (Flagellazione e Madonna del Latte, 1480). Comunque la sua pittura è di una grande potenza plastica e di un teso dinamismo che, a volte, sfiorando la rozzezza, si esprime al meglio nei nudi. Nel 1482 è a Roma fra i pittori che decorano la Cappella Sistina (// Testamento e la morte di Mosè). Il suo miglior periodo inizia nel 1484 con una serie di stupende «pale» (Madonna, Quattro Santi e un Angelo musico nel Duomo di Perugia e V Annunciazione). Bell'Educazione di Pan, l'evocazione del mito classico è venata di mestizia come nella Sacra Famiglia e tutt'e due ci danno la misura della malinconia signorelliana. La maggiore impresa di Signorelli è la decorazione a fresco della Cappella di S. Brizio nel duomo di Orvieto (1499-1503) ricca di opere come: Storie Apocalittiche dell'Anticristo, l'Inferno e // Paradiso dove risalta la sua visione pittorica incentrata sull'uomo e particolarmente sul nudo, forse troppo ossessivamente, ma con figure potentemente individuate nei caratteri formali e nella situazione drammatica e psicologica. MOLOZZO DA FORLÌ. (Forlì 1438-1494). Conosce l'arte di Piero della Francesco intorno al 1470 a Urbino e ne viene conquistato. La interpreta instillando nell'impassibilità delle figure di Piero un espansivo slancio di vita (Sisto IV che consegna la biblioteca vaticana all'umanista Platina, affresco del 1477, e Redentore in gloria tra Apostoli e Angeli musici, affresco del 1480). Molozzo è molto abile nella prospettiva ed imposta incisivo scorci ed aerei effetti da sotto in su. PIETRO VANNUCCI detto IL PERUGINO. (Città della Pieve 1448-1523). È studioso di Piero della Francesco e allievo a Firenze dello scultore Verrocchio dall'energico plasticismo. Viene chiamato a Roma nel 1479 per la fama che si è guadagnato, onde 41
operi nella Cappella della Concezione in S. Pietro e nella Cappella Sistina. La sua Consegna delle chiavi a S. Pietro ha ammirevole larghezza prospet- tica e simmetria. La principale caratteristica dell'arte del Perugino è un sentimento di ariosità che si esprime in una serie di stupende tavole (trittico della Natività, Visione di S. Bernardo). C'è eccezionale finezza di esecuzione pittorica dovuta anche alla tecnica «a olio» con sovrapposizione di successive mani di colore, sempre più vive ma meno dense, sviluppanti una trasparenza di luci che ricordano la pittura di Van Eyck. Alla fine del Quattrocento il Perugino dipinge i suoi capolavori: Ma- donna in trono fra S. Giovanni Battista e S. Sebastiano (1493), Annuncia- zione nella chiesa di S. Maria Nuova in Fano. Nella Deposizione (1495 in S. Chiara di Firenze) rinuncia alle sue valide ma un po' rigide composizioni architettoniche e situa i personaggi nell'aperta natura sviluppando la compenetrazione fra figure e paesaggio nella tavola Apollo e Marisa, uno dei pochi suoi dipinti di soggetto pagano. L'opera di più vasto respiro del Perugino è la decorazione della sala del collegio del Cambio in Perugia finita nel 1500.
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 1:08 pm | |
| VI GIOVANNI BELLINI, IL GHIRLANDAIO, ANDREA MANTEGNA E SANDRO BOTTICELLI GIOVANNI BELLINI. (Venezia 1432-1516). Incomincia la sua attività nella bottega paterna insieme al fratello e risente del tardogotico di Jacopo Bellini, per poi orientarsi verso l'opera del Mantegna che è suo cognato. È forse il più grande dei pittori veneziani perché, anche se faticosamente, riesce a raggiungere una sua autonomia verso il 1471 quando mette a frutto la puntigliosa conoscenza dell'opera di Piero della Francesco e dei maestri fiamminghi e dipinge con grandiosa e limpida struttura spaziale e con intensa luminosità del colore. (Incoronazione della Vergine, Compianto sul Cristo morto ed Estasi di S. Francesco). Nella (foto 13) Sacra Allegoria (olio su tavola del 1487) c'è una personale ambientazione nel quieto mondo della natura, ma anche una corrispondenza con Antonello da Messina per il geometrico e rigoroso arrotondare delle forme. Non pago di essere pittore ufficiale della Signoria, di possedere una florida bottega e dell'ammirazione dei concittadini, Giovanni Bellini, in una vigorosa vecchiaia, rinnova la sua arte che allinea, come una sfida, a quella dei suoi quasi discepoli come Giorgione e Tiziano e raggiunge una serena classicità (Pala di S'. Zoocoria). DOMENICO BICORDI detto IL GHIRLANDAIO. (Firenze 1449-1494). Capo di un'apprezzatissima bottega ha fra i suoi tanti allievi anche Miche- langelo. Non è certamente un «colosso» dell'arte, ma riesce a fondere, con una certa superficialità, componenti pittoriche del Quattrocento fiorentino con l'osservazione precisa e la resa minuziosa degli aspetti della realtà di derivazione fiamminga, anche se spogliata dell'intimità cromatica e lumi- nosa. Narra i fatti della Firenze dell'epoca ed esegue ritratti (Vecchio e nipote, tavola del 1490). ANDREA MANTEGNA. (Isola di Carturo Padova 1431-1506). Di certo senza influenze fiamminghe è Andrea Mantegna che deve la sua formazione alle opere esistenti nel Veneto di Andrea del Castagno, Filippo Lippi e Paolo Uccello e in particolare dello scultore Donatelle. Mantegna pone nelle sue opere organicità plastica e costruzione prospet- tica. Egli, inoltre, per i potenti influssi del dotto umanesimo padovano, è un invasato ammiratore dell'antichità romana e ciò influenza le sue interpreta- zioni dei temi sacri. (Storie dei SS. Giacomo e Cristo/oro, affreschi, 1448-1457). Nel 1460 si trasferisce a Mantova dai Gonzaga dove rimane pittore di corte fino alla morte. Qui quando esegue la decorazione della Camera degli sposi (1471-1474), trasforma l'ambiente - con l'illusionismo della pittura - in un padiglione aperto su di un porticato, sulla campagna ricca di castelli e città turrite. // trionfo di Cesare (nove tavole eseguite fra il 1480 e il 1495) è pregno di immagini ispirate all'antico dove prevale un'eroica grandezza. Mantegna ha avuto enorme fortuna presso i contemporanei e gli artisti di successive generazioni anche per incisioni considerate fra la grafica più valida della pittura rinascimentale. Di certo egli è artista di grande arditezza prospettica e altissima potenza drammatica. SANDRO FILIPEPI detto SANDRO BOTTICELLI. (Firenze 1445-1510). È allievo di Filippo Lippi che, fra l'altro, ha risentito del dominio della linea. In Botticelli la linea si piega alle inflessioni di un sentito e delicato lirismo che si manifesta con la scelta di un colore, a volte livido, a volte più tenue, ma sempre di fine preziosità. Ne nasce un certo equilibrio tra moto e stasi e la visione diviene sottilmente irreale, fuori del tempo, in uno spazio particolare ritmato dalla variabile intensità delle modulazioni lineari che lo isolano in una conclusa perfezione. (Scoperta del cadavere di Oloferne e il Ritorno di Giuditta dal campo nemico, dittico 1470). Il capolavoro di Botticelli è la Primavera (1477) eseguito per la villa medicea di Castello (foto 14). Questo dipinto famosissimo a cui l'artista deve buona parte della sua fama di ultimo dei grandi pittori fiorentini del Quattrocento, è un'allegoria del regno di Venere, ossia della visione di un mondo ideale dove la bellezza nasce quando si accompagna alla civiltà e alla ragione. Tutte le figure sono funzionali ad un ritmo lineare e il fondo del quadro è ridotto ad un piano di posa delle immagini che non sono ambientate spazialmente secondo i canoni di Masaccio o Piero della Francesco. C'è invece estasi e grazia dei gesti. Nel 1481 Botticelli è a Roma chiamato da Sisto IV e fa diretta esperienza del mondo classico e probabilmente tale conoscenza si riflette nell'altro suo super- famoso dipinto, la Nascita di Venere (1485) nel quale l'artista ricostruisce un celebre dipinto, descritto dal Poliziano, del noto pittore dell'antica Grecia, Apelle. In sostanza, pur essendo rinascimentale perché umanistica, la pittura di Botticelli sottolinea la crisi dei sistemi figurativi della prima metà del Quattrocento e quindi la crisi della concezione dello spazio e della prospet- tiva, ma anche la crisi della forma come conoscenza della natura. Botticelli tende dapprima a trasformare la realtà in bellezza ed in mito e poi, quando è turbato dal rigore di Savonarola, dipinge creazioni tragiche ed illividite (Natività mistica, 1500).
VII LEONARDO IL SECONDO SECOLO DELLA PITTURA RINASCIMENTALE. Il Cin- quecento che, seppur limitato alla sua prima metà, è il secondo secolo della pittura rinascimentale, è considerato il periodo classico della pittura. Esso, progresso ed apogeo del Rinascimento, è dominato da tré artisti sommi: LEONARDO, MICHELANGELO e RAFFAELLO, che consa- crano, con la loro colossale personalità in un'arte tutta creativa, le conquiste dei maestri del Quattrocento. LEONARDO DA VINCI. (Vinci-Firenze 1452-1519). In un libro come questo, che è una rapida cavalcata nell'arte pittorica dal paleolitico ai tempi nostri, è gratificante poter scrivere che una delle più grandi figure della cultura di tutti i tempi, come Leonardo, fu profondamente convinta del primato della pittura sopra ogni altra attività umana, nonostante il suo formidabile impegno di teorico dell'arte, architetto, scultore, studioso di meccanica idraulica, botanica ed anatomia. I suoi scritti (o meglio i suoi appunti) costituiscono il fondamento della scienza moderna. Leonardo è figlio naturale del notaio ser Piero da Vinci e nasce il 15 aprile del 1452 e nel 1469 a Firenze entra, per imparare l'arte, nella bottega del pittore-scultore Verrocchio dove rimane fino al 1476, nonostante fosse iscritto dal 1470 nella Compagnia dei Pittori. Al periodo di collaborazione con il Verrocchio appartengono un angelo ed un paesaggio del Battesimo di Cristo. Nella pittura dell'angelo sembra esserci un ricordo della grazia di Lippi o di Botticelli, ma con una diversa dolcezza, e nel paesaggio vi sono morbidi veli di nebbia. Completamente di Leonardo è V Annunciazione, che è ambientata all'aperto, dove effetti di luce illuminano i volti della Vergine e di un angelo con deliziosi risultati esaltati dal contrasto con la massa scura della vegetazione situata dietro. Anche suoi sono: Ginevra de' Benci, Madonna Benois e Madonna del garofano, ancora legati al gusto del tempo, ma con un particolare chiaroscuro che vela la limpidezza delle forme fondendole con il resto del quadro. La cosa migliore del suo primo periodo di attività è un paesaggio • montano con fortificazioni su una vallata, noto come Disegno a penna (1473) nel quale c'è un carattere unitario della composizione, dove il vibrare del segno, con i suoi effetti di ombra e luce in rapporto con l'atmosfera che suscita, sortisce un superamento della prospettiva quattrocentesca con una nuova sintesi di varie immagini raffigurate nel loro divenire e nel cangia- mento dei loro aspetti. Dove però la visione del giovane artista si manifesta nell'originalità, che la fa indipendente dai modelli della tradizione toscana e di ogni altra, è l'Adorazione dei Magi che gli viene commissionata nel 1481 dai monaci'di S. Donato a Scopeto. Gli adoranti, posti in semicerchio intorno ad un ideale triangolo composto dalla Vergine e dai Magi, sono raffigurati con volti ed atteggiamenti come affioranti dalla penembra avvolti in un chiaroscuro infinitamente sottile che annulla ogni netto isolamento delle immagini fra di loro e dallo spazio circostante. Non c'è quindi l'energica modellazione in uso agli autori fiorentini del tempo, ma ardente lirismo per come l'artista riesce a raffigurare i sentimenti umani, in questo caso l'ansia, la trepidazione di chi per la prima volta si trova alla presenza di Cristo. Trasferitesi a Milano nel 1482, Leonardo dipinge la Vergine delle Rocce ed il Cenacolo (rispettivamente del 1483-86 e 1496-97). Quest'ultimo è una delle opere fondamentali della pittura rinascimentale dove c'è compenetra- zione fra lo spazio reale e quello figurato. Ritornato a Firenze nel 1500, Leonardo esegue il cartone per S. Anna con la Vergine e il Bambino il cui dipinto su tavola viene da lui realizzato nel 1510. In quest'opera vi è la piena applicazione di un elemento fondamentale dell'arte di Leonardo, lo «sfumato», che NON è il chiaroscuro; questo esalta le forme, mentre lo «sfumato» quasi le dissolve immergendole nello spessore dell'atmosfera. Il «bello» in pittura per Leonardo non dipende dagli esemplari dell'antichità classica, ma dalla intima fusione dell'immagine umana nella natura e da come il pittore sente ed esprime quell'unità. Fra il 1503 e il 1507 Leonardo dipinge la sua opera più famosa, misteriosa e affascinante, la Gioconda (foto 15) dove il busto e il volto della donna emergono da un fantastico sfondo di acqua e rocce che svaniscono nella foschia, immagine di un perenne rinnovarsi della vita, della natura e di una segreta ed inviolabile essenza della femminilità. Trasferitesi in Francia nel 1517 Leonardo è nominato dal rè «primo pittore ed architetto» e gli viene messo a disposizione, come dimora, il castello di Cloux dove muore nel 1519. I suoi pochi dipinti e i tantissimi disegni di tutta la sua vita, fra i quali quelli degli studi di anatomia, esercitano un'influenza formidabile sull'arte rinascimentale di tutt'Europa. I più grandi pittori, compresi Michelangelo e Raffaello, li ammirano e li studiano.
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 1:12 pm | |
| VIII MICHELANGELO MICHELANGELO BUONARROTI. (Caprese-Arezzo 1475-1564). È figlio di Ludovico potestà di Chiusi e di Caprese e discende da una antica famiglia fiorentina. Incomincia a studiare sotto la guida di un umanista, ma la sua passione per l'arte e il grande talento naturale convincono il padre a permettergli di entrare nella bottega del Ghirlandaio nel 1488. Dopo appena un anno però Michelangelo preferisce frequentare i giardini medicei dove sono raccolte varie sculture antiche che studia, guidato da Bartoldo di Giovanni. Lorenzo il Magnifico, informato della bravura del giovane Michelangelo, lo accoglie presso di sé e gli permette di frequentare il Poliziano e gli umanisti dai quali Michelangelo assimila le dottrine platoni- che che vedono nel «bello» la pura «idea» faticosamente separata dal peso della materia. Infatti Michelangelo ritiene che il fine ultimo di tutte le tecniche sia il disegno come espressione pura dell'«idea» perché indipen- dente dalla materia. Contrariamente a Leonardo, Michelangelo non ama molto la pittura: la considera inferiore alla scultura in quanto più soggetta all'illusione dei sensi. Egli dipinge forse più per imposizione di altri che per sua libera scelta. Ciò nonostante la sua opera pittorica non è inferiore a quella straordinaria di scultore e di architetto. Nei suoi dipinti quindi cerca di adeguarsi all'ideale della scultura e domina, per eccezionale forza plastica della sua visione e per profondità di meditazione, tutta la pittura rinascimentale nel suo secondo secolo (il Cinquecento). Nel 1503 esegue il suo primo dipinto, la Sacra Famiglia (detto Tondo Doni) dove traduce il vigoroso e asciutto plasticismo della sua scultura in valori pittorici analoghi, con lo snodarsi di linee e l'attoreigliarsi delle forme dei personaggi in una specie di blocco unico pieno di intcriore energia. Nel 1508 Michelangelo è costretto da papa Giulio II ad affrescare l'intera volta della Cappella Sistina che spesso abbiamo nominato in questo libro per le opere di molti altri pittori. Michelangelo termina il lavoro in quattro anni di immane e solitària fatica, ma ne risulta uno dei più grandi capolavori di • ogni tempo per esecuzione, ideazione e il tormento morale profondissimo che riesce a comunicare. L'immensa opera è praticamente suddivisa in tré zone: la inferiore di raccordo alle pareti, l'immediatamente sopra, e il centro della volta. Nella prima Michelangelo raffigura gli Antenati di Cristo e le quattro Salvazioni del popolo di Israele. Nella seconda, sette Profeti e cinque Sibille. Nella terza, le nove storie bibliche (Creazione degli astri maggiori e le creazioni degli animali, dell'uomo, di Èva, e poi Peccato originale. Sacrificio di Noè, Diluvio, Ebbrezza di Noè). Ovunque, in ogni scena, in ogni personaggio, c'è dramma e approfondimento psicologico mirabile, e intensità del significato universale. Dal punto di vista formale vi è una quantità di innovazioni e d'invenzioni di una perfezione quasi assoluta. Le prime scene dipinte hanno precisi volumi e limpido rigore; nelle successive, il linguaggio pittorico si esprime con l'energia delle masse che si sintetizza in ampie risoluzioni chiaroscurali. Il Giudizio Universale (foto 16) è l'affresco famosissimo che Michelan- gelo dipinge sull'intera parete di fondo della Cappella Sistina dal 1536 al 1541. In esso l'artista sconvolge sia la iconografìa tradizionale del tema, quanto i rapporti proporzionali e prospettici della pittura rinascimentale del primo periodo. Tutta la composizione è come una massa unica straripante che sale e scende nel ritmo turbinoso di un moto continuo. Lo spazio naturalistico è assente; c'è solo e dominante il modulo umano. Nell'opera il pathos individuale si scatena con spaventoso impeto come in un cataclisma cosmico. Michelangelo esprime forme e allegorie, luci e sentimenti, desideri sospetti e speranze deluse. Nell'affresco 77 Martirio di S. Pietro (Cappella Paolina in Vaticano 1445/50) Michelangelo NON compone più per nitidi aggregati volumetrici o sonanti contrapposti dinamici, ma per masse dense e opache, tonalità terree subito ravvivate in morbide iridescenze fra desolati paesaggi, dai quali trasmette una sconsolata poesia che riflette la vecchiezza scontrosa e dolorosa e tutta la vita tormentata dell'eccezionale artista. Egli, bisogna ricordarlo, fugge da Firenze nel 1494 turbato dalla morte di Lorenzo e dalla predicazione di Savonarola; rimane deluso e amareggiato nel 1506 per la mancata erezione di un grandioso monumento funebre in Roma per il quale tanto aveva progettato e, dopo altre frustrazioni, nel 1534 abbandona definitivamente Firenze e assiste alla violenta polemica scatenatasi fra i suoi ammiratori e i suoi detrattori, che gli sovrappongono Raffaello.
IX RAFFAELLO RAFFAELLO SANZIO. (Urbino 1483-1520). È figlio di un modesto pittore urbinate e più che col padre, Raffaello s'impratichisce dal 1497 nella bottega del Perugino, mentre già aveva conosciuto ed apprezzato da ragazzo l'opera di Piero della Francesco. Nel 1500 gli viene attribuita la qualifica di maestro e supera gli schemi del Perugino nello Sposalizio della Vergine (1504 per la chiesa di S. Francesco in Città del Castello): le due parti della composizione (l'architettura del fondo e le figure in primo piano) si saldano in una stupenda unità visuale. Ciò avviene per la coordinazione perfetta dei valori di luce e spazio e per il ritmo che collega i personaggi in primissimo, primo e successivi piani. Nel 1504 Raffaello si trasferisce a Firenze dove studia Signorelli, Leonardo e i fiamminghi che vengono da lui assimilati in modo lento, sorvegliato e personale. Una serie di capolavori gli permettono d'imporsi (il Ritratto d'ignota detta «la Muta», Urbino, Palazzo Ducale e la Madonna del Granduca) e rappresentano un'altissima fusione di modi leonardeschi (principalmente la struttura piramidale) e di perspicacia disegnativa addirittura superiore a quella di un fiammingo. Nel 1508 Raffaello è a Roma da Giulio II che gli affida la decorazione del suo nuovo appartamento in Vaticano. Sono tré sale: la Segnatura, Eliodoro e quella dell'incendio di Borgo. La prima l'affresca fra il 1508 e il 1511 con quattro medaglioni (la Teologia, la Filosofia e Astronomia, la Giustizia e la Poesia) e quattro grandi scene (la Disputa del Sacramento, la Scuola di Atene (foto 17), le Virtù del Giudice e il Parnaso). Sono soggetti allegorici dove Raffaello afferma l'aspirazione ad un ordine universale che proviene dall'ar- monia del Vero, del Bene e del Bello. Ciò è rispecchiato formalmente da un rigoroso impianto spaziale e di composizione delle scene. C'è tradizione classica, spazialità di modello umbro e luminismo (particolare risalto della luce in un dipinto), sfociami in una monumentale visione unitaria. C'è, come ha rilevato Taine, «la felicità unica d'una doppia educazione che, dopo ' avergli indicato l'innocenza e la purezza cristiane, gli fece sentire la gioia e la forza pagane». Tra il 1512 e il 1514 Raffaello affresca la seconda sala con allusivi riferimenti storici e biblici. In quest'opera, in particolare nella Cacciata di Eliodoro dal tempio, Raffaello affronta un soggetto di violenta drammati- cità e lo esprime pittoricamente con la contrapposizione di compatti gruppi di personaggi e colossali masse architettoniche a grandi spazi vuoti con uso ispirato di contrasti chiaroscurali. Sia il favore papale, che l'unanime riconoscimento di letterati ed umanisti fra i più noti, fanno considerare a Roma Raffaello il sommo degli artisti. È anche nominato architetto della nuova fabbrica di San Pietro, ma continua a prediligere la pittura di tutti i generi, compresa la ritrattistica che lo vede più che mai ricercato e prestigioso autore di opere nelle quali si manifesta un perfetto equilibrio psicofìsico. In sostanza in questo grandissimo esponente della pittura rinascimentale, la spontanea poesia delle forme si unisce ad una ricerca lucida e razionale dell'impianto compositivo. La sua è una pittura del tutto originale nono- stante le molte influenze subite (non ultima quella di Michelangelo dopo quella leonardesca). La sua concezione di esprimere in pittura la propria visione della realtà è profondamente classica. Egli inoltre cerca, insieme alla pienezza plastica, la completa identità fra forma e spazio ed usa tonalità grigio-argentee, arancioni o vermiglie accompagnate ad un segno energico e vibrante. Come contenuti Raffaello mira alla realizzazione totale della verità religiosa e della conoscenza naturalistica e storica nel rispetto però della limpidità assoluta della forma, trasfigurata dall'intelligenza. Nella Madonna Sistina (1513), che è stata per lungo tempo considerata il «massimo» della pittura mondiale, Raffaello realizza una formidabile concezione aerea e scenografica. »
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Sab Mag 02, 2009 1:16 pm | |
| DÙRER, ALTDOLFER, CORREGGIO, GIORGIONE E TIZIANO ALBRECHT DURER. (Norimberga 1471-1528). È il massimo esponente della pittura rinascimentale tedesca. Da uno stile tardogotico, secondo il quale compie i suoi primi lavori come pittore, grafico ed illustratore di libri, passa repentinamente alla pittura classica e rinascimentale italiana dopo aver conosciuto durante alcuni soggiorni a Venezia, le opere del Mantegna e principalmente quelle di Bellini. Famosa è la sua monumentale serie di silografìe della Apocalisse (1498) di grande profondità simbolica, ma i suoi interessi culturali vanno ancora più in là: è scrittore, poeta, studioso di problemi scientifici e sperimentali, progetti- ita di sistemi di fortificazioni e autore di trattati sull'arte. Ha quindi 'n'universalità che lo fa paragonare a Leonardo anche se non ne possiede il mpido genio. I problemi fondamentali della sua opera sono la rappresentazione della tersona umana e la concezione prospettica dello spazio ed egli giunge ad una otevolissima fusione fra l'elemento nordico (serietà, sensibilità, fantasia e -curatezza) e il monumentale mondo formale e il pathos della pittura nascimentale italiana. Ricordiamo: Autoritratto (1498), L'Adorazione dei Magi (1504), Ouat- ro Apostoli (1526). ALBRECHT ALTDORFER. (Ratisbona 1480-1538). Nelle sue opere il paesaggio da sfondo si trasforma in tema centrale ed egli è quindi il primo grande pittore di paesaggi anche indipendenti da figure (Paesaggio Silvestre). Conosce le regole della prospettiva e le applica, ma senza un particolare igore, nel suo dipingere esuberante, drammatico e fiabesco (Battaglia di Isso, 1529). ANTONIO ALLEGRI detto CORREGGIO. (Correggio-Reggio Emilia x 498-1534). È indubbiamente uno dei protagonisti della pittura rinascimen- tale e inizialmente subisce un deciso influsso del Mantegna osservato nelle apere mantovane. Però Correggio, pur mantenendone il duro plasticismo e il -igore classico, lo addolcisce con una specie di «sfumato» leonardesco. bell'affresco Camera da pranzo della Badessa (1518/19) i due influssi sulla sua pittura sono chiari, ma personale è una maggiore delicatezza nel trattare le figure e modellarle. Nella decorazione della Cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma (1520/23) s'inseriscono anche influssi michelangioleschi e raffaelliani e i risultati sono quasi grandiosi. La prospettiva è di eccezionale arditezza e il senso di spazialità è totalmente nuovo. Le figure sono solide quasi come quelle michelangiolesche, ma il morbido colore (che ricorda Raffaello) unifica la visione sia pure nella libertà degli elementi che la compongono. Quando, infine, la forza vitale incomincia a venir meno, Correggio dipinge in modo oltremodo raffinato e cede alla sua naturale tendenza alla grazia. GIORGIO DA CASTELFRANCO detto GIORGIONE. (Castelfranco Ve neto 1477-1510). Di questo grandissimo pittore, che il Castiglione ne «II Cortigiano» pone accanto a Mantegna, Leonardo, Raffaello e Michelan- gelo, poco sappiamo e le opere sicuramente attribuibili a lui sono: Tempesta, Filosofia e Venere alle quali forse vanno aggiunte Madonna di Castelfranco e la Nuda. ( mancano alcuni righi) Berenson ha definito l'opera di Giorgione: «limpido specchio del Rina- scimento alla sua altezza suprema». Nella sua arte c'è qualche influsso: Bellini e Leonardo. Ma, in definitiva, nella sua pittura tutto è nuovo: la tecnica con la sua profonda concezione della natura e del rapporto dell'uomo con la realtà; la fattura che è sciolt; con il contorno subordinato alla morbidezza dell'avvolgimento atmosferica e luminoso. Lo spazio è rappresentato con i rapporti «tonali» dei colori imbevuti di luce. Egli è amante della musica, del canto e dell'amore. La sua pittura, anch se intellettualissima, è come un canto che esprime una nuova cordialità, un nuova amicizia tra le cose di natura e l'uomo, tra la figura e il paesaggio, tn la terra e il cielo. È una beatitudine che riempie le sue opere di cui è ancora incerto il vero significato. L'amore profondo anche per il paesaggio è evidente e i suoi sono paesaggi vastissimi e la natura è da contemplare con occhi nuovi. Da Giorgione prende le mosse l'arte di Tiziano. TIZIANO VECELLIO. (Pieve di Cadore 1488-1576). E allievo di Bellini • poi di Giorgione con il quale ha anche collaborato. Presto diviene pittor^ ufficiale di Venezia e nella sua lunga vita dipinge per gli Estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova, i Della Rovere di Urbino e per il Papa Paolo III. Sull'esempio di Giorgione Tiziano rifiuta con decisione l'asserto che ii disegno debba essere premessa necessaria alla pittura. Egli la concepisce tonale, ovverosia la sua rappresentazione dello spazio è raggiunta con il «tono» (rapporto di luce e di colore) e si affida, appunto, al colore, cioè alla sensazione, al sentimento immediato della realtà. Egli in tal modo stabilisce il carattere universale e la piena autonomia dell'arte pittorica e così ricrea la natura con la forza che lo distingue dall'angelico Giorgione. Quando Tiziano si reca a Roma Michelangelo loda le sue opere, ma aggiunge: «Peccato che questi veneti non sappiano disegnare». Non certo per questo commento, bensì per istintivo bisogno, Tiziano dopo aver ammirato l'opera di Raffaello e Michelangelo, consolida le forme senza però diminuire l'intensità della visione coloristica e luminosa, e l'accrescersi della drammaticità della sua figurazione si sposa ad un maggiore effetto di luce e colore. Tiziano rimane senza dubbi il maggiore esponente della stupenda scuola veneziana della pittura rinascimentale e delle sue tantissime opere (foto 1 - fra le quali gli ineguagliabili ritratti dove l'identificazione psicologica si ravvisa sublimandosi a tipo assoluto, ideale -, ricordiamo: Amor sacro e profano (1515), II Baccanale (1518), L'uomo dal guanto (1525), La Venere di Urbino, Carlo V col cane (1548), Cristo coronato di spine. Proprio l'ultima opera che abbiamo citato è esemplare per rappresentare la crisi manieristica che lo coglie intorno al 1540.
PARTE IV PITTURA MANIERISTICA Definire il manierismo non è facile per i significati spesso contrastanti o addirittura opposti che nei vari secoli gli sono stati attribuiti sul «merito». Ci affidiamo quindi al dizionario Zingarelli che recita: «Corrente artistica del tardo Rinascimento tendente all'imitazione esasperata di Michelangelo e Raffaello, e, per estensione, ogni orientamento che in arte si basa sull'imita- zione di un modello, ricercando la originalità nella variazione stilistica e nella complicazione formale». In effetti, se pur qualche avvisaglia è da ricercare prima, il manierismo ed in particolare la pittura manieristica, si manifesta apertamente dalla seconda metà del Cinquecento fino all'avvento, nel Seicento, del Barocco. La pittura manieristica è caratterizzata dal culto ossessivo dello stile e dell'eleganza formale, dalla caccia alla varietà e alla complicazione, da un eccesso di virtuosismo esecutivo, dalla aspirazione ad una artificiosa bel- lezza. Le opere dei pittori manieristici sono per lo più create nell'ambito delle regge o dei cortigiani per un pubblico aristocratico e si sottomettono a quei gusti fastosi, e NON si cerca più di interpretare o di imitare la natura, ma i grandi maestri della pittura rinascimentale che, secondo il Vasarì (decisa- mente manierista), avevano vinto non solo gli antichi, ma addirittura la natura stessa. La pittura manieristica nasce a Firenze, a Roma, a Mantova da dove si diffonde in tutta Europa: in Francia nel castello di Fontainebieau; ad Anversa, ad Harlem, ad Utrech; in Baviera; a Praga alla corte di Rodolfo II e in Spagna. I suoi maggiori esponenti sono: Vasarì, Potorno, Rosso Fiorentino, Nicolo dell'Abate, Maarten van Heemskerck, Cornelius van Haarlem, Pieter Candid e Bartholomeus Spranger. Sono considerati pittori manieristi, seppure con ben altra qualità e qualche originalità ed anticipa- zione su futuri sviluppi pittorici, anche Tintoretto, Veronese e El Greco.
II PITTURA BAROCCA Per Barocco s'intende lo stile affermatesi nell'arte del Seicento e durato sino alla fine del Settecento quando nasce il Neoclassicismo. La pittura barocca occupa due secoli (il XVII e il XVIII) e nasce all'inizio del Seicento quando, esauritesi il Manierismo, si avvertono esigenze di forme nuove per esprimere lo spirito proprio della Controriforma. Ma una parte assai vitale della pittura del Seicento NON rientra appieno nella definizione di pittura barocca. Ci riferiamo alla grande pittura del Caravaggio e dei suoi seguaci che fanno corpo a se stante con una splendida isola che non manca però di contatti con il continente smisurato della pittura barocca. La Chiesa Cattolica, fastosa e potente dopo le vittorie della Controri- forma, richiede dagli artisti tutti e quindi anche dai pittori, la celebrazione del suo trionfo e l'ordine religioso dei gesuiti, fautore dell'arte barocca, la diffonde in tutta Europa e, nonostante le tante varietà regionali, la formula è una sola: ABBAGLIARE E STUPIRE. La Chiesa, in contrapposizione alla Riforma, che voleva un'arte spoglia, riprende ad indirizzare gli artisti (così come avveniva prima del Rinasca mento) che DEVONO riaffermare ed illustrare la verità della Fede e dei dogmi e diffondere le nuove devozioni. Quindi tutta la pittura barocca è colma di rappresentazioni allusive alla difesa dei Sacramenti, alla esaltazione delle Opere di misericordia, alla diffusione delle Missioni, alla celebrazione di estasi e visioni. I pittori però, pur adeguandosi in parte alle richieste, danno libero spazio alla loro immaginazione con grande ingegnosità ed originalità e rompono i solidi limiti architettonici delle volte e dei soffitti degli edifìci spalancando visioni di cieli popolati di nubi e personaggi volanti. La pittura barocca abbandona l'idea rinascimentale della pittura come rappresentazione e imitazione della realtà in un rigoroso sistema di rapporti proporzionali ed armonici. La pittura barocca mira principalmente a commuovere e convincere il fruitore con le risorse di un'inventiva quasi senza limiti nella grande acutezza realistica e sensoriale delle immagini e i complicati e spettacolari effetti scenografici. Ma il distacco con la pittura ' rinascimentale non è di brusca rottura perché lo stile pittorico nuovo, per lo meno agli inizi, è ancora ispirato alle abbaglianti personalità di Raffaello e Tiziano. Così avviene che la decorazione della Galleria Farnese eseguita da Annibale Carrocci (dal 1597 al 1600) presenta grandi affreschi concepiti come quadri rinascimentali, ma l'effetto degli elaborati medaglioni e putti è senza dubbio barocco per il suo illusionismo. Il curvo soffitto è concepito come un'enorme volta di tela dipinta, aperta agli angoli per lasciare vedere il cielo. Le opere di Rubens, che soggiorna a Roma per brevi periodi agli inizi del 600, sono invece in perfetta consonanza con la ricchezza delle invenzioni allegorico-celebrative della pittura barocca, con le sue forme esuberanti e le esaltazioni delle passioni e dei sentimenti come le opere di Pietro da Cartona (foto 19), Nicolas Poussin, il Dusquesnoy, Pietro Testa, Andrea Socchi, il Mola e di tanti altri che dovunque, con capitale e partenza da Roma e diffusione in Italia e in Europa, fanno, a volte, anche con notevole diversità, pittura barocca, fino al Tiepolo (1696-1770) che rappresenta l'apogeo e la fine della pittura barocca. Questa, seppure caratterizzata da una briosa rapidità di esecuzione e di maggiore delicatezza di colore, dura anche nel Settecento fin quando la pittura Neoclassica prepotentemente la sostituisce. Prima di iniziare, in successivi e rapidi capitoli, ad esaminare i pittori più rappresentativi del 600 e 700, riteniamo opportuno accennare alla PITTURA ROCOCÒ' che nasce in Francia intorno ai primi del 1700 e si sviluppa nel resto dell'Europa come una degenerazione del tardo barocco. Essa favorisce temi maliziosi della mitologia galante (Watteau, Fragonard) e poi si afferma anche negli interni di chiese barocche, ma poca influenza ha in Italia.
Ultima modifica di Bruno il Lun Gen 21, 2013 6:58 pm - modificato 4 volte. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Dom Mag 03, 2009 11:55 am | |
| III CARAVAGGIO Alla grande decorazione barocca nelle cupole, nelle volte e su pareti di palazzi nobili e chiese e a tutta l'intonazione celebrativa di tanta pittura di storia o di soggetto religioso, si contrappone, nel Seicento e Settecento, una vigorosa corrente realistica che tende anche a rappresentare scene di costume o di genere o soltanto singoli elementi della realtà, come la natura morta, il paesaggio, la veduta e il ritratto. Dovunque, ma soprattutto nei Paesi Bassi, ognuno di tali generi si divide conducendo a vere e proprie specializzazioni. Le tecniche usate sono, fra l'altro, il pastello, l'acquerello e il guazzo. Parliamo ora di un artista la cui influenza diviene immensa in tutta Europa e che con la sua opera e con quella dei suoi tanti seguaci, diretti ed indiretti, rappresenta la contrapposizione più valida alla pittura barocca: CARAVAGGIO. MICHELANGELO MERISI detto CARAVAGGIO. (Caravaggio/Ber- gamo 1573-1610). È figlio di un capomastro e giunge a Roma in pieno clima di Controriforma. Dopo duri inizi presso alcune botteghe, viene «scoperto» da un mece- nate, il cardinale Dal Monte, che lo ospita, lo protegge e gli procura commesse. Nel 1606 Caravaggio in una rissa ammazza un uomo e fugge prima a Napoli e poi a Malta da dove, postosi in contrasto con potenti, deve nuovamente allontanarsi recandosi a Siracusa, a Palermo e ancora a Napoli (1609). Muore nel 1610. Come pittore Caravaggio è un rivoluzionario della tradizione manieri- stica ed è promotore della corrente più moderna e carica di conseguenze per l'arte seicentesca. Egli rifiuta la cosiddetta «maestà dell'arte» e si pone direttamente di fronte al vero rivolgendosi anche ai soggetti più umili e volgari trovandovi il fondo di un'eterna realtà umana. Il tutto con una serietà di osservazione senza retorica e una comprensione come atto profon- damente spirituale che è capace di creare, con uno stile nuovo, una nuova poesia. Caravaggio non dipinge con la florida abbondanza, con la «virtuosa» ' bravura, la ridondante decorazione della pittura barocca ne idealizza il soggetto, la storia, il mito. Preferisce soggetti senza storia e presenta immagini fortemente semplificate che vengono svelate nella sua pittura allo sguardo, dall'incidenza di una luce particolare, che ha esistenza, sorgente e dirczione autonome e diviene il fondamentale elemento che genera la scena rappresentata. Questa luce nel suo percorso scandaglia e determina lo spazio e evidenzia i corpi che investe e modella (foto 20). In sostanza è il principio della «luce-generatrice» un po' come m Leonardo, ma in Caravaggio non c'è lo «sfumato», ma la violenza del chiaro sullo scuro e nelle sue opere esplode la tragedia umana. Delle sue opere ricordiamo: I giocatori di carte (1595), Canestro (1599), Sacrificio di Isacco (1598), Bacco (1597), Cena in Emmaus (1598), Decora- zione della Cappella Cantarelli (1599-602), Deposizione (1603, che è forse il suo capolavoro). La morte della Vergine (1606, che fu rifiutata dal clero), Davide con la testa di Golia (1606). L'influsso immenso della pittura di Caravaggio si dirama da Roma in tutta Europa per la folla di artisti stranieri che vi conviene quale capitale mondiale dell'arte. Terbrugghen, Mattia Stomer, Baburen, Bylert e tanti altri sono suoi seguaci. Finanche Rembrandt e Velazquez dopo Valentin, Vouet e Scredine s'inseriscono nel grande flusso caravaggesco. A Napoli i brevi soggiorni di Caravaggio generano una vivace scuola locale con a capo G. Battista (detto Battistello) Caracciolo.
IV RUBENS, PIETRO DA CORTONA, LUCA GIORDANO VAN DYCK, NICOLAS POUSSIN, PELLEGRINI E TIEPOLO PIETER PAUL RUBENS. (Siegen-Vestfalia 1577-1640). Nel 1598 è ad An- versa dove è già un pittore ben conosciuto. Soggiorna in Italia dal 1600 al 1608 dove studia i pittori italiani e lavora per i Gonzaga. A Roma esegue alcune opere come L'esaltazione della Croce e Gesù coronato di spine dove non segue gli schemi disegnativi della pittura rinascimentale ed esprime un cattolicesimo grandioso e glorificante tipico della nascente pittura barocca. Ciò viene confermato quando, tornato in patria, fonda una famosa bottega nella quale si avvale di artisti come Van Dyck, Jan Bruegel e Paul da Vos. Nelle tantissime opere di quel periodo infatti le figure sono disposte - con libertà di posa - ad occupare tutta la superficie del quadro e s'intravede il paesaggio, creando così effetti atmosferici allusivi ad uno spazio infinito che è quanto mai caratteri- stico della pittura barocca (Autoritratto con la moglie, 1609). In qualcuno dei quadri di Rubens emergono suggestioni dell'opera di Caravaggio e del suo realismo, che tanto aveva apprezzato a Roma, ma l'opera di Rubens, nel suo complesso, è prettamente barocca nella sua espressione più alta (// ratto delle figlio di Leucippo, 1615 e Cristo in croce 1620). PIETRO BERRETTINI detto PIETRO DA CORTONA. (Cortona 1596 1669). Giunto a Roma nel 1612 e protetto dal cardinale Francesco Barberini, Pietro da Cortona è il grande creatore della pittura barocca romana. Ha Srande abilità di mano e tutto fa turbinare nelle sue opere, storia e mitologia, in una composizione spettacolare con eccezionali prospettive multiple e illusione scenografica che abbagliano il fruitore stupendolo più che persua- dendolo. così come è nelle intenzioni dell'autore (Volta del salone di Palazzo Barberini, 1633/39). Nasce in questo modo il fenomeno del « cortonismo » che ha un'infinità, anche illustre, di continuatori. LUCA GIORDANO. (Napoli 1634-1705). Nel 1655 è a Roma dove è noto prin- cipalmente per la straordinaria velocità con la quale esegue un dipinto da cui gli deriva il soprannome noto ed usato ancora oggi di « Luca-fa-presto ». Egli è do- tato di fertile fantasia e nella Apoteosi di S. Gennaro, di grande splendore ero- ' matico, segna la transizione fra la pittura barocca e quella rococò. ANTONIE VAN DYCK. (Anversa 1599-1641). È, giovanissimo, allievo di Rubens. Dopo vari viaggi anche in Italia diviene pittore di corte dell'arciduchessa Isabella (1630) e poi nel 1632 è nominato pittore ufficiale del rè d'Inghilterra. All'inizio la pittura di Van Dyck è quasi identica a quella di Rubens e forse, l'unica distinzione, a parte la diversa maestria, è la pennellata più nervosa e densa. L'influenza di Tiziano - visto in Italia - lo induce al «tonalismo» e a composizioni eleganti e calme in contrapposizione alla concitazione barocca da lui inizialmente adottata, e la grande leggerezza delle scene mitologiche sembrano precorrere la pittura rococò (Rinaldo e Armidà). Le sue cose migliori e più famose sono i ritratti (Carlo I e Figli di Carlo I) che influenzano pittori di tutta Europa. NICOLAS POUSSIN. (Les Andelys 1594-1665). Giunge a Roma nel 1624 e vi rimane per tutta la sua vita. In lui si fondono in modo notevole la pittura barocca e quella classica di derivazione veneziana ed in particolare tiziane- sca. Ma in lui c'è anche fusione fra colore e disegno e una profonda meditazione intellettuale (Baccanale davanti ad un'erma di Pan; II fatto delle Sabine, 1637; La Sacra Famiglia sulla Scala). GIOVANNI ANTONIO PELLEGRINI. (Venezia 1675-1741). La sua è decisamente pittura rococò. Nei suoi dipinti inglesi usa raffigurare costumi orientali e ricorre spesso all'illusionismo pittorico. Nelle sue opere sembra che prevalga l'improvvisazione anche quando c'è un soggetto ben determi- nato, ma egli mira con cura ad ottenere un effetto decorativo con la luce, l'aria e gli scintillanti colori (Musicanti, Rebecca al pozzo). GIAMBATTISTA TIEPOLO. (Venezia 1696-1770). Già nel 1617 è ufficial- mente pittore. Con lui si conclude la pittura barocca anche se i suoi numerosi seguaci proseguono su quella via. Di derivazione del Veronese, l'opera del Tiepolo è notevole per mole e qualità. Non c'è per lui superficie troppo grande da dipingere: niente è impossibile. Egli riesce a creare un mondo fantastico al di fuori e al di sopra delle leggi della natura. I soffitti da lui dipinti danno l'illusione di dissolvere la muratura che è come sostituita da un ciclo arioso e il fruitore ha la sensazione di avere una visione (La santa casa di Loreto). Nelle tante ville da lui affrescate tutto è dipinto: i vani, le pareti, le volte. E tutto è intonato agli ambienti, allo spazio e al gusto del tipo di vita che vi si svolge (Arcadia con Angelica e Medorofra i Pastori). Quando esegue l'affresco monumentale è meno «dolce» e la sua pittura diviene apologetica e la forma raggiunge con la prospettiva aerea la sua apoteosi (affreschi di Palazzo Clerici, della Residenza di Wùrzburg e del Palazzo Reale di Madrid), Ma un mondo estetico finisce con Tiepolo al punto che, sebbene fornito di tanta fama e prestigio, negli ultimi anni della sua vita rimane quasi senza la- voro. Ciò avviene in Spagna quando la moda neoclassica diviene incipiente.
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| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L' Arte pittorica in sintesi schematica Dom Mag 03, 2009 11:58 am | |
| [size=18]VELAZQUEZ, DE RIBERA, REMBRANDT, TERBRUGGHEN E GOYA DIEGO VELAZQUEZ. (Siviglia 1599-1660). Dal 1623 è pittore reale e de- tiene l'assoluta supremazia sui pittori spagnoli dell'epoca. Nelle due uniche occasioni in cui ha potuto lasciare la Spagna è venuto in Italia e vi ha soggiornato. Questo fatto e la sua pittura dimostrano quanto si sia ispirato a modelli caravaggeschi. Infatti immediato è il suo orientamento ad una rappresentazione naturalistica con preferenza per le scene di vita popolare (Acquaiolo di Siviglia) che hanno salda plasticità nelle figure e netti contrasti chiaroscurali (Adorazione dei Magi). È, inoltre, straordinaria la libertà cromatica dei suoi dipinti dai quali traspare anche una grande umanità che si rivela specialmente nella serie di ritratti a nani buffoni di corte (Sebastian de Morrà, 1644; El nino de Vallecas) e nella Resa di Breda (1635) che è la scena di una resa dopo una battaglia dove la guerra non è vista come una eccitante impresa, ma come una lotta dolorosa dove vincitori e vinti sono entrambi lieti che sia finita; c'è quindi, oltre al realismo plastico, anche quello psicologico che da alla scena qualcosa di patetico. Velazquez può considerarsi come uno dei più grandi pittori di tutti i tempi anche perché dal suo realismo esclude sempre di più ogni eccesso di «compiacimento» tanto comune alla sua epoca. Altre sue opere notevoli sono: Venere allo specchio. Papa Innocenze X, Damigelle d'onore. JUSEPE de RIBERA. (Jativa di Valencia 1591-1652). Dal 1616 è a Napoli dove assimila la lezione del realismo caravaggesco e contribuisce ad influen- zare la scuola napoletana della quale abbiamo già parlato e i cui massimi esponenti caravaggeschi sono, oltre al Caracciolo, Massimo Stanziane e Mattia Preti. Ribera nella sua «pittura tenebrosa» mette volutamente in evidenza i particolari macabri e grotteschi con un luminismo drammatico. Sia i santi che i mendicanti o qualsiasi altro soggetto raffiguri sono fortemente tipizzati e l'atmosfera è cupa (Ragazzo dal piede storto. Martirio di S. Bartolomeo, La donna barbuta). REMBRANDT VAN RIJN. (Leida 1606-1669). Figlio di un mugnaio compie studi umanistici e frequenta l'università di Leida che lascia per studiare pittura con maestri di gusto italianizzante. Nel 1625 inizia in proprio l'attività di pittore ed incisore. Dapprima il suo stile tende alla pittura barocca, ma presto se ne distacca totalmente. Ora nelle sue opere conflui- scono tendenze realistiche ed egli diviene un sommo maestro del naturalismo con una particolare preferenza per i soggetti che conosce bene. Rembrandt mostra di non aver preclusione per alcun soggetto: tutti sono degni di essere rappresentati in pittura purché sollecitino l'artista. Ciò lo rende un pioniere dell'arte moderna e la dimostrazione più lampante è un suo quadro, // bue macellato, dove il corpo scorticato è reso con eccezionale abilità ed emerge sanguinante e consistente su un fondo tetro. Gli effetti e i valori chiaroscurali sono indagati in tutta l'opera di Rembrandt che è anche sperimentatore di una pittura materica dove il colore pastoso crea effetti luministici. Come ritrattista Rembrandt ottiene un folgorante successo ed in partico- lare il ritratto di gruppo trova in lui un innovatore in quanto egli riesce, con immediatezza, a coinvolgere in una medesima azione tutti i personaggi dei quali riesce a raffigurare i più intimi stati d'animo (Lezione d'anatomia del dottar Tulp, Saskia ridente. Costruttore navale con la moglie e il famosis- simo Ronda di notte). Altre sue opere di intensissima emotività fra i moltissimi dipinti, disegni ed incisioni, sono i capolavori: Tré alberi, Ecce Homo, Tré croci. Negazione di S. Pietro, Sposa ebraica. Giuramento dei baiavi e la lunga gamma degli autoritratti. HENDRICK TERBRUGGHEN. (Devebter 1588-1629). Non è un sommo pittore come Rembrandt, ma è importante perché soggiorna a Roma per molto tempo e poi, tornato in Olanda, diffonde il caravaggismo, da lui profondamente sentito, a cui aderisce un folto gruppo di artisti olandesi. Sue opere: Incoronazione di spine. Chiamata di S. Matteo GOYA Y LUCIENTES FRANCISCO. (Fuendetodos-Saragozza 1746- 1828). Tenta invano di vincere borse di studio concesse dall'Accademia di S. Fernando (che abbiamo già citato nel capitolo sulla pittura rinascimen- tale) e dopo un viaggio in Italia (1771) riceve l'incarico di decorare alcune pareti della chiesa di Nuestra Senora del Filar in Saragozza e poi (1774) di eseguire sessanta cartoni per l'arazzerla reale per i quali impiega diciotto anni e che gli danno la notorietà e la nomina a pittore di camera del rè. Di qui inizia la sua famosa attività di ritrattista di personaggi dell'alta società (Duchessa d'Alba, Contessa di Chinchon, Ferdinand Guillemardet) nei quali c'è un'inquietante penetrazione psicologica, ma troppa fissità di posa. Nel 1792 Goya diviene quasi sordo, ma continua a dipingere in modo più * efficace alternando affreschi a piccoli dipinti e ritratti. La grandezza artistica di Goya consiste nella sua modernità di dipingere con pari interesse qualsiasi soggetto ricavandone effetti pittorici di assoluta avanguardia e che precorrono l'impressionismo, ma la sua pittura è ancora settecentesca e si rifa alla scuola napoletana, a Tiepolo e principalmente a Velazquez da cui prende libertà di esecuzione e quel realismo che lo conduce a lasciare una drammatica testimonianza delle vicende del suo tempo (Disastri di guerra, 1810; Fucilazioni del 3 maggio 1808). Famosissimi sono le due Majas (la vestita e la nuda) dipinte nel 1805 e La famiglia di Carlo IV(ISOO) dalla stesura pittorica a grandi macchie e dove si può scoprire una spietata denuncia dei difetti della famiglia del rè. Dopo vicissitudini varie Goya si apparta nella sua casa in campagna e ne dipinge le pareti con la serie delle «pitture nere» orribili e misteriose. Con queste visioni di un mondo impazzito si conclude l'attività dell'ultimo artista del Settecento che precorre Courbet e Manet.
VI PITTURA NEOCLASSICA Per Neoclassicismo si intende lo stile artistico sviluppatesi in Europa fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. In esso v'è una ripresa programmata, di stimolo dottrinale ed erudito dell arte antica classica e quindi del mondo figurativo greco-romano. Non vi è più, come è avvenuto dal Rinascimento in poi, fino al rococò una continuità seppure con notevolissime variazioni di cultura, ma un taglio netto. Mentre dal Rinascimento in poi l'arte antica è liberamente reinterpretata nel neoclassicismo - è opportuno ribadire - l'arte antica diviene oggetto di teorizzazione e di una quasi fanatica ricostruzione archeologica. Nel 1738 erano iniziati gli scavi di Ercolano e dieci anni dopo quelli di Pompei e poco oltre il 1750 pubblicazioni francesi ed inglesi facevano conoscere i monumenti della Grecia mentre venivano indagati anche i templi di Paestum. Non bisogna dimenticare inoltre che le condizioni politico-sociali vanno fortemente mutando con l'avvento massiccio della borghesia e le traumati- che rivoluzioni francese ed inglese (quest'ultima soltanto industriale). L'antichità viene presa come modello: Roma repubblicana durante la rivoluzione francese; Roma imperiale durante il successivo periodo napoleo- nico; la Grecia sempre, come esempio insuperabile di perfezione estetica etica e civile. La pittura neoclassica rifiuta recisamente ogni tradizione precedente che non sia di puro stampo antico-classico ed ha il suo maggiore teorico nel pittore boemo Anton Raphael Mengs (1728-1779) del quale vengono pubbli- cati postumi i saggi: Riflessioni sulla bellezza e Opere (1780). Nella pittura neoclassica c'è il predominio del disegno che, rispetto al colore, è considerato fatto intellettuale e più rispondente all'esigenza di razionalità e di assoluta purezza formale e contenutistica. Il maggiore esponente, oltre al Mengs, della pittura neoclassica è indubbiamente il francese Jacques-Louis David (1748-1825), pittore di Napoleone che, con il suo (foto 21) Giuramento degli Orazi (1785) consacra m pratica la nascita della pittura neoclassica. Il quadro, tanto importante per il neoclassicismo pittorico, viene eseguito a Roma e poi esposto a Parigi. La raffigurazione ha un certo carattere teatrale, ma la composizione è statica: il momento solenne del giuramento è immobilizzato nelle braccia alzate, con la voluta rinuncia alle seduzioni del colore che è severo e freddo come i dettami neoclassici impongono. In Italia la pittura neoclassica non ha grandi esponenti: il romano Camuccini (1771-1844), presidente dell'Accademia di S. Luca; il fiorentino Sabatelli (1772-1850) e, decisamente il più valido, Andrea Appiani (Milano 1754-1817) che gode del favore di Napoleone che ritrae più volte (// trionfo di Napoleone, 1808).
VII PITTURA ROMANTICA Per Romanticismo s'intende il vastissimo movimento culturale manife- statesi in Europa fra gli ultimissimi anni del XVIII e la metà, ed anche oltre, del XIX secolo. Sorto in Germania, il Romanticismo si oppone all'illuminismo (che vuole risolvere tutti i problemi con i soli lumi della ragione) e al classicismo (assoluta imitazione dei modelli greci e latini) affermando una nuova visione del mondo, una sensibilità basata sul culto delle tradizioni e della storia, un individualismo attivato dalla fantasia e dal sentimento nella coscienza dei complicati rapporti che legano l'uomo alla civiltà moderna. Il Romanticismo è anche la difesa della tradizione dei singoli popoli contro la tendenza a considerare il mondo come un'unica, grande patria, ovverosia il cosmopolitismo, specialmente visto come oppressione dei popoli potenti sui deboli. Ciò spiega la rivalutazione del Medioevo (in cui hanno origine le differenziazioni nazionali) operata dal Romanticismo. L'arte romantica nasce come manifestazione d'individualità cóntro la bellezza astratta di tradizione greco-romana, alla sua dogmatica applica- zione, al classicismo accademico e all'imperialismo napoleonico, e afferma il carattere di soggettiva interiorità dell'opera d'arte. Già nel 1797 il tedesco Wackenroder scrive: «A Dio piace il tempio gotico come il tempio greco » ed esorta a sentire il valore umano nelle opere d'arte di tutti i tempi e di tutti i popoli. I riferimenti privilegiati sono quindi i «primitivi» che sono 1''arte greca o anche medievale. In questo un certo punto di contatto c'è inizialmente fra l'arte neoclassica e la romantica, ma quest'ultima è caratterizzata da un'inquietudine spirituale, dalla ricerca di comunione con la natura, dalla fede nel divenire che spinge l'artista all'attenzione per l'ambiente sociale. All'Inghilterra spetta il primato della diffusione dell'arte romantica espressa nei giardini all'inglese svincolati dallo schema geometrico e dalla rigorosa simmetria. Si intende glorificare la natura accentuandone l'irregola- rità pittoresca. In architettura c'è un vero e proprio «revival» del gotico che * si diffonde a macchia d'olio. La pittura romantica proclama il primato del sentimento sulla ragione, ma scende a frequenti compromessi con l'Accademia. C'è infatti un'abbon- dante produzione di quadri storici diove l'unica innovazione si riiduce agli argomenti tratti dalla storia medioevale e non da quella romana classica. Di nuovo c'è il paesaggio romantico nel quale meglio si estrinseca l'emozione dell'artista anche se spesso in modo convenzionale. Decisamente il prodotto a poiùà alto livello della pittura romantica è espresso da Gericault(Rouen 1791-1824, Zattera della Medusa) e principalmente da Delacroix ( 1798- 1863) Il sentimento romantico della natura è espresso dai paesaggisti di Barbison (un gruppo di artisti che si rifugia nella foresta di Barbison vicino Parigi per sfuggire all'avanzata del progresso industriale) e da Corot ed altri. NUMEREOSI SONO I PAESAGGISTI INGLESI DI CUI I MAGGIORI SONO CONSTABLE e TURNER. Un discorso a parte meriterebbero i PRERAFFAELLITI che si costituiscono a Londra in confraternita nel 1848 con l'intento di recuperare un'arte spontanea ispirata alla natura. In Italia la pittura romantica non emana ecceziuonali bagliori e rimane un fenomeno circoscrittowe provinciale e il suo capo riconosciuto è Francesco Hayez(1791-1882, I vespri siciliani). Da ricordare sono i pittori della SCAPIGLIATURA ROMANTICA LOMBARDA (Cremona e Ranzoni), il piemontese Fontanesi, i napoletani Gigante, Palizzi, Morelli e i toscani Fattori e Lega. Solo un accenno ai Nazareni ed ai Puristi conclude quessto nostro veloce cammino lungo la pittura romantica.
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