BRUNO COTRONEI E I SUOI LIBRI
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 INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX

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Bruno
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MessaggioTitolo: INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX   INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX EmptyVen Feb 27, 2009 12:57 pm

Cap. IX
«Amintore Peri?»
«Sì, sono il dottor Peri, desidera?»

((Senti Peri, poche parole. Abbiamo ammazzato tuo fra­tello e ammazzeremo te o tua moglie o una delle tue figlie se non ci dai quattrocento milioni! »

«Se è uno scherzo io non ho tempo da perdere...»

«Scherzo, come sei simpatico, te ne accorgerai... prepara i soldi e ricordati, noi siamo latitanti e non abbiamo niente da perdere... ti richiamiamo, prepara i soldi!>>

Un clic e la comunicazione è bruscamente interrotta. Al posto della voce roca e volgare, dall’accento prettamente partenopeo il tuttù, tuttù della linea libera. Amintore si guarda intorno sconcertato, dall’ampia finestra il luminoso sole autunnale invia i suoi raggi senza calore che si concen­trano sulla sedia ginecologica proprio vicino al paravento di colore rosa tenue che si armonizza con lo scrittoio e le grandi librerie in rovere di Slovenia e le sedie ed il divano tappezzati in raso di identico colore. Preme un raso dell’apparecchio rosa pallido e la piacevole voce della telefonista con perfetto tono professionale gli giunge attraverso l’auricolare: ((Sii, dottore, dica...>>

«Chi mi ha passato poco fa?»

«Il signor Esposito, ha detto di essere il marito di una sua nuova cliente...’>>

«Nient’altro ?»

«No, dottore... desidera altro?’>>

«No signorina, grazie».

E’irritato, ha tanto da fare e quel Nino continua a infasti­dirlo anche da morto! Cosa c’entra una possibile estorsione con la morte del fratello? Quando mai la camorra ammazza prima e poi chiede soldi? Sarà uno scherzo di qualche esalta­to... e se fosse vero? Da più di un anno il pensiero di un at­tentato o peggio di un rapimento lo tiene in ansia: ormai commercianti ed industriali della città del corallo, nome col quale è da sempre conosciuta Torre del Greco, pagano tan­genti che diventano sempre più pesanti, tanto che alcuni so­no stati costretti addirittura a chiudere o a cedere l’attività per prezzi da fame. Ma cosa c’entra una clinica? Suvvia, co­me se non lo sapesse: è un’attività commerciale o addirittura industriale come le altre, o più redditizia delle altre con le cinquanta stanze perennemerìte occupate da una continua interminabile rotazione di donne che sfornano figli come prodotti industriali! Le statistiche riportano un calo delle na­scite anche in Campania; sarà, tuttavia lui non se ne è mai accorto. Il vero fatto è che da quando ha aperto “Villa del Giacinto” con il professore Milani, non solo non ha mai do­vuto lamentare una camera libera per più di un giorno, ma quando il socio è morto e ne ha acquistato la quota, ha do­vuto far edificare un altro corpo di fabbrica. Ma con la Ca­morra non ha mai avuto a che fare o per meglio dire, un reci­proco rispetto ha caratterizzato i suoi rapporti con le pro­paggini che stendono le mani ingorde come tentacoli di una piovra sulla città vesuviana: si sa chi da anni domina la zona e lui ha accordato massici sconti sulle degenze e visite gratui­te alle donne del pittoresco “pezzo da novanta”. Ma con l’avvento di don Raffaele Cutolo, il boss di Ottaviano, paese che è diviso da Torre del Greco dal Vesuvio, tutto è stato ri­messo in discussione e il nuovo capo ha nominato suoi “pro­consoli” in ogni zona del napoletano e particolarmente nel territorio dominato dal vulcano provocando una vera e pro­pria guerra per la reazione della Nuova Famiglia alla quale sembra facciano capo personaggi della mala come Nuvolet­ta, Giuliano, Zaza, Vollaro e Bardellino: dan famigliari dal le intricate ramificazioni. Non rappresenta un mistero per nessuno cosa vogliono significare gli omicidi spesso eseguiti con crudeltà raccapricciante di cui ogni giorno le pagine di cronaca dei giornali sono piene. Scontri fra organizzazioni camorristiche per àssicurarsi il dominio incontrastato in questo o in quel paese, in questa o quella cittadina e infine sull’intera Campania. Nel sanguinoso ping-pong di azioni destabilizzanti e di vendette inframezzate da blitz della poli­zia si determinano a volte veri vuoti di potere dei quali ap­profittano delinquenti improvvisati per cogliere il possibile, anche le briciole o per farsi un nome magari aggregandosi, come vassalli, alla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo o alla Nuova Famiglia.

“Potrebbe essere qualcuno di questi?”, si interroga Amin­tore, “o è lo scherzo di un pazzo?” Si gratta il lobo dell’orec­chio con intensità maggiore del solito nel gesto che è uno dei suoi riflessi condizionati di quando è preoccupato, poi si al­za di scatto e si dirige all’uscita della clinica ossequiato da in­fermiere ed inservienti. Sulla scalinata si ferma un attimo in­cantato come sempre dal mare appena increspato che si stende lì davanti a lui lontano fra i tetti della vecchia Torre fra i quali immediatamente riconosce quello del Museo del Corallo annesso alla Scuola Statale per l’Incisione dove tante volte ha condotto i suoi ospiti ad ammirare i meravigliosi la­vori eseguiti non solo sul corallo, ma anche su lava, conchi­glia rosa, sardonica, corniola, conchiglie tigrate, madreper­la, tartaruga e avorio fra le dotte dissertazioni del direttore, il professor Ciavoli che, come di consueto, si è messo a sua completa disposizione nella speranza che acquisti ancora qualcuno dei suoi quadri dove, fra conchiglie di ogni genere, emerge un corpo femminile in atteggiamento languido, ma­gari con un mandolino fra le braccia pienotte. Un pò più lontano è il porticciolo dove è attràccata la sua barca dall’in­terno accogliente, ma dall’apparenza non dissimile da uno dei tanti pescherecci che dondolano mollemente nello spec­chio d’acqua tranquillo. Alle sue spalle la pineta si inerpica lungo i fianchi del vulcano e conferisce un senso di pace e di salubrità con il verde e l’odore intenso e resinoso che si me­scola al profumo acuto dei giacinti che invadono il giardino con i grossi fiori sorretti da steli carnosi e rigidi, simili a spi­ghe con le corolle a sei petali ricurvi in fuori nell’orgia di ro­sa in tutte le sue gradazioni possibili. Il naturale compiaci­mento che prova ogniqualvolta lo sguardo si posa sul suo re­gno o su parte di esso, lascia il posto quella mattina all’irrita­zione per la telefonata e nervosamente prende posto nella Ritmo diesel e la guida verso l’autostrada. “Ecco la risposta quando Clara e le ragazze vogliono mostrare più chiaramen­te la nostra ricchezza! Non sono mica un pazzo io come Ni­no che senza possedere nemmeno la centesima parte del mio patrimonio ha ostentato macchine di lusso facendo credere chissà che. Invece automobili modeste, villa e barca dall’esterno anonimo e le mie attività mascherate in società di comodo delle quali io risulto solo uno degli azionisti. Ha funzionato con il fisco e anche con la camorra, i miei lussi me li prendo all’estero, lontano da occhi indiscreti! Eppure vogliono quattrocento milioni, maledetti!”



L’anziana impiegata dell’AOFIN S.p.A. solleva a stento i suoi oltre ottanta chili concentrati in prevalenza dalla vita in giù, quando Amintore spinge con furia la sconnessa porta a vetri opacizzati, piombando nella disadorna sala d’attesa del primo piano del vetusto palazzo di piazza Garibaldi dove ha sede la finanziaria tutto fare che ha tanto incrementato la ricchezza del ginecologo, e gli rivolge un rispettoso saluto mentre sotto le spesse lenti gli occhi cisposi lo guardano non certo con benevolenza. Amintore risponde con un cenno della mano e apre la pesante e alta porta dalla vernice scro­stata che immette nella stanza del direttore. Il robusto ragio­niere Cipolletti è immerso fra registri e incartamenti e fa fun­zionare con rapidità la calcolatrice elettrica e il rotolo di car­ta zeppo di cifre si allunga fin quasi a raggiungere l’impianti­to consunto, ma pulito. Solleva la testa riccioluta e immedia­tamente scatta in piedi. Amintore si siede all’altro scrittoio e sollecita il collaboratore perché faccia presto a sottoporgli le questioni più urgenti. Per più di un’ora concessione di presti ti garantiti da immobili, casi di inquilini insolventi, aumenti da applicare, lavori di riattazione per gli appartamentini a Roccaraso ed Ischia vengono snocciolati allo strano medico, ma Amintore è distratto, abulico, lo sguardo vaga dallo scrittoio del ragioniere alle sedie tappezzate in finta pelle, dal grande calendario che domina il tratto di parete fra il calssificatore e la libreria ripiena di raccoglitori, dallo sche­dario al tavolino per la macchina da scrivere, dal lume a sfe­ra che diffonde una lùce malata alla finestra alta e stretta che lascia vedere un balconcino con la ringhiera di ferro tanto vi­cina che sembra di poterla toccare stendendo un braccio. Che differenza fra quest’ufficio, che è il suo vero regno, e lo studio a Villa del Giacinto! Il motivo c’è e come tutte le sue azioni, ben congegnato e perfettamente funzionale. Ora la strana telefonata con la richiesta imperiosa vorrebbe mettere in crisi quanto ha così accortamente predisposto? Non è una mera questione di cifra, peraltro trattabile, ben poca cosa ri­spetto alle sue sostanze, ma incominciare a far parte di colo­ro che possono essere ricattati lo infastidisce e lo irrita oltre ogni limite. Nino ha rappresentato la vera disgrazia della fa­miglia! Anche la sua morte violenta con il cancan che si èscatenato e le indagini, gli articoli sui giornali e il futuro pro­cessoa Sergio Spiga, ha fatto, e sempre più farà, concentrare l’attenzione della gente sui Peri. Maledizione! Mette il visto sulle pratiche più semplici e correnti, riman­da le complicate e si congeda rapidamente dal ragioniere.



«Ho capito, ma calmati!» Ortesio fissa il fratello con la solita aria tranquilla, rassicurante e rigira per l’ennesima vol­ta la penna fra le dita sottili. «Per ora c’è poco da fare, atten­di un’altra telefonata, registrala e prendi tempo, poi decide-remo».

«Già, parli facile tu, non l’hanno rivolte a te richieste e mi­nacce! Ma pure tu ne puoi essere coinvolto, l’AOFIN è an­che tua...»

«Desidero solo che ti calmi, non prendo niente con facilo­neria e lo sai bene, penso tuttavia che ci sia tempo, non si è mai sentito di un’estorsione che subito passi all’omicidio o ad azioni contro la persona. Qui si tratta o di uno sciacallo che vuole approfittare della morte di Nino o di un vero ten­tativo di ricatto. Nel primo caso non dovrebbe succedere più nulla, suppongo. Nel secondo riceverai nuove sollecitazioni e allora bisognerà andare alla polizia e dal giudice Fucci. Non dimenticarti che Sergio Spiga è in prigione...»

«M’importa assai di Spiga quando c’è Clara o le ragazze in pericolo, oltre me e le mie attività!»

«Amintore, davvero sono meravigliato di quello che di­ci... davvero non ti importa se un innocente è in prigione? Per la nostra società nell’AOFIN non me ne sono mai penti­to come in questi giorni...»

«Già, come se i soldi che hai ricavato non ti avessero fatto piacere... »

«No, ora non mi fanno piacere, guadagno e ho sempre guadagnato a sufficienza con la professione e i miei interessi, lo sai, sono nella ricerca e nelle pubblicazioni, ma mi con­vincesti quando per mia disgrazia ti chiesi consiglio su inve­stimenti dei miei guadagni...»

«Ah, ora mi fai l’idealista! Ma guardati intorno, molti miei amici e conoscenti e anche tuoi come credi possono per­mettersi le ville al mare, in montagna, la barca di lusso, i viaggi, gli studi all’estero dei figli oltre alle case hollywoodia­ne a Posillipo, via Petrarca o via Orazio? Con le finanziarie, con le speculazioni, se non addirittura con la droga...»

«Basta! Stai esagerando! Si vede che sei agitato. Ora cal­mati e fai quanto ti ho detto, ti sarò vicino come sempre».

I fratelli si alzano e Ortesio accompagna Amintore alla porta del suo studio all’istituto e lo vede attraversare una delle sale dove apparecchi mostruosi simili a robot sono stati da poco abbandonati da assistenti, tecnici e pazienti. Fruga nelle tasche del camice invano e poi apre un cassetto dello scrittoio verniciato di bianco e ne trae le sigarette. Ne accen­de una e aspira con nervosismo dirigendosi verso la finestra dagli infissi in splendente alluminio anodizzato giusto in tempo per scorgere il fratello nel piazzale antistante l’alta torre del moderno complesso che ospita la seconda facoltà di medicina, montare nella Ritmo posteggiata a fianco della sua Mercedes.



Il motore della Fiat perde colpi, tossicchia e la velocità di­minuisce sensibilmente. “Ci mancava anche questa oggi, che giornata!”, impreca Amintore. ‘Con un intero pomeriggio di visite e un parto complicato.., ma chi me lo fa fare, soldi ne ho e non sono più un giovanotto, cinquantatre anni non sono pochi, ma nemmeno molti per rifarmi una vita in un luogo più tranquillo e civile, come Lugano ad esempio. Cedo la clinica e mi trasferisco! Tanto figli maschi non ne ho e se proprio Nicoletta vuole laurearsi in medicina per fare la ginecologa le aprirò una clinica lì... Che son pazzo a metter­mi a lottare pure contro la camorra, a non vivere più per la perenne preoccupazione di richieste sempre maggiori.., ma vediamo cosa ha questa disgraziata...” Dirige l’auto verso la corsia di emergenza, ma repentinamente la Ritmo riprende a pieno regime e risponde con perfetta regolarità ad accelera­te, scali di marcia, rallentamenti e improvvisi affondi con il pedale a tavoletta, come se avesse solo voluto scherzare. Pa­rallelamente l’umore di Amintore abbandona la tetra dispo­sizione e affronta, con l’energia di sempre e distribuendo sorrisi rassicuranti, le visite ed il parto. L’episodio della mat­tina precipita nell’oblio alla pari del ginecologo che si abban­dona a sera a un profondo sonno ristoratore.
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MessaggioTitolo: Re: INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX   INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX EmptyVen Feb 27, 2009 1:01 pm

«Amintore Peri?>>

« Sì».

«Hai preparato i soldi?’>>

Affannosamente la mano cerca il tasto del registratore e immediatamente dopo aziona l’amplificatore del telefono rosa che permette di parlare e ascoltare anche a distanza.

«Cosa dice?»

«Peri non fare il furbo, hai preparato i soldi?»

«Ma che soldi, non ne ho contanti... senta...»

«Tu parli troppo, ti diamo tre giorni, poi ti diremo come ce li devi consegnare. Se farai il furbo ti veniamo ad ammaz­zare fino a casa e attento alla tua famiglia!’>>

«Ma un momento, ragioniamo...>>



((Fra tre giorni!», e il clic e tuttù, tuttù lasciano Amintore sconcertato e spaventato. Ora non è più uno scherzo, ne èconvinto e comunque non può e non vuole rischiare sulla sua pelle e su quella dei suoi cari, nè intende privarsi di parte del suo amato denaro. Abbandona velocemente la clinica ed entra nel bar il cui proprietario, si sa, è la lunga mano del pezzo da novanta della cittadina vesuviana. Con lunghi giri di parole e sfruttando appieno l’innata furberia, racconta l’episodio quasi come non lo riguardasse. Ancora più destro di lui, quell’uomo grande e grosso con uno stomaco che sembra voler scoppiare da un momento all’altro, gli fa inten­dere con lunghi giri di parole, similitudini complicate e con­tinue strizzate d’occhio che non se sa nulla e s’informerà, ma già esclude che possa trattarsi di elementi locali che non prendono nuove iniziative e tantomeno lo farebbero con un “amico” perché colui che è più su del pezzo da novanta è in carcere, ma anche da lì si fa rispettare e tiene le fila di tutto.

Amintore telefona ad Ortesio e gli racconta ogni cosa. Im­mediata la decisione del fratello che gli fissa appuntamento in questura da un commissario suo amico. La grande scala circolare del palazzone della Questura viene affrontata con fastidio da Ortesio, dopo aver tentato invano di prendere posto nell’affollatissimo ascensore. Non può evitare di pensare il radiologo con quale criterio sono stati costruiti i grandi edifici del Ventennio: tutta apparenza e poca sostanza, come il regime che li ha partoriti. Il palazzo della Posta centrale, con l’indubbia bellezza delle linee sem­plici valorizzate dall’immenso portale e con la facciata rive­stita di marmo di pregio dal colore sobrio, quello della Pro­vincia e infine l’altro della Questura, lungo la cui scalinata sta arrancando, sono architettonicamente esemplari, ma quanto a funzionalità lasciano molto a desiderare. Insieme ad altri rendono la piazza sulla quale si affacciano degna di qualsiasi metropoli, anche perché costruiti sulle nuove lar­ghe strade volute dal sindaco Nicola Amore alla fine dell’Ot­tocento, quando riuscì ad ottenere gli stanziamenti necessari per “sventrare Napoli”. Giocò abilmente l’illuminato sinda co sulla commozione suscitata dal colera del 1884, quando persino il re d’Italia Umberto I venne a Napoli e insieme con il duca d’Aosta, Depretis e Nicola Amore si recò alla Conoc­chia, l’ospedale per le malattie infettive di quei empi, e si trattenne a lungo con i degenti stringendo la mano ad ognu­no di loro. Quanti progressi ha fatto la medicina da allora! Eppure si era tentato di tutto per impedire che l’infezione scoppiata a Tolone e Marsiglia, forse a causa della frutta proveniente dal Mezzogiorno, si diffondesse nella nostra cit­tà: le vie cosparse di acido fenico, di acido solforico e segatu­ra, la disinfezione dei cessi delle totalità delle abitazioni e i vicoli e vinelle di Santa Lucia innaffiati con acqua di mare fe­nicata, ma non era servito a nulla. Anche le spazzatrici mec­caniche perennemente in funzione e le stufe di disinfestazio­ne costruite in fretta in vari punti della città non erano riu­scite ad evitare il contagio e dalla fine di agosto il numero dei morti assunse cifre indegne di una città civile, circa 7000! 1 medici Cantani, Perli, Ettori e Amoroso fecero il possibile, anche iniezioni di acqua salma, ma dopo un inizio colmo di speranze, i risultati non furono apprezzabili. E da cosa di­pendeva il vertiginoso moltiplicarsi di infermi? Dalle condi­zioni d’igiene nelle quali viveva la città, dall’ammassarsi di tanta povera umanità in strade che erano dei veri e propri budelli immersi in una luce scialba e smorta da case altissime e percorsi da ruscelletti neri e fetidi nei quali c’era di tutto che imputridiva senza interventi, dove appariva che da anni non ci passasse mai uno spazzino. Ed ecco la nobiltà dell’azione di sventramento voluta da Nicola Amore. Ma a che era servita? Praticamente solo a donare alla città tre o quattro imponenti strade nuove che tanto effetto facevano all’occasionale visitatore. Specialmente il corso Umberto, comunemente conosciuto come il rettifilo, lungo oltre un chilometro e largo come sarebbe auspicabile che fossero buona parte delle vie di una città civile. Doveva rappresenta­re appena l’inizio e invece lo sventramento è finito lì. I vicoli stretti e sporchi del Mercato, del Pendino e del Porto sono rimasti più o meno inalterati e col solito ammasso di donne, vecchi e bambini che sono costretti a respirare l’aria malsana e a vedere il sole soltanto ruotando la testa fino ai limiti per­messi dai muscoli del collo. E destino di questa città e anche per il modo rassegnato di come affronta problemi vecchi di secoli che nulla cambi mai in modo davvero sostanziale, pensa il radiologo. Anche nel 1973 abbiamo avuto il colera quando in Europa, nella civile beninteso, è un male intera­mente scomparso e i motivi, le cause sono sempre le stesse anche se fortunatamente i presidi medici sono oggi ben più efficaci di quelli di quasi cento anni prima. E la camorra? Si è addirittura accresciuta non solo di numero, ma come orga­nizzazione: essa sì che ha fatto progressi in questa città im­mobile!

Ha finalmente raggiunto il piano dove è l’ufficio del suo amico e subito viene introdotto dal piantone in un ambiente spazioso, forse anche troppo e siede di fronte al commissario Nuti. Dopo qualche minuto sono raggiunti da un affannato ed agitato Amintore che ripete il racconto delle telefonate tormentando la penna che ha fra le mani. Nuti è un uomo sulla quarantina dal viso deciso e lo sguardo intelligente, con folti capelli crespi di colore rossiccio. Sono ormai due anni che da Milano è stato trasferito a Napoli per la lotta al terro­rismo. Dopo il rapimento dell’assessore regionale Ciro Ciril­lo proprio a Torre del Greco non lontano da Villa del Gia­cinto e il successivo rilascio, sembra per intervento della ca­morra, si è dovuto interessare anche di questo male per stu­diare e scoprire i possibili legami fra criminalità politica e co­mune. Ascolta in silenzio le parole del ginecologo e di tanto in tanto sposta lo sguardo su Ortesio al quale è grato per le cure che ha prodigato alla moglie affetta da un male terribi­le. Accende una sigaretta e raccoglie i pensieri. «Capisco la sua agitazione dottore, sono cose da non prendere sotto gamba, anche se debbo dirle che il modo di fare di chi le ha telefonato è perlomeno strano. Non ci si ac­cusa con facilità di un omicidio per un’estorsione. Gli omici­di, i ferimenti magari vengono dopo, quando le richieste non sono soddisfatte, ma come si fa a dire al fratello di un uomo al quale sono riconoscente, non paghi o non si preoc­cupi... magari è una nuova strategia, chissà... Il vero è che pur dedicandosi alla camorra, ad attività più redditizie quali la droga, il contrabbando, gli appalti, i rifornimenti ad enti pubblici e privati, i mercati ortofrutticoli ed il gioco d’azzar­do, non vengono certo trascurate le tangenti su attività com­merciali ed ora sembra anche le professionali o quelle che so­no a cavallo fra le due. Il caso del farmacista gambizzato ad Ercolano e tanti altri dimostrano che c’è poco da scherzare. Il guaio per chi deve cercare di reprimere il fenomeno è pro­prio nella polverizzazione di coloro che agiscono in tale dire­zione e nella guerra fra le organizzazioni camorristiche che permette ad èlementi nuovi d’infiltrarsi e di adottare magari metodi differenti. Nel suo caso poi non sembra trattarsi di una tangente fissa, ma di un’estorsione diciamo “una tanto"...>>

­«E se pagassi?», interloquisce Amintore quasi spezzando la penna.

«Dovrebbe attendersi altre richieste a meno di non concor­dare un tanto al mese per la cosiddetta protezione... ma poi sarebbe certo che chi incasserebbe la somma richiesta ha il reale controllo della zona? E se nella guerra in corso vincesse­ro gli altri?... No, caro dottore, non le consiglio di pagare».

«Allora che debbo fare?»

((Giusto, innanzitutto porremo i telefoni della clinica e di casa sotto controllo, ma non posso garantire la sua incolu­mità personale, non abbiamo uomini sufficienti per farla scortare... e poi sua moglie e le sue figlie? Ma attenda, par­liamone con il collega che si occupa di estorsioni».

Alza il microtelefono e chiede del commissario Migliac­cio. «Non c’è? Allora venga lei da me, per favore».

Si rivolge nuovamente ai fratelli che sono impegnati in un’animata discussione condotta a fil di voce.

«Il commissario Migliaccio è fuori, ma ora verrà il suo braccio destro, il maresciallo Riccio. Vorrei precisarle, pro­fessore, che con voi non sto parlando da funzionario di poli­zia, ma da amico».

La porta viene aperta e un tarchiato individuo di mezza età che sprizza energie da tutti i pori si dirige decisamente verso lo scrittoio. Con rapidità Nuti lo mette al corrente, gli fa ascoltare la registrazione e chiede il suo parere.

«Buone notizie commissario, da tempo abbiamo ricevuto da Torre una serie di denunce e sembra che ad agire sia un nipote del boss che è in carcere. Le posso anticipare che fra pochi giorni contiamo di arrestano. Ha ragione il dottore quando dice che è latitante, ma non lo rimarrà a lungo!» La voce è squillante, il fare tranquillizzante. E l’immagine dell’efficienza. Tuttavia Nuti non sembra convinto ed ecce­pisce:

«Maresciallo, e nel frattempo chi garantisce sull’incolumi­tà del dottore e dei famigliari?»

«Gli hanno dato tre giorni? Ebbene basteranno!»

«Se se non bastassero?»

«Assuma delle guardie giurate e si faccia proteggere e non lasci uscire di casa moglie e figlie!»

«Ed eventuali ritorsioni dopo l’arresto?»

«Commissario, sono suoi amici se ho ben capito. Possono anche non sporgere denuncia, già ne abbiamo a sufficienza>>

Chiede il permesso di congedarsi e, dopo una stretta di mano che quasi porta via il braccio ai Peri, scompare veloce come è apparso.

I fratelli sembrano rincuorati, Amintore ha un’aria più di­stesa. Nuti invece è cogitabondo: accende un’altra sigaretta e aspira profondamente. Un duro conflitto deve tormentar­lo, se agire da funzionario di polizia o da uomo riconoscen­te. Infine parla:

«Signori, ciò che ha detto Riccio è solo una conferma che le telefonate sono serie e bisogna considerarle in tutta la loro pericolosità. Non dovrei parlarvi così, ma la gratitudine ver­so di lei, professor Peri, che si è rivolto a me non come com­missario ma per un sincero consiglio, mi costringe a farle presente che la situazione di suo fratello non è rosea come sembra dalle parole del maresciallo». Schiaccia la cicca nel portacenere e accende una nuova sigaretta. «Vede, l’arresto ci sarà, ne arrestiamo tanti, ma fra quanto? Le guardie giu­rate possono scoraggiare un attentato diretto, ma una bom­ba si fa presto a lanciarla contro la clinica o contro la casa... e ritorsioni successive? Voi non potete non denunciare, c’è un omicidio in ballo e un arrestato probabilmente innocen­te...>>

«E allora?», chiede con voce flebile Amintore che è impal­udito.

«Allora questo, dottore. Stenda la denuncia dettagliata, lasci il nastro registrato e faccia partire moglie e figlie per una grande città senza che si sappia il luogo e lei le segua o si faccia proteggere. Vedremo poi gli sviluppi e ci regoleremo».

Ortesio e Amintore discendono dall’ufficio frastornati e quasi come una liberazione abbandonano il palazzo e aspi­rano voluttuosamente l’aria della strada e osservano il cielo sopra di loro, anche se lo scappamento di mille macchine strombazzanti ammorba l’atmosfera e grige nuvole si adden­sano su in alto.

Amintore è nuovamente nella Ritmo e riflette intensamen­te. Ormai è certo che dovrà risolvere il problema da solo. Ha toccato con mano le difficoltà nelle quali la polizia si dibatte contro quelle forze che non possono essere vinte se non si agisce a monte. Il caso Cirillo è appena un esempio, ma sin­tomatico di probabili collusioni con la classe politica. Biso­gna creare un modello diverso di società, la raccomandazio­ne, i privilegi debbono essere aboliti, i processi giudiziari resi più rapidi e principalmente gli accertamenti fiscali più effi­cienti. Priva di capi, la delinquenza spicciola tenderà a scom­parire. I boss camorristi, i mafiosi hanno sicuramente am­massato ingenti ricchezze e solamente accertandole e sma­scherando provenienze fittizie si può agire ed incarcerare i veri capi, a patto però che non riescano una volta arrestati ad uscirne presto, ad avere contatti con l’esterno o a farsi trasferire dove vogliono. Ma non è proprio lui uno dei tanti che si avvalgono dell’inefficacia del fisco, delle leggi o della loro pressappochistica applicazione? Quanto guadagna ogni anno? E quanto paga di tasse? Oggi sconta non tanto col de naro, ma con preoccupazioni sulla vita sua e dei propri cari il “sistema” che tanto ha fatto comodo anche a lui. Allora che fare~ O andare via dalla città, dall’Italia o entrare in con­tatto, ma un contatto serio e duraturo, con quel potere oscu­ro. Deve analizzare bene le varie possibilità e usare l’abilità, la furberia che già tante volte gli sono tornate utili.

Spinge la porta che immette nel belvedere della villa. Clara indossa un camice bianco chiazzato qua e là da mac­chie di vario colore e una berretta da pittore le ìncornicia il volto ancora bello, ma che tradisce gli anni, forse anche a causa di una truccatura eccessiva: troppo scuri gli occhi sottolineati dal segno della matita, troppo tumida e cupa la bocca e le guance esageratamente accese, la pelle rivestita da uno strato di cipria così spesso che sembra ricoperta da una peluria ocra, tiene con la mano sinistra la tavolozza e con l’altra un lungo pennello con le setole intrise di una tinta rosso sangue. Davanti a lei il grande cavalletto sul quale è infissa una tela con figure abbozzate e a destra una mensola ricolma di tubetti di colore, pennelli di ogni di­mensione, spatole, pennellessa e tanti pastelli in scatola o giacenti alla rinfusa spezzati, ridotti a mozzicone o sbricio­lati. Infine alla sua sinistra Nicoletta e Nellina negli abiti vivaci della tarantella sorrentina che posano in atteggia­mento aggrazziato.
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MessaggioTitolo: Re: INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX   INTORTE SPIRALI D'EROTISMO Cap. IX EmptyVen Feb 27, 2009 1:05 pm

La scena che può apparire un pò ridicola dati i risultati in­vero assai modesti sui quadri che Clara si ostina da anni a sfornare a ritmo accelerato e gli son costati tanti soldi fra te­le, colori, mostre e cataloghi, è illeggiadrita dalle figliole che sono un vero splendore. Nicoletta con i lunghi capelli biondi e gli occhi neri grandi e misteriosi e un corpo di donna in fio­re dalle forme snelle, ma perfette, e Nellina che le ricorda Clara giovane: capelli ed occhi neri, il viso tondo e il corpo ancora non sviluppato da adolescente nel quale vi sono però tutte le premesse per la magnifica donna che non tarderà a sbocciare. Le ragazze gli sorridono e abbandonano la posa fra le proteste un pò isteriche di Clara che è costretta a per­dere “il momento buono, l’ispirazione "

Amintore la calma, le fa comprendere con difficoltà che deve comunicare loro cose importanti e, seduti sul vecchio divano traballante con la tappezzeria anch’essa macchiata di colore ad olio quasi a voler avallare il diritto ad essere un ac­cessorio di uno studio di pittura, riferisce delle telefonate e del colloquio in questura, anche se in una versione purgata che deve sì preoccupare, ma non spaventare. Riesce dopo un lungo dibattito a convincerle che debbono partire in giorna­ta per Roma, all’Hilton, e trattenersi finquando non le rag­giungerà o farà sapere che il pericolo è passato e per ogni ne­cessità debbono rivolgersi ai loro amici romani conosciuti a Roccaraso.

E triste passare la sera da solo nella villa ampia e comoda che tanto si è adoperato, come sua consuetudine, per mime­tizzarne dall’esterno ogni sfarzo e con la piscina ben nasco­sta nella parte più spaziosa e alberata del giardino. Spesso si è chiesto, quando la sua ricchezza è aumentata prodigiosa­mente, se non fosse un lusso troppo in vista, ma si è tran­quillizzato riflettendo che all’epoca dell’acquisto, tanti anni prima, quelle ville erano vendute a prezzi abbastanza acces­sibili e ben più modici di appartamenti sulla collina di Posil­lipo. Non ha abituato allo sfoggio moglie e figlie, ma ad una quieta agiatezza e le villeggiature a Ischia o a Roccaraso han­no visto la sua famiglia sempre in appartamenti modesti, ma comodi. Solo una volta all’anno si permette un’impennata conducendo i famigliari all’estero in alberghi dove non bada a spese. Anche oggi ha avuto una cabrata quando ha detto alle sue care di alloggiare all’Hilton, ma crepi l’avarizia, po­verette, chissà per quanti giorni dovranno fare a meno di lui, assuefatte come sono a vederlo ogni sera durante le villeggia­ture. Non ama la solitudine, gli piace avvertire intorno a sè il calore delle sue donne e, quando può, anche degli amici ed ora invece è qui nel vasto soggiorno con il televisore sul qua­le passano immagini che non riesce a focalizzare. Solo la te­sta di Norton poggiata sui suoi piedi e il dorso di Giuditta pigiato sul lato della poltrona gli danno un pò del calore a cui è avvezzo. I suoi stupendi dobermann non l’hanno lasciato un minuto dalla partenza della moglie e delle figlie. La mano scivola sul pelo corto liscio e duro di Giuditta e ne sen­te la solidità dei muscoli sviluppati e guizzanti. Altro che guardia del corpo quei due! Guai se un estraneo entrasse, lo farebbero a pezzi! Ma per la strada è un’altra cosa, non po­trebbe essere avvicinato, è vero, ma un pistola o meglio un fucile sparano da lontano e un’automobile è una buona dife­sa anche contro cani così forti, fedeli e scattanti. Deve pren­dere una decisione, non può oltre procrastinarla. Partire an­che lui e incaricare qualcuno della vendita della clinica o ten­tare presto un approccio con gli estorsori. Una cosa è certa: non pagherà i quattrocento milioni e non dovrà sopportare il pericolo di nuove e sempre più massicce richieste. Proverà, ha deciso, nuovamente con il proprietario del bar: è convin­to che può essere la chiave di tutto. Che fastidio il rumore caratteristico di un bar affollato: le tazze del caffè sbatacchiate sui piatti, lo sbuffare della mac­china per espressi, gli ordini al banco, l’intrecciarsi dei saluti lanciati a voce squillante, il continuo sbattere delle porte ci­golanti sui cardini che fa tremolare il pannello di mezzocri­stallo in un moto continuo fra un’apertura e l’altra e il vocia­re senza soste. Amintore sente le tempie scoppiargli, vorreb­be andarsene, lasciar perdere ogni cosa. Non è abituato a pensare a lungo. Nella sua vìta ha sempre preso, come ogni vero uomo d’azione, decisioni rapide e la notte trascorsa quasi completamente insonne a formulare mille ipotesi alter­nate a brevi periodi di sopore turbati da sogni angoscianti ha lasciato il segno. Non può abbandonare l’angolo remoto do­ve il proprietario del locale gli ha detto di attendere urtando­lo con il traboccante stomaco duro come una pietra ed emet­tendo dalla bocca ributtante accostata confidenzialmente al suo viso zaffate di alcol. Deve rimanere e aspettare l’arrivo di persone che possono aiutarlo. Ora gli è assolutamente in­dispensabile: il suono dolce del telefono sul comodino l’ha tratto dal torpore nel quale si è adagiato. La voce concitata di Clara l’ha reso più attento e ciò che gli ha raccontato vigi­le e pronto. A Clara è stato recapitato un biglietto con su in coliate lettere ritagliate da giornali dove testualmente è ri­portato: Che siete a fare qui? Torre, Roma o Milano vi ab­biamo sempre sotto mira. Dì a tuo marito di pagare. Imme­diata la sua decisione di farle ritornare ad Ercolano.

La mano passa dalle tempie che massaggia delicatamente a tastare la borsa riempita dei solleciti di pagamento ricevuti dalla clinica e da alcune citazioni in giudizio per tratte non onorate- Benedice il suo modo di fare, oggi così diffuso, di ri­tardare al massimo il saldo delle fatture per guadagnare valu­ta e a volte per concordare pagamenti quasi dimezzati. Con il denaro che costa più del ventipercento e che lui riesce ad inve­stire anche al sessanta, all’ottanta ha costituito uno dei molte­plici affluenti del gran fiume delle sue entrate, e ora può esser­gli ancor più prezioso per dimostrare agli estorsori, o a chi per essi, che la sua situazione finanziaria non è così florida come può apparire. Un senso di disgusto, una voglia di vomitare lo pervade e ordina un fernet. E mentre rigira fra le mani il rori­do bicchierino che due personaggi si avvicinano alla cassa e con l’omone dallo stomaco spropositato si dirigono verso di lui. Sono una strana coppia: una figura distinta, ben vestita, dal viso civile e una specie di beat con stretti e consumati jeans che evidenziano il sesso abbondante e un giubbotto di pelle consunta sul collo e sui gomiti dal quale emerge un viso butte­rato e sfregiato da una lunga cicatrice, la fronte bassa e so­pracciglie folte a marcare occhi maligni simili a capocchie di spillo. Le presentazioni ed il colloquio che se seguono sono un perfetto archetipo del formalismo ossequioso e falso in uso fra gente che mostra di rispettarsi, mentre un profondo ran­core anima i più riposti pensieri. Ogni atteggiamento spoc­chioso è accuratamente evitato e assicurazioni di «si è trattato di un equivoco, ma si immagini che proprio a lei che è perso­na di Don... purtroppo sono giovani impulsivi che è difficile tenere a freno e ora un contentino va anche dato... » si spreca­no e si perdono fra olezzo di caffè, liquori, segatura e il vapo­re che si ferma sugli specchi, sui vetri e crea un alone lattiginoso intorno ai tubi a neon e ai reostati difettosi che diffondono un ronzio fastidioso come quello di diecine di zanzare in azione. Amintore siede affianco all’uomo distinto, perfetta imma­gine di un raffinato commerciante di articoli per signora o di un professionista di successo, mentre sul sedile posteriore dell’automobile straniera tutta cofano e portabagagli si di­stende in una posa scomposta, ma accorta il giovane dalla lunga cicatrice. Ha smarrito ogni senso del reale il medico, e le strade che attraversano anche se gli sono note sembrano-appartenere a un mondo sconosciuto e il profumo di colonia dell’uomo alla sua sinistra e l’ondeggiamento di sospensioni troppo morbide accentua il malessere iniziato nel bar. Una brusca frenata, lo spalancarsi di un cancello e il parcheggiare in un vasto cortile ingombro di grandi betoniere montate su autocarri, lo scendere ed entrare in ambienti freddi con scrit­toi e mobili di metallo che gli appaiono abbandonati per la totale assenza di impiegati, Io fanno nuovamente cosciente della vicenda, causa della sua presenza nell’interminabile corridoio interrotto da una porta di lucido mogano con il te­laio in sottile acciaio zingato. Bussano e una figura cono­sciuta compare fra gli stipiti: è il geometra Carli che lo acco­glie festosamente ricordandogli quando la moglie ha partori­to a Villa del Giacinto un bel maschietto. Amintore riacqui­sta la sua solita lucidità, il dolore alle tempie, il senso di di­sgusto sono scomparsi per incanto, quando siede davanti al­lo scrittoio di palissandro occupato da un distinto signore anziano, titolare dell’impresa. Non può proibirsi di ammira­re il gusto con il quale è arredato lo studio ed i quadri alle pareti che non sono di autori locali, nè raffigurano i soliti paesaggi solari o marine incantate, bensì figure deformate su fondi cupi di pittori espressionisti o elementi geometrici di artisti astrattisti. L’uomo raffinato racconta in breve cosa ècapitato al ginecologo e il signore anziano annuisce grave­mente, mentre Carli è appoggiato allo scritto io e il beat siede a cavalcioni su una sedia vicino alla porta. Amintore inter­viene per lamentarsi della richiesta eccessiva che non trova riscontro nella sua reale posizione economica e nel rispetto sempre manifestato verso “il pezzo da novanta~~ per il quale si è prodigato ad ogni richiesta con visite gratuite e degenze a prezzo di costo e, aperta la borsa, riversa sul tavolo quanto ha portato. Carli Io raccoglie, esamina e mostra al suo capo perorando le ragioni addotte da Amintore che con stupefat­ta meraviglia non sente muovere alcuna obiezione, ma solo delle scuse per le minacce subite che «dipendono dal caos della lotta che si è scatenata fra le varie organizzazioni e dai più giovani che qualche volta tentano di non portare il dovu­to rispetto a chi ha più anni, esperienza ed è più su nella ge­rarchia di loro». Carli si affretta ad aggiungere: «Il dottore si rende conto che di questi tempi può succedere di tutto, ma èstato fortunato a poter contare su amici sinceri ai quali saprà ricambiare le cortesie con la sua opera e la sua clinica ed è di­sposto a versare un fiore per il fastidio di chi lo farà vivere tranquillo... » e strizza l’occhio verso il medico che involon­tariamente annuisce.

«Ma no, l’organizzazione non vuole fiori da chi è un ami­co», afferma decisamente il signore anziano, infilando in un prezioso bocchino d’avorio e oro la sigaretta mentre l’uomo raffinato si affretta ad accenderla «sebbene purtroppo biso­gnerà affrontare qualche spesa...’>>

«Proprio così», interloquisce Carli guardando il beat in­terrogativamente e ricevendo dal silenzioso individuo un im­percettibile assenso. «Un fiore è giusto, diciamo il quindici-percento di quanto è stato chiesto’>>

«Mah, se proprio vuole così, come un’attenzione... ritorni pure qui fra due giorni con la somma. Il tempo di chiedere l’assenso da chi conta e le assicurazioni necessarie.., va bene dottore, è tranquillo?»

Ad Amintore gira la testa e si sente preso in una morsa la cui vite che stringe le ganasce è saldamente in mano di quegli uomini che, ne è sicuro, stanno dando quella pantomima a suo uso e consumo. Sessanta dei suoi amati milioni, male­detti!

<‘Allora, dottore, è contento così?>>

<‘Ma certo, il dottore è intelligente, è uomo di mondo. Ha capito la fortuna di avere amici», interviene ancora una vol­ta Carli.

«Sì», mormora a fatica Amintore. «Ma dopodomani non disporrò dell’intera somma. Trenta sì; gli altri a fine mese», perlomeno guadagnerà valuta e non mostra di arrendersi senza una pur misera opposizione. Un rapido scambio di oc­chiate fra il signore anziano e il beat: «D’accordo dottore, vuol dire che per lei faremo anche questo».

La riunione si scioglie con robuste e prolungate strette di mano, complimenti e pacche sulle spalle ed è una Centotren­tuno condotta da Carli con il beat stravaccato sul sedile po­steriore che si avvia verso il bar.

Il geometra guida con abilità e gli racconta del bambino, del suo primo dentino e della gioia sua e della moglie per quel bel figliolo. Improvvisamente l’espressione distesa del volto si trasforma e dice:

«Sa dottore, è stato proprio fortunato. Mi raccomando però non rovini tutto, non vada più alla polizia e non dica nulla a nessuno, lei mi intende, questa è gente che spara faci­ le e non solo alle gambe... attenzione! Mi assicura? Guardi che ci andrei anch’io di mezzo, la mia e la sua famiglia...»

«Stia tranquillo, ha la mia parola», asserisce Amintore che vorrebbe stritolarlo, distruggere lui e quel brutto ceffo lì die­tro che è l’unico che conta, ormai ne è certo.
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