| | ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:22 pm | |
| INDICE DEI 9 CAPITOLI: 1) Il successo di unavolta 2) La vera spinta al successo 3) Qualche statistica indispensabile ed illuminante 4) Una carrellata sulle prospettive di lavoro (le professioni) 5) Altri sviluppi lavorativi 6) Il vero successo lavorativo 7) Vocazione, furberia e notorietà Comportamenti da successo 9) Qual è il vero successo nella vita I IL SUCCESSO DI UNA VOLTA Nella caotica ruggente arraffante vita dei nostri giorni un sostantivo si va sempre più affermando e viene usato sempre più di sovente e spesso a sproposi- to, SUCCESSO. . Solo qualche decennio fa lo si sarebbe inteso, se non accompagnato da uomo, (o donna), o dall'aggettivo buono, felice, prospero, come participio passato di succedere o come un aggettivo dal significato di acca- duto avvenuto o come un sostantivo equivalente a: evento, caso, avvenimento o tutt'al più come risultato, esito I sinonimi nel dizionario Palazzi, edito negli anni '50, erano: accoglienza, effetto, esito; evento, frutto, incontro, risultato, riuscita. Oggi invece anche i dizionari hanno modificato il tiro, si sono adeguati e il significato di successo è: «bril- lante esito nella vita, affermazione nella carriera» secondo il Rizzoli-Larousse, che aggiunge «che ha incontrato il favore del pubblico». Il quotassimo e consultatissimo Zingarelli lo definisce «arrivo, buon esito riuscita» dilatandolo in «esito favorevole, buona riuscita, favore popolare». Sinonimi attuali sono: «buon esito, buon risultato, buona riuscita». In effetti il successo rappresenta il mito dei nostri tempi. , , Naturalmente l'importanza, la meta da raggiungere è commisurata alla persona che la concepisce; stimo- lata dai mass media che a getto continuo ci ammanm- scono cantanti, attori, registi, scrittori, pittori; scienzia- ti, professionisti, sarti, sceneggiatori acconciatori con l'aureola del successo raggiunto, della ricchezza, della fama degli onori e della rispettabilità. Ma su quest ul- timo termine sarà opportuno soffermarsi perche il suo reale significato, la sua accezione nella morale dei nostri giorni si è ampiamente modificata: ha subito una larga evoluzione o per meglio dire involuzione. Una volta il successo lo si raggiungeva dopo anni di studi duri, attenti, severi; dopo una carriera integerri- ma, geniale, faticosa e ad esso potevano mirare solo quelli, tranne le solite sempre presenti eccezioni, che non dovevano combattere dalla nascita con i problemi di bisogni primari, quali una casa abitabile, il cibo suf- ficiente a sopravvivere, il vestiario indispensabile o quantomeno decente. Ora no. Tutti- anche qui tranne le solite ormai scar- sissime eccezioni - sono figli del benessere e trovano fra le mura paterne o nell'assistenzialismo di Stato, questi beni primari ed anche qualcosa in più; ed ecco quindi che l'ambizione al successo è divenuta un bene (o un male) comune. Se ne parla diffusamente, lo si sogna, ci si fantastica su e mentre per alcuni rimane per sempre un mito, qualcosa però che può sempre avvenire, (non ci sono i quiz televisivi, il totocalcio, il totip e il vecchio lotto a poter far raggiungere da un momento all'altro con pic- colo sforzo il successo che più fa effetto, quello che nel- l'accezione comune immette a tutti gli altri, il denaro?) per buona parte si traduce alla fine in qualcosa di reale, ma ben lontana dal successo sognato. Si tratta di accontentature forzate o indotte da compiacenti parenti e amici nel raggiungimento di méte più piccole come: un lavoro stabile, una casa decente, la villeggia- tura annuale, la settimana bianca, qualche ora settima- nale sui campi di tennis, l'automobile di serie ma arric- chita e personalizzata da qualche originale accessorio, addirittura una roulotte o un camper, o un fuoristrada, l'appartenenza a qualche club dove sentirsi in ristretta e selezionata compagnia, il gommone spinto dal fuori- bordo da venti cavalli, e cento altre di queste piccole soddisfazioni che magari sono state colte anche con l'aiuto dei genitori, del coniuge o dello zio ricco. Allora ci si potrà illudere di essere lo stesso «di successo» e si potrà alzare fieramente il viso, puntare lo sguardo negli occhi dell'interlocutore e non vergognarsi di una posi- zione inferiore dovuta non a sfortuna, ma alla man- canza di una vera volontà di sfondare. Perché, e biso- gna ammetterlo con onestà, possibilità di successo c'è ed esiste per tutti, sol che la si voglia fermamente, e si perseguano le vie consone, anche se qualche volta ripu- gnano. Ed è chiaro che parliamo di un successo a forma di scala, dai tanti gradini, ai cui vertici solo a pochi è dato davvero di accedervi. Fino a qualche decennio fa, il successo era più livel- lato, era una cosa seria. In genere aveva come strada principale la frequentazione delle scuole normali, medie, liceali, universitarie, per conseguire una laurea, il cosiddetto pezzo di carta. Ci si arrivava attraverso le Forche Caudine di severi studi per i quali era necessa- rio un impegno costante, vagliato da professori intra- nsigenti, a volte addirittura sadici, che concedevano la sufficienza solo quando il candidato alla promozione avesse dimostrato di essere in possesso di nozioni chiare limpide asssimilate a fondo. Bisognava, in sostanza, avere una solida base per la prosecuzione degli studi successivi o per l'esercizio della professio- ne. Una volta raggiuntolo, altrettanti severi, integer- rimi preparatissimi superiori concedevano o propone- vano promozioni solo se davvero meritate, non facen- dosi sviare, nella maggioranza dei casi, da pressioni dall'alto, dal basso o dal lato. Il ragazzo che sognava il successo quello vero doveva incominciare giovanis- simo ad operare una scelta fondamentale: su quale via di studi incamminarsi. Se classici, con il fastidioso latino e il misterioso greco, gli avrebbero dato, a matu- rità conseguita, la possibilità di poter accedere a qual- siasi facoltà universitaria; se scientifici, con studi mate- matici pesanti e a volte incomprensibili, gli avrebbero dato una maggiore specializzazione per le facoltà tecni- che precludendogli però lettere, filosofìa e giurispru- denza. Raggiunto e superato il grande traguardo della maturità, - un esame spauracchio per la presenza di commissari esterni, per le tante prove scritte ed orali e per l'alta percentuale di bocciature - bisognava fare la grande, definitiva scelta. Allora chi davvero mirava al successo non si tirava indietro ad affrontare facoltà spesso quasi del tutto impossibili da superare come ingegneria, chimica, fisica, matematica o lunghissime come medicina. Già questa scelta forniva una selezione e una facilitazione per chi aspirava al successo; infatti, mentre di laureati in giurisprudenza o scienze politiche ve ne erano a bizzeffe, chi avesse ottenuto una laurea in ingegneria o in chimica o in medicina trovava imme- diato sbocco nel mondo del lavoro e lì avrebbe fatto valere o meno le sue reali qualità. I laureati in giuri- sprudenza o scienze politiche invece si trovavano già allora a dover affrontare un'agguerrita concorrenza per ottenere un posto statale o bancario e similari, luo- ghi nei quali, con le luminose eccezioni, era più facile impantanarsi in un'accidiosa, lunga, impotente attesa per ottenere folgoranti successi. Anche allora, non come oggi, vigeva in questi organismi più il concetto della promozione per anzianità che per reali meriti. Ma la strada del successo non la si percorreva solo attraverso gli studi scolastici, bensì anche attraverso il frequentare a bottega artigiani bravi, severissimi che pretendevano un impegno costante, un'applicazione ossessiva per trasmettere mese per mese, anno per anno, i segreti di mestieri quali il falegname, il sarto, il tappezziere, alcuni dei quali non di rado potevano con- durre a folgoranti successi del tipo grandi sarti francesi come Dior, Yves Saint Laurent e tanti altri. Anche nel campo dei tappezzieri o degli scenografi, dei calzolai o dei disegnatori si poteva pervenire a notorietà e guada- gni di livello nazionale se non addirittura internaziona- le. Basta ricordare qualche collaboratore indispensa- bile di famosi registi oppure i nostri calzolai che diven- tavano noti e ricchi forse prima in America che in Italia.
Ultima modifica di Bruno il Mar Gen 10, 2012 12:14 pm - modificato 4 volte. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:24 pm | |
| Con l'eccezione degli anni bellici della Seconda Guerra Mondiale, durante i quali ordini supremi disponevano la promozione per «meriti combattente stici», quando si entrava nelle facoltà difficili cui abbiamo già accennato, ci si trovava in un budello tor- tuoso, alienante, dal quale solo pochi, e quasi mai negli anni prescritti, venivano fuori con la laurea ottenuta non certo con il massimo dei voti, cosa all'epoca dav- vero rarissima e quindi estremamente qualificante. Chi si fosse negli anni Trenta o negli anni Cinquanta lau- reato in ingegneria o in altre facoltà di equivalente dif- ficoltà con 110 e lode, veniva considerato non solo una grande promessa, ma una realtà. Gli veniva insomma attribuita una capacità di apprendimento e un intel- letto di molto superiori alla media e le aziende private si facevano in quattro per assumerlo, quasi stendendo davanti a lui un folto lussuoso tappeto di condizioni brillanti e di prospettive attraenti. E quei pochi dav^- vero lo meritavano, se si pensa che in una università affollata come quella di Napoli, in un anno accademico del Cinquanta, su 400 iscritti solo due riuscirono a superare i tredici esami del biennio propedeutico (che sbarrava l'accesso al Politecnico) entro la sessione di esame di ottobre del secondo anno. Quei valorosi si aggiudicarono così una borsa di studio dawero cospi- cua perché prevista perlomeno per quaranta studenti. La laurea poi, nei cinque anni ortodossi, fu conseguita soltanto da cinque studenti che trovarono possibilità di inserimento nel mondo del lavoro tanto ampie da poter per alcuni mesi vagliarle con tutta tranquillità. Sembrano cose di un altro mondo ma allora (all'incirca trent'anni fa) i concorsi come ingegnere delle ferrovie, del genio civile e di altri enti statali o parastatali anda- vano quasi deserti, ed i pochi che vi si presentavano erano assunti praticamente qualsiasi fosse l'esito della prova. Ne era una vergogna o pregiudizievole per le carriere future o per un successo reale sensibile, impie- gare per quegli studi sette o otto anni (tempo medio occorrente per coloro che non abbandonavano scorag^ giati l'università dopo anni di affannoso vagare, quali fuori corso) e non era infrequente che qualcuno rag- giungesse la meta dopo circa dieci anni dall'inizio e riu- scisse lo stesso a pervenire a traguardi di notevole li- vello. La selezione che era meno severa, non tanto per una maggiore dolcezza del corpo insegnante ma per una maggiore semplicità delle materie di studio, in facoltà del tipo giurisprudenza, veniva compensata, qualora si ambisse a carriere più prestigiose e che più potessero immettere a un successo reale, da concorsi severissimi ed estremamente impegnativi come quelli che davano accesso alla magistratura o al notariato. Anche l'esame per procuratore legale (indispensabile per diventare avvocato) presentava notevoli superiori difficoltà. Altra strada per il successo veniva praticata da gio- vani che, inseriti in aziende paterne o di parenti, face- vano un tirocinio attento e anche qui severo perché i tempi erano ancora contrassegnati, nella grande mag- gioranza, dal desiderio che il nome, l'insegna, il mar- chio fossero indicatori di serietà, di solvibilità e di qua- lità. Non si ammettevano quindi figlioli che non cos- sero in grado di garantire tutto ciò. Tutt'al più li si teneva in posizione di secondo piano a balia come fece il vecchio Giovanni Agnelli con i nipoti (Gianni, il notissimo avvocato, e Umberto) che furono affidati al professor Valletta che esercitò su di loro una rigida funzione di educatore. Il successo quindi poteva esser raggiunto o nel confermare grandezze già esistenti o nell'ampliare e dare notorietà e predominio sulla con- correnza a quel marchio che si incominciava a servire spesso in età molto giovanile, si fossero o meno seguiti regolari studi scolastici. Non infrequenti erano i casi di chi, entrato come modesto collaboratore e privo di titoli di studio, riusciva a carpire segreti e sistemi validi per raggiungere man mano un'autonomia e un credito che avrebbero permesso di ottenere prestiti da banche o da privati tali da poter aprire un proprio esercizio commerciale o industriale o, addirittura, di rilevare l'a- zienda nella quale aveva svolto il proprio praticantato. Tempi severi, tempi duri, sia negli studi che nella vita. Non che non vi fossero disonesti, venditori di fumo, evasori fiscali, ma la mentalità era diversa, ad incominciare dagli stessi impiegati statali, meno cor- ruttibili, meno soggetti al fascino di bustarelle o al pre- stigio di grandi industriali, di potenti uomini politici. Essere funzionario statale veniva considerato un ono- re, un vanto. Ricordiamo per tutti un film di Rasce! «Policarpo, ufficiale di scrittura» che meglio ci chiari- sce con quale spirito si affrontava l'impiego pubblico. L'Ottocento per alcuni versi tanto bistrattato ha perlomeno questo merito, di aver tramandato una tra- dizione di rigore sia agli operatori pubblici che ai pri- vati e il vecchio Piemonte, da cui deriva l'Italia ante- guerra, ci ha donato una burocrazia, per alcuni versi farraginosa, lenta, poco aperta al modernismo, ma non corruttibile, che conferiva a tutti quel senso del dovere e di un successo raggiungibile solo attraverso un'appli- cazione seria, attenta, non improvvisata. Le vecchie carte intestate con i premi conferiti, con gli attestati statali e di case regnanti, da una parte ci fanno un po' sorridere e dall'altra ci fanno tenerezza, specialmente se si pensa che erano premi e riconoscimenti ben diversi da quelli che oggi spesso sono solo frutto di spe- culazioni, facile guadagno e principalmente apparen- ze. Si contava quindi più sulle proprie capacità, sulla propria voglia di lavorare che su interventi esterni; e anche in tempi non molto lontani vi sono esempi che ci inducono a riflettere, come quello di un giovane geo- metra, non soddisfatto di quanto poteva conseguire col suo titolo di studio, che si ingegnò ad escogitare un qualcosa che potesse fargli bruciare le tappe, ma in modo onesto, non truffaldino. Si accorse che nessuno voleva assumere l'appalto dei numerosi servizi igienici della Fiera di Milano e, fatta una specie di colletta fra amici e parenti (non una donazione, ma un prestito ad interesse) raccolse il denaro sufficiente per aggiudicar- selo e nei venti giorni della Fiera realizzò utili con i quali potè acquistare un suolo e un brevetto per pon- teggi modulari di tipo rivoluzionario. Le banche con- cessero fidi e nel giro di qualche anno riuscì a divenire un apprezzato industriale che dava lavoro a centinaia di dipendenti dai quali richiedeva un impegno e un'ap- plicazione simili ai suoi, e non trovò difficoltà nel reclu- tare siffatte persone. In sostanza nel passato e fino a una trentina di anni fa, il livello professionale era davvero elevato (natural- mente per le conoscenze dell'epoca). Il medico faceva davvero il medico a tempo pieno, era attento e scrupo- loso nell'anamnesi del paziente e tutto conosceva sulle medicine che andava a prescrivere, conscio dei malanni che avrebbe potuto generare e attento alla salute di chi gli si affidava. Identica cosa poteva dirsi dell'ingegnere, dell'avvocato, del commercialista, del- l'architetto che se anche faceva spendere qualcosa in più del necessario, perlomeno forniva un risultato di prim'ordine, di cui non ci sarebbe stato da lamentarsi. Il falegname, l'idraulico, l'elettricista, il tappezziere erano gente che davvero conosceva il proprio mestiere e lo eseguiva con scrupolosità, sia per serietà e soddi- sfazione personale, sia perché il rigore dei tempi e la larga concorrenza lo avrebbero fatto rimanere in breve senza clienti. L'operaio specializzato e il qualificato erano promossi a tale livello dai tecnici dirigenti solo quando avessero raggiunto una capacità professionale davvero qualificante, davvero consona ai compiti. Quindi errori o difetti erano più dovuti al caso e quasi mai a incapacità o menefreghismo. Nell'edilizia i mura- tori sapevano usare «a regola d'arte» il filo a piombo, il livello ed erigevano quindi muri ben dritti e angoli perfettamente squadrati. Il carpentiere sapeva creare perfette forme per pilastri e travi per il cemento armato che era fornito dall'addetto alla betoniera con impasto giusto e dalla consistenza adeguata alla scopo. I fer- raioli sapevano leggere con facilità il disegno del ferro e forgiare le gabbie per il cemento armato senza che ci fosse bisogno di assidui controlli da parte del capocan- tiere o del direttore dei lavori. In sostanza ed infine c'era in tutti, o nella larga maggioranza, quella scrupo- losità che sola poteva condurre alla sicurezza del lavo- ro, al rispetto di se stessi', dei dirigenti, degli amici e che poteva immettere prima o poi ad un possibile successo di qualsiasi entità si trattasse. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:33 pm | |
| cap. II: LA VERA SPINTA AL SUCCESSO Perché in buona parte di tutti noi c'è quest'ansia, quest'inquietudine che ci spinge ad affermarci nella vita, a competere con il nostro vicino, sia esso il fratel- lo, il padre, l'amico, il conoscente, il collega o chiunque capiti a tiro dei nostri sguardi e del nostro territorio? D'altra parte il dizionario nella sua saggezza, che è maturazione di esperienze di un comune intendimen- to, ci da come prima definizione del successo: «bril- lante esito nella vita». Ebbene, noi non sappiamo con esattezza cosa sia la vita nella sua essenza. Ci dobbiamo accontentare di alcune teorie elaborate nel corso dei secoli per cercare di far luce sulla sua essenza. Esse pos- sono essere raccolte, secondo lo zoologo e biologo francese Yves Delage morto nel 1920, in quattro grup- pi: 1) Spiegazione della vita in chiave metafìsica come l'a- nimismo puro (da Aristotele, Fiatone e fino al medico e chimico Sthai morto nel 1734) o il nisu-s formativus (Needham) o il principio vitale (scuola di medicina di Montpellier) e, in epoca più recente e con opportune modifiche, il neovitalismo di Driesch). 2) Spiegazioni in chiave preformistica secondo la quale la vita non è altro che lo sviluppo di germi inseriti gli uni negli altri dalla comparsa delle specie viventi. 3) Spiegazioni micromeristiche (la vita è il risultato delle proprietà di particelle speciali, elementi ini- ziali della materia vivente). Per alcuni degli elabora- tori di queste teorie tali particelle elementari sono immortali, ma per il maggior numero esse si distruggono dopo la morte. 4) Spiegazioni organicistiche (la forma corporea, le proprietà, le caratteristiche delle diverse parti sono determinate dall'interazione di tutti gli elementi costitutivi dell'organismo vivente). Tutte queste spiegazioni, però hanno un carattere puramente storico e non è il caso di approfondirle in un libro che, tutto sommato, ha altri scopi. Oggi le spiegazioni sono principalmente orientale sulle sintesi della materia vivente che è l'origine della vita. Miller nel 1953 a mezzo di una scarica elettrica sui costituenti dell'atmosfera terrestre primitiva (metano, ammonia- ca, idrogeno ed acqua) riuscì a sintetizzare alcune molecole di amminoacidi e Akaburi nel 1959 ottenne la sintesi di proteine in ambiente non biologico. Poi Fox e Harada ottennero protidi ad elevato peso mole- colare forniti di proprietà simili a quelle delle proteine viventi e con Oro e Kimball realizzarono nel 1961 la sintesi abiologica dei nucleotidi costituenti degli acidi nucleici. Quindi non sappiamo ancora cosa sia la vita in senso scientifico ed è inutile continuare a rompersi la testa per tentare di conoscerlo se non si è dediti a studi bio- logici con altissima specializzazione. Tutti, comunque, ormai sappiamo come veniamo concepiti, owerosia dall'accoppiamento di un maschio con una femmina. Pochi però hanno riflettuto sul fatto che la nostra vita (spazio di tempo compreso tra la nostra nascita e la nostra morte) comincia con un avvenimento competi- tivo, una specie di gara. Per la .procreazione infatti die- cine di milioni di spermatozoi s'impegnano e lottano per giungere primi. La «corsa» dura all'incirca otto ore e la meta è costituita dalla cellula uovo della femmina che se ne sta rintanata ed emette^un sottile profumo tentatore, eccitante, stimolante. E un traguardo dal grande premio, la vita! e per tagliarlo per primo il vin- citore, uno ed uno solo, fra la pletora dei concorrenti non deve essere solamente il più veloce, il più forte, ma anche il più ingegnoso: deve scovare l'uovo e posse- dere ancora quel tanto di energia per perforare la sua pelle e quindi fecondarlo. Esso ed esso soltanto diviene in quella copula il figlio del maschio e della femmina e, nel nostro caso, dell'uomo e della donna!. Tutti gli altri concorrenti infatti sono condannati a morte perché non appena l'uovo è penetrato dal vincitore si con- torna di una sottilissima pellicola e i microscopici pori si chiudono lasciando fuori, in un turbine inutile mor- tale gli altri, i perdenti. Ma è sempre il migliore, il più forte che vince? E noi siamo sempre frutto del miglior spermatozoo dei milioni emessi da papa in quella occasione? No, non sempre. Anche questa, a simiglianza delle tante gare sportive nelle quali siamo protagonisti o alle quali assi- stiamo comodamente seduti davanti ad un televisore, è caratterizzata da ingiustizie, incidenti sfortuna o favo- ri, ma - esattamente come ci viene più volte illustrato dai giornali o dall'ormai famoso e seguitissimo «pro- cesso del lunedì» - le ingiustizie ed i favori si compen- sano nel lungo arco di un campionato o nelle tante tappe di un tour, per cui, tutto sommato, possiamo ritenere che nel complesso il risultato finale sia giusto. Dalla grande eliminatoria, in definitiva, solo i migliori si propagano ed i più deboli sono per sempre esclusi. Sarà bene conoscere, sia pure di massima, come sono fatte le cellule sessuali maschili e femminili dalla cui unione siamo generati. Quella della donna viene cercata dalla maschile ed ha un comportamento inizial- mente passivo. È una grande sfera, la maggiore delle cellule del corpo. Il suo diametro è di ben un quinto di millimetro e pesa un duecentomillesimo di grammo! E non sembri poco, è un vero peso massimo nel mondo osservato da potenti microscopi, ed è colma di zolle di zucchero, di amido e di albumine occorrenti per la nutrizione del futuro uomo. Al suo confronto, al confronto dell'uovo, la cellula sessuale maschile è supermicroscopica: è un centomil- lesimo di quella femminile. Sottilissima per i suoi com- piti di competizione e di penetrazione è attrezzata per il movimento; sembra una specie di minuscolo razzo. Davanti è arrotondata secondo dettami aerodinamici e reca una specie di cabina contenente la cromatina che non è altro che la massa ereditaria del padre con i cen- tomila genidi delle caratteristiche umane. Dietro la cabina c'è il meccanismo del movimento, il centro- soma ed accanto grossi (si fa per dire) granuli disposti in due file, quasi i cilindri del motore e l'accensione. In essi è inserita una spirale simile ad un asse che tra- smette i movimenti dell'apparato di propulsione rap- presentato da una lunga (si fa sempre per dire e natu- ralmente in proporzione) coda che si muove turbinosa- mente spingendo la cellula avanti e indirizzandola mediante spostamenti laterali. In questo micro micro cosmo la cellula maschile che misura, lunga coda compresa, un ventesimo di milli- metro deve compiere il colossale percorso di venticin- que centimetri per giungere all'uovo alla velocità di 3 millimetri al minuto. Davvero un po' poco per un raz- zo! Ma, come un razzo, non trova stazioni intermedie di sosta e di rifornimento, deve pervenire alla meta con un volo di circa otto ore senza scalo. Fondamentale è quindi la sua buona costruzione! Quando il vincitore fa il suo ingresso nell'uovo, abbandona il propulsore ed i granuli diffondono da ogni parte le loro energie, quasi lo sperone di una nave che apre la strada alla cabina di cromatina fra le zolle del plasma fino al nucleo della cellula ovarica, meta ultima del suo awenturoso viaggio. Non più le lunghe ore per tagliare il traguardo, ma appena cinque minuti impiega il nostro spermatozoo primo ed unico a pene- trare i misteri e le delizie di quell'uovo. Ora i due nuclei, il maschile ed il femminile, sono uno di fronte all'altra risplendenti dei loro centrosomi come due astri. La cromatina è in forma di granuli che si dispongono a nastro, le membrane interposte fra i nuclei scompaiono e i nastri di cromatina delle due cel- lule liberate incominciano ad intrecciarsi. Il momento è solenne, in meno di un minuto la strut- tura del futuro uomo viene decisa! In questi sessanta secondi avviene la vera formazione del carattere e tutti gli awenimenti successivi, gli influssi esterni, le arti educative e diseducative non saranno altro che corret- tivi che non influiranno più di un venti per cento per chi alla psicologia non crede eccessivamente o, al mas- simo, un quaranta/cinquanta per cento per coloro che di questa «scienza dell'inconscio» hanno il rispetto più assoluto. In questo fatale minuto si mescolano insieme gli elementi di due progenie diverse, un uomo ed una donna, che hanno accumulato durante svariate genera- zioni un patrimonio ereditario completamente diverso composto e diviso sempre di nuovo con altre genera- zioni. Si trovano quindi mischiate insieme nel nuovo essere tante cose che possono mirabilmente armoniz- zarsi e altre che procureranno dissonanze. Pare quasi - e il parallelo non sembri irriverente - il rimestare ed il distribuire, all'inizio di un gioco, le carte, e l'individuo che sta nascendo dovrà, nolente o volente, acconten- tarsi dei valori che gli capiteranno fra le mani. Tutt'al più potrà sostituirne qualcuna. Le molte contraddi- zioni della nostra natura (e chi non ne ha?) trovano in questi secondi della creazione la loro giustificazione, glorificazione e perché no... il'loro perdono. Nel microscopico uovo umano che esternamente non sembra altro che un granulo di caviale, ma cento volte più piccolo, si trovano racchiuse tutte le disposizioni dello spirito e di carattere: dal musicale al matematico, dal col- lezionista meticoloso al disordinato distruttore, dall'arti- sta al materialista che fanno anni dopo ricordare ai parenti estasiati o inorriditi analogie con il nonno, il padre o lo zio. Ma naturalmente la cosa non è tanto sem- plice: a parte teorie freudiane, junghiane e così via, vi è la legge biogenetica. Se si rinette infatti non si può negare che la storia dell'individuo è una sintetica ripetizione della storia di tutta la specie alla quale appartiene. Nello stadio di uovo fecondato l'uomo è un ameba. La morula e la blastula, i due successivi stadi di sviluppo, sono a livello di numerose piante ed animali inferiori. La gra- stula è a livello di un celenterato nel grado di sviluppo di una medusa. Nella prima infanzia urliamo come animali se ci manca qualcosa, poi procediamo carponi e por- tiamo alla bocca tutto quello che ci capita alla portata delle mani, ci rotoliamo volentieri nel sudiciume, ci arrampichiamo come scimmie, ci azzuffiamo come sel- vaggi, ci diverte abitare - e lo faremmo se non ce lo impe- dissero - in tende e in capanne, ci tingiamo il viso come selvaggi ed uccidiamo con gioia insetti e piccoli animali come i barbari. Interpretiamo infine tutto secondo un profondo istinto di lotta, di sopravvivenza e di sopraffa- zione. Forse tutto deriva da quel primo episodio che ha segnato l'inizio della nostra vita. Da quella gara dispe- rata degli spermatozoi per giungere primi e non soc- combere. Ecco quindi, probabilmente, la causa di questo nostro desiderio disperato per giungere al suc- cesso, per superare gli altri. E non è da trascurare il modo in cui veniamo trattati dai nostri genitori, dai nostri conviventi negli anni formativi dell'infanzia e dell'adolescenza. Facciamo mente locale e cerchiamo di ricordare. E stato più produttivo essere buoni, bravi, perfettini, ubbidienti e studiosi o l'opposto di tutto ciò per l'amo- re, l'attenzione e l'impegno di papa e mammà, dei fra- telli, degli zii, dei nonni, dei maestri e professori, del parroco, dell'allenatore dello sport praticato, delle ragazzine o ragazzini con i quali abbiamo intrecciato i primi flirts? Non possiamo certo rimembrare i momenti i giorni e i mesi nei quali eravamo ancora nella culla o nel pass- eggino o nel box, ma possiamo oggi osservare i nostri figli o i nostri fratelli o nipoti che sono in quella condi- zione. Se sono buoni tranquilli, non danno il minimo fastidio, quasi passano inosservati e, dopo qualche carezza bacetto moina, vengono quasi dimenticati. Se invece sono terribili noiosi, dispettosi, oh sì che c'è da parlarne! E come tutti si danno da fare per tranquilliz- zarli, confezionare pappine appetitose, recare giocat- toli non scelti quasi a caso ma dopo profondi studi cer- cando di interpretare il reale gusto del piccolo ribelle inquieto! E il vestito sarà il più bello, la scuola la migliore possibile, le raccomandazioni e i regali alla maestra i più preziosi perché sopporti la piccola peste. Se un bimbo subito sorride, fa l'inchino, recita la poesia, porta dei buoni voti, presto dopo l'esibizione di orgogliosa soddisfazione, viene più o meno accantona- to: bisogna occuparsi del cattivo, del dispettoso, di colui che non vuole baciare, elargire facili sorrisi, che non sa la poesia, che ha una pessima pagella. Ottenerne qualcosa, sia pure uno straccio di attenzione, è una vera conquista e se ne parla per mesi, per anni, forse per sempre! D'altra parte, il Vangelo non racconta di Gesù che abbandonò il gregge per ritrovare la pecorella smar- rita? E la ragazzina che subito dice di sì, che solletica il maschio, o quella che sembra irraggiungibile e respinge doni e attenzioni? " E l'assiduo maschio corteggiatore che attrae la fan- ciulla alle prime esperienze, o il tenebroso distaccato che sembra ignorare che esista l'altro sesso? Sono cose queste che tutti abbiamo vissuto in qual- siasi senso abbiamo operato nella nostra infanzia e ado- lescenza, ma quanti di noi vi hanno riflettuto sopra? Quanti ne hanno tratto insegnamento? E modificare il proprio modo di essere con fredda determinazione è stato attuato o è stato considerato un tradimento verso se stesso, ed in definitiva dannoso? | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:36 pm | |
| III Quindi tutti, in un modo o in un altro, possediamo una carica innata che ci spinge alla competizione, al desiderio di primeggiare sugli altri, a splendere m modo luminoso (possibilmente di luce propria e non riflessa) nel mondo che ci circonda, possegga esso le dimensioni dell'intero orbe terracqueo o quelle del ristretto quartiere che ci contorna, addirittura a volte i confini del proprio palazzo o della propria casa. Questa carica, questa pressione, come accennato nel primo capitolo, veniva in passato indirizzata, per coloro che non possedevano la fortuna di esser nati m una famiglia benestante o ricca, alla ricerca dei beni primari, al raggiungimento di una vita quantomeno comoda o possibile. Oggi molto, moltissimo è cam- biato e, a tale proposito, è opportuno conoscere alcuni dati del censimento effettuato in Italia nel 1981. Eravamo più di 56 milioni e mezzo di abitanti suddi- visi nelle seguenti fasce d'età e quantità: oltre 3 milioni e trecentomila da zero a 4 anni; circa 8 milioni e nove- centomila dai 5 ai 14 anni; quasi 24 milioni dai 15 ai 44 anni; poco più di 7 milioni dai 45 ai 54 anni; quasi 6 milioni dai 55 ai 64 anni; poco meno di 5 milioni dai 65 ai 74 anni e, infine 2 milioni e 658 mila dai 75 anni m poi. Di questi un milione e mezzo erano laureati, sei milioni diplomati, dodici milioni e mezzo in possesso di licenza media inferiore, mentre gli analfabeti si aggi- ravano sul milione e seicentomila. Il rimanente, ossia circa trenta milioni, esclusi i bambini fino a sei anni, risultavano essere alfabetizzati con frequenza di scuola elementare e di qualche classe media. Nell'anno scolastico 84/85 gli studenti ammonta- vano a quasi 10 milioni e mezzo dei quali 4 milioni di scuola elementare, 2 milioni e 800 mila di scuola media, 2 milioni e mezzo di secondaria superiore e 1 milione e 88 mila nell'università'. Ciò significa che circa il novanta per cento dei ragazzi dai 6 ai 14 anni fre- quenta la scuola, e il numero dei diplomati tende ad aumentare vertiginosamente con preferenza per i diplomi tecnici e professionali (attraverso i quali si può anche accedere all'università) e di maturità scientifica a detrimento percentuale delle maturità classica e magistrale. Ma il vero aumento da capogiro e che non accenna a ridimensionarsi, è quello degli studenti uni- versitari che nell'anno 83/84 erano suddivisi in questo modo: 212 mila al gruppo letterario, 159 mila a quello giuridico, 153 mila a ingegneria, 150 mila a medicina, 134 mila al gruppo scientifico, 56 mila al politico-socia- le, 39 mila a quello agrario e 21 mila ad altre facoltà. Le forze di lavoro ammontavano in Italia nell'84 a poco più di 23 milioni dei quali quasi 15 milioni maschi e 8 milioni femmine. In tali forze però erano anche comprese quasi 2 milioni e 400 mila in cerca di occupa- zione e quindi sarà meglio definirle "forze potenziali" perché quelle che davvero svolgevano un lavoro conti- nuativo e retribuito ammontavano a circa 20 milioni e mezzo su oltre 56 milioni di abitanti. Delle forze effettive 1'11,8 era nell'agricoltura, il 34,1 nell'industria e il 54,1 nelle "altre attività". La suddivisione tra lavoratori dipendenti e gli indipen- denti era rispettivamente di quasi 14 milioni e mezzo, e di poco meno di 6 milioni e 200 mila. Della prima categoria ben 6 milioni (poco più poco meno) lavora- vano per lo Stato, le Regioni, le Provincie, i Comuni, l'Enel, gli ospedali, gli enti previdenziali e le aziende municipalizzate. Per quanto riguarda il benessere nel quale - si creda o meno - oggi siamo, naturalmente in varia misura, tutti immersi, bisogna considerare che nel 1984 le famiglie italiche, quelle di tutti noi, hanno consumato ben 377.781 miliardi di lire, ossia circa 6 milioni prò capite all'anno. A questa cifra colossale (mezzo milione al mese per ognuno dei circa 57 milioni di abitanti, compresi i 3 milioni di piccolissimi e i 2 milioni e mezzo di molto anziani) bisogna aggiungere spese non facil- mente ricavabili per vendite non registrate, fatture non emesse, redditi e ricavi che eludono tasse, che, sebbene in diminuzione non sono davvero poche. Bisognerà inoltre aggiungere, per meglio afferrarne la reale enti- tà, un ulteriore 25 relativo alla svalutazione della moneta dall'anno dei dati qui riportati alla stesura di questo capitolo. Quei 378 mila miliardi costituivano circa il 70-del reddito nazionale netto disponibile^ Erano suddivisi sommariamente nei seguenti grandi gruppi: il 29 (quindi 109 mila miliardi) per generi alimentari, bevande e tabacco; 1'8 (30 mila miliardi) per vestiario e calzature; il 22 (83 mila miliardi) per abitazione, combustibile/energia elettrica, beni e ser- vizi per la casa; il 13,5 (51 mila miliardi) per trasporti e comunicazioni; il 27,5 infine (103 mila miliardi) per altri beni e servizi. Probabilmente pochi sono a conoscenza dell'enor- mità di queste cifre e vi hanno riflettuto, ma con questi dati ognuno di noi potrà determinare, ad esempio, quanto ogni italiano in media - piccolissimi e molto anziani compresi - ha speso in un anno per i vestiti e le scarpe. L'operazione è semplice: basterà dividere 30 mila miliardi (entità della spesa) per 57 milioni (nu- mero degli abitanti arrotondato per eccesso) e il risul- tato, darà in questo caso, oltre mezzo milione all'anno prò capite, pari a circa 44, mila lire al mese. Se ci si sofferma ad osservare un settore particolar- mente importante come i generi alimentari-bevande, si scopre che ognuno di noi ha consumato (nella media, dati dell'83) 78 chili di carne all'anno; 165 chili di pane e pasta; 91 litri di vino; 12 chili di pesce; 84 litri di latte; 330 chili di frutta fresca e ortaggi, e così via. Salterà fuori, in una scheda mangereccia, che ogni italiano consuma, come media giornaliera, oltre mezzo chilo di pane, pasta e riso; 250 grammi di carne e pesce; 45 grammi di formaggio; 32 grammi di uova; 1 chilo di frutta e ortaggi; 76 grammi di zucchero, e berrà mezzo litro fra vino e latte. Il totale darà quasi 2 chili di cibo, e mezzo litro di bevande. Non è davvero disprezzabile come quantitativo, seppure non bisogna dimenticare che la media è sem- pre ingannevole ed alcuni avranno a disposizione di più e altri molto di meno, ma il vecchio aforisma che la media è quella cosa che se tu mangi un pollo ed io digiuno risulterà che mangeremo mezzo pollo a testa, sembra dawero fuori tempo. E bisognerà aggiungere ai quantitativi di cibo più sopra elencati tutto quello che giunge dalla campagna direttamente ai consuma- tori senza passare per mercati generali o botteghe al minuto. Certo, nello sfrenato consumismo che ci divora, che da ansia, che costringe spesso a subire stupide umilia- zioni all'interno e all'esterno della famiglia, forse 44 mila lire al mese prò capite per vestiario e calzature non è molto e potrebbe indurre ad essere non del tutto sod- disfatti di ciò che in media nel nostro Paese si può spendere, se un dato non lasciasse quantomeno per- plessi. Si tratta del risparmio che ammontava a ben 428 mila miliardi nell'83 fra depositi bancari e postali, oltre ad aliquote sostanziose di BOT, CCT e similari. In sostanza ogni italiano, senza esclusione di fasce d'età, disponeva in quell'anno di circa 14 milioni, oltre il red- dito annuale, le proprietà immobiliari e altri beni di rifugio quali oro, gioielli, quadri e così via. Circa il 60 delle abitazioni era occupato dai proprietari, quelle in fitto erano scese al 35, e l'indice di affolla- mento risultava nell'81 di 0,8 abitanti per stanza. Le case senza bagno erano ridotte a piccola percentuale, mentre risultavano praticamente scomparse quelle sfornite di acqua e di elettricità. Ogni 2,7 persone v'era un televisore, un'automobile e un telefono. Indubbiamente il nostro è ormai un Paese ricco, non per nulla nella classifica per nazioni figura in assoluto al settimo posto, mentre in quella relativa al prodotto interno lordo (PIL) suddiviso per abitanti, è al quaran- tesimo laddove però è preceduto da paesi piccoli o per estensione o per numero di abitanti e che godono di una particolare situazione non paragonabile minima- mente alla nostra. Quello che interessa è il confronto con le grandi potenze economiche. Considerato che il nostro Pni/ab in dollari (anno 1983) è di 6255, la per- centuale rispetto agli Stati Uniti è del 50, alla Ger- mania Federale del 58, al Giappone e Francia del 64 e alla Gran Bretagna del 78. La distanza non è grande, e, perlomeno nei confronti dell'Inghilterra, abbastanza vicina da essere colmata. Non ci si può quindi davvero lamentare specialmente se si confron- tano i dati di oggi rispetto a quelli del '45. Allora 4 case su 10 erano di proprietà e oggi sono 6 su 10; il reddito mensile medio equivaleva a 145 mila lire al mese e ora è di 570 mila; c'era un analfabeta per ogni studente e ci sono sei studenti ogni analfabeta; un italiano su cento era laureato contro 3 su 100; c'erano 4 abitanti per ogni casa e ora due; ogni italiano consumava 622 chilowat- tora all'anno ed oggi 3208; c'era un telefono ogni 48 abitanti e un'automobile ogni cento! Il cammino percorso è stato notevole, checché se ne dica, seppure molte disfunzioni permangono, frutto probabilmente di un'intricata situazione politica, di lotte di potere spietate che spesso se non sempre ante- ponevano l'interesse di partito e personale a quello della collettività. Ciò è da considerare valido anche nel settore sindacale, laddove su provvedimenti e istanze giuste che servivano a sollevare una situazione operaia e impiegatizia precaria e penalizzata giungeva, per una sfrenata demagogia, quasi ad invertire i rapporti dan- neggiando la volontà di libera iniziativa e creando ed amplificando carrozzoni passivi e inefficienti. Era il prezzo da pagare a una situazione evolutiva, ma da qualche anno e in particolare di questi tempi si è messo da canto la demagogia per percorrere per la prima volta un sano capitalismo; che deve rimanere sano. Certo, favorevolissime congiunture internazionali per- mettono un'accelerata in avanti. Si nota un desiderio, che si attua ogni giorno di più, per far comprendere ai lavoratori in generale che solo attraverso una seria applicazione, una vera professionalità nei vari settori, un'onestà di rapporti interforze si possono ottenere dei risultati stabilmente validi. Luminoso esempio è quello avvenuto nel maggio 1986 a Napoli, quando un vigile urbano, che aveva chiesto una settimana di ferie per recarsi all'isola di Cipro, ha inviato un telegramma nel quale sosteneva, alla scadenza della settimana, di non poter far ritorno al posto di lavoro perché ammalato. Immediatamente l'assessore al personale del Comune, insospettito, pregava il console di effettuare accerta- menti, al termine dei quali risultava che il lavoratore era tutt'altro che malato, ma stava svolgendo l'attività di suonatore d'orchestra presso l'hotel Hilton di quel- l'isola. Immediato il licenziamento e una denuncia | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:37 pm | |
| penale. Se ci si guarda intomo veri poveri non se ne trovano più, il benessere nel nostro Paese è tale da allontanarlo di tanto dalla triste situazione degli anni bui e da quella dei paesi del terzo mondo. Se poi ancora qualche povero esiste, si dovrebbe approfondire se la colpa e ancora da attribuire alla società ed al governo o a chi è fuor della regola. Se oggi si può aspirare al successo nella quasi totalità dei casi, è proprio perché la lotta per conseguire i biso- gni primari è da considerarsi praticamente superata. Bisognerebbe convincere i tanti giovani, che spesso più che agire piangono per la mancanza di facile occupa- zione, ad adoprarsi con intelligenza, lucidità e volontà per informarsi sui reali bisogni di lavoro del Paese e quindi adeguarsi, a mezzo di studi mirati o tirocini adatti, ad occuparne gli spazi vacanti. Una volta, come già abbiamo detto, bastava, nella maggioranza dei casi, conseguire un diploma, un pezzo di carta per trovare sbocco facile nel mondo del lavoro. Oggi, con l'inflazione dei titoli, con la facilità degli stu- di, con gli sbarramenti degli esami praticamente inesi- stenti perché si approva tutti sia nella scuola media che nell'università, il livello di cultura media è sceso invece di rafforzarsi per adeguarlo all'evoluzione tecnologica che pressa e preme sempre più inesorabilmente. Anche nel mondo operaio è praticamente scomparso, o quanto meno si è attenuato di molto, l'ossessivo asservimento alla catena di montaggio in cupi opifici dall'igiene carente. A tutti è dato, se meritevoli, di poter compiere salti di qualità se lo desiderano. Però, come dicevamo qualche rigo più su, bisogna informarsi sulle necessità produttive del Paese e com- piete una decisa sterzata (che è nell'aria) sulla severità degli studi e principalmente sul corpo insegnante. I professori spesso adempiono alla loro attività didattica quasi come un ripiego perché, con la carente prepara- zione di base, non hanno trovato gli sbocchi che cerca- vano nelle libere professioni, nelle industrie o nel ter- ziario e non hanno voluto opporsi (anche perché non ne avevano le qualità ed il carisma) all'inquinamento della bontà dei pezzi di carta o di buona parte di essi. Fortunatamente da qualche anno sono nate altre scuole ed altre specializzazioni, si sono rivalutati anti- chi mestieri e nuovi sono sorti. È necessario quindi conoscerli e conoscere per tempo le proprie reali e rea- listiche aspirazioni. Solo così si potrà trovare il lavoro adeguato, non frustrante ed aspirare a quel successo che in fondo tutti vogliamo dalla vita, e ci riferiamo per ora a quella lavorativa. Purtroppo quando ci capita di leggere su qualche giornale o di sentire da notiziari e da dibattiti teleradio- fonici accorati appelli dell'ordine nazionale dei medici, affinchè il governo ponga con l'istituzione del "nu- mero chiuso" un freno alla marea di aspiranti all'eser- cizio dell'attività che fu cara ad Esculapio e ad Ippo- crate, si rimane quanto meno perplessi di fronte alla constatazione della totale mancanza di ascolto. Un provvedimento dall'alto sarebbe questa volta necessario (anche se in genere, personalmente, non ci piacciono interventi autoritari) essendo stato vano ogni avvertimento, ogni convegno, qualsiasi tavola rotonda. Se infatti l'andazzo attuale continuasse, giun- geremmo in qualche decennio ad una situazione assur- da, quasi ad avere ognuno di noi il proprio medico per- sonalissimo o quantomeno un medico ogni ristrettis- simo numero di persone equivalente a una famiglia numerosa o ad un parentado di pochi nuclei familiari. Non è, purtroppo facile ironia questa, ma una minac- ciosa realtà: pericolosa perché le qualità professionali del futuro sanitario, che non potrà svolgere una grande attività e un congrue tirocinio, sarebbero per forza di cose estremamente scadenti, oltre a creare una nuova massa di semioccupati tanto più pericolosa perché composta di gente che dopo circa dieci anni di studi pretenderebbe qualcosa di più dalla vita lavorativa. Se si osservano gli ultimi dati statistici disponibili, nell'anno 83/84 su un milione e 90 mila universitari ben 150 mila frequentavano medicina. Negli ultimi vent'anni la loro percentuale sul numero globale degli iscritti si è quasi raddoppiata passando dal 7,7 al 14,2! E una realtà che non trova riscontro in nes- sun'altra facoltà se non nell'agraria dove i numeri sono ben più piccoli (dall'1,4 al3,7). In aggiunta non deve sfuggire la massa degli studenti che a frotte sempre più dense preme alle porte dell'università: sono milioni ed oltre 14 ogni 100 vuole decisamente, incontrovertibil- mente frequentare medicina. Viene allora spontaneo chiedersi perché questi giovani sordi ad ogni appello continuino imperterriti ad avviarsi a studi lunghi, spesso noiosi e altamente mnemonici perché non vi è reale possibilità di frequentare stabilmente ospedali o cliniche universitarie. Forse, si obietterà da qualche parte, si tratta di voca- zione, e la professione, il mestiere del medico deve o dovrebbe essere intesa non soltanto come una normale attività lavorativa, ma come una missione. Certo, è indubbio, lenire, confortare, curare i malanni, le sofferenze dei propri simili, agire con sag- gezza e abilità nella prescrizione e nel dosaggio di appropriati tarmaci, praticare interventi operatori con mano ferma ed educata su corpi martoriati dal male sorridendo rassicuranti all'altro uomo in difficoltà, deve essere soddisfacente, appagante, gratificante. Sentirsi avvolto dal rispetto, dalla riconoscenza di quell'essere umano che a lui, il medico, si è affidato con umiltà e perché no timore, ma anche speranza, deve dare un senso d'importanza non comune: quasi un Dio. Non c'è indubbiamente un bene più prezioso della salute: senza di essa non c'è denaro, intelligenza, posi- zione sociale, successo che bastino. -Se l'aspirante si è sentito genuinamente chiamato a un compito tanto alto, convinto di poterlo gestire con perizia, c'è poco da dire, da criticare, da fare ristretti e miserabili calcoli sulle possibilità di collocazione, di sbocco, di guada- gno, di successo; ma non è assolutamente pensabile che oggi 150 mila studenti e domani 300 mila e più si iscrivano a questa stupenda facoltà che immette in una luminosa professione (qualora venga esercitata con passione, coscienza e capacità) solo perché tutti si sen- tano spinti ineluttabilmente a così alto compito. Non crediamo davvero che tutti, o la maggioranza di essi, vogliano essere giovevoli alla società, in luogo di essere utili prevalentemente a se stessi. Quasi tutti oggi abbiamo un parente o un amico sanitario. Ciò che qualche decennio fa era abbastanza raro, nei nostri giorni è una costante destinata ad allargarsi: non c'è parentela, condominio, riunione o festa che non anno- veri perlomeno un medico o quantomeno uno stu- dente di medicina. Sappiamo di un casamento (non costruito da una cooperativa settoriale) dove su circa 30 abitanti, bambini esclusi, ben 6 sono medici. Cono- sciamo una famiglia dove la tesi che stiamo portando avanti è esemplificata. Il padre vanta per la sua stirpe una qualità a suo dire superiore o almeno pari alla nobiltà- quella di annoverare da moltissime genera- zioni tutti i maschi laureati. Ma egli, ingegnere, ha quattro figli in età dai 28 ai 35 anni dei quali tré (e quindi tré quarti) sono medici. Mentre il primo con solo qualche difficoltà più di dieci anni fa divenne medico condotto in un piccolo pittoresco paese, il secondo stenta a trovare stabile occupazione e si barca- mena fra un ambulatorio privato e un incarico pub- blico part-time, e il terzo, che più recentemente ha ter- minato gli studi, sta per piombare nella disperazione più profonda perché non trova alcuno sbocco e bussa inascoltato ad ospedali, comuni per guardie mediche e partecipa a una serie interminabile di concorsi tra i più disparati dove si chiede un laureato m medicina. A nulla finora son servite le conoscenze paterne e i fratelli medici, anche perché le "spinte" non sono possenti o comunque vengono inattivate dal tipo di posto che desidera il giovane che ineluttabilmente s'avvia al ruolo di frustrato per tutta la vita, anche se prima o poi forse troverà una qualche collocazione. Il quarto hgho invece, laureato in matematica, è già di ruolo da più anni. , , , Eppure, nonostante esempi del genere che sono sotto gli occhi di tutti coloro che sanno osservare e non solo guardare, avere un medico per parente, amico o conoscente è ancora un vanto e viene considerato utile in ogni ceto e in qualsiasi condizione di censo. Forse per strappare gratuitamente un consiglio, una visita, una ricetta o forse perché eserciti un consapevole con- trollo sul collega estraneo dal quale ci si reca per esser curati. , , È indiscutibile, nonostante tutto, che quando un giovane medico riesce ad entrare, in un modo o m un altro, meritatamente o meno, in un'unità sanitaria come assistente, pagato o meno, quando incomincia ad essere conosciuto, a crearsi un certo numero di clienti, se la passa tutt'altro che male. Ancora nei nostri giorni, malgrado lo stragrande numero presente in Italia dove c'è ripetiamo il maggior numero di medici in rapporto agli abitanti, questi pro- fessionisti possono considerarsi dei privilegiati nei confronti degli altri. Forse non in termini di denaro ma nel rispetto, nella considerazione della comunità che poco va ad indagare sulla palese inflazione di essi rispetto alle effettive esigenze del Paese che ormai segna un tasso di incremento demografico che tende allo zero. Il medico, nell'ambito del suo lavoro, può permet- tersi col cliente atteggiamenti che non sono più con- cessi ad altri professionisti. Cambiare curante è rite- nuto infatti più traumatizzante del sostituire un avvo- cato, un ingegnere, un architetto, un commercialista. Con questi si può discutere anche animatamente, criti- carli, a volte persino maltrattarli. Con un medico, che non commetta deleteri, scoperti, madornali errori, no. La salute è un bene primario ed il paziente non si trova certo nelle migliori condizioni fisiche e mentali per far- lo. Quasi sempre la sua angoscia gli fa subire di tutto. Egli si rivolge al medico con una sorta di rispetto- timore che non ha eguali, se non forse - ed i casi sono davvero molto meno numerosi - con il commissario che si accinga ad effettuare un fermo o con il magi- strato che stia per emettere una sentenza penale. Ed ecco forse il segreto di questo correre, di questo ignorare ogni consiglio contrario, perché è molto pro- babile che una cospicua percentuale degli studenti aspiranti medici ha riflettuto sui vantaggi e poco si inte- ressa, con incosciente noncuranza, dei bisogni del Paese e di una frustrazione che nei migliori di loro non potrà fare a meno di far capolino, di rendere la vita dif- fìcile, probabilmente anche ai loro pazienti. '.' | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:43 pm | |
| IV Riteniamo opportuno in questo capitolo compiere una rapida e succosa carrellata su quali prospettive si aprano oggi per il giovane che si accinge ad affrontare il mondo del lavoro. Un'adeguata scelta, una consape^ vole conoscenza di tutto ciò che gli si apre davanti potrebbe essergli utile e probabilmente creargli una vita più facile perché, cóme giustamente scrive Cariyle in Passato e presente: "Felice è colui che ha trovato il SUO LAVORO; non chieda altra felicità". In effetti è così: il lavoro rappresenta il fatto fondamentale in buona parte delle esistenze umane, anche nella donna casalinga perché avere accanto un marito, un padre, un figlio soddisfatti dell'attività che svolgono e quindi non frustrati la renderà più felice, più distesa, più soddisfat- ta. Esercitare il lavoro che è più consono alle proprie tendenze e capacità potrà immettere più facilmente al raggiungimento del successo. Ci soccorre in ciò che affermiamo ancora una volta il Rizzoli-Larousse che alla voce successo suggerisce: "affermazione nella car- riera" che, tradotto in termini giusti, è la professione, l'impiego, il corso di studi, l'orientamento generale di lavoro. Quindi riteniamo che il maggior numero dei lettori di questo libro inquadri il successo innanzi tutto nell'ambito del proprio lavoro, anche se non è da tra- scurare la quota a volte determinante (di successo) che può giungere da vittorie nell'ambito della propria famiglia, nei rapporti amorosi, e sessuali che tanta importanza assumono per il nostro io e, perché no, per il nostro Super-Io. Anche di questi ultimi torneremo a parlare cercando di esaminarli con l'attenzione che meritano seppure, erroneamente o no, li riteniamo spesso collegati all'ima magine che di noi daremo al mondo attraverso i buoni risultati conseguiti nel lavoro. Nella società moderna (forse un po' meno in quella post-moderna) tutti dobbiamo svolgere un'attività lavorativa, sia per soddisfare le esigenze sempre più pressanti dello sfrenato consumismo che ci divora, sia per "realizzarci". Tutti gli uomini in età adulta vogliono o devono lavorare, più o meno inseriti in ordini professionali, artigianali, corporazioni, sindacati e così via. Molte donne svolgono analoghe attività, il rimanente costitui- sce la gran massa delle casalinghe. Queste nell'acce- zione comune non producono beni, non guadagnano denaro, ma sono utilissime alla società e lavorano forse più e meglio degli altri. I ragazzi in età scolare, se sono impegnati seriamente negli studi, svolgono anch'essi un lavoro che rimane sempre uno dei più faticosi. Solo i pensionati e i bambini al di sotto dei sei anni sono giustamente lontani dal mondo del lavoro ed i primi, e sicuramente non tutti (molti di loro ancora, in un modo o in un altro si danno da fare) probabilmente a causa di questa forzata accidia si avvicinano al tra- monto, alla fine della loro vita in modo triste, malinco- nico, deprimente. Casi sempre più rari di individui che possono vivere di rendita, per fortune ereditate e non per beni accu- mulati con il proprio lavoro, non fanno testo e non vai la pena nemmeno di prenderli in esame, se non per ricordare che per la sempre maggiore pressione fiscale, per l'inflazione, per leggi e regolamenti che si fanno vieppiù complicati, per la scomparsa progressiva e per la tenue affidabilità di "amministratori" di ottocente- sca memoria, rende più o meno simile al lavoro il pre- servare patrimoni - mobiliari o immobiliari - con capacità di rendita e di valore reale quanto più possi- bile vicino a quelli iniziali. Non farlo, ignorare mecca- nismi bancari, finanziari e locativi può, nel giro di pochi anni, decurtare in maniera determinante quanto si possiede. ., - . Si converrà quindi sull'incontrovertibile importanza del lavoro nel corso della vita di un individuo, bsso, con la salute, ne rappresenta la vera chiave di volta. Spesso anche più della salute stessa, perche un lavoro frustrante può alterare la psiche dando origine, oltre che a nevrosi, alle sempre più numerose malattie psico- somatiche. L'ideale allora per ogni uomo o donna che sia è di svolgere il lavoro che piace, per il quale ci si sente portati, che appaghi anche moralmente. Una serie di circostanze si frappone fra noi ed il con- seguimento del NOSTRO lavoro, quello che - suc- cesso o no - ci donerà gioia, riempirà le nostre giornate in uno snocciolarsi di ore non interminabili, e che ci farà dimenticare o allevierà i tanti dispiaceri inelutta- bilmente presenti nella vita di tutti noi. Di queste con- giunture la più importante è il non aver le idee chiare, l'ignorare quale possa essere la nostra vera inclinazione dove possiamo rendere al meglio delle nostre possibile tà il trascurare realistiche informazioni che gli organi di'stampa o i mass media in generale ci forniscono, sep- pure spesso seminascoste in pagine poco praticate o m orari di basso ascolto. Fra i nostri tanti difetti - e bene riconoscerlo subito - c'è anche il dare eccessiva impor- tanza a cose tutto sommato futili, o ad accadimenti che potrebbero essere rimediati facilmente senza doversi dannare più di tanto. L'elenco potrebbe essere infini- to ma basti pensare a quanta pena ci prendiamo per l'estetica dell'automobile e della moto, per la scelta dei vestiti, degli sci, della racchetta da tennis, per il per- fetto calore e l'aroma della tazza di caffè mattutina, per la meticolosa selezione della qualità del whisky, per la raffinata ricezione del televisore e la maniacale disposi- zione delle casse dello stereo, per il peso corporeo e per la cellulite osservati quasi al microscopio, per la scelta della colonia o del deodorante. Poco o nulla invece fac- ciamo per la nostra salute in prospettiva degli anni a venire o per un'oculata scelta del lavoro. Che ciò sia giusto o meno lo vedremo poi. Ed eccoci quindi tornati alla carrellata promessa all'inizio del capitolo. Carrellata che owiamente non potrà essere completa, non potrà analizzare e descri- vere tutti i lavori che potremmo svolgere ed è oppor- tuno che, per avere un panorama completo, ci si rifac- cia a libri specifici che incominciano a far capolino nelle librerie. Quello che daremo vuole essere solo esemplificativo ed a tale proposito sarà opportuno ini- ziare proprio dalla professione di medico sulla quale già ci siamo intrattenuti nel capitolo precedente. Oggi medicina è sinonimo di disoccupazione perlo- meno per un buon numero di anni, perché per la massa un certo sbocco lo si troverà solo dopo i 30-33 anni, quindi ben 15 anni dopo aver iniziato gli studi. Sono troppi i 15 mila dottori che escono ogni anno dalle uni- versità italiane, sono il triplo di quelli che sarebbero necessari. Nel 1881 i medici in Italia erano 18.800 e gli abitanti per medico 1513; nel '51 i medici ammonta- vano a 58.900 e gli abitanti per ognuno di loro erano 800; nell'84 i laureati in questa branca erano 219.956 e il numero degli abitanti per ognuno di essi era sceso a 258 e scenderà - secondo credibili proiezioni - a 191 nel 1991, a 162 nel '96, e a 140 nel 2000. Secondo il dott. Carmine De Palma, assistente di psichiatria al famoso ospedale Niguarda di Milano e segretario pro- vinciale dell'ANAO, il numero chiuso è inutile, per ^ uscire dall'attuale superaffollamento di aspiranti medici propone che gli esami vengano resi più diffìcili in modo che la selezione venga fatta veramente in base alla vocazione. Egli afferma che il numero chiuso privi - leggerebbe i candidati più raccomandati e potrebbe far escludere giovani capaci. Porta, il dott. De Palma, ad esempio il caso di Odontoiatria dove esiste il numero chiuso e quello che succede nelle specializzazioni post làurea. Qui accedono, secondo il dottor De Palma, i preferiti dai cattedratici, i raccomandati ecc. Ma lo stesso De Palma conviene sull'opportunità di ridurre perlomeno di tré quarti i laureati in medicina perché - e questo dato è spaventoso - solo nelle tré facoltà di Roma vi sono più iscritti a medicina di quanti ne hanno insieme tutte le facoltà mediche inglesi, americane, tedesco occidentali, olandesi e giapponesi, nonostante che nel nostro Paese ci sia stato un calo che ha quasi dimezzato le immatricolazioni dai massimi di 8/10 anni fa. Ormai è cosa nota a tutti gli interessati, meno a quelli che volutamente si bendano gli occhi e si tap- pano le orecchie, che un medico della mutua con 500 assistiti non va oltre il milione e mezzo al mese di gua- dagno, beninteso lordo perche deve dedurre le spese. Un medico ospedaliere a tempo pieno guadagna circa un milione e mezzo e un assistente a tempo pieno è di tanto sotto i due milioni e - ciò forse sarà davvero determinante per mutare obiettivi - la condizione di impiego dello Stato ha preso a prevalere, e ha tolto "l'aureola" (quel prestigio di cui si è parlato nel capi- tolo precedente). Non siamo del tutto d'accordo con il dottor De Palma perché non riteniamo opportuno creare dei pre- coci frustrati, owerosia quei giovani che dopo aver battuto per anni il capo contro esami troppo severi dovranno cambiare facoltà o obiettivo. Ma il sanitario milanese ha pronta una soluzione che ci sembra valida: ossia fare come all'estero, dopo tré bocciature esclu- dere l'aspirante medico. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:44 pm | |
| Nel periodo a cavallo del '68 gli esami erano diven- tati nominali, si era sgangherato tutto, nessuno osser- vava più ne regole, ne sbarramenti, ognuno si faceva il proprio corso di studi. Forse per paura i professori regalavano a tutti il 18. In quel periodo il tempo degli studenti, più che alla severa applicazione, a migliorare o a formare le proprie conoscenze, veniva occupato in assemblee. All'estero un chirurgo lo si forma in 5 anni; da noi in 8 mesi e più teorici che pratici. Nello stesso ospedale di Niguarda gli studenti non sono ammessi o sono ammessi individualmente per concessione, per favore. Quindi trovare posto come medico diventa sempre più diffìcile per chi non ha santi in paradiso. Esemplifi- cativo di ciò, ma anche di differenze mai sopite fra nord e sud sono i concorsi per medico di famiglia e di guardia medica che hanno visto nel 1985 in Sicilia 8319 laureati concorrere per gli 82 posti a disposizione. E quindi un posto ogni 46 medici, mentre in Lombardia la disponibilità era di un posto ogni 25 concorrenti. Con i costi della vita attuali, un laureato che impie- ghi sei anni per conseguire l'ambito pezzo di carta più i cinque per la specializzazione può, se è davvero un futuro luminare o se è fornito di possenti raccomanda- zioni, aspirare ad ottenere come assistente ospedaliere a tempo pieno la busta paga comprensiva di tutte le componenti e la contingenza, di un milione e 800 mila lire; un aiuto primario in analoga posizione ma con più di 10 anni di anzianità troverà nella busta poco più di un milione e 900 mila lire e le ore di straordinario saranno conteggiate circa 10 mila lire lorde. Un prima- rio a tempo pieno sarà retribuito con circa due milioni e 800 mila lire mensili, mentre un ospedaliere a tempo ridotto (28,5 ore settimanali) riceverà una busta con un milione duecento mila lire mensili, e un medico della mutua con numero di assistiti intorno ai 500 incassserà 11 milioni all'anno, owerosia 15-25 mila lire annue ogni assistito. Saranno ritenute tali retribuzioni suffi- cienti per chi ha trascorso a dir poco 11 anni della pro- pria vita ad inseguire il sospirato posto per esercitare la sospirata professione? Probabilmente no, ma nel nostro Paese in molti casi non ci si ferma per un impe- gno di "tempo pieno" e qualche visita o intervento pri- vato, l'associarsi a colleghi liberi professionisti, il for- nire loro pazienti non soddisfatti dell'organizzazione sanitaria statale, sarà un elemento guida della vita lavo- rativa e probabilmente si riuscirà ad arrotondare, forse in modo congrue, le entrate non certamente bastevoli per chi vuole condurre anche una vita rappresentativa e frequentare ambienti socialmente ed economica- mente su. Per il professor Eolo Parodi, presidente della Fede- razione Nazionale dell'Ordine dei Medici, il Jooom delle iscrizioni a medicina è dovuto alla legge Codi- inola che consentì l'iscrizione non solo ai diplomati dei licei classici e scientifici, ma a tutti, anche ai diplo- mati in dirczione alberghiera, a etnologi, geometri, ragionieri ed elettrotecnici. Mentre 30 anni fa la figura del medico era ancora quella classica con inserimento immediato nella professione, guadagni notevoli o addi- rittura ingenti e prestigio, oggi, nonostante la mutua e il servizio sanitario di Stato, il fenomeno è stato favo- rito e continua ancora ad esserlo dal mito della laurea. Essa rappresenta una specie di droga per la maggior parte degli italiani, specialmente in un settore tradizio- nalmente quotato come quello del medico. È in sostanza una conferma di quanto abbiamo affermato nel capitolo precedente. Ma il professor Parodi forni- sce una via di uscita; sostiene infatti che vi sono in Italia troppi laureati e pochi semilaureati; nei Paesi più avan- zati vi sono pochi medici, ma in compenso molti più ausiliari cooperatori e coadiuvanti. Hanno i tecnici specialisti che da noi difettano e gli uomini giusti ai posti giusti. Ad esempio i direttori di ospedali funzio- nano male perché non conoscono il mestiere, nessuno glielo ha mai insegnato. Il presidente della Federazione è convinto che se si prendesse il direttore di un buon albergo e si ponesse a dirigere l'attività logistica di un ospedale, quell'ospedale funzionerebbe decisamente meglio. Quindi bisogna organizzarsi a livello degli ordini dei medici, delle università con adeguate cam- pagne pubblicitarie per fabbricare meno medici e più gente di laboratorio, più specialisti a livello di diploma, ma anche medici specializzati nel settore dell'ambien- te, della prevenzione che non si fa, della riabilitazione degli anziani che nemmeno si fa. Occorreranno anche a tempi brevi tecnici per i trapianti e più che mai tecnici per USL perché con quelli che vi sono si sta facendo il massimo di burocrazia con il minimo di burocrati. Il binomio laurea-posto di impiego sicuro è finito, non esiste più. Per la professione di avvocato è previsto in sintesi poco spazio e gavetta durissima. Perché chi punta alla libera professione deve mettere in conto anni di sacrifi- cio e di scarsi guadagni. Anche per la facoltà di giuri- sprudenza che, permette di imboccare molte strade fra settore pubblico, privato e libera professione, giun- gono da più parti inviti a non affollarla. La stragrande maggioranza dei giovani che portano a termine gli studi finisce col puntare verso l'avvocatura. Basti un solo dato: all'università di Milano quando gli studenti giungono al terzo anno e possono scegliere fra tré indi- rizzi, i 2000 iscritti optano per circa tré quarti per il forense, 400 per "impresa" e solo 100 per la pubblica amministrazione. Questa concede scarsi spazi insidiati da una concorrenza agguerrita. La trafila è lunga; è facilissimo entrare senza o con basso compenso in uno studio legale, ma è difficilissimo riuscire a conquistare spazio e clientela per poter iniziare un'attività in pro- prio. La gavetta è dura, quasi sempre bisogna investire una considerevole quantità di lavoro rinunciando a convenirlo in tempi brevi in denaro. E bisogna tenersi informati perché il nostro Paese sforna leggi in conti- nuazione, l'attività normativa è quasi sempre fram- mentaria e un aspirante avvocato non può permettersi il lusso di smettere di studiare se vuole conseguire qualche valido risultato. In Italia negli albi professio- nali sono iscritti ben 48.327 avvocati con punte a Roma di 5700, a Napoli di 4000 e a Milano di 3900. Nelle uni- versità son ben 160 mila gli iscritti in giurisprudenza e si sfornano circa 10 mila laureati all'anno. Buona parte di essi, come abbiamo già visto, tenterà di divenire avvocato, per cui il numero degli iscritti all'Ordine ten- derà ad aumentare vertiginosamente. Per diventare avvocati, dopo la laurea, occorrono 2 anni di pratica in uno studio legale, poi superare l'esame scritto e orale per diventare procuratori e dopo sei anni si viene auto- maticamente iscritti nell'albo degli avvocati. Il presi- dente dell'Ordine degli avvocati di Milano, Tiziano Barbetta, sostiene che lo sbarramento attraverso esame per diventare procuratore legale è molto ostico perché i candidati devono affrontare complicati temi teorici. A volte sono argomenti che nella pratica quotidiana non hanno mai incontrato, ne incontreranno più; spesso cadono anche giovani in gamba che meritereb- bero di passare. Allo scritto avviene una strage: 70 su 100 vengono bocciati, mentre all'orale dei 30 superstiti 28 vengono promossi. Tra le prove scritte e quelle orali passano ben 8-9 mesi. Le commissioni d'esame sono composte in maggioranza da magistrati e in minoranza da avvocati. Questi professionisti guadagnano in media 26 milioni all'anno, ma è probabile che tali dati, abba- stanza misteriosi nella realtà perché provengono dalle dichiarazioni dei redditi, siano di molto inferiori alla verità, anche se le affermazioni dell'avvocato Barbetta sulla povertà di alcuni avvocati, quelli che difendono scippatori e prostitute, che vanno vestiti dimessamen- te, sono probabilmente vicini all'esattezza, come ci sembrano veri gli alti costi per mantenere uno studio laddove non sia allogato in una stanza della propria abitazione. In effetti l'affitto per un ufficio a Milano nella zona del tribunale è sui 30 milioni all'anno. Poi ci sono le spese di luce, telefono e lo stipendio per uno o più segretarie oltre al compenso per qualche collabora- tore. Ma il giovane appena laureato non trova, a diffe- renza dei medici, alcuna difficoltà ad entrare in uno studio legale come praticante, anche se, quando lo per- cepisce, il suo stipendio non supera le 3/400 mila lire al mese. In sostanza affermarsi in modo decente come avvo- cato non è facile se non si hanno conoscenze e spinte preferenziali, non ci si specializza, non si hanno nozioni di economia e informatica o non si sanno le lin- gue straniere. Sono troppi gli avvocati generici che | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:47 pm | |
| sono sia penalisti che civilisti, mentre mancano gli specializzati. Bisogna quindi aggiornarsi ed optare per i settori che tirano di più, come il tributario, l'ammini- strativo e il diritto internazionale. Sembra che lì ci sia lavoro e molto per tutti. Per ingegneria il futuro si tinge di rosa. Molti bril- lanti studenti sono prenotati dalle industrie già prima della laurea, ma anche in questi ultimi anni la selezione negli studi, seppure decisamente minore di quella del passato, è aspra. È il corso di studi, fra quanti ne offre la nostra università, considerato ancora oggi il più lun- go, impervio ed impegnativo. Studiare da ingegnere, diventare ingegnere con tutti i rovelli che comporta, richiede una costante applicazione e approfonditi aggiornamenti, ma quando si esce dal lungo tunnel accademico, si aprono orizzonti che non è esagerato definire rosei. Solo meno di un terzo degli studenti rie- sce a coronare la propria aspirazione e non prima, in media, di sette anni contro la durata ufficiale dei corsi che è fissata in cinque anni. Si attua qui automatica- mente quello che è stato richiesto per medicina in luogo del numero chiuso. Sarebbe opportuna, come già avviene da tanti anni negli altri Paesi, l'istituzione di differenti livelli professionali. Gli ingegneri italiani sono meno di 140 mila dei quali circa 86 mila iscritti agli ordini professionali, gli altri fanno parte di aziende pubbliche e private, di uffici dello Stato o di Enti locali. Sono solo 35 mila i liberi professionisti. In precedenza le matricole provenivano quasi esclu- sivamente dai licei, poi il numero degli iscritti si è mol- tiplicato con le massicce provenienze di periti indu- striali, geometri, ragionieri e capitani di lungo corso, ma al traguardo finale giungono ancora i giovani con matrice liceale. I laureati nell'83 sono stati 6.497. Ora, su 20.000 immatricolazioni annue circa il 70 rinun- cia e per i tré quarti non riesce a superare nemmeno gli esami del primo anno. Le specializzazioni possibili sono: civile, industriale, meccanica, nucleare, navale, aereonautica, mineraria, chimica, elettrotecnica, elettronica, difesa del suolo e tecnica industriale. Oggi prevale l'elettronica seguita dalla civile e in numero molto minore dalla meccanica, elettrotecnica e aereonautica. Ma quando si giunge alla laurea, gli ingegneri "civili" superano quelli "elettroni- ci" che sono seguiti a breve distanza dai "meccanici". Secondo il rettore del politecnico di Milano, Enrico Vallatta, non esistono grossi problemi occupazionali per un laureato in ingegneria: provengono infatti all'u- niversità meneghina richieste da industrie, aziende, banche e società varie già durante l'anno ed i migliori studenti vengono contattati ancor prima della laurea. Di uguale opinione è il professor Greco, preside della facoltà di ingegneria di Napoli. Egli afferma che quando ci si laurea con una buona votazione le occa- sioni occupazionali sono numerose anche in Campa- nia. Il Censis in una recente indagine conferma che la professione più richiesta (e lo sarà ancora nei prossimi anni) è ancora quella di ingegnere in qualsiasi specializ- zazione, con elettronica in testa. Occorre però avere anche buone cognizioni dei processi informatici, di economia e di inglese. Secondo il Centro di Statistiche Aziendali di Firenze sono ancora gli ingegneri a gui- dare la corsa per il conseguimento del lavoro. Per il Ministero della Pubblica Istruzione solo i lau- reati in farmacia riescono a trovare sistemazione più in fretta - ma di pochissimo - degli ingegneri. Tali dati trovano riscontro anche all'estero: in Francia, la richie- sta di ingegneri è aumentata del 146 e negli Stati Uniti del 30. Tutti gli esperti del settore confermano però la necessità di un adeguamento del corso di studi con nuove materie e nuovi indirizzi, e con l'introdu^ zione di perlomeno due livelli di laurea: uno con corsi accademici di due-tre anni e l'altro più completo. Il professor Stragiotti di Torino è orgoglioso di quanto si è fatto in quel politecnico, ossia l'introduzione di corsi accademici intermedi di tré anni per "scienze ed arti nel campo della stampa" e "tecnologia tessile"^ Annuncia un prossimo accordo con l'università di Brighton per la preparazione di esperti in gestione aziendale tecnico-economica: sono tré anni di studi più uno di tirocinio, parte in Italia e parte in Inghil- terra. I tempi necessari per trovare occupazione sono in effetti piuttosto brevi, infinitamente più rapidi che con altre lauree. Per Vallatta (Milano) cinque, sei mesi; per Stragiotti (Torino) meno di un anno; per Augusti (Firenze) tre-quattro mesi; per il professor Murgo (Roma) entro un paio d'anni; per Greco (Napoli) sette mesi; per Alto (Bari) i bravissimi si sistemano subito anche prima della laurea (e questa è l'opinione di tutti), i bravi ci impiegano circa un anno, chi invece è sotto la votazione di 100 è costretto ad attese più lunghe. Per l'ingegner Terracciano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, i giovani laureati possono essere assorbiti in tempi brevissimi e in numero di circa settemila con un contratto a termine minimo di due anni, per poi successivamente passare (perlomeno il 50 di loro) in pianta stabile e salire dalla iniziale seconda categoria alla prima. Sono molte anche le richieste che provengono dall'estero. In conclusione la professione di ingegnere è qualifi- cante e gratificante. Non a caso uno slogan delle fem- ministe dice: "Ingegnere è bello". Inoltre questa laurea da facile accesso al mondo del lavoro e permette buoni guadagni, ma la via per giungere al traguardo è aspra e non consigliabile - tranne infinitesime eccezioni - a coloro che non provengono dai licei. Per l'architetto il futuro è nell'alternativo. 300 mila dovrebbero inserirsi nel restauro edilizio e nella con- servazione del patrimonio artistico. Fra tutte le lauree è la più estrosa. All'architetto si richiede d'essere metà artista e metà progettista razionale, metà poeta e metà tecnico, metà, intellettuale e metà tecnologo. Questa poliedricità ed ecletticità conferisce indubbiamente un grande fascino alla professione. Progettare case e - purtroppo raramente - città, non significa soltanto mettere insieme cubi di cemento da abitare, ma anche interpretare bisogni profondi della società e di un periodo, dare anima al materiale edilizio. Questo fasci- no, queste prospettive elevatissime - perlomeno sulla carta - hanno generato negli anni passati un vero boom delle immatricolazioni e un grande incremento delle iscrizioni agli Albi professionali. Attualmente gli iscritti ad architettura sono circa 60 mila e quelli all'Albo 37.160. Ma gli sbocchi occupazionali hanno subito una progressiva riduzione sia per la stasi edili- zia, sia per l'accanita concorrenza di altri professioni- sti, cui la confusione della legge consente, con amplia- menti o riduzioni, la costruzione di case, la realizza- zione di opere civili, e le sistemazioni urbanistico-terri- tonali. A parte gli ingegneri civili che possono svolgere quasi tutte e più le mansioni degli architetti special- mente nei loro risvolti tecnici, i geometri possono costruire edifici fino a due piani. Ai periti edili ed agli agronomi sono state attribuite facoltà di sovrintendere alla sistemazione territoriale. Ma quello che è più strano è la concorrenza degli awocati. Infatti l'intrico attuale delle leggi urbanistiche ed edilizie con gli appe- santimenti delle norme di attuazione dei piani regola- tori e dei regolamenti edilizi comunali, richiede ai tec- nici dell'urbanistica una competenza giuridica che non è per loro pane corrente. Quindi in molti studi gli avvo- cati diventano esperti in urbanistica. Questo fenomeno non ha ancora prodotto una disoccupazione davvero sensibile in quanto molti architetti si sono adattati a lavorare, magari part-time, in altri settori. Fanno i ven- ditori di mobili, moquette e materiali per l'edilizia o gli impiegati in fabbriche di questi ultimi prodotti. Altri si dedicano all'insegnamento di materie tecniche nelle scuole medie, negli istituti tecnici per geometri, pentì edili o licei. Negli ultimi tempi però nuove opportunità occupazionali alternative stanno nascendo come nel recupero edilizio, nella tutela ambientale, nel design industriale e nella prevalente progettazione degli inter- ni, nella quale sempre più spesso gli architetti scari- cano la loro capacità creativa. Secondo ricerche dell'ENEA negli anni 90 almeno 150 mila saranno in Italia i nuovi posti di lavoro nel set- tore della ristrutturazione e del restauro edilizio, men- tre altri 150 mila dovrebbero essere disponibili per la tutela e la conservazione del patrimonio artistico. Nella progettazione e gestione di sistemi ambientali com- piessi (dai sistemi di depurazione delle acque a quelli di smaltimento dei rifiuti solidi) dovrebbero invece tro- var lavoro circa 200 mila tecnici. Bisogna quindi posse- dere la duttilità sufficiente o la capacità di ampliare la specializzazione in modo da poter progettare alternati- vamente un parco, un inceneritore di rifiuti e il singolo ov | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:47 pm | |
| palazzo. Ma un altro settore che potrebbe dare buone possibilità agli architetti è quello dell'industrializza- zione edilizia dove sempre più si ricerca la buona qua- lità delle costruzioni e le tecnologie si fanno vieppiù raffinate. Il corso di studi di architetto dura cinque anni. Si diversifica in pianificazione territoriale ed urbanistica, in storia e conservazione dei beni storici ed ambientali, in architettura pura. La facoltà di architettura è recente perché fondata nel 1935 e riorganizzata nell'82. Molti sono i fuori corso moltiplicatisi negli ultimi dieci anni. Infatti, secondo un'indagine dell'ISTRA di Milano, ben 1'80 degli studenti svolge un'attività lavorativa quantomeno a tempo parziale. Probabilmente si tratta di diplomati geometri o periti edili che si iscrivono all'università nella speranza di conseguire una laurea attinente e amplificante la loro attività professionale. Quindi, forse proprio a causa di quanto abbiamo detto, solo il 35 degli studenti raggiunge la laurea, e il numero attuale dei laureati è di circa 4000 unità per anno. Altro motivo dell'elevato numero di fuori corso è che inco- minciano a esser superati o sono stati superati del tutto i tempi nei quali gli esami erano assemblee politicizzate e ci si laureava con tesi di gruppo di carattere ideolo- gico-sociologico. Dunque oggi, anche in architettura, si ricomincia a studiare sodo. Non basta una capacità spiccata per il disegno, la propensione a materie stori- che e artistiche o uno spiccato senso estetico, ma è anche importante possedere una disposizione valida per la matematica, la statistica e la fisica. Vi sono alcuni corsi di specializzazione post laurea, ad esempio scuole di perfezionamento in restauro dalla durata biennale, oppure la Domus Accademy di design che è molto selettiva nell'ammissione. Per gli studenti fuori corso in architettura esistono delle possibilità di recupero per la presenza di istituti di livello universita- rio nel settore della grafica che durano quattro anni, o l'istituto superiore di progettazione grafica di Urbino (anche quadriennale) che rilascia un titolo di studio equivalente a quello delle Accademie di Belle Arti. Per il neolaureato esistono tré strade prevalenti. La prima è quella dell'impiego (in uno studio professionale, in un'impresa di costruzioni, in una società d'ingegneria, in uno dei tanti enti pubblici). La seconda è quella del- l'insegnamento. La terza, la più ambita, è quella della libera professione per la quale è necessario iscriversi all'Albo professionale. La percentuale che tenta la libera professione è in calo e molti sono costretti, dopo qualche anno, a ripiegare sull'impiego dipendente che, come abbiamo visto, può articolarsi nelle forme più ampie e spesso poco attinenti con il reale indirizzo degli studi. Gli architetti dipendenti possono impie- garsi nel settore privato e in quello pubblico, ma pur godendo di posto e stipendio fìsso, non hanno profili professionali ben riconosciuti ed è stata creata un'orga- nizzazione internazionale nel tentativo di ottenere con- dizioni salariali consone alla loro formazione, ten- dendo in particolare a difendere l'attribuzione e i diritti d'autore delle opere loro affidate, quando hanno la fortuna di ottenere un incarico del genere. Quando un architetto, che tenta di operare in pro- prio, apre uno studio, può ricevere incarichi di proget- tazione da parte di imprese edilizie, di enti pubblici e dei Comuni per redigere piani regolatori e piani parti- colareggiati, ma l'importanza delle commesse pubbli- che ha "politicizzato" la figura dell'architetto libero professionista, per cui diventa molto difficile proce- dere se non si ha voglia o opportunità di inserirsi in questo o quel gruppo politico. Buona parte quindi, come abbiamo già detto, tende alla piccola opera della ristrutturazione degli interni. Qui lo scontro con il committente (e più spesso con la committente) com- porta un notevole impiego di pazienza e, in fondo in fondo una certa frustrazione. Oggi, altra notevolissima fonte di lavoro per gli architetti professionisti è rappre- sentata dal condono edilizio, ma qui ingegneri e geo- metri imperversano. Inoltre l'architetto, come gli altri professionisti, dovrà emettere parcelle con IVA. I gua- dagni possono variare di molto (come nelle altre libere professioni) e spesso i pagamenti, specialmente da parte degli enti locali, sono terribilmente ritardati nel tempo e molte energie saranno impiegate per ottenere la riscossione di crediti che risalgono anche a due e più anni prima. Per coloro che vogliono svolgere l'attività di dot- tore in scienze agrarie e forestali, la possibilità di lavoro non è eccessiva, ma esiste, anche se in Italia la percentuale degli occupati in agricoltura è scesa dal 19,6 alt'11,8 dal 1970 al 1984. Questo non signi- fica che c'è meno bisogno di cervelli nel mondo del- l'agricoltura, tutt'altro. Proprio per abbassare i costi occorrono più cervelli e meno braccia. Non esiste per questa facoltà universitaria una situazione disa- strosa post laurea come in medicina, ma l'esercizio della libera professione è certamente poco ampio e spesso i laureati finiscono col dedicarsi al settore delle vendite o all'insegnamento nelle scuole medie superiori. Secondo il presidente della Federazione Nazio- nale dei Dottori in Scienze Agrarie, Marsella, più della metà dei laureati negli anni '70 per impiegarsi ha dovuto far capo all'amministrazione pubblica. Nell'agricoltura vera e propria ha trovato impiego solo il 10 dei dottori in agraria così suddivisi: il 3,5 nelle industrie; il 3,5 in aziende agrarie e il 3 nella libera professione. Ora qualcosa sta cam- biando e probabilmente ad una nuova indagine le cifre saranno più positive per chi ha dedicato anni di studio in una facoltà che non è di quelle facili, perché costituita da materie dissimili ed impegnative come chimica, costruzioni agricole, fitopatologia, animine strazione aziendale, coltivazione irrigua, difesa del suolo, estimo, trasformazione fondiaria ed altre. In Italia i dottori in agraria (compresi quelli specializ- zati in agricoltura tropicale e scienza della nutrizio- ne) sono circa 25 mila. Gli iscritti nella Federazione sono seimila e all'Ordine professionale circa ottona la. I laureati ogni anno sono grosso modo 1500. Di essi il 41 ha trovato lavoro entro sei mesi, mentre un ulteriore 20 nell'anno. Si può divenire tecnico dell'agricoltura anche senza laurea, ma conseguendo uno dei due tipi di diplomi. Il primo è perito agrario (cinque anni di studi dopo la scuola media); il secondo è l'agrotec- nico (tré anni di studi dopo la scuola media). Si con- segue il titolo di perito agrario frequentando uno dei 74 istituti tecnici agrari. Si diventa agrotecnico fre- quentando uno degli 83 istituti professionali per l'a- gricoltura. I periti agrari, secondo il Sig. Giuseppe Aluisetti, presidente del Collegio Nazionale di cate- goria, sono da 100 a 200 mila, ma gli iscritti al Colle- gio sono appena 18 mila e la libera professione viene esercitata da appena 4000. Come si vede sussiste un'enorme differenza fra il numero dei diplomati e coloro che esercitano la libera professione. Secondo Aluisetti, seppure molti dei diplomati sono impe- gnati nelle aziende agricole paterne o proprie, mol- tissimi altri insegnano (spesso a malincuore) nelle scuole medie. I rimanenti sono dovunque: nei man- gimifici, negli antiparassitari, nel commercio dei fiori o lavorano come piazzisti di cose agricole. Solo pochissimi sono impiegati in aziende agricole aliene, perché su uno stipendio annuo di 12 milioni bisogna, come in altri settori, pagarne altri sei per contributi, e tutto ciò grava troppo sulle piccole aziende. Il hmitatissimo numero di liberi professionisti si spiega per l'accanita concorrenza delle organizza- zioni sindacali che svolgono gratuitamente lo stesso lavoro. Secondo Aluisetti i tecnici dei sindacati non bril- lano nell'esercizio dei propri compiti perché i centri d'insegnamento hanno professori che non sono mai stati in campagna, mai su un trattore e non hanno mai visto una risaia. D'altra parte, pur essendo gli istituti agrari dotati di aziende agricole, si tende a non far esercitare i ragazzi per evitare responsabilità. Un esempio per tutti: l'istituto di Piacenza ha elimi- nato materie di insegnamento come topografia e costruzioni rurali. Nonostante questa imprepara- zione i periti che vengono chiamati a lavorare in un'azienda agricola chiedono un milione al mese come stipendio iniziale. Sembra, a detta di Aluisetti, che i giovani di oggi non vogliono tirar la cinghia ne far gavetta. Lui, invece, per diventare libero profes- sionista, ha fatto dieci anni di apprendistato e quando era studente ha dovuto anche rivoltare le concimarle. Il perito deve sapere tutto perché l'agri- coltore proprietario gli chiede funzioni di notaio, di geometra, di biologo, di avvocato, di irrigatore, di motorista, di esperto dei mercati della CEE. In conclusione gli sbocchi'anche se pochi, vi sono ma più nei servizi agricoli che direttamente nelle aziende. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:52 pm | |
| V Dopo aver esaminato le professioni più tradizionali, ci addentriamo ora in un sommario esame di altri svi- luppi lavorativi. Nell'informatica il futuro è rosa per gli specialisti e nei prossimi dieci anni si prevede una possibilità di occupazione per 200 mila di loro. Oggi il settore del- l'informatica occupa in Italia 360 mila addetti con netta prevalenza di quelli che lavorano nel software, cioè le tecniche per usare le macchine. Le industrie nel settore sono 160 e occupano 47 mila addetti; le aziende di servizi di informatica sono 2.800 e hanno 42 mila dipendenti. Il resto degli esperti in informatica opera presso coloro i quali hanno comprato o noleggiato i calcolatori e per utilizzarli debbono owiamente pro- grammarli. In questa classifica di utenti al primo posto è il campo della finanza che conta 122 mila addetti, segue l'industria con 95 mila, poi il commercio, poi le Regioni e i Ministeri. Il numero ufficiale di 360 mila unità non rispecchia in pieno la realtà: da calcoli più veritieri si stima in 800 mila il numero degli addetti nel settore, alcuni dei quali part-time. Nell'80 gli addetti erano all'incirca 200 mila e come si vede la crescita è stata enorme. Ciò owiamente non significa che conti- nuerà con lo stesso ritmo. Per Luigi Dadda del Politec- nico di Milano l'occupazione aumenterà del 7 l'anno con prevalenza dei produttori di programmi, ossia coloro che fanno funzionare le macchine. Ma in un set- tore in così rapida evoluzione si possono sviluppare, quasi senza soluzioni di continuità, nuovi tipi di lavoro. Questi, però, saranno destinati a personale estrema- mente preparato e specializzato. Già oggi la percen- tuale dei laureati è pari al 15 presso i fornitori di macchine, ed è del 41 presso le aziende di software. Gli studi necessari per accedere a un settore tanto moderno e in espansione si sviluppano negli istituti tecnici statali che rilasciano vari tipi di diplomi. Ad esempio gli istituti tecnici commerciali danno il diploma di "ragioniere programmatore", gli istituti tecnici industriali quello di "perito industriale capo- tecnico specializzato in informatica", e gli istituti pro- fessionali, con corsi triennali o quadriennali, forni- scono la qualifica di "operatore di sistemi di elabora- zione dati". Mentre a livello diploma la scelta è vasta e diversifi- cata nel nostro Paese, a livello laurea, c'è una sola scelta da fare. Solo sette università italiane hanno la facoltà di informatica che è sempre affollatissima di iscritti e dove carenze di strutture generano ritardo qualitativo, principalmente nelle esercitazioni pratiche. Contro una domanda di laureati di 4.000 unità all'anno, l'of- ferta è di parecchio inferiore. Infatti dall'università di Torino escono 120 laureati l'anno, a Bari 150, a Pisa 150, a Salerno 50, a Milano 28 e a Udine ancora di meno. Questo basso numero di laureati annui si spiega principalmente con il fatto che la facoltà è di recente istituzione: nei casi più antichi risale a circa 16 anni addietro, nei più recenti addirittura a due tré anni. Gli studi privilegiano le applicazioni pratiche accompa- gnate da molte lezioni teoriche, ma mancano labora- tori o quantomeno il numero non è sufficiente per gli studenti se circa il 50 abbandona gli studi prima di concluderli. Ma non è certamente questa l'unica causa, altre risiedono nella difficoltà delle materie da studiare e, principalmente, per un fatto davvero straordinario nel panorama dei nostri studi universitari. Gli studenti, quasi tutti, non solo i bravissimi, trovano immediata- mente posto, già prima della laurea, sono insomma assediati da aziende che hanno fame di esperti, anche se non hanno completato gli studi. In questa situazione eccezionale, converrà, prima di iniziare, informarsi attentamente in quale branca spec- ializzarsi. Giancarlo Baldovini e Italo Neri, rispettiva- mente presidente e segretario dell'ANASIN (Associa- zione Nazionale delle aziende servizi Informatica), affermano che è un po' calata la richiesta di program- matori e analisti, mentre i più ricercati oggi sono i pro- fessionisti capaci di guidare i nuovi processi, soprat- tutto gli EDP managers e gli ingegneri sistemisti. In conclusione l'informatica è un settore m crescita specialmente nel nostro Paese perché proprio qui è partita più tardi che altrove. Essa rappresenta un grande sbocco per chi è alla ricerca di lavoro e di suc- cesso, ma potrà farlo bene solo chi sia ben preparato, abbia capacità di adattarsi alla mobilità e al rinnova- mento, che non abbia paura quindi del cambiamento, ma ne sia goloso. Nella magistratura il vento spira verso il nord, m questi ultimi anni infatti non è più appannaggio dei meridionali una carriera indubbiamente fra le più pre- stigiose, che vede sempre più aspiranti. In Italia esi- stono 6.671 giudici, mentre lo Stato ne contempla 7 352, e il sindacato Nazionale dei Magistrati circa 10 mila Quindi le possibilità di lavoro in magistratura, allo stato attuale, oscillano fra 600 e 3.600 postL L'ac- cesso alla carriera avviene per concorso, il candidato deve possedere una laurea in giurisprudenza e non superare i 30 anni, anche se sono ammesse alcune deroghe a chi possegga moglie e figli o che provenga da un'altra amministrazione dello Stato. Ogni anno e e il concorso per circa 200 posti ai quali si candidano 3.000 concorrenti. Tré sono le prove scritte e otto le prove orali. Secondo Sergio Letizia, segretario del Sindacato Magistrati, le norme di diritto sono le più importanti, e chi supera gli scritti può considerarsi al 95 già magistrato. Il neomagistrato deve considerarsi auto- nomo dal potere legislativo ed esecutivo e sottoposto, per nomine revoche e trasferimenti, a un organo parti- colare che è il Consiglio Superiore della Magistratura. La carriera del giudice è automatica per porlo al riparo dalla tentazione di svolgere la propria attività solo ai fini di promozione. In pratica, però, il merito, i condi- zionamenti, le pressioni esterne influenzano l'attribu- zione di incarichi direttivi superiori, come la presi- denza del Tribunale di una grande città o la nomina a Procuratore generale di un'importante sede. A parte spinte o altro, che si verificano anche qui come in altri settori, il giovane magistrato sosterà all'inizio della car- riera (uditore giudiziario) per due anni per poi acce- dere a "magistrato di tribunale". Dopo altri 11 anni (con uno scatto retributivo dopo 5) diverrà "Consi- gliere di Corte d'Appello" e poi, dopo i 7 anni succes- sivi, "magistrato di Cassazione" e, infine dopo ancora 8 anni, sarà nominato "magistrato di Cassazione con funzioni superiori". Ma tutti questi incarichi non si ottengono automaticamente perché più che incarichi sono idoneità, ossia il giudice viene ritenuto idoneo a svolgere quelle funzioni e ne riceve gli emolumenti relativi, ma non sempre esercita realmente le funzioni corrispondenti al suo grado. Ciò dipende dalla sua volontà, dalla mancanza di posti vacanti, e dalle valuta- zioni del Consiglio Superiore e, negli ultimi anni, anche, sembra, dalla volontà politica. Esiste una situa- zione di disagio nella magistratura in quanto circa l'il dei posti di ruolo sono in attesa di chi li occupi. Mancano gli uffici, le aule giudiziarie e il personale ausiliario per tutti. Sempre secondo Sergio Letizia, negli ultimi 15 anni il lavoro giudiziario civile e penale è aumentato del 50 e quindi i posti in organico sareb- bero dovuti diventare 10.300, mentre dal '68 ad oggi sono aumentati di appena il 7. Si è accumulato quindi un carico di processi in attesa di esser celebrati che, alla fine dell'83, nel settore civile, ammontavano a un milione e mezzo con durata media del processo nei tré gradi di giurisdizione di quasi 8 anni. Nel settore penale all'83 erano pendenti 410 mila processi e la durata media era circa di cinque anni. Gli stipendi mensili netti dei magistrati nel 1985 erano i seguenti "uditore", 2 milioni e 55 mila lire; "magistrato di tribunale" di primo livello, 2 milioni 467 mila lire; "magistrato di tribunale" di secondo livello, 2 milioni 633 mila; "consigliere di Corte di Appello", 3 milioni e 83 mila; "magistrato di Cassazio- ne", 3 milioni 491 mila; "magistrato di Cassazione con funzioni superiori", 3 milioni 913 mila. Per i ministeri il futuro è cultura e ambiente. Nel set- tembre dell'83 la legge finanziaria ha bloccato i con- corsi nello Stato salvo deroghe. Mentre fino a qualche decennio fa entrare in un ministero significava anche prestigio, da qualche anno si cerca di farvi parte per ottenere un posto sicuro, anche se viene considerato mal pagato. Ora diventa una speranza per non rima- nere disoccupati. Prima del blocco i laureati, i diplo- mati, gli alfabetizzati concorrevano rispettivamente per il gruppo A, il gruppo B e il gruppo C. Ora i gruppi sono divenuti "livelli funzionali"', esattamente 8: primo livello, operai; secondo e terzo livello, funzioni ausiliarie; quarto e quinto livello, funzioni esecutive; sesto e settimo livello, direttori degli uffici più piccoli; settimo e ottavo livello, direttori superiori, ispettori e direzione generale. Prima della istituzione nuova il giovane aspirante a un posto al ministero entrava in una di queste quattro carriere: ausiliaria, esecutiva, di concetto, direttiva. Per ognuna di esse v'erano le qualifiche: per gli ausilia- ri, il commesso e il commesso capo; per gli impiegati di concetto, il segretario, il segretario capo e il segretario superiore. Il passaggio dall'una all'altra qualifica non comportava in effetti un cambiamento di funzioni, ma solo un miglioramento di stipendio. La riforma dell'80 ha fissato appunto le 8 qualifiche funzionali, dall'ope- raio al direttore aggiunto di divisione, e a ciascuna di esse si accede per concorso esterno, ma vi si può anche partecipare dall'interno per passare a una qualifica superiore. Quindi col nuovo sistema la carriera di una volta non esiste più, ma la progressione economica è automatica. Ai concorsi, tanti possono parteciparvi, ma sono pochi i posti disponibili. I dipendenti del pub-' buco impiego sono 4 milioni fra statali, parastatali, sanitari, locali e regionali. Gli statali sono 2 milioni e 300 mila, ma un milione di essi fanno gli insegnanti. I dipendenti delle aziende autonome ammontano a circa mezzo milione. I militari raggiungono la cifra di mezzo milione. I veri e propri ministeriali sono 263 mila: il 10 sono direttivi con laurea in giurisprudenza per oltre la metà e in economia e commercio, ingegneria, scienze politiche, lettere, lingue, statistiche ecc. Molto importante per entrare nei ministeri è stata la legge del- l'occupazione giovanile del '77 che ha immesso in organico 27 mila giovani, e su tale legge molte sono state le polemiche. Si può immaginare la ressa e i movi- menti che si sono creati intorno ai pochi posti disponi- | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:52 pm | |
| bili Migliore potrà essere la situazione ai beni cultura- li archeologici, museali e all'Ambiente, ali Interno, alla Difesa e alla Giustizia dove si prevede una ben maggiore disponibilità di posti. Ma secondo Vincenzo Donato, dirigente della Ragioneria Generale e della DIRSTAT, ancora non si sa per quali qualifiche fun- zionali. Oltre queste possibilità c'è il blocco e, nono_ stante esso, leggiamo di 260 mila domande per 517 posti di coadiutore meccanografico alle imposte Dirette e di 61 mila domande per 236 posti di disegna- tore all'ufficio tecnico erariale. L'età media deli impie- gato ministeriale è di 43 anni per gli uomini, e 39 per le donne I giovani fino a 25 anni sono solo il 5 /o e pos- sono entrare nello Stato attraverso i corsi-concorsi organizzati dalla Scuola d'alta Amministrazione di Caserta. Per chi comunque vince il concorso attuale sistema prescrive una permanenza minima nella sede, ma c'è chi chiede immediatamente il trasferimento e l'amministrazione subisce. Quando ciò non avviene cominciano gli scioperi, l'assenteismo più marcato, il sabotaggio delle richieste dell'utente. Come orano vigeva quello dalle 8 alle 14, e le retribuzioni erano sva- riate, esse ora sono state "compattate", mentre per 1 o- rario si tende all'articolazione secondo aree geograh- che e le esigenze del cittadino. Orario continuativo dunque per chi era abituato al ritorno pomeridiano per lo straordinario, orario spezzato invece (3 ore al mat- tino e 3 ore al pomeriggio) per chi vorrà entrare nello Stato a tempo parziale. Gli emolumenti sono estrema- mente appiattiti. Ad esempio un commesso (secondo livello) percepisce 850 mila lire di stipendio netto più 39 mila di premio incentivante, mentre un diplomato (sesto livello) 953 mila di stipendio netto più 59 mila di premio, e un laureato (settimo livello) un milione di sti- pendio più 69 mila di premio incentivante. Sempre secondo Donato, sono stipendi miserelli ma soprat- tutto ingiusti; infatti la differenza iniziale tra un diplo- mato e un commesso è di sole 103 mila lire al mese, e fra un laureato e un diplomato di appena 49 mila \ire.. E si pensi che, per laureati non si intendono solo gli inflazionati dottori in giurisprudenza, ma anche gli ingegneri, i veterinari, i geologi. Secondo il ministro Gaspari, pur non essendo le retribuzioni concesse dallo Stato da nababbi, chi ha proprio meno diritto di lamentarsene sono coloro che percepiscono gli sti- pendi iniziali: il milione mensile che prende il nostro fattorino postale non è meno di quanto guadagna l'o- peraio specializzato della FIAT. Successivamente - anche il ministro Gaspari lo ammette - il problema si fa reale, perché fuori dello Stato la crescita delle retri- buzioni c'è e nei ministeri è schiacciata dall'egualitari- smo sindacale. Il dottor Giuele dice che lo stipendio iniziale cresce ogni due anni automaticamente del 6 fino al sedicesimo anno, poi il ministeriale usufruisce di scatti del 2,50 ogni due anni calcolati però non sullo stipendio iniziale ma sull'ultima classe di stipen- dio, e il premio incentivante è tanto modesto - secondo il dottor Donato - da non risultare granché incenti- vante. Per le banche si è giunti ormai alla saturazione e nel- l'immediato futuro le assunzioni saranno solo quelle necessario a sostituire chi va in pensione. La voce è unanime, ci vorrà ancora un po' di tempo, ma le ban- che vanno verso una maggiore efficienza, una diversa organizzazione, nuove funzioni e nuovi ruoli e proba- bilmente anche maggiori stipendi. La filosofìa che si va imponendo è di sostituire alla sicurezza del posto in banca, il "gusto" del posto nell'istituto bancario. Tutto ciò comporterà un prezzo costituito dal blocco dei ritmi di aumento delle assunzioni che erano divenuti folli negli ultimi dieci anni. Le assunzioni continue-; ranno ad esserci, ma i posti di lavoro saranno limitati ai ricambi che si stimano intorno al 4 annuo. Ciò signi- fica che su 300 mila occupati di oggi, 13 mila saranno annualmente i posti di lavoro a disposizione. Negli anni passati le nuove assunzioni e le enormi spese per l'introduzione dei computers hanno provocato una caduta della produttività dei bancari, e quindi gli sti- pendi hanno subito una falcidia in termini di potere di acquisto. Un impiegato di seconda categoria con 12 anni di anzianità nel '76 guadagnava oltre 6 milioni l'anno che, per l'inflazione, corrisponderebbero a 19 milioni e mezzo dell'85. Oggi invece guadagna 15 milioni e mezzo, con una perdita di oltre 4 milioni l'anno owerosia intorno alle 350 mila lire al mese. Le attività del futuro impiegato di banca saranno alquanto diverse da quelle del passato perché, come abbiamo detto, la struttura è cambiata e va cambiando m riscos- sione dei crediti (factoring), locazione di macchine strumentali (leasing), il cash management (gestione della liquidità aziendale) e così via, oltre naturalmente alla raccolta attiva dei risparmi dei clienti che saranno gestiti in modo più dinamico. Avendo delegato le ope- razioni manuali brute alle macchine, l'impiegato di banca avrà più tempo da dedicare alla cura del cliente, guidarlo, indirizzarlo, instaurare con lui un rapporto per la gestione del suo denaro e consigliarlo anche per una polizza di assicurazione vita e infortuni, m quanto la banca avrà proweduto a convenzioni con compa- gnie assicurative. Come abbiamo già detto i guadagni dell'impiegato di banca del futuro saranno maggiori, attraverso incentivi come le provvigioni o redditi pagati in natura (vacanze, uso di automobili, scuole per figli ed altro). Una banca quindi di personale altamente qualificato. Per chi non è afflitto dal fascino del pezzo di carta prestigioso (la laurea), vi sono alcune scuole a livello medio superiore che possono invece fornire alcuni sbocchi lavorativi estremamente interessanti e soddi- sfazioni che possono spalancare la porta anche al suc- cesso. Di alcuni già abbiamo parlato quando accen- nammo all'informatica e al perito agrario. I giovani, anche se lentamente e non solo per una maggiore teo- rica facilità negli studi, sembrano incominciare ad avere idee più chiare. Sono infatti diminuiti gli alunni del settore umanistico ed aumentati quelli degli istituti tecnici e professionali. Dal canale tecnico professio- nale escono 215 mila diplomati all'anno, ossia il 57 del totale. Non tutti, ad esempio, sanno che oltre agli istituti tecnici tradizionali esistono quelli per: il turi- smo, il nucleare, l'aereonautico, la chimica, le arti foto- grafiche, la grafica, la chimica conciaria, le confezioni industriali, il disegno di tessuti, l'edilizia, la fìsica indu- striale, la cartaria, la mineraria, la navalmeccanica, l'ot- tica, l'industria tessile, la tintoria, la maglieria, le mate- rie plastiche, la meccanica e la meccanica di precisione, la metallurgia, la tecnologia alimentare, le telecomuni- cazioni, la termotecnica. Poi esistono istituti professio- nali, che concedono centinaia di qualifiche con la durata dei corsi da due a cinque anni, nei quali le mate- rie culturali hanno uno spazio limitato mentre sono prevalenti le materie professionali e l'attività pratica. Così esiste l'istituto professionale per l'agricoltura, con diecine di specializzazioni; l'istituto professionale alberghiero; quello per l'alimentazione, che concede, dopo tré anni, il diploma di esperto alimentarista; l'isti- tuto professionale per la cinematografìa e la televisio- ne, con qualifiche che vanno dall'operatore e camera- man all'assistente alla regia e segretario di produzione TV; l'istituto professionale per il commercio; quello per l'industria e l'artigianale. Altri ancora con diecine di specializzazioni come: assistente edile; riparatore di apparecchi radio e televisivi; fotolitografo; disegnatore meccanico; fresatore; odontotecnico; ottico; tecnico di impianti idrotermosanitari e condizionamento, eccete- ra. A tale proposito sono indicativi sulle reali possibilità i dati di disoccupazione per tipo di diploma: il 5 per l'industriale e meno del 7 per il commerciale. La ricerca della prima occupazione per questi settori ha le percentuali rispettive del 22 e del 25 mentre gli occupati risultano essere il 73 e il 68. Per ultimo, ma non è certamente l'ultimo, ci occu- piamo del commercio che è un'ottima carta da giocare. Rappresenta infatti quasi un'isola felice. Le aziende commerciali italiane sono più di un milione e cento- mila e i posti di lavoro sono aumentati (fra 1'84 e 1'85) del 2, mentre nell'agricoltura e nell'industria sono diminuiti rispettivamente del 5,3 e del 2,1; ne si tratta di un fenomeno transitorio. Il centro studi della Boc- coni (CESCOM) prevede che nei prossimi anni il com- mercio potrà creare perlomeno 300 mila nuovi posti di lavoro e, forse raddoppiarli se venissero modificate le attuali leggi in materia di assunzione che rappresen- tano una specie di barriera. Nell'84 qualcosa si è fatto con l'approvazione della legge sui contratti di forma- zione e sul part-time, che consentono alle aziende di assumere nominativamente giovani alle prime espe- rienze e di impiegarli per due anni senza pagare contri- buti, dando in cambio, oltre allo stipendio un adde- stramento professionale. Il part-time poi potrebbe facilitare gli studenti che potrebbero pagarsi gli studi e acquisire esperienza lavorativa. Il terziario è il settore che in pochi anni ha dato lavoro a milioni di americani, a molti giapponesi e tedeschi. Ciò potrebbe awenire al più presto anche in Italia. Nel terziario il commercio occupa il primo posto e la sua immagine non deve essere più soltanto quella tradizionale, owerosia di scaffali, botteghe e bottegai. I grandi complessi distri- butivi, i centri di commercio all'ingrosso, le aziende ad alto grado di specializzazione, hanno bisogno di tecnici ed esperti di tipo nuovo con conoscenze superiori a quelle tradizionali. Non basta quindi la voglia di lavo- rare, ma occorrono diplomi, lauree, stages o attestati di abilitazione professionale rilasciati dai corsi regionali obbligatori per ottenere una licenza di vendita. La pre- parazione scolastica quindi dovrà essere più flessibile di quella del passato, più aperta alle innovazioni e anche alle esperienze dirette. La Confcommercio ha istituito una serie di corsi di formazione e di specializ^ zazione, e in molte grandi città funzionano istituti creati in collaborazione con gli enti locali e le universa tà, che possono formare ogni anno un buon numero di giovani preparati per le numerose vie del commercio. A Milano è attivissimo il CAPAC (il Politecnico del commercio) che, oltre alle tré sessioni abilitanti all'e- sercizio dell'attività commerciale e a quelle di aggior- namento per titolari di imprese e loro conduttori, ospita 56 corsi di formazione professionale che vanno dall'alimentazione all'amministrazione, all'oreficeria, all'estetica, all'informatica, al commercio estero, al marketing, alla pubblicità e programmazione. Giorgio Migliorisi, direttore del CAPAC, ha ideato da cinque anni una formula che viene adottata da circa il 70 degli iscritti ai corsi, ossia l'alternanza studio-lavoro. Quindi gli aderenti svolgono, in fasi alternate, lo studio e gli stages che possono essere compiuti presso nume- rose aziende che hanno aderito all'iniziativa. Sempre a Milano si è aperta di recente la scuola superiore del commercio, del turismo e dei servizi. In essa corsi per diplomati e laureati intendono formare managers altamente qualificati. Questa scuola, insieme all'università Bocconi, ha creato l'IFOR (Istituto di formazione imprenditoriale per il commercio) dove c'è un corso di dirczione di aziende commerciali che crea quadri ad alto livello manageriale. Per i giovani quindi che sanno interpretare il fascino e la duttilità del commercio non mancano strutture, e tantomeno i posti di lavoro per un settore che non è di retroguardia, tutt'altro. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:54 pm | |
| VI Giorni fa un nostro conoscente era agitato ed irrita- to; percorreva a lunghi passi il suo ampio studio con lo sguardo rivolto su uno spazio tristemente vuoto dove fino al giorno prima era inserita una libreria a incastro colma di volumi di narrativa, saggistica ed enciclope- die riccamente rilegate. Quella cavità sembrava un'im- mensa orbita dalla quale era stato strappato il bulbo oculare, e una grande macchia d'umido lordava il fondo bianco, mentre sul piancito calcinacci disordi- nati lasciavano intravedere grossi tubi. Si trattava delle colonne montanti dell'impianto di riscaldamento del suo fabbricato. Più volte in passato ci aveva intratte- nuto sulla bontà del suo riscaldamento che, in luogo dei normali radiatori, aveva sotto il pavimento, immersi in appositi massetti, un reticolo di tubi lungo i quali scorreva acqua calda per un'omogenea diffu- sione del calore. Questo, come un benevolo massaggio, partiva dai piedi e si diffondeva piacevolmente per tutto il corpo. Orgoglioso ci aveva indottrinato su quel tipo di riscaldamento chiamato a pannelli radianti. Ora invece lo esecrava, e l'acqua, calda o fredda non pass- ava più in quei tubi, ostacolo inerte e noioso, per una perdita che si era manifestata nel locale sottostante. La libreria era stata divelta perché proprio dietro di essa le colonne montanti, di solito verticali, assume- vano un andamento orizzontale e proprio da lì partiva il difetto. Il tecnico riparatore - ci raccontava -, una specie di artigiano perché ha bottega ed impiega un paio di giovani apprendisti, era intervenuto ad ovviare al guasto. Si era fatto pregare molto e a conclusione di pressanti telefonate con sussiego aveva provveduto alla riparazione: un foro nel pavimento a colpo sicuro, due tubi segati, due tappi, il massetto e l'applicazione di qualche piastrella di linoleum fornita dal nostro cono- scente, lire 280.000 ! Il tempo impiegato era stato di sei ore del tecnico e dei due ragazzi poco più che sedicen- ni. Al nostro amico sbalordito aveva spiegato che una sua giornata di lavoro (di sei ore) la calcolava 160 mila lire, mentre quella dei giovani (sempre di sei ore) 60 mila per ognuno di loro. Ci raccontava concitato che non aveva potuto far altro che abbozzare un sorriso forzato e mettere mano al portafogli senza azzardare una pur minima protesta. Altre volte lo aveva fatto e aveva sì ottenuto una riduzione, ma l'artigiano di turno (il falegname, l'idraulico o l'elettricista) non aveva più risposto a successive convocazioni lasciandolo in una squallida, colpevole disperazione e all'affannosa ricerca di chi potesse sostituirlo. Appena una setti- mana dopo, la perdita, l'infiltrazione s'era ripresentata ben più massicciamente e il tecnico-artigiano era ricomparso, disteso, sereno, sicuro come sempre. Nuovo esame della situazione, qualche foro di prova e poi aveva emesso la sentenza: bisognava sostituire tutto un tratto di montante. Ecco perché la libreria era stata rimossa ed il piancito distrutto. Il preventivo per due giornate di lavoro e qualche metro di tubi, abbon- dantemente sopra il milione! Mentre attendevamo e cercavamo di condurre il nostro conoscente alle conversazioni abituali, avevano bussato alla porta due altri conoscenti: un ingegnere ultrasessantenne con un luminoso passato professio- nale e un architetto di mezza età di buona quotazione. Subito dopo era giunto l'artigiano riparatore che aveva degnato tutti noi appena di uno sguardo di sufficienza e di un rapido saluto. Siamo tutti lavoratori, anche se svolgiamo la nostra attività in settori diversi, e lo scam- bio di strette di mano fra tutti noi e il tecnico-artigiano era stato improntato ad un reciproco rispetto, come è giusto che sia fra gente che si guadagna il pane quoti- diano, anche se qualche differenza c'è fra tipo di pro- fessione e compenso. Ad esempio i due professionisti sopraggiunti fanno parte di una commissione per il collaudo di fabbricati e percepiscono meno, a volte molto meno, di 100 mila lire per una giornata lavorati- va. Inoltre l'ingegnere ci raccontava che recentemente aveva ricevuto l'incarico di ristrutturare una villa di più piani per complessivi 600 metri quadrati di superficie coperta, e per il progetto, le relative pratiche per la licenza edilizia, la dirczione dei lavori e annesse responsabilità penali, avrebbe incassato all'incirca 14 milioni su un importo lavori di oltre 300. Considerato il tempo da impiegare, una sua ora lavorativa gli avrebbe reso al massimo dalle 15 alle 20 mila lire. Più o meno analoga la posizione dell'architetto che a sua volta ci intratteneva su un incarico ricevuto per ram- modernare un appartamento. Progetti esecutivi di arredo, murature, impianti e controsoffìttature più la dirczione dei lavori. Su un importo di circa 30 milioni ne avrebbe incassati 4. Il confronto fra i compensi del tecnico-artigiano (che non è una mosca bianca, tutt'altro) con quello dei due professionisti era inevitabile e il risultato dava un valore all'incirca doppio per un'ora di artigiano rispetto a quello di un professionista. Non intendiamo da un caso tirar fuori una regola, ma crediamo che chiunque abbia una casa o intenda rinnovarla, chiunque abb.ia un'automobile, un orolo- gio, un televisore o un qualsiasi aggeggio da riparare, si sarà scontrato con lunghe attese e richieste di notevoli compensi, senza avere alcuna possibilità di seria, reale contrattazione. Con i professionisti, invece: dall'archi- tetto all'avvocato, dall'ingegnere al commercialista (medici esclusi e non sempre) qualche trattativa c'è e qualche risultato positivo, come la riduzione delle par- celle, si ottiene. Quel caso poi dell'impiantista del riscaldamento è tanto poco raro che ce ne viene subito alla mente un altro. Un lucidatore a piombo di pavi- menti che con l'aiuto di un altro operaio, e l'impiego di piccoli quantitativi di materiale, ha richiesto ed otte- nuto 900 mila lire per tré giorni di lavoro, perché tale è il prezzo corrente. Se moltipllchiamo sei ore per due operai, per tré giorni otterremo un totale di trentasei ore lavorative, e dividendo le 900 mila lire per 36 otter- remo 25 mila lire orarie. È una conferma, una delle tan- tissime. Quindi, forse, una morale da tutto ciò può anche trarsi ed è quella che i tempi sono cambiati: c'è una rivalutazione (secondo noi giusta) dell'opera di coloro che indossano la tuta. Essi, sia nel rispetto che nei gua- dagni, ottengono decisamente di più del medio profes- sionista. Eppur nel nostro Paese qualche decennio fa si sviluppò una corsa, da parte dei figli degli artigiani, per conseguire il pezzo di carta universitario che li avrebbe condotti a divenire medici, ingegneri, avvocati o impie- gati statali o parastatali. Ciò non solo per loro personali aspirazioni, ma principalmente per le brame dei padri che consideravano come un riscatto poter sbandierare un figlio libero professionista o impiegato. Ciò si giu- stificava perché tempo fa gli artigiani, il cui numero era ben più cospicuo di quello attuale, venivano alquanto maltrattati e tenuti a distanza, sia sul lavoro che nei rap- porti sociali. La presenza di uno di loro era inconcepi- bile in un circolo privato della borghesia e veniva con- siderata spesso contaminante in un albergo di buona categoria. Non era, in definitiva, un vanto per chi dovesse presentarlo ad amici e conoscenti, mentre l'ul- timo impiegatino poteva affiancarglisi senza creare grossi disagi. D'altra parte i figli degli artigiani di ven- t'anni fa sedevano sui banchi di scuola o affollavano le aule universitario con gioia, anche se con qualche sfor- zo, perché appariva loro non solo una promozione sociale, ma e principalmente il mezzo per tenersi lon- tani dagli aggeggi paterni. E non solo, ma essere guar- dati con rispetto nell'ambito della propria famiglia o parentela e vivere più che decentemente a spese di papa fino ai 25 e anche ai 30 anni. ~ Quando si parla di successo non si può fare a meno di considerarlo come gradini di una scala quanto si voglia lunga, ma che, già dal primo livello, tiene comunque sollevati dal suolo. I vari gradi sono occu- pati da individui con differenti aspirazioni e forza infe- riore. C'è chi non si accontenta mai mentre altri si accontentano subito del primo buon risultato a portata di mano. Ad esempio molti già considerano un suc- cesso il conseguimento di una laurea, per loro a quel punto il grande sforzo della scalata all'affermazione s'è già concluso: sono infatti dottori e possono, secondo la loro mentalità, aspirare a qualsiasi cosa, anche se magari nulla faranno per giungervi. Sono dottori e tanto basta. Sostengono o hanno sostenuto che i presi- denti di grandi società, i dirigenti in generale hanno sempre, tranne microscopiche eccezioni, il nome pre- ceduto da un titolo di studio a livello laurea. Si sentono quindi appagati già a quel punto. Hanno già ottenuto il loro successo personale nel ristretto ambito delle loro amicizie e quando in società, in villeggiatura, in treno vengono presentati son tutti orgogliosi di quel titolo che già li illustra in modo diverso e più luminoso nei confronti dei compagni di viaggio, di villeggiatura o di club. Diverso naturalmente è il comportamento di figli
Ultima modifica di Admin il Sab Gen 03, 2009 1:17 pm - modificato 1 volta. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:55 pm | |
| di laureati, specialmente se il padre o la madre hanno raggiunto, nell'ambito professionale o lavorativo posi- zioni di rilievo. Allora solo il titolo non basta più ed il successo lo si deve perseguire ottenendo dei buoni risultati nell'attività che svolgono, un'affermazione nella carriera. Molti di loro però, quando approfondiscono la pro- fessione paterna e ne scoprono il reale andamento, rimangono delusi. Una cosa è vedere ad esempio un avvocato fra le pareti accoglienti del proprio studio rispondere al telefono, stendere comparse o ricevere clienti, e un'altra è osservarli nei caotici meandri di un tribunale: allora si scopre che spesso se non sempre, sono costretti a vere e proprie colluttazioni (tipo auto- bus affollato) per giungere al giudice. Questi a sua volta non di rado appare come una figuretta semi schiacciata dietro un piccolo tavolo, fra la massa dei questuanti, che scruta disperatamente e affannosa- mente fra pratiche disordinate per apporre qui e là una firma che quasi gli viene strappata nel caos generale. E non riteniamo di esagerare, anche se forse abbiamo un po' troppo colorito la scena. Basta, per avere una con- ferma di quanto abbiamo descritto, recarsi in una sezione fallimentare di un qualsiasi tribunale di grande città, laddove non solo si tratta di fallimenti, ma di costituzione e scioglimento di società. Non sono solo i giudici o gli avvocati che visti nel- l'ambito del proprio lavoro perdono un po' di quel prestigio che li ricopre fra le mura di casa o dei club, ma anche i commercialisti o fiscalisti costretti spesso ad arrampicarsi sulle scale dei vecchi palazzi finanziari per cercare di incontrare il funzionario e convincerlo o irretirlo per ottenere qualche risultato positivo per i clienti. E gli ingegneri o gli architetti che in questi tempi sconsacrati non godono più, nell'ambito del cantiere, del rispetto di una volta, ma spesso subiscono vere e proprie mortificazioni dagli operai che non di rado nella pratica ne sanno più di loro e non lo nascon- dono come in passato. E i medici che seguono la car^ riera universitaria od ospedaliera non hanno più il potere di una volta sul personale paramedico e sovente sono costretti a ingraziarselo con sorrisi o pietose bat- tute di spirito; inoltre quando il loro direttore o prima- rio è ancora un vecchio "barone" (se ancora ne esisto- no) sono costretti, anche se giunti al grado di aiuto che è quello più vicino alla dirigenza, a comportarsi con loro come una specie di fattorini di lontana memoria. Queste immagini o gli scarsi guadagni, il non poter possedere macchine lussuose, gioielli folgoranti, televi- sori e videoregistratori o orologi all'ultima moda, ne poter intraprendere villeggiature e viaggi prestigiosi, inducono i figli che hanno occhi ben aperti a non voler più seguire la carriera paterna, ma a cercare di diven- tare artigiani o impiegati statali. Si è creata in effetti una strana situazione che poi, in fondo in fondo è vecchia quanto il mondo, ossia l'erba del vicino è sempre più verde. Come quei cittadini del terzo mondo che quando si recano a studiare in URSS tornano con idee anticomuniste e quando frequentano le università nor- damericane si caricano di idee anticapitalistiche, così i giovani figli di professionisti spesso non vogliono esserlo, mentre i figli degli artigiani vogliono diventare professionisti. Se proprio si vogliono guardare le cose con rreddo realismo, il potere vero - a parte quello dei politici, dei grandi industriali e dei grandi professionisti - il potere spicciolo, quello di tutti i giorni, lo possiedono proprio gli impiegati specialmente se statali. Sì, è vero che gli stipendi non sono eccessivi (anche se possono essere arrotondati, eccome!), ma non bisogna trascurare la sadica soddisfazione di vedersi giornalmente attorniati da una massa di questuanti che, schiacciati contro lo sportello o lo scrittoio, chiedono umilmente, come un favore, cose che sarebbe loro diritto ottenere. Per questi gestori di un piccolo forse meschino pote- re, il successo può anche considerarsi raggiunto. È decisamente collocato su uno dei gradini più bassi, ma pur sempre un gradino. A prova di ciò le mogli e i figli sono ben orgogliosi quando un vicino o un amico bussa alla porta di casa per chiedere piccoli piaceri e favori che fanno sfavillare il successo del capofamiglia. Non sono grandi richieste: la riattivazione della linea telefonica interrotta, l'annullamento di una multa, lo snellimento delle pratiche per la concessione di una licenza o anche - ed'è un fatto recentissimo - qualcuno di quei pacchetti di obbligazioni e azioni di società che si affacciano sul palcoscenico, oggi conosciutissimo, della borsa di affari. Quando però uno di questi uomini di piccolo successo sale di qualche grado nella carriera, il suo potere diventa ben più pesante, meno godibile in quanto è contrastato dal rapporto giornaliero con i sot- toposti. Conosciamo non pochi caposervizi di banche o di aziende private importanti che per ottenere un regolare svolgimento dell'attività nel proprio ufficio sono costretti ad accattivarsi i collaboratori con scatoli di cioccolattini, altri regalucci e complimenti vari. A questo punto viene spontaneo chiedersi della vocazione; essa è, per definizione, un atto con il quale la provvidenza divina predestina ogni uomo a un com- pito determinato, che costituisce il suo fine personale. Oppure, per estensione, è inclinazione particolare per un'arte, una professione, un determinato genere di vita II sostantivo (vocazione) deriva dal verbo latino vocare ossia chiamare, una divina chiamata. Non si può quindi negare che quando esiste la vocazione e estremamente importante. In passato andava ritenta principalmente al servizio di Dio nella sua massima espressione, il sacerdozio. Questo è un sacramento al quale si può accedere con il consenso del Vescovo che esamina attentamente le attitudini e l'intenzione di colui che ritiene di avere la vocazione e rimane msop- primibile anche se può essere sospeso il suo esercizio Oggi, con il diminuire dei sacerdoti di numero e di influenza, per vocazione si intende in modo prevalente indicare un'inclinazione naturale e spiccata ad un par- ticolare genere di attività. Quindi alle arti, all'insegna^- mento, a una professione e così via. La vocazione e considerata qualcosa di ineluttabile, di inarrestabile che attrae con la passione e da la forza per affrontare e superare qualsiasi ostacolo e la sicurezza, addirittura la certezza di riuscire e bene. Sì è vero, quando esiste la vocazione e ci si ta con- durre da essa, tralasciando ogni altra cosa relegando tutto il diverso in un cantuccio della propria vita e della propria mente, il successo genuino può arridere con maggior frequenza e grande consistenza. Poco importa agli unti dalla vocazione se il coronamento dei loro sogni a volte giunge tardi o mai. Chi possiede e si abbandona alla vocazione, al di là di ogni sofferenza, percorre una vita che nella sua essenza è tutto sommato felice. È il light motiv della propria esistenza e impre- gna ogni fibra del corpo e della mente. Ma come sposare il concetto di vocazione a tutto quello che più sopra abbiamo detto. Lì i figli dei pro- fessionisti o degli artigiani, con ogni probabilità seguono la strada scelta più per raggiungere una comoda sistemazione di vita che per vocazione. Anche se esistono alcuni elementi che si sentono chiamati alla missione di medico, al desiderio di costruire edifici funzionali ed avanzati, a far assolvere innocenti ingiu- stamente accusati o a far attenuare la pena a colpevoli che hanno possibilità di redimersi, ad aiutare corag- giosi imprenditori nella creazione e conduzione di valide aziende che forniscano nuovi posti di lavoro e prodotti utili, siamo convinti che il loro numero non è congrue. Nella stragrande maggioranza prevarranno i meschini interessi per ottenere una facile collocazione e per raggiungere un successo fittizio, d'apparenza e non reale. Quest'ultimo lo si ottiene quando, interro- gandosi in solitudine e in piena sincerità, ci si da una risposta del tutto positiva senza diaframmi deformanti. Slamo davvero convinti che, a parte luminose ecce- zioni che albergano in ogni tipo di attività, i veri vocati sono ancora sacerdoti, missionari e principalmente artisti, quelli veri. Tutti, di sicuro, ne abbiamo cono- sciuti alcuni che, pur avendo ottenuto riconoscimenti genuini e competenti, conducono un'esistenza di orgo- gliosa povertà o giù di lì. Ciò nonostante continuano le loro ricerche seppur fra qualche protesta che si spegne rapida al nascere di un nuovo progetto, di una novella idea che li fa subito correre allo scrittoio, alla tavolozza, allo strumento musicale per riprendere, con rinnovata forza e coraggio, il lavoro che costituisce l'essenza, lo scopo della loro vita che ha come vero e unico obiettivo di lasciare una traccia che non si spenga alla loro scom- parsa dal mondo. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:58 pm | |
| VII Avviciniamo il nostro obiettivo ai veri "vocati" e osserviamoli attentamente. Sono individui che, nella maggioranza, sembrano appartenere ad un altro mon- .do, intenti come sono a parlare, a vivacizzarsi, solo quando si affrontano temi che sono vicini alla loro vocazione. In altre contingenze che non siano proprio quelle vitali, sono praticamente assenti, lo sguardo che vaga nell'inseguire altri pensieri, altre mete, altre idee. Sovente è facile'ritenerli individui non dotati, poco sve- gli e si è portati a sottovalutarli per poi magari accor- gersi improvvisamente, da pubblicazioni, riconosci- menti di grande prestigio, promozioni, di quanto val- gano. Ma quanti di loro sfondano realmente e quanti rimangono per sempre nella più profonda oscurità della dimenticanza o irriconoscenza? Con il loro orgoglio, con la loro ferma convinzione di riuscire senza protezioni, senza dover corteggiare i potenti, senza cercare di apparire sui mass media carta- cei o televisivi, in maggioranza concludono la vita fra l'indifferenza degli altri consumandosi in una frustra- zione inconscia che finisce per inaridirli per sempre, privando la propria nazione o il mondo di contributi preziosi per il progresso che avrebbero potuto dare. Sì, perché in fondo, lo dobbiamo riconoscere, se il genere umano non è rimasto all'età della pietra lo si deve a loro, ai "vocali" al cui traino tutti noi viaggiamo nel- l'avventura della vita. Cosa sarebbero oggi gli eleganti medici-chirurghi di successo o i tantissimi altri senza gli studi appassionati e rigorosi dei ricercatori di nuovi tarmaci, di nuove tec- niche? Cosa farebbero gli ingegneri e gli architetti senza l'avvento di materiali e di tecnologie nuove? E gli agronomi, gli artigiani e così via? Finanche gli artisti non avrebbero fatto grandi progressi senza l'esempio luminoso dei sommi maestri. Certo, se si torna al tema della vocazione bisogna riconoscere che la categoria che ne annovera un mag- gior numero è proprio quella degli artisti ma con quale risultato per i vocali? La confusione più grande, un vero marasma affoga il settore ancora più degli altri dando come risultato valori e esiti spesso, troppo spes- so, falsi e solo d'apparenza, cosa che in fondo sembra sempre più prevalere nella società cannibalesca che ci circonda oggi, forse più che mai. Emblematico un articolo apparso con buona evi- denza nell'inserto di lettere ed arti pubblicato da "II Giornale" di domenica 26 gennaio 1986. Il titolo è "Parola di cannibale", l'autrice è Maria Brunelli. Si tratta della recensione su tré colonne, riquadrate ed evidenti, del libro "L'adorazione" di due "scrittori" giapponesi, Issei Sagawa e Juro Kara. Tralasciando per ora Juro Kara, un professionista delle lettere, occupiamoci di Issei Sagawa. E un giap- ponese piccolo e bruno, non più alto di un metro e cin- quanta, che a Parigi nell'81 ha amato (dice lui), ucciso con una fucilata alla schiena e mangiato (sì, proprio così! ) una bionda olandese, Renée Hartevelt. Il corpo, ancora caldo, è stato fatto a pezzi dal giapponese con un coltello elettrico, indi fotografato da ogni possibile angolazione e in qualsivoglia particolare con centinaia di scatti della macchina portatile e infine è stato divora- to. Ma attenzione, non tutto nello stesso modo: crude, le labbra, la lingua e la punta del naso; cotte, altre parti, forse con l'aggiunta di aromi piccanti e col condimento di olio e salse accuratamente scelte. Poi, come se non bastasse, il giovane trentenne ha pensato bene di con- servare nel frigorifero le coscie e le mammelle per il pasto successivo probabilmente riservandosi, dopo la digestione ed il sonno del giusto, di consultare un libro di cucina e scegliere quanto di meglio fosse ricavabile per il suo palato da quei poveri frammenti di corpo che occupavano il suo elettrodomestico, mentre il resto - anche per una.salutare passeggiata - è stato da lui por- tato e gettato nella Senna. Quando il fatto è giunto a conoscenza delle autorità, Issei Sagawa (che aveva confessato), è stato arrestato e rinchiuso in prigione, ma non vi è rimasto a lungo: "è pazzo" hanno deciso i giudici istruttori francesi e, non ritenendo opportuno processarlo, l'hanno inviato in Giappone dove i loro colleghi gialli hanno dato imme- diate disposizioni perché il cannibale omicida fosse ricoverato in una cllnica psichiatrica. Si può immaginare, che bazza per la stampa, sia francese che mondiale: descrizioni raccapriccianti e fotografie non centinaia, ma migliala che hanno fornito al piccolo giapponese una triste notorietà. Qui la storia avrebbe potuto e dovuto chiudersi e l'ometto avrebbe dovuto sprofondare nell'oblìo, per eventualmente ricomparire soltanto in qualche testo scientifico che affronti e studi crimini efferati e ne tenti una spiegazione come il prodotto di una delle molte perversioni dell'uomo e della sua mente spesso malata, con l'aggiunta degli approfondimenti psicoanalitici e genetici di rito. Un mostro come tanti! Non è stato così, purtroppo: solo pochi mesi dopo il delitto altre fotografìe sono apparse sulla stampa di tutto il mondo. Sagawa vi compariva lieto, sereno e libero sul cavallo a dondolo di una giostra. Come si trovava lì? era forse fuggito? "No", rispondevano le autorità giapponesi "e ormai guarito dall'accesso di follia e quindi non è più perseguibile!". Cosa contava il senso d'orrore d'una opinione pubblica spesso cangiante o l'indignazione più vera della famiglia della vittima? Nulla, è la legge! e forse è anche giusto che sia così se si era davvero trat- tato di un raptus non ripetibile. L'oblìo sarebbe stato più che mai opportuno. Però sarebbe convenuto al consumismo e all'industria non usufruire di una noto- rietà mondiale per la quale - quando si vuole costruirla - non bastano miliardi? Evidentemente no, se Sagawa ha trovato uno scrittore che l'ha aiutato e un editore che ha pubblicato le sue memorie. Il libro, compilato a quattro mani (quelle di Issei Sagawa e di Juro Kara, lo scrittore professionista) ha subito raggiunto un grande successo per la gloria del cannibale, dell'editore e del coautore: ben un milione di copie vendute solo in Giappone! Forse sarà ancora presente alla memoria dei lettori un nostro precedente saggio che parlava di editoria, dei suoi segreti e di come si fa a farsi pubblicare un libro partendo dalle difficoltà che incontra un generico aspirante scrittore (per quanto bravo sia, ma scono- sciuto e non raccomandato) a farsi accettare un dattilo- scritto e vederselo stampare con una decente pubbli- cità di lancio e un'adeguata distribuzione. Ebbene, desideriamo chiarire subito che, seppure alle pagine 71 e 72 (confortati dalle dichiarazioni di due autorevoli direttori editoriali) abbiamo scritto: La verità vera salta prima o poi fuori, ovviamente a chi la sa cogliere, quan- do, nel corso di successivi colloqui, si comprende il reale criterio di scelta che spinge le "grandi" Case al lancio di un nuovo autore. Perquantopossa essere stupefacente in letteratura, pubblicare un libro da parte di un autore viene considerato un "punto d'arrivo", ma, bada bene, non nella capacità di scrivere, di reinventare o di com- porre, ma di una carriera in un altro campo, anche il peg- giore. Bisogna, in sostanza, aver avuto successo, essere noti, conosciuti. Allora tutto va bene anche se il romanzo è poco valido: si può sempre correggerlo, modificarlo, ricostruirlo, perbacco! Sei un uomo politico famoso? un artista di moda? un cantante? un calciatore? O ancora meglio, un giornalista di vaglia? un mezzobusto della TV? un critico cinemato- grafico o televisivo che conta? un critico letterario, un traduttore prezioso? Allora sì, tutto va bene: il lancio è facile, la pubblicità non sprecata, si può far leva sul nome o sull'immagine ben conosciuta', non intendevamo certo una notorietà tanto efferata. No, non è pensabile e nemmeno imma- ginabile per una mente più o meno sana! Eppure, pur- troppo, il libro di Sagawa è comparso anche in Italia sotto la sigla di un editore del nostro Paese. A questo punto non ci resta che augurarci che non debba un giorno o l'altro comparirci, in una trasmissione televi- siva ad alto indice di ascolto, l'immagine del giappone- se, sereno e trionfante, gonfio di orgoglio e pingue di successo, a mostrarci il suo libro e parlarci dei suoi pro- getti. Che ciò avvenga ci sembra sinceramente impossi- bile anche se qualche dubbio ci tormenta al ricordo del "poeta del mitra" Lutring che, con tutti gli onori è stato ospitato in una trasmissione televisiva di alto audience per mostrarci i suoi quadri dipinti nella cella intrattenendoci a lungo sulle relative tematiche. A quanto pare l'azione congiunta di tale apparizione e la precedente triste notorietà ha indotto i collezionisti ad immediati acquisti. Ciò a scapito di chi per lunghi anni ha usato nell'arte pittorica solo il pennello, i colori, la tela, la cultura ed una scrupolosa ricerca senza uccide- re, rapinare e minacciare nessuno. Sì, se tanto mi da tanto, forse presto vedremo appa- rire da noi il giapponesino in televisione e poi nelle librerie dove firmerà le copie del suo libro che non saranno poche come quasi sempre avviene in analoghe "cerimonie", ma pile e pile presto esaurite. Un'avvisaglia di quanto potrà succedere ci giunge proprio dall'artcolo della Brunelli : ben tre colonne evidenti situate nella posizione di spicco della pagina e arricchite della fotografia dell'autore. Il tono è ironico, è vero, ma viene anche riportato virgolettato il proposito di realizzare un film. Dice Sagawa: " La realizzazione di un film mi ha ridato per la prima volta interesse alla vita. Comincio ad aver voglia di rinnovare questa strana passione interiore" E la giornalista aggiunge:" Per niente pentito (se Renne fosse viva, la mangerebbe ancora) il fantasioso antropofago ha nuove idee sceneggiare altri films : uno sul gruppo di sopravvissuti all'incidente aereo della Ande ( i più forti, in mancanza di altro mangiarono i compagni) | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 12:59 pm | |
| zo? no, forse solo filosofo. Un uomo può benissimo amare una donna e desiderare mangiarla". in Sagawa avrebbe infatti "agito" un sentimento incontrollabile, più forte di lui, contravvenendo a uno dei più rigorosi tabù. Ma poiché non esiste tabù senza totem ecco l'atto d'amore verso l'Occidente, la sacralità del colore biondo e bianco per lui piccolo e bruno, inol- tre, vittima di una regressione ancestrale, non avrebbe fatto altro che compenetrarsi con la mentalità primitiva, ben nota all'antropologia, e diventarne un moderno sacerdote. Il primitivo, infatti, crede di appropriarsi delle virtù dell'altro mangiandone le carni durante cerimonie sacrificali. Morale della storia? Potrebbe capitare a chiunque -èia conclusione serafica e malaugurate del giapponese-la crosta della civiltà è ancora molto sottile. Sì, purtroppo, la crosta della civiltà è ancora molto sottile e, per noi, si va ancora più assottigliando se ad un individuo del genere (compatibile se è stato o è ancora pazzo) non solo si da una mano, ma gli si per- mette di scrivere un libro, lo si pubblica, gli si consen^ tono dichiarazioni di quelle riportate dalla Brunelli, gli si farà realizzare films, se ne permetterà la visione, gli si recensisce quanto da lui o da altri a suo nome verrà portato alla ribalta libraria o cinematografica, facendo sì che si senta realizzato ed uomo di successo interna- zionale. E non si dimentichi che se nella sua opera c'è qualche abilità, ci sembra evidente che debba essere attribuita allo scrittore professionista Kara. Non siamo certo, ne vogliamo mostrarci "codini", ma il "troppo stroppia". Se per la guarigione di Sagawa lo scrivere poteva far bene, bisognava è vero incorag- giarlo per poi sottoporre il suo libro ad esperti, i quali avrebbero pure potuto trame un saggio di successo. Il suo nome, però, avrebbe dovuto figurare solo all'inter- no, non certamente come coautore. Ciò è davvero - a nostro giudizio - un'offesa a chi insegue il successo nei modi normali ed onesti, un pericolo per menti vacillan- ti, a causa di tare ereditarie o sopravvenute, o di fru- strazioni, che possono interpretare queste folgoranti e rapidissime notorietà come mezzo più immediato per ottenerlo. Il caso di Toni Negri (brigatista rosso eletto deputato e fuggito prima del processo ed ora tranquil- lamente dimorante in Francia dove pubblica in conti- nuazione articoli e rilascia interviste) può illuminarci, anche se l'esempio non è del tutto calzante. Persino una telenovela fra le più seguite, Leonela, prodotta in un Paese latino tradizionalista come ci sembra il Vene- zuela, pare dar ragione a chi trasgredisce in questa nostra strana civiltà dei consumi e del cosiddetto "im- pegno sociale". Un giovane, vi si racconta, violenta una ragazza di "buona famiglia" dopo averne picchiato il fidanzato. Successivamente uccide per legittima difesa un aggressore pagato per dargli una lezione. Finisce m prigione e si scontra con altri violenti, emergendo. Un attivissimo avvocato si prodiga per lui dedicandogli ogni energia ed ottiene che venga trasferito in un car- cere più moderno dove subito libri e professori gli ven- gono messi a disposizione. Il giovane studia (dalle ele- mentari alla laurea), viene lodato e scarcerato prima, eredita una fortuna immensa da un ex compagno di carcere, poi. È avvocato, ma l'unica causa che gli si vede fare è la difesa vittoriosa di un accusato di vio- lenza carnale. Il suo impegno è principalmente rivolto a vendicarsi della famiglia della ragazza e, puntuali, il caso, i soldi e la fortuna lo favoriscono. L'autore indi- rizza gli spettatori (che aderiscono con entusiasmo) a privilegiarlo, a "tifare per lui" nei confronti di coprota- gonisti più "opachi" che hanno tenuto vita e condotta rigorosamente irreprensibili. La ragazza violentata, viziatissima a sua volta, decide di riprendere con sé il "figlio della colpa" che aveva partorito e subito dopo affidato ad un orfanotrofio, affinchè fosse adottato. Lo ottiene a spese di una brava, buonissima (forse anche troppo) donna che aveva accolto il bambino ben nove anni prima quando era ancora in fasce. Le giustifica- zioni del suo trionfo sono: "è bella, è ricca, è colta e ha avuto successo nella professione e... la mamma è sem- pre la mamma". E non proseguiamo per non tediare ulteriormente i lettori. La morale da trarre è, purtroppo, che se il protago- nista non avesse stuprato la giovane, avrebbe conti- nuato a fare l'operaio, guadagnato poco conducendo un'esistenza, magari serena, ma senza bagliori. A sua volta la violentata non avrebbe ottenuto il figlio se non fosse stata bella e grintosa, anche se si ricorda della "carne della sua carne" ben nove anni dopo. A questo punto riteniamo appropriato trascrivere - prima di proseguire sul successo e come perseguirlo - l'articolo di Salvatore Scarpino pubblicato in prima pagina de "II giornale" dell' 11 gennaio '86. Il suo titolo è: "Beati i carcerati, perché saranno i primi" con Yoc- chiello che recita: "Sporca la tua fedina penale se vuoi che l'impegno sociale ti tuteli più degli altri". Caro direttore, tu che l'hai conosciuto sai che il carcere non è un luogo di delizie. A dispetto di tutte le buone intenzioni e delle più avanzate teorie sul recupero dei condannati, rimane purtroppo, ancora oggi, un luogo di sofferenza e di privazione, di struggimento e rancore, sic- ché il vecchio termine burocratico che lo designava risulta quanto mai esatto e ammonitore: casa di pena. Io ne ho soltanto notizie di seconda mano, ma mi bastano. È una brutta istituzione che però resiste a tutte le crìtiche poiché non si è ancora riusciti a trovarne un surrogato efficace e tranquillizzante, per chi è fuori e per chi è den- tro. Nella "Lettera scarlatta" di Hawthorne si legge che i primi strumenti di cui si dota una città, intesa come con- centrato del mondo e dell'umanità, sono la prigione e il cimitero, simboli di una condizione. In Italia/orse a cimiteri stiamo bene, ma in quanto a carceri va malissimo e ancora si utilizzano edifici fati- scenti, all'interno dei quali l'immagine dello Stato si degrada e la dignità umana si umilia. Sono certo che tutte le persone sensibili provino pena per i carcerati, soprat- tutto per quelli innocenti che meccanismi giudiziari impazziti o imprecisi o lenti costringono a convivere con la schiuma della criminalità. Detto questo, non me la sento di condividere lo zelo caramelloso di quanti vor- rebbero attribuire ai carcerati più diritti di quanti non ne abbiano i cosiddetti liberi. Certe anime belle arrivano ad eccessi che, sebbene partoriti dalle più nobili intenzioni, sortiscono effetti stucchevoli. Tè ne offro qualche esempio. In una città siciliana, un insegnante spinge i suoi alunni a scrivere ai carcerati (cosa in sé cristianamente lodevole), ma guasta tutto quando spiega ai ragazzi che quelli, i detenuti, hanno molte cose da insegnare a noi. Quali di grazia? Tecniche operative? Norme di comportamento? A Bologna è stato costruito un nuovo carcere, di modello americano: 400 celle singole di nove metri qua- dri più i servizi, con televisore e impianti stereo per la filodiffusione. "Ma chi parla di lusso - avverte un croni- sta - invece che di detenzione non considera evidente- mente gli aspetti psicologici". E già, il sistema va bene per i detenuti americani, che lavorano, non per i carcerati nostri, inutilizzati. Sottinteso: non" è crudele lasciare senza lavoro i detenuti? Ancora. Nel vecchio carcere femminile della Giudec- ca, a Venezia, hanno deciso di sostituire le porte in legno con altre di ferro. Le detenute protestano, la btindatura sa troppo di prigione, e una giornalista solidarizza con loro. Lo sfogo delle carcerate è comprensibile, ma è giu- sto chiedersi: di cos'altro può e deve sapere, se non di pri- gione, una prigione? Ma il caso certamente più dramma- tico e ricco di implicazioni morali e umane è quello della terrorista detenuta che vuole a tutti i costi un figlio. Lo. vuole per "arricchire la sua affettività". Si apre il dibatti- to: è giusto negare un figlio alla detenuta? Se non è giu- sto, come procedere? Con la fecondazione artificiale o con i sistemi antichi, quelli che si usavano quando i bam- bini si fabbricavano in casa? Una volta nato il bimbo, dove tenerlo? Con la madre, dentro, o fuori, sempre con la madre? Lo so, c'è poco da scherzare, si tratta di vita, di solitu- dine, di sofferenza, ma l'impegno sociale lanciato aldilà di ogni ostacolo talvolta fa sorridere. Nello stesso gior- nale eh e propone il caso, in forma di dialogo, un avvocato si chiede: "Dobbiamo rendere la vita in carcere più gra- devole di quella vissuta all'esterno?". Questo è il punto. Verso molti carcerati la società ha delle colpe, perché li fa soffrire più del dovuto, ma questa consapevolezza non deve spingerci a voler assicurare ai carcerati ciò che non riusciamo a garantire agli onesti, in questo Paese così buono e sensibile nessuno piange per i disoccupati doc, per i giovani senza prospettive che non s'intruppano in movimenti, per le donne sole che ingrigi- scono nell'anonimato delle periferie, per i vecchi senza affetti, per i poveri dignitosi senza sindacati e senza udienza..'Essi non hanno storia, non hanno mandati di cattura da esibire, non valgono una lacrima. A loro, fra- telli sconosciuti e silenziosi, possiamo solo dire: animo, siate cattivi , fatevi arrestare, solo così troverete lavoro, e noi piangeremo per voi. Salvatore Scarpino. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 1:07 pm | |
| VIII Quelli di noi che hanno superato gli "anta" - età fati- dica che induce, quasi per un processo naturale, a inco- minciare a trarre bilanci - ricorderanno certamente cosa consigliavano i parenti quando si affrontava il tema quasi d'obbligo di una buona sistemazione e affermazione nella vita (il successo ante litteram). Il viso atteggiato alla massima serietà e gravita, lo sguardo ammonitore, la mano ferma a stringere il siga- ro, la pipa, la sigaretta o il bicchierino di liquore, men- tre il lampadario dai tanti bracci mandava una luce ras- sicurante a riflettersi su stoviglie, bicchieri e posate disposti in buon ordine sul tavolo, protagonista della stanza buona, il genitore incitava allo studio intenso e volenteroso, al rispetto per l'insegnante, alla correttez- za, all'onestà, alla sincerità, a non sollecitare favoriti- smi, a guadagnarsi, in sostanza, solo con le proprie for- ze, titoli di studio e poi impieghi o incarichi professio- nali. È questo l'unico modo - insisteva il padre che ci sembrava vecchio e saggio - per conseguire il risultato (il successo di oggi) che vi realizzi come uomini e citta- dini, senza rimorsi, senza dovervi sentire in obbligo con chicchessia, tranne che con i vostri genitori che vi hanno concepito, amato, curato e consigliato. E la mano, ora libera, si posava incoraggiante, quasi bene- dicente sul braccio o sul volto del figliolo che, final- mente licenziato, poteva dedicarsi all'occupazione pre- ferita, schernendo muto quelle affermazioni fuori dei tempi, umbertine, che non andavano oltre - ne era convinto - i rigidi e ormai sorpassati servitori dello Sta- to. Ma quelle insistenze, quell'esempio, vero o falso che fosse, lasciavano in non pochi di noi una traccia, anche se spesso, senza che trapelasse, quegli educatori fami- gliar! si erano adoprati a raccomandarci a scuola e nella vita per ottenerci, oltre i nostri meriti, tutto ciò che inorgogliva e liberava loro da ogni peso, vantando con gli amici successi in definitiva non nostri, ma dei loro sotterfugi, pallide cose rispetto all'intenso intrallazzare ^gg1 ... ., Sì, perché nei nostri giorni sconsacrati sembra regola costante e scoperta utilizzare ogni possibilità, anche disonesta o disonorevole, per conseguire il suc- cesso a qualsiasi livello. Si incomincia subito, già da ragazzi, a farsi spazio in famiglia prevalendo sui fratelli e facendosi rispettare dai genitori, ma non con l'assiduita e l'impegno scola- stico o con lo sport, bensì utilizzando senza pietà o scrupoli di sorta (e, se vi sono, sopprimendoli o rele^ gandoli nel profondo) mezzi imbattibili per rendersi interessanti, oggetto di attenzione, di cure, di discus- sioni: la droga, l'indebitamento, la truffa o il furto. Sì, purtroppo è vero, non si può negarlo basta guar- darsi intorno o conoscere le storie di gente che, a vari livelli, è riuscita ad emergere. Da qualche decennio la società e in particolare i genitori sono o si sentono colpevolizzati del cattivo comportamento dei giovani e si precipitano a giustifi- carli e ad aiutarli a detrimento di chi, nonostante tutto, continua a comportarsi in modo corretto, a fare per intero il proprio dovere forse memore dei dettami di papa anche se sempre di più dubita della sua saggezza, delle verità dichiarate in quei lontani giorni, e forse già da allora non applicate. Nell'incredibile strano mondo degli ultimi vent'anni poco ci si occupa dei "buoni" e tantissimo di "coloro che hanno sbagliato". È tutto un fiorire di convegni, associazioni, istituzioni e leggi a loro favore. Mature, battagliere patronesse scatenano fanatiche sovrabbon- danti energie, che non di rado in anni passati erano confluite nel gioco d'azzardo o in focosi adulterini amori, per tormentare parenti, amici, conoscenti o pubbliche autorità affinchè concedano posti, ricoveri, promozioni, considerazione e regali ai drogati, ladri, delinquenti, alcolisti e debitori che "sono tanto di moda" senza essere minimamente sfiorate dal pensiero di aiutare studenti, disoccupati e malati onesti. Già a scuola e all'università quelli che vogliono bru- ciare le tappe per raggiungere il successo ad un qual- siasi livello, più che dello'studio si preoccupano ad intessere relazioni con potenti di ogni grado, entrano in politica rivestendo l'umile ruolo di "portaborse" e gli esami sono superati con facilità e poi, prima o dopo il diploma o la laurea, il posto, la collocazione nella società, è presto raggiunto scavalcando i molti, moltis- simi che ancora non hanno capito e continuano ad accalcarsi - non raccomandati - nei concorsi e nelle anticamere dei capi del personale di aziende pubbliche o private. Ciò non significa che chi davvero vale, studia con il massimo impegno, produce in modo utile, s'adopera allo stremo delle forze, non trovi, primo o poi, una col- locazione di un certo successo, ma quasi sempre il risultato è inferiore ai reali meriti. Quando poi si mira al Successo ai massimi livelli, quello che "incontra il favore del pubblico", quello, in poche parole, che è più evidente, bisogna, anche se con fastidio, ammettere che è, nella generalità, legato a fatti o episodi clamorosi che soli possono interessare i mass- media perché sono proprio questi che lo conferiscono o lo dilatano in maniera spropositata, eccessiva ren- dendolo, volutamente o meno, soggetto ad equivoci. Non c'è oggi vero grande successo senza "imprima- tur" dei mass-media che, molto più di ieri, condizio- nano folte masse sempre più impinguate dalle mamme dei grulli che sono costantemente incinte. Perforo ciò che affermano le televisioni (di Stato o private), ciò che scrivono i giornali è Verbo, non contestabile come un postulato. I prodotti nominati, reclamizzati, venduti attraverso quei canali vanno letteralmente a ruba; gli ospiti d'onore - medici, psicologi, scienziati, scrittori, pittori, attori, cantanti e così via - sono i migliori e la loro consulenza, le loro opere sono quanto di meglio esista e non se ne può fare a meno e ogni giudizio cri- tico è demandato ai grandi gestori del potere cartaceo o visivo; direttori, redattori, presentatori. Tutto si ta per entrare nelle loro grazie o nel loro interesse: prosti- tuzione di ogni tipo, corruzione di ogni livello corti- gianerie d'ogni bassezza e, a volte, qualcosa che può trasformare per sempre l'impostazione di vita data da quei genitori dei quali parlavamo all'inizio del capito- C'è nell'aria un incredibile bisogno di leggereil pro- prio nome su quotidiani o rotocalchi, o di vedere la propria immagine in televisione e il personaggio comunque noto viene da ogni parte favorito perché qualsiasi azione con lui o contro di lui frutta e trascina al successo e glielo conferma. I veri "vocati" o coloro che non vogliono inchinarsi a queste incontestabili leggi per raggiungere o amplifi- care il successo, i dotatissimi studiosi, schivi di pubbli- cità, che si esaltano solo nelle mete raggiunte o da rag- giungere e che respingono o accettano malvolentieri interviste, presentazioni contornate dal grosso pubbli- co, non accederanno mai - a meno di sporadiche ecce- zioni - al grande successo, ma saranno facilmente sca- valcati da altri che fanno di tutto per mettersi m mostra. Ciò vale in particolare per coloro che si dedicano alle arti, ma vale per ogni settore di attività e quindi anche per architetti, ingegneri, medici, avvocati, ecce- tera. Tutti i "puri" non avranno, nonostante i meriti, grossa e danarosa clientela, non grandi incarichi pub- blici ben retribuiti, ma soltanto le briciole. Oggi molto più di ieri il presenzialismo raccoglie frutti cospicui. Il grosso pubblico, che intelligente non è (e lo dimostrano la pubblicità e le ingannevoli vendite per corrispondenza con l'immancabile "personalissi- mo" premio) si dona a chi, con buona o cattiva notorie- tà, è alla ribalta. Tutto questo spiega il perché buona parte delle patronesse, degli uomini politici operano in favore di chi fa notizia e non di chi è "scialbamente" onesto o si mantiene nelle regole. Purtroppo non è esagerato, basti ricordare nume- rosi esperimenti medici, rischiosi per il paziente, che sono stati attuati, non proprio di rado, più per attirare interesse, per far notizia, che per alleviare affanni; o inchieste e arresti, disegni di legge, fondamentalmente ingiusti o azzardati, avanzati per analoghi motivi. C'è nella ricerca del clamoroso ad ogni costo qual- cosa di profondamente dannoso, ingiusto e fuorviante. Si pensi alle diverse notorietà di un Barnard e dei suoi colleghi americani. E vero che il chirurgo sudafricano fu il primo a tentare il trapianto cardiaco, ma la sua enorme notorietà, il suo aggiudicarsi pagine e pagine di quotidiani, settimanali e centinaia di lunghi servizi televisivi, fu dovuto più alla sua opera di innovatore, o al bell'aspetto condito da corteggiamenti a notissime attrici, seguito dall'abbandono dell'anziana moglie e al nuovo matrimonio con la giovane e affascinante eredi- tiera del suo Paese? Il tipo d'intervento attuato da Bar- nard fu in precedenza messo a punto sperimentaL mente negli USA da Lower e Shumwey, e alla Stanford Medicai School sono stati attuati un numero di tra- pianti cardiaci perlomeno dieci volte maggiore di quanto si sia fatto al Groote Schuur Hospital di Citta del Capo che è l'ospedale di Barnard. Eppure che diverso successo e notorietà fra chi ha anche saputo solleticare, con storie aliene, l'interesse dei mass-media e altri che si sono dedicati con la massima severità al proprio lavoro senza far confondere il "pubblico" con il "privato"! Noi pur non essendo fra quelli che sparano a zero contro i magistrati che hanno fatto incarcerare e con- dannare Tortora, non possiamo fare a meno di avan- zare il ragionevolissimo dubbio che essi siano stati abbagliati, sedotti dalla pioggia di notorietà che ne sarebbe derivata, dalle luci della ribalta che li avreb- bero inquadrati in primo piano facendo conoscere al gran pubblico, per la prima vera volta, i loro nomi noti solo nell'ambiente di lavoro e nelle immediate vicinan- ze. E non importa che magari, alla distanza, lanoto- rietà possa essere di tipo spregiativo. Come abbiamo già visto, questo oggi non sembra più avere importanza perché qualsiasi notorietà frutta, e, nel caso Tortora, sembra che abbia portato a più facili elezioni e incari- chi e porterebbe, a chi di loro volesse pubblicare un memoriale, un mare di lettori. Il popolanssimo presen- tatore, condannato in primo grado e poi trionfalmente assolto in quelli successivi, a quanto appare dalla sua drammatica ed immatura morte, ne è uscito stroncai? e può considerarsi forse una delle vittime del "clamo- roso". ,,. Possiamo naturalmente errare, ma non abbiamo mai avuto notizia di commissioni che si siano recate nella casa di un malato onesto poco noto per fargli affron- tare esami e per fargli conseguire un titolo di studio, mentre non infrequentemente leggiamo di detenuti tri- stemente noti che possono fra le mura del carcere ini- ziare o proseguire studi anche a livello universitario. Tant'è, la cosa fa notizia e chi la autorizza ne ricava quantomeno l'apparire qualche volta in più su giornali o in televisone! Si rifletta su quanto ha ottenuto il "pentito" Marco Barbone che, per chi non lo ricordi, assassinò Walter Tobagi. Ha preteso (ed è stato accontentato) che per le sue nozze la cerimonia in chiesa, il sacramento, fosse celebrata - per lui, per la sua triste notorietà - non da uno (e sarebbe stato già molto), ma da ben sei sacerdoti insieme, e il cardinale Martini gli ha inviato un regalo corredato di dedica ed auguri scritti di proprio pugno. Quanti "anonimi" onesti dalla nascita sarebbero riu- sciti ad avere simile trattamento? Di sicuro nessuno, se la penuria di sacerdoti addirittura mette in forse il poter far impartire l'estrema unzione ad un morente onesto ma che non ha mai raggiunto una clamorosa notorietà! Il non essere conosciuti per azioni, nobili, ignobili o quantomeno bizzarre sembra ancor più pesare nel mondo delle lettere o per meglio dire in quello edito- riale con i suoi annessi quando si vuole raggiungere il successo. Sulla infelice situazione nella quale sono costretti a dibattersi gli aspiranti scrittori anche se di straordina- ria qualità abbiamo già ampiamente trattato in due saggi che hanno raccolto grandi consensi ed autorevoli avalli ("I segreti dell'editoria" e "II DOPOsegreti del- l'editoria" 1984 e 1985, Oceania Edizioni). Ebbene fra le varie cose sottolineavamo che grandi autori come Svevo, Moravia e Tommasi di Lampedu- sa, allora sconosciuti, avevano cozzato contro l'indiffe- renza degli editori che si erano rifiutati di pubblicare a proprie spese opere come "Una vita", "Senilità", "La coscienza di Zeno", "Gli indifferenti" e "II gattopar- do" che successivamente divennero fondamentali per la nostra letteratura. Mentre Moravia, dopo aver finan- ziato personalmente l'edizione de "Gli indifferenti", aveva superato l'iniziale difficoltà, anche perché già inserito in qualche modo nell'ambiente, Italo Svevo non vi riuscì mai in vita e fu costretto a pubblicare a sue spese tutti i suoi tré romanzi. Per Tommasi di Lampe- dusa, infine, la pubblicazione e la "scoperta" avven- nero solo dopo la sua morte. Sono macchie indelebili per la nostra editoria e non sono le sole. Anzi in questi ultimi decenni vanno dila- tandosi coerentemente a tutto il "sistema" che, come abbiamo già visto, tende sempre di più a premiare non il talento, lo studio e lo stressante impegno, ma il cla- moroso, il "diverso", il peccaminoso o il delinquenzia- le. Sono recentissimi due articoli che annunciano la prossima "uscita" di libri di due personaggi chiacchie- ratissimi quali Ciro drillo e Francesco Pazienza. Ne riportiamo alcuni brani: L'ex assessore de della Regione Campania, Ciro drillo, sta scrivendo un libro sul suo rapimento da parte delle Br. L'ex assessore all'Urbani- stica ed all'Edilizia popolare svelerà la verità sulle tratta- tive intercorse con la fazione terroristica capeggiata dal- l'ideologo Giovanni Sensani. Il memoriale racconterà le sue esperienze dal giorno del rapimento, 27 aprile 1981, fino a quello del rilascio, 24 luglio dello stesso anno. Non si sa se drillo ricostruirà anche le trattative che sareb- " | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 1:08 pm | |
| bero avvenute nel carcere di Ascoli Piceno per prendere contatti con il boss della camorra Raffaele Cutolo per la sua liberazione. La decisione di Ciro drillo è stata origi- nata "dall'amarezza procuratagli dal suo mancato reinse- rimento nell'attività politica" (II Mattino). Archivi segreti, agendine compromettenti, documenti top-secret, ma cosa c'è effettivamente in quel container sequestrato a Napoli dalla Guardia di finanza? "Bic- chieri, tavoli, piatti, qualche tappeto persiano ed alcuni mobili. Praticamente c'è tutto quello che avevo nella mia casa di New York. Se poi hanno intenzione di rompere e frugare nella mia roba facciano pure, avranno cocenti delusioni. E pagheranno anche per questo". Francesco Pazienza, l'uomo dai mille misteri, da pochi giorni in libertà provvisoria a Levici, dove risiedono i suoi genito- ri, non smentisce i suoi detrattori. Spavaldo, a tratti anche arrogante, continua "Possibile che ogni cosa inte- stata al sottoscritto diventi esame congiunto della magi- stratura? Ma vi pare che io, Francesco Pazienza, se avessi avuto dei documenti segreti, degli appunti compromet- tenti o degli archivi li avrei mandati per nave? Ragazzi, non sono mica nato ieri. Ho fatto anche l'agente segreto, non dimenticatelo". E ride divertito. "Del resto il mio indirizzo a New York era sulla guida telefonica. Se vole- vano entrare e rovistare avrebbero potuto farlo quando volevano, no?". Ma c'è un'agendina, dicono, ed un elenco di nomi. Qualcuno parla addirittura di un suo memoriale. "Ma quale memoriale? Se vogliono saperne di più sulla mia vita devono pazientare ancora qualche mese quando uscirà il mio libro, "II circuito", allora potranno divertirsi". Cos'è, una sorta di memoriale? "Forse, l'ho scritto in questi tré anni e quattro mesi di isolamento. C'è tutto dalla a alla z sugli intrighi italiani degli ultimi anni. Ma non è un libro-denuncia ne un vero e proprio memoriale. È un racconto ironico, una specie ài romanzo con particolari che la gente deve conoscere. Tutta roba autentica, logicamente. Per esempio il capi- tolo numero 216 tratta dell'ex ministro^ degli interni Scalfaro. Sapete perché il numero 216? È lo stesso che stava in bella mostra sul fascicolo relativo alla P2 e che venne trovato senza documenti, vuoto, in Uruguay"... Il telefono a casa Pazienza (una villa sulla panoramica che scende verso il porto di Lerici, barche di vip e ritrovo estivo della Liguria-bene) trilla in continuazione. "Ora tutti vogliono parlare con me - esclama l'ex 007 - ma ho deciso di non dire una parola. Ora bastai". (Il Mattino - Mimmo Porpiglia). Per loro, Cirillo e Pazienza, nessuna difficoltà a reperire un editore, scherziamo? non uno, ma cento si saranno precipitati da questi "rinomati" personaggi offrendo, naturalmente, le condizioni migliori che accresceranno ancora di più le loro finanze che, se non erriamo, sono già ben pingui e, a quanto si dice, non sempre con profitti del tutto leciti. Loro, a differenza dei tanti talenti della saggistica e narrativa non pubbli- cati, basta che schiocchino le dita, che gettino già delle pagine con le loro avventure o riempite da qualsivoglia argomento, per trovare editori che pubblichino come un onore, un vanto i loro libri che, se proprio non rie- scono a scrivere con un minimo di "mestiere", potranno essere redatti a cura di "negri" di dumasiana memoria. E siate pur certi che i lettori, incuriositi dalla gran massa di articoli, recensioni, apparizioni televisive e, magari, pubblici dibattiti, si precipiteranno com- patti nelle librerie ad acquistare volumi che, secondo i criteri del clamoroso, sono assolutamente indispensa- bili. No, non potevano bastare tutte le notizie, le inter- viste, i servizi fotografici e televisivi che a centinaia se non a migliala ci hanno già "deliziato" sui due perso- naggi e sui loro simili. Nemmeno Carmen Lliera, autrice del romanzo "Georgette", ha trovato difficoltà alcuna a pubblicare la sua opera. Un grande talento? Non crediamo, e d'al- tra parte non sarebbe bastato. Se talento ha, a nostro avviso, non lo ha utilizzato nell'arte dello scrivere, ma nel mettere in atto, con scientifica precisione, un com- portamento da successo, e il successo, puntuale, l'ha premiata. Cosa ha fatto la giovane scrittrice spagnola? Si è tra- sferita in Italia dove ha trovato impiego (non sappiamo se per meriti o altro) nella casa editrice di Moravia. Lo ha conosciuto, fatto innamorare e lo ha sposato nono- stante circa cinquant'anni dividessero le età dei due novelli coniugi. Già questo avvenimento, non proprio comunissimo, e la notorietà del marito sarebbero bastati all'intraprendente Carmen per farsi pubblicare non da una, ma da più case editrici. Evidentemente però la spagnola intendeva puntare al grande successo e, bella ed eccitante come dicono che sia, ha fatto in modo da conoscere un altro ancor più noto personag- gio, il capo libanese Jumblatt, con il quale ha avuto una storia amorosa che si è guardata bene da tener nascosta (nonostante fosse fresca sposa) e ci ha scritto un romanzo dandone, di concerto con l'editore, ampia notizia e numerose maliziose indiscrezioni. Un vero comportamento da successo, non c'è che dire! L'abile e fascinosa Carmen è stata ben più brava del consorte che, come abbiamo scritto, dovè finanziarsi il suo primo romanzo di ben altro e superiore peso lette- rario. Ma cosa conta? Nulla, proprio nulla. La Lliera, sulla quale si sono scatenati giornalisti televisivi e di quotidiani e rotocalchi con articoli tutt'altro che male- voli, ma, tutt'al più, maliziosi, ha venduto oltre cento- mila copie in pochi mesi mentre Moravia riuscì a stento a vendere mille copie del suo "Gli indifferenti"! E non è stato geloso in nessun senso l'anziano importantis- simo scrittore, anzi, come classica ciliegina sulla torta del successo di Carmen, sembra che si sia mostrato addirittura "consenziente". E la spagnola, che ha tro- vato l'America in Italia, ha ricevuto bizzeffe di incari- chi dalla carta stampata fra i quali uno del tipo "corri- spondenze di viaggi", che il quotatissimo settimanale "Panorama" ha pubblicizzato con la massima evidenza in copertina, dove ci è sembrato di leggere una specie di diario da gita scolastica di lontana e sorpassata memoria. Così anche Carmen Lliera Moravia è diven- tata, ancora molto giovane; una conosciutissima, ven- dutissima scrittrice e presto, crediamo, altri suoi libri si imporranno nelle vetrine e nelle classifiche di vendita ! Altro successo considerevole nel mondo dei libri raccolse, prima della Lliera, l'attrice Sandra Milo, anche lei esemplare nel mettere in atto comportamenti da successo. Già ai tempi dei suoi films, i giornali si occupavano di lei più che per la recitazione per violenti diverbi e colluttazioni fra l'uomo con il quale viveva e un altro del quale, sembra, si era innamorata. Poi, l'industriosa donna la cui bellezza andava sfiorendo, pensò bene di scrivere e naturalmente di dare alle stampe un libro. Abilissima, lo ha fatto raccontando una storia d'amore non per un qualsiasi uomo, ma addirittura per Fede- rico Fellini, uno dei più se non il più importante regista del mondo! Il titolo? "Caro Federico", la casa editri^ ce? La prima o la seconda d'Italia che, nei risvolti di copertina, così descrive il contenuto: Una sfona originalissima, costruita sugli echi della | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 1:13 pm | |
| memoria da Sandra Milo che, raccontando di Selana e dei suoi sogni d'amore per il cinema e per Fellini, si iden- tifica con la ragazza e ne ripercorre i ricordi, le fantasie, l'erotismo e le speranze. Come in un film, l'autrice gioca sugli effetti, sulle trasparenze delle immagini che vivono e si dissolvono sempre in lotta fra realtà e finzione, ricer- cando una verità che appare troppo lontana e nascosta. La grande avventura di Selana, immersa in quei mitici Anni '60 durante i quali il cinema italiano risplendeva in tutto il mondo, si muove nella eterna illusione di trovare nel successo e nella travolgente passione per Fellini tutte le risposte. La loro relazione sarà tumultuosa e febbrile, scandita sul ritmo difilms grandiosi-da Giulietta degli spiriti a Amarcord-di trionfi mondiali, d'incontri con i protagonisti del cinema e dell'arte, di attese, di separa- zioni e di rinunce. Per mantenere intatto il mitico senti- mento per il grande regista, che ha continuamente biso- gno di stimolare la sua creatività con nuovi incontri, nuove donne da amare e trasferire nei suoi films, Selana dovrà collocarlo fuori dalla sua storia personale, in una dimensione surreale, dove l'amore potrà vivere eterno. Un libro stimolante e tutto godibile, scritto con brillan- tre maestria. Ovviamente anche questo libro, al di là della "bril- lante maestria" che, se c'è, potrebbe anche non essere tutta farina del sacco della Milo, ha venduto molto con- sacrando l'autrice come scrittrice di grande successo. E scrittori di notevolissimo successo sono anche sva- riati "diversi" come, ad esempio, l'americano Leavitt e l'italiano Busi che certamente avranno trovato minori difficoltà nel trovare editori di altri scrittori di pari talento, ma "normali". Non è certo da oggi che gli omosessuali sono di moda nelle arti figurative e nelle lettere, ma - ed è da considerare un comportamento da successo - mentre prima tentavano in qualche modo di mascherarlo ora è divenuto redditizio dirlo, scriverlo, raccontandone dettagliatamente i torbidi amori. Istinti normali, anche se senza alcun freno, mostra un'altra novella scrittrice di grandissimo successo, Marina Lante della Rovere o, come le è stato imposto per sentenza del tribunale, Marina Ripa di Meana. Donna bellissima la cui immagine, crediamo, sia nota a tutti, ha sempre adottato un "comportamento da suc- cesso" che l'ha portata ad emergere prestissimo, ed ora anche nel campo delle lettere dove, e siamo certi di non sbagliare, non ha alcun talento, ma nonostante ciò, ha ottenuto un mare di articoli e vendite travolgenti. Il suo comportamento, secondo noi, è perfetta- mente coerente con quanto immediatamente si è impo- sta di raggiungere. Ci lascia invece perplessi, e sarebbe attentamente da analizzare, l'atteggiamento dei suoi tantissimi uomini che si sono intrecciati in maniera disordinata e spesso parallela nella turbinosa vita ama- toria della bella Marina che, senza veli o riguardi per chi ha avuto con lei rapporti e, perlomeno in un caso, ancora li ha, racconta ogni episodio clamoroso che le sia capitato o che lei scientemente ha saputo costruire, svelandone anche i lati più intimi. Il suo è un libro sul genere e sul livello del "diario" dove, ad esempio, si scrive che Moravia (ancora lui) un giorno le prese la mano e la condusse sul suo basso ven- tre dicendole "Vedi come ce l'ho duro! ", e ci scusiamo se la citazione non dovesse essere proprio perfetta- mente esatta. L'editore, uno specialista in best seller, così, nei risvolti di copertina, presenta il libro che si intitola "I miei primi quarant'anni": Chi è Marina? "Una bambina, insicura, timida, gene- rosa, dolce, intelligentissima, allegra, assolutamente ori- ginale" come scrive Goffredo Parise? O forse, come dice di lei Moravia: "Non è un artista; ma si potrebbe affer- mare che c'è molta arte, sia pure a livello inconscio, nella sua vita"? Marina è Marina: una splendida donna di oggi che racconta senza veli, con pungente ironia, la sua vita inquieta e movimentata. L'infanzia trascorre entro i rigidi schemi di un'educazione borghese tradizionale, l'adolescenza porta con sé la scoperta travolgente della femminilità, del sesso e i primi segni d'insofferenza verso un mondo chiuso e immobile ("A casa mia non succe- deva mai niente", scrive) e infine c'è l'ingresso nella Vita, quella vera, quella che scorreva impetuosa appena fuori dalla soglia di casa. Marina si sposa a vent'anni, innamoratissima, con un giovane di una grande famiglia di papi e cardinali; ha successo nel lavoro, dove esprime pienamente la sua creatività e la sua voglia accanita di arrivare; frequenta il bei mondo internazionale di cui svela retroscena e gustosi aneddoti: ]acqueline e Ansto- tile Onassis, Gianni e Umberto Agnelli, la famiglia Rothschild, artisti, pittori, intellettuali, attori e attrici. Dunque tutto bene, potrebbe essere tranquilla, potrebbe accontentarsi. Ma questo non è per lei, è sempre in cerca di qualcosa, punta perennemente al meglio, al di più, al diverso, a quello che non ha: vive da miliardario senza avere una lira e castigando come Robin Hood, i miliar- dari veri (che, a quanto pare, non le hanno lesinato denaro, attenzioni e sesso. Nota diB. C.), ha brevi, tra- volgenti, eroticissime "storie" e lunghi, intensi amori di cui si è parlato e si parla ancora. Non può e non vuole passare inosservata, è all'insegna dell'eccesso: le sue sce- nate nei locali e negli alberghi alla moda (altro compor- tamento da successo. Nota diB. C.) hanno fatto epoca... e molti danni. Quest'autobiografia best-seller in Italia, scritta con naturalezza, allegria e molto spirito, è il bilan- cio sincero e aperto di quarant'anni di una donna che vuole prendersi tutto dalla vita. Venerdì 12 agosto un articolo di Geo Nocchetti su sei colonne e con tanto di fotografia domina una pagina de "II Mattino" di Napoli. Il titolo è: "Una Marina tutta "dentro" ad Ischia". Ne riportiamo qual- che brevissimo brano: Continua a chiamarla casa. in realtà si tratta della villa Gancio di Ischio il cui parco è un 'attrazione turistica molto famosa. Anche se, ovviamente, la visione è con- cessa solo da lontano. In questo "altro pianeta" sono sbarcate due famiglie: quella composta da Carlo e Marina Ripa diMeana e l'altra, amatissima, formata dai tré cani carlini più famosi del jet set internazionale. "Cercavo un posto dove rinchiudermi - esordisce Marina - avevo pensato a Capri. Lì, però, mancava la "scesa a mare"". Sì, dice proprio scesa alla napoletana... "Lasciamoglielo credere - sorride Marina sprofondata in una sdraio - in realtà sto solo lavorando alle bozze del mio secondo libro (Chi è la più bella del reame, n.d.r.) dopo che il primo è andato benissimo". Come d'altronde quasi tutte le imprese economiche affrontate da lei. Se altri vendono quadri, libri, oggetti vari lei "vende" se stessa. Con sapienza ed ironia, con attenzione ed intelli- genza. Non a caso il suo supporter più scatenato è il marito Carlo, Commissario della Cee per conto del Governo italiano: una miscela sapiente di fascino, signo- rilità, humor, understatement... Perché Ischio? insisto. "Ci torneremo - rispondono in coro -faremo senz'olirò qualcosa per quest'isola stupenda"... Di fianco, una colonna dal titolo "Che dicono di lei" è ancora più interessante della notizia, ovvia e scontata, che Marina stia per dare alle stampe un secondo libro che certamente "delizierà" i lettori italiani che, in fondo e nella maggioranza, sembrano sempre più orientali e maturi solo per libri di questo tipo. La ripor- tiamo in piccola parte: Che pensano gli ischitani "che contano" di Marina Ripa di Meana? Franco lacono, assessore regionale ai trasporti: "È una donna che ha saputo realizzare tutto quello che voleva ribaltando la sua condizinoe'femminile in partenza sfavorita". Antonio Gargiulo, commissario Azienda Turismo: "Sia benvenuto Marina e con lei tutte le persone che contribuiscono a elevare il tono del turi- smo ischitano". Che dire? Davvero i tempi sono cambiati! E un'ulte- riore conferma che le vie brevi e amplificanti il suc- cesso a notevoli livelli, "che ha incontrato il favore del pubblico", sono solo quelle che, in tempi nonlontanis- simi, venivano considerate quantomeno "traverse". | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 1:21 pm | |
| IX All'inizio di questa carrellata sul Successo abbiamo riportato la definizione che di questo mito dei nostri tempi viene data dal dizionario Rizzoli-Larousse, ossia : "brillante esito nella vita, affermazione nella carriera". A ben analizzare, e con tutti i dubbi che si hanno quando si trattano argomenti tanto sottilmente diffici- li, non ci sembra che la "affermazione nella carriera" sia molto ben conciliabile con il "brillante esito nella vita". Abbiamo infatti visto che raggiungere il successo lavorativo, specialmente se ai grandi livelli, costringe, nella stragrande maggioranza dei casi, a mettere in atto (per abbreviare i tempi e amplificarlo al massimo) comportamenti spregiudicati, spesso disonorevoli, a volte addirittura delinquenziali. Oppure, se si seguono le vie cosiddette "normali", bisogna, dedicare tutte le proprie energie senza risparmio in un'ossessiva rin- corsa che non sempre viene premiata come dovrebbe. Se puntiamo l'obbiettivo sugli uomini o le donne di successo zoomando al massimo su di essi e cercando di entrare nell'intimità vera della loro vita privata, ci ren- diamo conto che in fondo qualcosa è mancata o manca alla loro vita. Incominciamo dagli anni adolescenziali e giovanili che rappresentano indiscutibilmente il periodo della nostra vita più bello, assolutamente irripetibile {quan- t'è bella giovinezza / che sì fugge tuttavia ! / chi vuoi esser lieto sia / di doman non ve certezza. Lorenzode' Medici). Ebbene, gli inseguitori ad ogni costo del suc- cesso a notevole livello trascorrono quegli anni impa- gabili in un impegno non proprio dei più adatti a godere i piccoli valori della vita che, forse, sono i più importanti. Il giovane studioso consuma gli occhi, ingobbisce la schiena, infiacchisce i muscoli in lunghe ore di scrittono magari senza accorgersi della vita che scorre tumultuosa - bella o brutta che sia - al di fuori della stanza, dell'aula scolastica o della biblioteca dove si e relegato mentre i coetanei meno ambiziosi corrono telici nel sole e nel vento accompagnandosi a belle fan- ciulle che certo, nella maggioranza, preferiscono spen- sierati, spregiudicati compagni dal viso abbronzato e dai muscoli tesi. Muscoli ben tesi e gonfi hanno indubbiamente i gio- vani che dello sport attivo hanno fatto il loro obbiettivo di successo. Essi però, al pari dei coetanei studiosi tra- scorrono troppe ore in assidui, precisi allenamenti che disumanizzano il bei gesto atletico e sono costretti a troppe rinunce alimentari, culturali e spontaneamente sessuali perché per loro - custoditi da rigidi allenatori e accompagnatori - tutto è programmato in modo ossessivo. Si osservino, infatti, calciatori e tennisti che sovente men che ventenni, girano da una città all'altra' a volte da un continente all'altro, quasi come pacchi postali: da uno stadio ad una stazione, da un aereo- porto ad un albergo, senza realmente vedere capire nulla della natura, degli effettivi valori che li circonda- no, quasi automi i cui pulsanti sono maneggiati da managers (che spesso sono famigliar!) solo apparente- mente preoccupati per loro, ma che, in definitiva, son tutti presi dal desiderio di dilatare gli introiti dei loro "protetti" dai quali traggono cospicue percentuali Hanno mai conosciuto la vera gioventù i Borg, i Mac Enroe, i Lendi, le Navratilova, le Sabatini e così via o i Mennea, e anche se in misura minore, i Maradona i Vialli le Simeoni, eccetera? Ne dubitiamo molto quando riusciamo a scrutare attentamente i loro sguardi troppo maturi e saggi quasi avessero il doppio dell età anagrafica. Anche qui i tempi sono davvero cambiati: il denaro, il clamoroso, le troppe responsabilità, gli ossessivi obbiettivi di mass-media insaziabili, i troppi interessi di ogni genere, ci fanno ricordare con nostalgia i Pie^ trangeli, i Sallustro e tanti altri dai vivaci amori, dagli allenamenti e qualche partita, anche importantissima, volutamente ignorata perché non dimenticavano di essere dei giovani e ai desideri e alle istanze giovanili spesso e giustamente non resistevano. Sì, guadagna- vano infinitamente meno degli eroi attuali, raggiunge- vano una notorietà minore, ma riuscivano a vivere anche come esseri normali! Che il molto denaro sia corruttore non vi è dubbio. Ciò è avvenuto in ogni tempo, basta ricordare, e vale per tutti, il grandissimo ciclista Fausto Coppi, il suo sguardo triste, i troppi "curatori" e gli strani "ingre- dienti" che, a quanto si diceva, gli facevano ingurgitare che, forse, gli minarono in modo determinante, il fisi- co, tanto forte per lo sport e così poco reattivo per la malattia che in breve, e ancora giovane, lo condusse nella tomba. Quello degli sportivi di grande o medio successo è davvero un caso limite ma significativo perché coin- volge anche se in misura minore tutti coloro che in età adolescenziale o giovanile hanno già raggiunto i vertici delle loro affermazioni nel lavoro. Ad essi, insieme ai soldi e alle soddisfazioni, è accaduto qualcosa di estre- mamente grave: hanno dovuto saltare a pie' pari una fase del normale sviluppo. Come a quei bambini che non hanno camminato carponi può insorgere la disles- sia, così in loro si manifesta - tranne le solite eccezioni - negli anni successivi ai successi qualche carenza che non li abbandonerà più. Conosciamo non pochi ex campioni che, abituati a vivere fra la dannosa ovatta degli accompagnatori e dei managers, non riescono, conclusa ancor molto giovani la carriera, nemmeno a prenotare un posto in treno o in un albergo, e tanto meno, riescono da soli ad amministrare le ingenti somme guadagnate, e spesso sono preda del turbine di avvoltoi che si precita su di loro per spolparli, per approfittare della loro convinzione che tutto a loro riu- scirà rapidamente e bene come avvenne nell'imme- diata primavera della vita. Le lunghe ore trascorse con impegno continuo negli stadi, nelle palestre, agli stru- menti musicali, nelle sale di registrazione, negli studi cinematografici o televisivi e così via, sono presto dimenticate perché, in fondo, il successo è giunto dopo poco tempo rispetto agli altri che lo hanno conseguito ma con scansioni più normali e prolungate. L'eco degli applausi, della notorietà, non li abban- dona più e li fa soffrire quando si accorgono di essere sprofondati nell'anonimato dal quale cercano di solle- varsi con iniziative spesso sbagliate e tentate senza vera maturità, che o li fa precipitare in una precoce vec- chiaia o li lascia per sempre con una mentalità di bam- bini. Con loro, in fondo, la vita è crudele: li priva di una vera giovinezza e non consente, nella maggioranza dei casi, nemmeno una normale maturità, afflitti come sono dagli spettri dei ricordi dei trionfi troppo diffìcil- mente rinnovabili. Per chi non fosse d'accordo con noi, basta ricordare Mennea, il grande campione dell'atletica italiana, che ha smesso e ripreso l'attività molte volte fra tormenti fisici e psicologici e polemiche sempre maggiori che l'hanno ridotto, alla soglia dei quarant'anni, ad un essere, secondo noi, inquieto e scontento che non rie- sce, e difficilmente vi riuscirà, a trovare una nuova col- locazione nella vita che sostituisca quella ormai persa per sempre. La notorietà, l'essere riconosciuto dovunque ed essere osannato o quantomeno applaudito, è il sogno di quasi tutti coloro che inseguono il grande successo. È indubbiamente una delizia che poi diventa una croce perché priva chi ne è oggetto di alcuni impalpabili, ignoti piaceri che diventano evidenti solo quando non li si può esercitare: viaggiare e poter conoscere i propri simili in uno splendido anonimato, poter passeggiare frammisto alla folla, poter intrecciare sentite storie d'a- more senza che la stampa se ne occupi, in sostanza poter avere integra la propria privacy. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: ANATOMIA DEL SUCCESSO (metodo o espedienti per ottenerlo) saggio Sab Gen 03, 2009 1:22 pm | |
| Oggi i giornali, i rotocalchi, i paparazzi, il sacro mostro rappresentato dalla televisione, tutti all'inces- sante, ossessiva ricerca di scoops, grandi o piccoli che siano, non consentono, molto più di ieri, ai personaggi noti (che sono aumentati enormemente) una vita, sia pure parzialmente, anonima. E poi, come se non bastasse, c'è il pericolo di attentati, di rapimenti e di estorsioni per tutti quelli che hanno aggiunto il grande successo. Artisti, attori, sportivi, uomini politici, governanti, procuratori capi, scrittori, professionisti, industriali e imprenditori importanti sentono il loro successo avvelenato dalla noia di essere continuamente contornati da guardie del corpo pubbliche o private e dal timore che un loro famigliare sia colpito. Molti di loro sono costretti ad inviare i figli a studiare all'estero e a prendere mille precauzioni quando li fanno ritor- nare per brevi periodi nella casa paterna. Fra i tanti casi che potremmo citare, ne raccontiamo uno che ci sembra particolarmente simbolico. Due fra- telli, modesti appaltatori, riuscirono, a quanto si dice- va, in virtù di protezione e cointeressenza da parte di un "ras" politico locale, ad ottenere una forse troppo permissiva licenza edilizia per l'edificazione di un grande villaggio turistico su suoli acquistati come agri- coli e quindi a prezzi minimi. Una fitta boscaglia in riva al mare fu per chilometri distrutta e al suo posto sor- sero non solo villette, ma numerosi e, a nostro avviso, obbrobbriosi grattacieli e una rete viaria formata da strade troppo piccole arricchita da stentati alberelli. Un porto turistico di notevoli dimensioni, ma detur- pante la costa, completò la realizzazione. I due fratelli, pingui di denaro e di successo, amministravano il com- plesso e continuavano a costruire quando un rapi- mento mise a nudo ricchezze e miserie. Il figlio di uno dei due, studente di ingegneria, che si recava all'uni- versità in un'auto corazzata e attorniato da più guardie del corpo armate fino ai denti e da un collega anch'esso armato, fu seguito, bloccato e rapito senza che tutto l'apparato di difesa potesse far nulla per impedirlo. Si seppe che lo zio, più prudente, da tempo aveva spedito tutti i figli a studiare in Svizzera. Giorni di ansie e tor- mentose trattative e il grosso pubblico potè ammirare e, forse, con una punta di piacere, irridere le immagini della principesca villa dei fratelli vuota di gioventù che, pur se da nababbi, era stata costretta ad emigrare. La riflessione che giunge spontanea è: "perché i due fratelli non hanno messo su casa in Svizzera?, a che serve il Successo se non ci si può godere i figli negli anni più belli?". La risposta è, secondo noi, che il rapporto uomo o donna di successo-famiglia è notevolmente falsato ed inquinato, non solo ad obbiettivo raggiunto (che non viene quasi mai ritenuto sufficiente), ma anche quando si persegue, con l'ossessività indispensabile, la propria realizzazione lavorativa a grandi e a volte medi livelli. Si immagini una donna artista, politica, professioni- sta di successo e i rapporti con il suo uomo che invece non lo ha raggiunto. Sono orchestrati su una sottile continua invidia o sul disprezzo o lo scherno, spesso maldestramente mascherato dei conoscenti per il marito che vive al traino della sua donna. In un caso o nell'altro difficilmente il matrimonio sarà felice e i figli non saranno sereni sia pure a livello inconscio. È quella una famiglia dove le nevrosi sono di casa o premono minacciose alle porte. Se invece, ed i casi sono molto più frequenti, il suc- cesso lo ha o lo persegue il marito, la moglie dovrà essere una specie di santa perché, ed è ovvio, sarà nel- l'essenza trascurata. Non bastano attenzioni di maniera o ricchi regali per farla felice se la naturale ambizione della donna (che esiste come in tutti gli esseri umani) non si realizza attraverso le ambizioni del marito. Ma, si sa, le donne hanno un delicato meccanismo psicologico specialmente nell'amore. La loro passiona- lità è ben più forte, sulle lunghe distanze, di quella del- l'uomo. Da lui, amante o marito che sia, vogliono essere tenute nel massimo conto. Cosa che di solito non avviene quando l'uomo è totalmente preso dall'in- seguimento al grande successo. Egli dovrebbe unirsi o con una scialba donnetta che provveda alle spicciole questioni di tutti i giorni senza farle pesare e senza disturbarlo, o con una vera donna che sappia tollerare il suo ossessivo impegno immedesimandosi a tal punto da far sue gioie o delusioni che ne conseguono, ma senza imporre troppo la sua presenza o il suo inter- vento quando non sono richiesti. Quest'ultima, in sostanza, dovrebbe essere, come dicevamo prima, una specie di intelligente santa. In possesso di qualità, cul- tura e competenza sì da poter aiutare il suo uomo ma in modo anodino, quasi come una voce interiore. Si può facilmente comprendere che un tale incontro non è molto probabile e quindi, nella maggioranza dei casi, la famiglia o la compagna dell'uomo che ha rag- giunto o persegue il successo non sia serena, ma spesso dilaniata da manifeste od oscure vertenze. In fondo l'uomo (e anche la donna) che tende, nel campo lavorativo, a realizzarsi alle massime espressio- ni, dovrebbe rimanere, come i sacerdoti, celibe con un'anziana "perpetua" che badi alla sua casa dando sfogo fuori, con conoscenze occasionali, ai suoi bisogni sessuali. Solo a successo raggiunto e quando non voglia rinnovarlo o ampliarlo, potrà avere una donna da amare e una famiglia, e sapersele godere per quello che l'età, non più tanto giovanile, e il carattere glielo con- sentiranno. Prima è troppo pericoloso e comunque egoistico a meno che non ami in modo vero la sua com- pagna perlomeno quanto il successo e sia pronto ad accantonarlo quando lei ha bisogno, per problemi psi- cologici o fisici, di tutta l'attenzione, l'impegno e le capacità, non certo limitate, che egli possiede. Non è tutt'oro quindi quello che riluce nella "affer- mazione nella carriera" che è ben diverso dal "brillante esito nella vita". Solo in rarissimi casi le due definizioni si realizzano in un essere umano e unicamente allora si può parlare di successo pieno. L'esistenza ha delle strane compensazioni in un intersecarsi interminabile di soddisfazioni e di frustra- zioni. Ciò che appare invidiabile, perfetto poche volte resiste ad un'attenta spieiata analisi che sovente, quasi sempre, rivela, accanto a folgoranti ricchezze, pro- fonde miserie. Un uomo e una donna normali desiderano, tendono all'amore completo, ma quando inseguono incessante- mente il successo lavorativo debbono rinunciarvi o accontentarsi di palliativi. Se poi all'amore si tende e lo si raggiunge solo a successo conseguito, rimane sempre a minarne la gioia, il dubbio di non essere amati per se stessi, per la propria personalità nella quale è ormai inglobato il successo, ma solo per ciò che questo può dare in possibilità di acquisto o sociali alla donna ama- t3 Troppo deve essere sacrificato alla "affermazione nella carriera". Allora, tranne che per i veri "vocati" per i quali non ci sono alternative, ci si domanda se non convenga non inseguirla o accontentarsi di un successo di apparenza che owiamente non potrà certo essere ai massimi livelli. L'apparenza oggi è sempre più di moda e, pur com- portando un certo impegno, questo non è poi tanto ossessivo da non permettere di pensare anche a tutte le altre delizie più minute che la vita continuamente ed in ogni stagione offre. Si compiranno studi più facili e la ricerca di protezioni e inserimenti sarà sempre attiva ma non al punto da far trascurare divertimenti, la cura del proprio fisico o della propria mente e principal- mente la disponibilità verso i famigliari, gli amici, i viaggi per diletto (non importa se compiuti con minore disponibilità di mezzi o in luoghi più vicini ed econo- mici) e principalmente verso le donne, il sesso goduto appieno perché esso per estrinsecarsi pienamente "non vuole pensieri". E i successi con tutti loro non mancheranno perché in fondo l'essere umano vuole dai suoi simili principalmente disponibilità e bellezza. A quest'ultima oggi ci si può giungere anche se madre natura non è stata, alla nascita, particolarmente beni- gna. Sports, palestra, acconciatori, abbigliamento ade- guato ci aiutano in maniera determinante anche con spese limitate perché tutto o quasi in questo campo può realizzarsi decentemente "in economia". Il footing è gratuito e i sofisticati attrezzi da palestra possono facilmente essere sostituiti come gli acconciatori per- ché possono essere facilmente imitati, l'abbigliamento "casual" lo si trova ad ogni prezzo. Solo molto tempo è indispensabile e quello c'è quando non si insegue ossessivamente il successo lavorativo ai grandi o medio-grandi livelli. Sì, il successo lavorativo raggiunto fa vetrina. Ciò è indiscutibile, ma una volta entrati in quel particolaris- simo negozio rappresentato dall'essere umano, si può rinamer delusi, insoddisfatti e allora si vola verso chi ci offre un corteggiamento costante, sempre vivo e ci fa sentire le persone più importanti del mondo, ed e pronto, anche se per qualche tratto, ad accompagnarsi a noi condividendo ogni nostra gioia e ogni nostro dispiacere, anche il più piccolo e trascurabile. L'uomo che persegue e raggiunge il successo lavora- tivo avrebbe bisogno di grandi vere donne che sono rare, di grandi figli che sono rarissimi. La stragrande maggioranza sincera si dona totalmente senza riserve a chi a sua volta sa donarsi. I figli sono orgogliosi di un padre importante ma, alla fine, risentono come di un peso il dover cercare di eguagliarlo o superarlo e della sua forzata assenza; quantomeno mentale. Preferi- scono averlo come un compagno di giochi solo più grande ed esperto di loro, non come un grande irrag- giungibile maestro. Ecco, modesti impiegati, operai, uomini di scarso successo lavorativo, la grande verità: il vero successo nella vita è il vostro se riuscirete a donarvi totalmente. Non sentitevi, non mostratevi frustrati, non siate invi- diosi di quelli che vi appaiono grandi uomini. Essi, nella stragrande maggioranza, lo diventano solo m campo lavorativo e, in fondo, pur essendo utili alla comunità, lo sono, tranne luminose eccezioni, molto di meno a se stessi e alle loro famiglie. La vita, episodio breve e irripetibile, va vissuta in tutte le sue espressioni, ma, se una scelta va fatta, biso- gna, con ogni probabilità, preferenziare i minuti piace- ri, quelli che a goccia a goccia sono capaci di forare una pietra e di scaldare i cuori. | |
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