| | L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX | |
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Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 6:51 pm | |
| CAPITOLO X Fin da quando ero partito da Napoli, mi ero ripromesso di visitare, approfittando di un pomeriggio libero, Lugano e Campione d'Italia delle quali avevo tanto sentito parlare. Più volte, da quando frequentavo Caterina, le avevo chie- sto di accompagnarmi, ma lei, così accondiscendente nei miei riguardi, procrastinava questa gita adducendo vari pretesti. Perché si comportava così? Temeva forse di apparirmi troppo libera nell'accettare di recarsi con me fuori Milano? O forse la madre, che apparentemente non interferiva nei suoi movimenti, non glielo avrebbe permesso? O forse te- meva, dopo il bacio che le avevo dato la sera del teatro e gli altri che ogni notte salutandoci ci scambiavamo, che le avrei chiesto di più trovandoci soli in auto fuori città? Una sera — era uno degli ultimi giorni che avrei potuto trascorrere a Milano (i soldi e la Fiera stavano finendo) — le rinnovai l'invito, ma lei mi rispose che il giorno dopo non avrebbe potuto .lasciare la madre sola fino a tardi e che for- se saremmo potuti andare in quello successivo. Non le chie- si più nulla e nel salutarla la lasciai tenendole il broncio e non le diedi l'ormai tradizionale bacio della buonanotte che tanto sembrava gradire. Verso le 14 del giorno seguente direttamente dalla Fiera ' partii per Campione. Da corso Sempione — com'ero diven- tato bravo con gli insegnamenti di Caterina a districarmi fra il traffico e le strade di Milano! — imboccai, dopo il 87 grande rondò, l'autostrada per Como. La giornata era limpida e calma e osservavo con gioia e quasi con orgoglio il susseguirsi sui lati della strada, anche se a notevole distanza, degli innumerevoli stabilimenti in- dustriali, piccoli, grandi e a volte immensi, che sormontati da enormi e visibilissime insegne, producevano mercé di ogni genere e tipo. Sembrava di essere'piombati in un caro- sello televisivo. Mobili, biscotti, fernet, panettoni, motoci- clette, automobili, scarpe, pneumatici e tanti altri prodotti dai nomi famosi. Anche l'aria era pregna di odori stranissi- mi nei quali di volta in volta si poteva forse avvertire quello caratteristico dei prodotti che a breve distanza venivano fabbricati. Solo molto di rado assumeva l'odore più natura- le di campagna. Grosse automobili o agili e ruggenti sportive mi supera- vano in continuazione, mentre sempre più di frequente in- crociavo immensi autotreni colmi di ogni mercanzia. Era quella l'immagine della ricchezza lombarda, punta di dia- mante del boom economico italiano di quegli anni. Lasciata l'autostrada a Como, costeggiai il lago e rag- giunsi in breve tempo il confine a Ponte Chiasso e, munito- mi dell'assicurazione obbligatoria per la mia automobile, entrai in Svizzera dove fui particolarmente colpito da gran- di cartelloni che, sui marciapiedi, sui muri e infine sulle stazioni di servizio, pubblicizzavano il costo della benzina tanto inferiore a quello italiano. Attraversai Mendrisio, Capolago e giunsi a un bivio dove un cartello stradale indicava a sinistra Lugano e a destra Campione. Andai a Lugano dove le strade strette, ma pulitissime era- no ricche di negozi ordinati, ma infinitamente più piccoli e meno illuminati di quelli milanesi. Superato il centro, dopo una curva che costeggiava il lago e vicinissimo a dei giardi- netti molto ben tenuti, vi era il Kursaal, una specie di Casi- no posto in un bei palazzotto, dove su una facciata laterale vi era un cinematografo. Rimasi stupito nel vedere che l'ultimo spettacolo iniziava 88 alle 20 e che durante la proiezione non era permesso entra- re nella sala. Che differenza con quelli italiani e specialmente con quelli napoletani, la cui ultima rappresentazione iniziava anche alle 23. Da una piccola cosa si può avere l'immagine di modi di vivere e di mentalità tanto diversi. Dopo una passeggiata nella piccola città, entrai nel Kur- saal. Vi era una roulette a nove numeri e poca gente. Mi an- noiai subito e presto ripartii diretto a Campione. Ripercorsi il ponte basso che attraversa il lago e mi immi- si sulla strada per questo strano lembo d'Italia, tutto cir- condato da territorio svizzero. Due alte colonne indicavano l'ingresso della cittadina e poco dopo parcheggiai davanti al Casino. Quanta differenza con il Kursaal di Lugano. Il fabbricato non era molto più grande, ma all'interno, che lusso e che movimento! Pavimenti in marmo pregiato, grandi lampada- ri di cristallo, tende di velluto, valletti in livrea e moltissi- ma gente che si affollava vicino ai numerosi tavoli dove si giocava con accanimento alla roulette, al baccarà, allo che- min de fer, ai dadi, al black and jack e vari altri giochi. Gironzolai fra le sale abbagliato da tanta luce, dalla tanta confusione e dall'enorme quantità di denaro che follemente veniva puntato. Allora ricordai una mia follia di anni prima quando, non ancora ventenne, ero stato condotto in una bisca più o me- no clandestina in una località di villeggiatura fra Roma e Napoli. Lì, in una specie di stalla ripulita, molti elegantissi- mi villeggianti puntavano pazzamente come qui e forse di più su una specie di rudimentale roulette a dodici numeri. Fui anch'io completamente preso da quell'atmosfera folle e puntavo, puntavo intestardendomi sul numero nove, con- vinto che quello fosse il "mio" numero, quello che mi avrebbe portato fortuna. In breve rimasi senza denaro, ma smanioso di giocarne altro; fortunatamente non avevo la possibilità di procurarmene altro: ero completamente paz- zo! Avevo esaurito in brevissimo tempo tutto il mio capita- 89 letto di studente che sarebbe dovuto bastarmi per altri quindici giorni. Se avessi posseduto milioni o roba da ven- dere, avrei senza alcuna esitazione consumato tutto senza pensarci! Solo quando, in preda a forte agitazione, uscii sulla strada mi resi conto del mio raptus e di come il gioco può distruggere un uomo. Mi servì da lezione. Ora in questa vera casa da gioco, la prima nella quale ero potuto entrare, incominciai ad osservare con maggiore at- tenzione e freddezza il gioco e i giocatori. Molti di questi avevano visi a me noti per averli visti in Fiera. Evidente- mente industriali, funzionar! e rappresentanti che trascor- revano la giornata negli stands, dove con serietà ed effi- cienza provvedevano alacremente a porre le basi per attiva- re il proprio lavoro e le proprie entrate, poi di sera scarica- vano le tensioni accumulate in giornata giocando violente- menté e ostentavano il proprio benessere indossando abiti costosi e orologi di gran marca con massicci bracciali d'oro. Le loro compagne poi erano agghindate con vestiti di gran prezzo, gioielli di notevole valore, messi in ogni possi- bile punto dei loro vestiti, collo, orecchie, braccia e dita. Avevo spesso sentito parlare delle prime alla Scala di quegli anni, dove quasi tutti i palchi erano accaparrati dai "commenda" che esibivano le loro donne il cui abbiglia- mento, vestiti, mantelle di pregiatissime pellicce, gioielli enormi, doveva dare ai concorrenti l'immagine del loro suc- 'esso opulento. Era gente, quella della Scala e questa del Casino, per altri 'versi degna di ammirazione per il grande lavoro svolto, il coraggio con il quale dopo aver realizzato denaro partendo da zero quasi sempre, rischiavano i loro capitali per impie- garii in nuove pericolose attività industriali e commerciali. Ma poi tanta ostentazione e pacchianeria! Che complicati meccanismi muovono la mente umana. Gente in gamba che perde improvvisamente il senso delle proporzioni e vuole in brevissimi tempi colmare lacune culturali e ambientali pensando che tutto può essere facilmente risolto con il de- naro. Altri invece più saggi lasciano che la seconda genera- 90 zione, quella dei figli, per mezzo di studi, di frequentazioni di buone scuole e di clubs, raggiunga, come è anche giusto, quello che a loro non è consentito essere o fare, occupati come sono ad accumulare denaro e proprietà di ogni gene- re. Mi aggiravo facendo quelle considerazioni e il fascino ini- ziale che l'ambiente del Casino aveva esercitato su di me, incominciò ad attenuarsi. Anche l'arredamento mi sembrò meno di gusto, ma forse più consono a quei frequentatori. Vi erano fra esso e loro molteplici analogie. Sedetti a un tavolo di roulette dove incominciai a puntare timidamente piccole cifre suddivise in parti uguali fra il numero in pieno e il rosso o il nero. Vinsi qualche puntata alla pari e poi improvvisamente il croupier annunciò: "Trente-six, rouge, pair, passe". Era il mio numero! Avevo vinto trentasei volte la posta. Attesi che il croupier pagasse le puntate sul rosso, sul pari, sul passe, sulla colonna, sui carré e infine alzai un dito per indicare che uno dei tre gettoni sul numero era mio. Ma un "signore", uno di quelli, con uno spiccato accento romane- sco, affermò violentemente che tutti i gettoni sul numero erano i suoi. Educatamente confermai che una delle puntate era mia e quello alzò ancora di più il tono della voce. I croupier non sapevano cosa fare e un ispettore mi venne vicino e mi chie- se se ne fossi proprio sicuro. Avvampai. Non potevo ammet- tere che si nutrissero dubbi su di me. Non avevo grandi oro- logi e bracciali d'oro, ma pensavo si vedesse che non ero certo tipo da imbroglio o da distrazioni. "Certo che ne sono sicuro. Punto solo su un numero e sul rosso o sul nero. Non posso sbagliarmi. Forse il signore che grida tanto e che punta anche tanto può confondersi. Io no!" Il gioco era ripreso. L'ispettore si recò dal romano che ribadì che le puntate erano le sue. Lui decretò allora la divi- sione della vincita e me la comunicò. "Assolutamente no! Sono più che certo di quello che af- 91 fermo. È strano che i croupier non abbiano notato. Comun- que se volete dividere io non accetto". Giunse il vice direttore. La somma per il Casino era di en- tità irrisoria. "Signore, scusi, ma la soluzione è quella di dividere la vincita. La prego di accettare". "Ma io non so come si possa fare così. Non paghi nè me, nè lui e devolva l'intero importo in beneficenza". "Purtroppo non possiamo. A titolo personale la prego di accettare". Si chinò e sussurrò: "Io penso che abbia ragio- ne lei, ma come posso affermarlo? Abbia pazienza e poggi le giocate al croupier, non correrà più questo rischio". Fremevo di sdegno e non avrei voluto cedere: mi sarebbe sembrata un'ammissione di colpa o per lo meno di dubbio, ma non potevo rifiutare una richiesta così gentilmente for- mulata. "Va bene, accetto, ma solo per non crearle difficoltà e faccia controllare chi può sbagliare". "Grazie, signore, lei è comprensivo". Diede ordine al croupier di pagare metà importo a me, metà all'altro'e si allontanò tranquillizzato, dopo essersi trattenuto un po' anche con il mio oppositore. Provai il vivo desiderio di abbandonare quell'ambiente che non sentivo mio e dove certamente non potevo trovarmi a mio agio, ma non sarebbe stato opportuno. Dovevo conti- nuare a giocare nello stesso modo di prima, anche per di- mostrare agli altri giocatori del tavolo che non ero di certo io quello in torto. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 6:52 pm | |
| Continuai còsi svogliatamente a puntare, senza più segui- re un qualsiasi schema. Non che questo potesse servire molto in un gioco di fortuna come la roulette. Certo, vi è il calcolo delle probabilità, ma esso può avere un qualche fondamento solo dopo un numero considerevole di puntate, non in breve tempo. Non vinsi più nulla, nemmeno sul rosso o sul nero. Con- trariamente a me, il 'signore' romano continuava a punta- re molto e anche a vincere e questo fatto acuì la mia irrita- 92 zione e il mio disgusto. Ciò poteva sembrare la conferma che io ero quello che aveva affermato una cosa non vera. Terminai i gettoni e finalmente fui libero di alzarmi e an- darmene. Ero colmo d'ira, ma ce l'avevo più contro me stesso che contro gli altri. Avrei dovuto saper dominare i sentimenti che mi agitavano e cercare di essere meno sensibile. Avrei dovuto freddamente valutare l'incidènte per quello che realmente valeva e non gettare via, oltre le vincite, i soldi che avevo cambiato in gettoni all'inizio del gioco. Montai in auto e rapidamente uscii da Campione. Guidavo nervosamente, in preda com'ero a quelle amare riflessioni sul mio carattere. Improvvisamente alla luce dei fari vidi due ragazze che facevano segno di autostop. Bloc- cai l'auto con una violenta frenata. Forse avrei potuto rifar- mi! Una delle due mi chiese: "Andare Lugano?" "Sì, salite". Le due ragazzone montarono allegramente sulla mia pic- cola auto. Una, che mi era sembrata bionda, prese posto sul sedile posteriore. L'altra, forse bruna, su quello accanto a me. Avviai l'auto. Mi sentivo tutto ringalluzzito. Era oltre mezzanotte e quelle due ragazze sole sulla strada mi avevano chiesto un passaggio e ora erano lì con me. Non dovevo farmi sfuggire quella grande occasione! Ero a oltre mille chilometri da casa e non mi importava di nulla. Avrei dovuto tentare di tutto. "Io napoletano, e voi?" "Noi olandesi". Guidavo con una mano sola e a ridotta andatura. Inco- minciai a toccare con la destra la ragazza di dietro e questa: "No, cosa fare. Basta!" Portai la mano su quella che mi era accanto e lei mi lasciò fare. Frugavo, toccavo, tastavo sopra e sotto. L'auto proce- deva sempre più lentamente e quasi pensavo di fermarla. 93 Ritornai a tastare più arditamente quella di dietro che mi sembrava più bella, ma questa: "No. Se continuare noi prendere altra macchina". Parlava di autostop come di prendere un taxi. Non le die- di retta e continuai a tastare e a stringere, mentre bloccavo l'auto. Ma quella era decisa e con voce furiosa disse: "Noi uscire" e all'amica: "Go!" "Perché, io non vi piaccio?" "Noi avere fretta, non potere. Portarci Lugano o prendia- mo altro car". Non mi importava di nulla e non volevo perderle. In una posizione impossibile riuscii di forza a baciare quella di dietro, l'unica oppositrice. Sembrò per un attimo gradire, ma poi mi allontanò violentemente: era forte. Le strinsi il seno e poi rimisi in moto e molto lentamente per la strada buia e in discesa mi diressi verso Lugano che si vedeva in distanza. Con la mano libera mi dedicai a quella alla mia destra. La toccavo, accarezzavo, stringevo sempre più inti- mamente. Lei non diceva nulla e dopo un po' mi accorsi che non solo non si opponeva, ma provava gran piacere. C'era però quella di dietro. Se anche lei fosse stata consenziente, che bella nottata avremmo potuto passare in tre Quanto tempo impiegammo a percorrere quel piccolo tragitto? Non so, ma certamente molto, anche se a me sem- brò brevissimo. Giungemmo alle porte di Lugano e sperai di poter rima- nere solo con una delle due. Ero certo che tutto sarebbe sta- to più facile. Quasi nel centro della piccola città scarsamente illumi- nata, quella di dietro, che avevo di tanto in tanto carezzato e pizzicato provocandone sempre violente proteste, mi dis- se: "Fermare, io scendere qui" e, salutata l'amica, si allonta- nò. Notai con rabbia quando passò sotto un lampione che era davvero bella. Peccato, ma mi sarei rifatto con l'altra, la do- cile, quella che aveva mostrato di gradire. 94 "Please, portare avanti a Cassarate". " Dov'è ?Where is?" "Fuori Lugano, collina". Rimisi in moto e uscimmo da Lugano. Mi indicò una stretta strada in salita e quasi senza case. L'imboccai. Per- corremmo alcune centinaia di metri e la strada, contornata da alti muraglioni che si interrompevano solo di tanto in tanto per dare spazio a elaborati e imponenti cancelli, forse di ville, era sempre più solitaria e buia. Era il momento e il luogo per realizzare quanto mi ero proposto di fare da quando il destino, quasi a compensazio- ne delle delusioni di Campione, mi aveva fatto incontrare quelle ragazze, quelle straniere, quelle che, ci dicono, sono così facili e pronte a fare l'amore senza complessi e nel mo- do più sfrenato. Accostai l'auto sotto il muro e la fermai. "Perché fermare?" L'accarezzai e le strinsi il seno. "Perché mi piaci e voglio fare l'amore con tè. Anche tu lo vuoi. Ti piaccio, come tu piaci a me". Mi lanciai su di lei con impeto e voracità e la baciai vio- lentemente, mentre con le mani la frugavo tutta e incomin- ciai a spogliarla con gesti decisi e quasi brutali. "No, non così". "Sì, così, così. Noi italiani vogliamo fare così". Tentava una qualche opposizione, ma questa si faceva via via sempre più debole. Era soda e piena, gambe levigate e calde, un seno prosperoso e con grandi capezzoli gonfi e du- ri. Le strappai le mutandine e maledicendo la piccolezza e scomodità della 500, la presi con violenza. Si avviluppò a me, le gambe strinsero con forza la mia vita e incominciò a gemere m una lingua a me sconosciuta. Trovammo subito l'accordo e ne traemmo un caldo e pieno godimento. Mi ab- bandonai soddisfatto sul sedile e accesi le sigarette. Mi ac- carezzava il viso e il torace con dolcezza. "Come chiamare? What is your name?" "Gianni, e tu?" "Hilde". 95 "Sei olandese?" "Sì, e tu?" "Napoletano". "Ah, ora capire, tu piacere molto". "Anche tu. Cosa fai qui a Lugano?" "Sono pari, casa dottore". "Ah, una ragazza alla pari. E da quando sei a Lugano?" "Quattro mesa". "Cosa facevi a Campione con la tua amica?" "Usciti con boy-friends". "E la tua amica come si chiama?" "Else". "Perché non voleva stare con me?" "Lei innamorata e venuta qui per suo boy". "E tu no?" "Io amare tè". Mi baciò quasi con disperazione. Il gran calore e la gran voglia si rimpadronirono di me e nuovamente, ma con mag- gior dolcezza, la penetrai. Era abbandonata su di me, le lab- bra morbide, voraci e piene sfioravano il pube, il ventre, il torace per poi ridiscendere. La mano carezzava le mie lab- bra, il mio viso, i miei capelli. "Stay you in Campione?" "No, non a Campione, ora sto a Milano per lavoro, ma abito a Napoli". "Ah, allora non vederci più?" "Sì, non parto subito e poi posso ritornare a Lugano. Tu rimani qui?" "Ancora due mesa... What time is it?" "L'una e mezzo". Saltò a sedere come una molla compressa che improvvi- samente venga liberata. "Dovere andare, dottore mandare via". "Non ancora". "Sì, sì, prego, prego". "Quando ci rivedremo? Vuoi rivedermi, è vero?" "Sì, Gianni, tu piacere molto". 96 "Allora quando?" "Domani venire ore quattordici Suvigliana piazza". "Dov'è?" "Vicino". "Va bene, domani. Ma dammi il tuo indirizzo completo". Alla fioca luce dello specchietto retrovisore segnò il no- me, l'indirizzo, il bar della piazza di Suvigliana e l'ora e poi, mentre riavviavo l'auto si rivestì con gesti agitati. Dopo po- co mi chiese di fermare, mi baciò con grande trasporto e si allontanò di corsa. Cercai di vederla meglio ma potei notare soltanto l'alta figura che scompariva dietro un cancello. Era la prima volta che facevo l'amore senza essere riusci- to a vedere chiaramente la mia partner. Ne ero però piena- mente soddisfatto e appagato. 'Per la miseria, Gianni, sei proprio in gamba. Come le sei piaciuto!', mi dissi. 'Peccato che non possiedi un'auto più grande e attrezzata come tante persone che conosci e che riescono a trasformare, solo manovrando un paio di leve, la propria macchina in una specie di comodo letto matrimo- niale. Speriamo di riuscire a trovare domani un bei posto per fare l'amore in una posizione meno da contorsionista. E Caterina? Ben gli sta. Non è voluta venire e tu hai subito trovato sostituzioni validissime'. Ora dovevo ritornare a Milano o rimanere a Lugano per l'appuntamento con Hilde? Sarebbe stato più comodo re- stare lì, ma non avevo da cambiarmi e poi attendevo notizie da Napoli e dalla ditta Magli e infine mi sarebbe piaciuto far capire a Caterina come aveva sbagliato a non venire con me. Ripartii per Milano e impiegai molto tempo a percorrere l'autostrada, dove aleggiava una nebbiolina fastidiosissima che riduceva la visibilità a soli pochi metri. La luce dei fari in posizione abbagliante si rifletteva in modo estremamen- te dannoso e solo con le "mezze luci" si riusciva a scorgere qualcosa. 97 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 6:55 pm | |
| CAPITOLO XI Fui risvegliato dal timido bussare della signorina La Gioia. "Avanti". "Posso?" "Venga, venga pure". La donnetta entrò. "Signor Cruni, c'è la signorina Caterina al telefono". "Le dica, per favore, che la richiamerò io fra un quarto d'ora". "Ma è la seconda volta che telefona stamattina". "Che ore sono?" "Le nove e trenta. Ha fatto tardi stanotte?" "Così tardi!". Chiesi conferma al mio orologio che pescai faticosamente fra i giornali che ingombravano il tavolino. "Va bene, vengo". "Ah, signor Cruni, guardi che ieri ha telefonato un signo- re della ditta Magli e ha lasciato detto che l'attendono do- mattina a Partana". "Tutti insieme. Grazie, signorina. Ora vengo". "Le preparo subito la colazione e il bagno pronto". "Lei è proprio un angelo. Le ho portato una scatola di cioccolatini dalla Svizzera. Spero che le piacciano". La sarta si emozionò. "Che caro! Grazie, ma perché disturbarsi". "Per lei tutto è poco. È il mio angelo custode!" Saltai giù dal letto e dal grosso pacco che avevo portato 98 da Lugano contenente tavolette di cioccolata, accendini e scatole di bonbons, trassi la più grande e la consegnai alla donnetta. Poi, infilatami la veste da camera, raggiunsi velo- cemente il telefono nel corridoio. "Pronto". "Gianni, finalmente!" "Scusami, Caterina, ma ora mi sono svegliato". "Così tardi, ma che hai fatto? Ti ho telefonato ieri di po- meriggio, di sera e stamattina presto". "Ho fatto tardi stanotte. Sono andato a Lugano e a Cam- pione". Qualcosa si ruppe nel tono così armonioso della sua voce. "Ah, ci sei andato?" "Certo, e hai fatto male a non venire con me, mi sono di- vertito molto. Non hai voluto accompagnarmi e io ho trova- to subito buona compagnia". "Ma ci saremmo andati oggi". "Troppo tardi. Debbo partire stasera per lavoro e poi ho un appuntamento alle due con chi ho conosciuto ieri". "Ci andremo insieme". "No, Caterina, mi dispiace, ma non è possibile". Provavo una gioia sadica. "Perché, non ti va più la mia compagnia?" "Non è per questo, ma tu hai fatto andare un napoletano solo in Svizzera e un napoletano non rimane mai senza compagnia femminile". "Ah, hai un appuntamento con una donna?" "Sì, proprio così". La calma, la equilibrata Caterina quasi piangeva a giudi- care dalla sua voce. "Ma se stasera parti, vuoi dire che non ci rivedremo più". "Quando ritornerò a Milano". Il piacere della mia cattiveria aumentava. Quante e quali frustrazioni causava quel mio atteggiamento? "Senti, sono quasi le dieci. Fra mezz'ora vengo a prender- ti. Staremo insieme per lo meno stamattina fino a quando non parti per Lugano". 99 "Ma ho da prepararmi per la partenza". "Lo puoi fare nel pomeriggio. Debbo vederti, voglio ve- derti, vengo subito". Che soddisfazione maligna provavo! "Va bene, se lo vuoi proprio, ma per non più di un'ora". "Vengo, a fra poco". Abbassò il telefono. La mia affittacamere mi portò la colazione e il giornale. "Mi permette che le dica una cosa?" "Dica". "Perché fa soffrire quella cara signorina Caterina? Le de- ve volere un gran bene. Telefona sempre e parla di lei con un tono così affettuoso. E poi ieri ha telefonato tante volte e chiedeva dove era andato e quando sarebbe rientrato. Mi aveva anche raccomandato di farle telefonare a qualsiasi ora". "Ma io non voglio far soffrire nessuno. Solo che sono an- dato a Lugano e ho fatto tardi e stasera debbo partire per Ravenna. Quello che mi dispiace è di dover lasciare lei e la sua casa. Mi sono trovato bene qui". Riaprii il grande pac- co, ne presi un accendino e glielo porsi. "Questo lo può re- galare a qualche suo nipote". La sarta era davvero emozionata. "Grazie, lei è stato il pensionante migliore e più gentile che abbia mai avuto. La considero quasi un figlio, se per- mette". "Come no, ma ora stia su. Ci vedremo l'anno prossimo per la Fiera o, se posso, anche prima". "Per oggi pomeriggio le stirerò tutta la sua roba e gliela metterò in ordine nella valigia". "Grazie, angelo". Le feci una carezza e scomparii nel ba- gno. Davanti al palazzo trovai Caterina. Era vestita con sem- plicità e accuratezza, era quasi graziosa e sempre più di- stinta e raffinata, ma il viso dolcissimo tradiva dolore e agi- tazione. Quando mi vide si illuminò tutta e mi corse incon- tro. "Gianni, finalmente!" 100 "Ciao". Ignorò la mia mano e mi sfiorò la guancia con un breve bacio, poi mi prese sotto braccio e mi guidò alla vicina auto che avviò velocemente. "Ieri è stato il primo giorno da quando ci siamo rivisti che non abbiamo trascorso insieme". "La colpa non è stata mia". "Lo so, hai ragione, ma proprio non potevo venire con te". Andammo verso il centro che attraversammo e poi, dopo piazza Castello, entrammo nel parco dove, in un vialetto so- litario, Caterina fermò l'auto. "Sono già le undici e io fra un'ora al massimo debbo ri- partire". "Lo so, ma perché devi? Non preferisci stare con me fin quando non ripartirai per Napoli?" "No, non è possibile. Ho un appuntamento a cui non vo- glio e non posso mancare". "Allora non pensiamoci più e raccontami le tue impres- sioni su Lugano e Campione". Si vedeva chiaramente che faceva un disperato sforzo per apparirmi normale, ma che era invece agitata da tanti sen- timenti contrastanti. Le raccontai di Lugano, di Campione, del Casino e di quanto mi era accaduto al tavolo della rou- lette. Le tacqui solo dell'incontro con le olandesi. La sua mano affusolata accarezzava continuamente la mia. "E ora che tornerai a Napoli che farai?" "Continuerò a studiare e a lavorare, e tu?" "Io la solita vita. Credo che mamma voglia andare a fare un giro nell'Umbria la prossima settimana". La mano raggiunse il mio viso che incominciò a carezzare in modo delicatissimo. "Quando tornerai a Milano?" "Non lo so, forse fra mesi o forse l'anno prossimo per la Fiera". "Mi scriverai?" "Certamente, ma non lunghe lettere. Mi piace più parlare 101 che scrivere". Mi abbracciò e mi baciò con infinita dolcezza. Ricambiai il bacio, ma il ricordo dell'olandese dominava i miei pensie- ri e non vedevo l'ora di poter ritornare a Lugano per ripren- dere le appaganti effusioni della notte prima. "Caterina, scusa, ma è tardi. Riportami in via Cadore". "Sì, ma hai tempo. È presto". "No, alle due debbo essere a Suvigliana, dopo Lugano". "Dimmi, quanti esami hai per la laurea?" "Cinque o sei, ma alcuni sono molto difficili. Come sai, tutti gli esami di ingegneria sono duri, non come quelli di legge. Dei nostri trentaquattro, solo quattro o cinque sono abbastanza semplici, tutti gli altri fanno paura. Sono con- vinto che un solo esame di ingegneria vale una laurea in leg- ge o in scienze politiche. Pensa poi che io ho dovuto affron- tare al Biennio Analisi e Calcolo con Caccioppoli che è un genio, ma uno dei più terribili professori universitari d'Ita- lia. Quando feci Calcolo Infinitesimale con lui, mi tenne a tormentarmi per più di due ore e alla fine mi approvò con un misero diciòtto, mentre con un altro professore avrei dovuto prendere perlomeno ventisette. Ne boccia più. del novantasette per cento. Quando, sempre con lui, feci Anali- si Algebrica..." Era un fatto che mi appassionava* e che aveva avuto tanta importanza nella mia travagliata vita universitaria e, di- mentico del tempo, raccontavo e commentavo senza inter- ruzioni. Caterina mi ascoltava mostrando molta attenzione ed in- teresse, carezzandomi con le belle mani e dandomi di tanto in tanto teneri 'baci sulle guance, sulla fronte, sul naso e sulle labbra. Finalmente mi ricordai di Lugano. Guardai l'ora. Quasi le 13. "Oh Dio, è tardissimo! Riportami subito in via Cadore". Il tono della voce non ammetteva repliche e Caterina ri- mise in moto e diresse l'auto verso il mio domicilio milane- se. Il volto era sempre triste, ma non più come prima. Forse 102 sperava di aver ottenuto lo scopo che si era probabilmente prefisso: quello di non farmi andare a Lugano. Forse così sarei rimasto con lei fino alla mia partenza per il Sud. Il traffico era intenso e Caterina sembrava aver perso la solita perizia di guidatrice e di profonda conoscitrice di quello milanese. Ero furioso, non volevo perdere l'olandese e le ore di paz- za passione che mi ripromettevo di trascorrere con lei. Non avevo pranzato e dovevo percorrere con una lenta 500 più di ottanta chilometri. Che sbadato ero stato e come ero ca- duto in quell'abile trucco. Quasi la odiavo! Giungemmo in via Cadore e salutai Caterina con rapidità e freddezza. Quasi piangeva quando tentò: "Ma non è tardi? Perché non rimani?" "No, a qualsiasi costo debbo andare" e schizzai via verso la mia auto. Credo di aver battuto tutti i records di velocità per una cilindrata 500, ma, nonostante quella folle prestazione, rag- giunsi Suvigliana, un paesino dopo Lugano, solo verso le 14,45. Mi feci indicare la piazza, vidi il bar dell'appunta- mento, scesi, mi guardai intorno, ma dell'olandese nessuna traccia. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 6:55 pm | |
| Che rabbia! Non dovevo perdere quell'occasione, special- mente dopo quella corsa disperata. Avevo l'indirizzo e mi avviai per Cassarate, che rappresenta per Lugano la città alta. Ripercorsi la stradina della notte prima e distratta- mente vidi vecchie, ma imponenti ville che si affacciavano sul lago e infine individuai quella dove abitava Hilde. Scesi, lessi la targa vicino al cancello che mi divideva da quello che era stato l'oggetto del mio godimento. Annotai il nome: Dr. Hugo Musante. Andai alla ricerca di una cabina telefonica, la trovai linda, perfetta, ordinatissima. Consul- tai l'elenco che sembrava nuovo, trovai il numero e feci sci- volare la monetina nella feritoia. Mi rispose un'autoritaria voce di donna. Chiesi di Hilde. Dal tono della risposta com- presi che forse non era proprio alla pari, ma più probabil- mente una domestica. 103 "Hallo". "Pronto, Hilde?" "Sì". "Sono Gianni. Ho fatto tardi perché ho avuto un guasto sulla strada". "Ah, Gianni. Avere atteso quasi un'ora". Il tono era aspro. Capii che le avevo arrecato offesa. Loro, così abituati a una meticolosa precisione. "Sì, lo so, scusami. Non è stata colpa mia. Vediamoci ora". "Ora non potere, essere rientrata". "Ma sono venuto da Milano per tè. Vieni". "Domani, ora non potere". "Ma domani sarò a Ravenna. Vieni subito, ti prego. Ho tanta voglia di rivederti e stare con te. Su". Il tono si addolcì. "Domandare signora, aspettare". Sentivo in lontananza suoni di voci concitate, quello bas- so e umile di Hilde e quello stridente e autoritario della si- gnora. Ritornò all'apparecchio. "Gianni, venire, ma poco tempo. Tornare bar Suvigliana e aspettare me". "Va bene, ti amo, vieni subito". Ero contento, ancora una volta la mia volontà aveva pre- valso ed ero riuscito a capovolgere gli eventi contrari. Ri- tornai a Suvigliana e pranzai a base di toasts. Scrutavo la piazza e le tre strade che vi convergevano. Da dove sarebbe venuta Hilde? Vidi avanzare ad andatura veloce una figura che rassomi- gliava a quella che avevo intravisto nella notte. Si avvicinò. Che stratosferica delusione! La figura era alta, le gambe e il seno erano prosperosi e appetitosi, ma il viso!, faccia chiazzata da contadina nordi- ca, labbra grosse e non truccate, il naso rincagnato e con la punta a patata, occhi scialbi, capelli crespi e mal pettinati. E come era conciata!, vestito dozzinale e di cattivo gusto e mani grosse e non curate. Dio, con chi ero stato la notte! Se 104 l'avessi guardata bene non solo non avrei fatto l'amore con lei, ma non le avrei dato nemmeno il passaggio in auto. Pro- vai vergogna e non potei fare a meno di pensare a Caterina che avevo solo da poco lasciato e per volare da questa brut- tezza! In quali condizioni dovevo trovarmi la sera prima! Allora è vero che di notte tutti i gatti sono bigi. Provai un ir- refrenabile desiderio di scappar via, ma lei mi aveva già vi- sto e con un largo, forse troppo, sorriso mi si avvicinò. Evidentemente il mio aspetto, al contrario di quello che il suo aveva suscitato in me, era di suo gusto e forse migliore di quello che si era immaginato. "Gianni, avere fatto aspettare molto me e litigare con si- gnora, ma non importare, ora essere insieme". Mi sforzai di sorridere e tentai: "Ma se puoi avere fastidi con il tuo lavoro, possiamo ve- derci un altro giorno". "No, cosa dire, noi essere insieme, andare. Where is your car?" "La macchina è qui. Vieni". Ero completamente scarico e avviai con lentezza l'auto. "Andare dove dire io, di lì". Indicò una delle tre strade e poi una più stretta che in sa- lita abbandonava l'abitato. Il panorama e le immediate vicinanze erano stupendi: verde, monti e giù in basso il lago di un intenso colore sme- raldo. Le mani di Hilde, così tozze e mal curate, mi accarezzava- no il viso e il torace al di sotto della camicia. Che differenza con il tocco leggero e vellutato di Caterina! Mi fermai lungo la strada. "Che bei panorama. Fammi vedere e descrivimi tutto". "Ma, Gianni, avere poco tempo, non fermare, andare avanti". Le mani si diressero verso il mio pube. Le allontanai. "No, Hilde, non ora. È giorno e qualcuno ci può vedere". "A me non importare, volere solo stare con tè come ieri notte". 105 "Ma non possiamo, è giorno". "Andare avanti, fare vedere io". Rimisi in moto e dietro le sue indicazioni imboccai una stradina sterrata che conduceva in un piccolo, ma meravi- glioso bosco. "Fermare qui". Arrestai l'auto. Come avrei fatto ora? Il suo viso e le sue mani mi davano un acuto senso di disgusto. In un lampo mi fu addosso e mi avviluppò in un abbraccio pieno di deside- rio tentando di baciarmi. Riuscii a dirottare la sua bocca sulla mia spalla e a mia volta, tanto per mostrare di fare qualcosa, incominciai a toccarle le gambe e il seno. "Bello, Gianni, bello, stringere me, amare me come ieri. Tu migliore uomo mio". Continuai a toccare e a stringere con violenza, mentre l'olandese emetteva gridolini di piacere. "I love you, e tu?" "Sì, sì". Le brutte mani ricominciarono a toccare la zona del pu- be, non vedevo l'ora di scaricarla e di andare via. L'allonta- nai e rimisi in moto l'auto. "È tardi, Hilde. Debbo tornare a Milano e tu a casa". L'espressione mostrava stupore e delusione. "Io non piacere più?", poi un barlume. "Non avere trova- to me bella?" "No, Hilde, ho fretta e sono stanco, ma ci rivedremo pre- sto. Ti telefonerò". Con notevole velocità ritornammo nella piazza di Suvi- gliana. Hilde scese tenendomi il broncio e, salutandomi con freddezza, mi lasciò un bigliettino che le avevo visto scara- bocchiare durante il tragitto. Pensavo fosse l'indirizzo olandese, invece vi era scritto: Gianni è stato 'cativo' con me. Hilde. Ritornando a Milano amare considerazioni si formavano nella mia mente. Avevo trattato male Caterina, tutto preso com'ero dal nuovo e tanto desiderato convegno amoroso. Se fossi rimasto! Non avrei rovinato un bei ricordo. Eppure 106 la notte prima al buio, quando solo il tatto aveva guidato il mio sesso, ne avevo tratto grande godimento. Anche una donna brutta, ma giovane e soda, può dare grandi gioie amorose, ma a patto che non le si veda la faccia. Ricordai allora quando fra amici scherzando si diceva che alle donne brutte bastava coprire il viso e pensare di stare con la donna dei nostri sogni. 'Ora però basta di pensare alle donne, al Casino, ai teatri, agli spogliarelli e alla bella vita', mi dissi, 'bisogna solo con- centrarsi sugli obiettivi per i quali sono venuto a Milano, aggiudicarmi le prime rappresentanze e incominciare se- riamente a lavorare e a guadagnare per essere davvero indi- pendente dai miei. Ho tutta la vita, una volta inserito nel la- voro, per divertirmi, viaggiare e andare a donne. Magli mi attende domani, debbo andarci ben preparato e ritornare a Napoli con la mia prima rappresentanza. Ho fatto tanto l'indipendente, ho lasciato gli studi per guadagnare e inve- ce con i soldi di papa sono stato a Milano non solo per lavo- ro, ma anche, e forse in prevalenza, per divertirmi. Ma per- ché, che altro avrei dovuto fare dopo la chiusura della Fie- ra, andare a letto alle otto e fare che? E poi è un peccato uti- lizzare i soldi di papa? Tanti ne prendono e ne gettano via molto più di me, anzi io sono stato sempre troppo orgoglio- so e scrupoloso e ho preso solo quello che mi veniva conces- so. Chi chiede ai genitori di metterci al mondo? Non certo i figli. E allora diano tutto quello che possono, non hanno il diritto di chiedere, ma solo il dovere di dare. Già ci infelici- tano la vita con i loro egoismi e le loro mire represse. Per lo meno paghino!' Arrivai in via Cadore. La donnetta tutta premurosa aveva preparato i miei indumenti in modo perfetto e anche fatto la valigia. La ringraziai con cordialità e pagai quanto le do- vevo. Telefonai a Caterina. Per la prima volta la sentii tener- nersi sulle sue; non era la mia solita, cara, affettuosa com- pagna milanese. Che delusione aveva probabilmente subito per colpa mia! Fui gentile con lei e cercai di farmi perdona- 107 re. La ringraziai per quello che aveva fatto per me, le chiesi di ringraziare anche la madre e aggiunsi che non l'avrei di- menticata e che ci saremmo sentiti presto. Erano quasi le 20 quando imboccai l'autostrada del Sole. Il mio soggiorno milanese era terminato. 108 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 6:59 pm | |
| CAPITOLO XII Minacciava pioggia quando da Ravenna'mi diressi verso Alfonsine e poi a Partana, il paese romagnolo dove aveva se- de la ditta Magli, quella degli elevatori. Ero lucido e preparato. Recavo con me un questionario che avevo compilato la mattina subito dopo la colazione, sul quale avrei annotato, accanto alle mie domande, le ri- sposte dei responsabili di quell'azienda. La strada attraversava una campagna ricca e piena di movimento, i paesini modesti, ma colmi di attività gioiósa, le strade affollate di donne in bicicletta, alcune delle quali salutavano con larghi gesti. Partana era un piccolo centro e facilmente mi indicarono dov'era lo stabilimento della Magli. Un cancello, un piazza- le, due capannoni di modeste dimensioni e una palazzina. Un'insegna sormontava quest'ultima: Ditta Magli - Eleva- tori e Scortecciatrici. Ne rimasi subito un po' deluso e non potei fare a meno di ricordare lo sterminato stabilimento della FIAT MIRAFIO- RI a Torino che avevo visitato un paio di anni prima in oc- casione di un Salone dell'Automobile. Ricopriva un'area di oltre due milioni di metri quadrati, con capannoni immensi che potevano essere visitati girando fra i macchinar! dei grandi reparti su un piccolo pullman. Eravamo una quindicina e un giovane ingegnere della ci- clopica azienda ci illustrava le varie fasi della lavorazione. Già all'ingresso due pezzi di marcantonio nell'elaborata ma 109 elegante divisa azzurra dei guardiani, posti davanti al lun- go edificio adibito ad uffici, ci avevano dato il passi, augu- randoci una buona visita. Ci immettemmo in Mirafiori Sud con le sue grandi presse alte più di venti metri dove, a un semplice toccare di leve, lisce lamiere venivano in un lam- po trasformate in fiancate di 500, 600, 1100 e 1800, che poi agganciate a binari aerei venivano condotte alle rispettive catene di montaggio. Queste ultime iniziavano a Mirafiori Centro dove si giungeva percorrendo un lungo e alto tunnel nel quale, sotto la volta, scorrevano a piccola velocità fian- cate, cofani, tetti, portiere e innumerevoli elementi dei mo- tori che erano automaticamente convogliati ai rispettivi re- parti, dove venivano assemblati con perfetti automatismi e rarissimi e ben studiati interventi manuali. I capannoni non avevano soluzione di continuità e davano l'impressione che non dovessero finire mai. A una certa altezza correva un fitto intrico di binari posti sui vari piani e il cui movi- mento appariva ben più complesso di quello di un grosso scalo ferroviario. Non si poteva fare a meno di ammirare quell'alto esempio di tecnologia e pensare a coloro i quali avevano progettato un impianto così perfetto. Che ingegne- ri con i fiocchi! Al termine delle quattro catene di montaggio assistemmo esterrefatti al congiungimento dei motori alle carrozzerie. I primi giungevano da un'altezza e a una velocità legger- mente superiore delle seconde e si inserivano nei rispettivi vani quasi da soli, l'unico intervento dell'uomo il rapidissi- mo fissaggio di alcuni bulloni. Solo pochi metri dopo, le au- to erano lì complete e fiammanti, pronte per il collaudo che avveniva prima sui rulli e poi su una lunga pista con curve paraboliche e il cui centro era costituito da uno stretto e lungo spiazzo dove erano riprodotte tutte le pavimentazio- ni possibili. Dall'asfalto al cemento, dallo sterrato al maca- damizzato, dal rullato al brecciato e così via. Sentii con or- goglio uno studioso inglese, che aveva visitato gli stabili- menti di case automobilistiche di tutto il mondo, affermare entusiasta che aveva visto sì stabilimenti anche più grandi 110 di quello, ma tutti sicuramente inferiori come perfezione tecnica. I circa quindicimila operai indossavano tutti le stesse inappuntabili tute e si muovevano con serietà e precisione, guidati e controllati da capireparto che sembravano ammi- ragli, installati com'erano in ampie cabine dalle pareti di vetro dalle quali potevano controllare tutta la lavorazione di loro competenza. Ricordo di essermi chiesto come facesse tutta quella gen- te a raggiungere il proprio posto di lavoro, una volta lascia- te le automobili nei vastissimi parcheggi che contornavano lo stabilimento. Nei pressi di quest'ultimo vi erano moderni fabbricati che contenevano migliala di abitazioni per una parte dei di- pendenti stessi. Anche l'Olivetti di Ivrea dove mi ero recato, costituiva un grosso complesso industriale, ma i suoi stabilimenti erano costruiti, secondo gli intendimenti dell'illuminata condu- zione dell'ingegnere Adriano Olivetti, più a dimensione d'uomo e sembravano, con le lunghe e luminose vetrate in alluminio, grandi alberghi, anziché opifici industriali. In- torno case, giardini, cinematografi, scuole e impianti spor- tivi. Sia alla FIAT che all'Olivetti, un nutrito gruppo di crono- metristi controllava gli esatti tempi di lavorazione, comuni- candone i dati a un apposito centro studi che li elaborava per proporre eventuali variazioni dei tempi stessi. Tutto l'insieme della lavorazione poteva indubbiamente essere alienante per gli operai che, provenendo in buona parte dall'aria aperta delle campagne, dovevano per lunghe ore eseguire sempre gli stessi movimenti. Una equipe di psicologi provvedeva però a studiare tale fenomeno e a sot- toporre alla dirczione i provvedimenti per ridurre al mini- mo gli eventuali danni alla psiche. Erano i problemi della grande industria, tanto più peri- colosi in un paese come l'Italia che aveva avuto una così ra- pida e massiccia trasformazione da un'economia prevalen- 111 temente agricola a quella industriale. Non erano certamente questi i problemi della Magli dove invece nei modesti capannoni, uno per le scortecciatrici e l'altro per gli elevatori, si svolgeva un lavoro organizzato ancora a livello artigianale. Qui i vari elementi che costitui- vano gli elevatori, come motori elettrici, telecomandi, cabi- ne e funi, giungevano da altre e più consistenti fabbriche e venivano solo montati secondo semplici schemi. Fui ricevuto dal maggiore dei tré fratelli Magli, quello che avevo contattato in Fiera, il quale mi condusse a visita- re il piccolo complesso facendomi soffermare per qualche tempo nel capannone degli elevatori dove vi erano una ven- tina di operai. All'aperto, vicino ad alcune cataste di legna- me, collaudai io stesso un elevatore appena costruito en- trando nella piccola cabina e nella quale, manovrando il semplice telecomando a tré pulsanti - salita, arresto, di- scesa -, potei constatare la maneggevolezza e un'accettabi- le dolcezza nel funzionamento. Nella palazzina-ufficio mi mostrò disegni esecutivi e mol- te fotografie degli elevatori venduti e delle loro rispettive applicazioni. Conobbi anche i fratelli che avevano, alla pari del mio cicerone, più aspetto di agricoltori che di industria- li, ma che, a differenza del primo, erano meno robusti e tar- chiati. Cercavo disperatamente di darmi un contegno disinvolto e competente, provando a mascherare la mia agitazione. Dovevo ottenere quella rappresentanza. Ero sempre più en- tusiasta di quei geniali elevatori e ne prevedevo grandi svi- luppi. Ero certo che di lì a pochi anni il modesto stabilimen- to si sarebbe trasformato in un considerevole opificio indu- striale. Due cose mi colpirono particolarmente, la mancan- za di un ingegnere - ero convinto fino ad allora che nessu- na fabbrica, per quanto modesta, potesse farne a meno - e il dialètto romagnolo per me del tutto incomprensibile. All'ora di pranzo il signor Magli mi accompagnò nell'uni- co ristorante-albergo del paese, dove mi affidò alla proprie- taria pregandola di farmi gustare i migliori piatti e poi mi 112 salutò dicendomi che sarebbe ritornato a prendermi dopo un paio d'ore. Ne rimasi sconcertato. Ma come, non mi faceva compa- gnia, era quello il modo di intrattenere il loro futuro rap- presentante per la Campania? Certo Mortini non sarebbe stato o non avrebbe sopportato di essere trattato così. L'atmosfera che regnava in quel piccolo ma pulito locale, la calda allegria che lo pervadeva, i cibi ottimi, la cortesia della proprietaria, una prosperosa signora di mezza età, mi conferirono presto un senso di euforia e di sicurezza e quando Magli tomo a prendermi ero tranquillo e ristorato. In ufficio incominciammo a parlare della nostra collabo- razione e del relativo contratto d'agenzia e mi sentii parti- colarmente soddisfatto quando, fra gli altri punti a mio fa- vore, mi accorsi di essere più competente di loro special- mente sullo "star del credere", articolo che prevede un con- tributo da parte del rappresentante o agente di commercio sugli eventuali mancati pagamenti. La percentuale è fissata generalmente nella misura del 25 delle perdite, ma quasi tutti ritengono che il rappresentante debba rimettere tale quota di tasca propria, mentre viene solo applicata nell'am- bito delle provvigioni attive e non può mai superarle. Evidentemente riuscii a confermare la buona impressio- ne che avevo suscitato in Fiera e le informazioni su di me, che indubbiamente dovevano essere state richieste, aveva- no dato esito positivo. Firmammo il contratto. Avevo otte- nuto la mia prima rappresentanza e, munito di pacchi di de- pliants, copia commissioni, fotografie e disegni tecnici, la- sciai contento Partana. La mia prima spedizione al Nord si chiudeva quindi in at- tivo, anche se non era del tutto esaltante. Non ritornavo a mani vuote. Avevo una rappresentanza modesta sì, ma per la quale si potevano prevedere notevoli sviluppi. Il settore non era quello che mi ero proposto alla partenza da Napoli, ma era anch'esso "tecnico" e interessante, anche se avrei dovuto cercare di affiancare alla Magli ditte operanti nell'ambito dell'edilizia, con la quale non avrei invece volu- 113 to più avere a che fare, per lo meno nelle vesti di rappresen- tante che, come ormai è noto al lettore, per la mia famiglia non costituiva un'attività del tutto "eletta". Ma non si può avere tutto e bisogna adattarsi a quello che viene. Il fatto importante era di essere riuscito a farmi valere in un am- biente per me del tutto nuovo e dove ero giunto senza alcun appoggio, ne conoscenze. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:00 pm | |
| Bisognava ora organizzare l'ufficio che purtroppo, in at- tesa di avere un'abitazione mia, non poteva essere che quel- lo di mio padre. Gliene parlai cercando di non mostrare ec- cessivo entusiasmo per i risultati raggiunti e ottenni una stanza nel suo studio. L'arredai utilizzando scrittoio e mo- bili già in mio possesso e installandovi la mia piccola mac- china da scrivere. Una derivazione telefonica mi permette- va di avere l'apparecchio sul tavolo. Nella stanza adiacente ^ vi era l'attempata segretaria dello studio che avrebbe potu- to, anche se con una certa degnazione abituata com'era a oc- cuparsi solo di un'attività "eletta", raccogliere le eventuali telefonate per la nascente ditta GIANNI CRUNI per la qua- le provvidi a timbri e carta intestata. In pochi giorni ero pronto e incominciai con alacrità a stendere un dettagliato piano sulle visite da effettuare per la Magli. Nel frattempo mi era pervenuta dalla Ricci una strana lettera dove mi si comunicava che la mia richiesta era all'esame della direzione e mi si chiedeva di riempire un questionario nel quale vi erano domande di questo tipo: Perché vuole assumere la rappresentanza dei nostri pro- dotti? Quali sono le sue esperienze precedenti? Qual è il fatturato che prevede di procurare nel primo an- no per la sua tona? E così via. Domande alle quali già avevo risposto nel col- loquio a Milano con il geometra Zanni. Evidentemente però la mentalità Ricci era quella e mi ci dovevo adattare. Rispo- si quindi meticolosamente, ma con una punta d'ironia, spe- cialmente quando affermai che, cominciando ora a svolge- 114 rè quell'attività in proprio, non potevo fare serie previsioni sulle vendite, ma che mi sembrava ovvio - anche perché era mio interesse - che avrei fatto di tutto per incremen- tarle. Gli elevatori della Magli erano stati progettati con l'in- tento di essere utilizzati nell'industria del legname e quindi mi sembrò logico programmare le prime visite presso le maggiori depositarle di legname della Campania. Incomin- ciai quindi dalla grandiosa Battinelli che era nella periferia della città in via Argine. Giunsi al cancello che si apriva in un gran muro e mi ri- volsi al custode: "Sono il signor Cruni. Desidererei parlare al direttore per alcuni prodotti che possono interessare la vostra ditta" e gli porsi un biglietto da visita fresco di stampa nel quale era impresso: GIANNI CRUNI Agente-in esclusiva per la Campania degli elevatori Magli; ufficio via tot, telefono x - abitazione via tale, telefono y. Mi osservò dall'alto in basso, mi disse di attendere e con il biglietto si recò nei vicini uffici. Mi avrebbero ricevuto, e come? Qui non avrei potuto far valere la mia figura di cittadino, contrapposta a quella più umile degli abitanti di paesini e titolari di modestissime aziende. In questa importante ditta quante visite di rappre- sentanti ricevevano al giorno, come li consideravano? For- se rompiscatole o piazzisti? L'immagine che la gente comune ha del rappresentante si confonde spesso con quella del piazzista che si reca di por- ta in porta a prospettare la vendita di libri, aspirapolvere, prodotti per la casa, macchine da scrivere e altro. Ma il di- rettore di un grande deposito non può ignorare la giusta fi- gura del rappresentante. Egli sa o deve sapere che gli agen- ti di commercio sono utili all'attività della sua azienda, in quanto illustrano con una certa competenza tecnica quanto l'industria sforna in continuazione di nuovo. Fortunatamente il direttore della Battinelli era uno che sapeva e dopo qualche minuto mi ricevette. La prima im- 115 pressione che ne ebbi fu quella di trovarmi davanti a una quercia: robusto, tutto spigoli, il volto rugoso nel quale si aprivano come fessure gli occhi. Mi tese la mano e mi invitò a prendere posto davanti a uno scrittoio ingombro di carte e alle cui spalle un'ampia finestra dava nell'interno di un enorme capannone colmo di cataste di legname in tavole e vicino alle quali visibili cartelli infilati su aste metalliche indicavano le più svariate qualità di legno: pino siberiano, pich-pine, abete, ramin del Borneo, noce mansonia, moga- ulivo, castagno, douglas, rovere e così via. "Mi dica, signor Cruni". "Direttore, la ringrazio per avermi ricevuto. Come avrà visto dal biglietto da visita, rappresento la ditta Magli che produce elevatori del tutto particolari e dal prezzo estre- mamente conveniente. Ecco, guardi", gli porsi un de- pliant, lo osservò attentamente. "Come potrà notare, lo si può utilizzare come una specie di scala che viene spostata con facilità da una catasta all'altra. Un uomo alla base cari- ca e un altro in cima scarica e deposita i tronchi o le tavole. Il comando avviene per mezzo di una pulsantiera che può essere azionata dal basso o dall'alto". "Sì, vedo, interessante e originale". "La portata media è di centocinquanta chilogrammi e la cabina aperta può essere arrestata in qualsiasi posizione a mezzo del telecomando, oppure le fermate possono essere predeterminate". "E il prezzo?" "Il tipo standard alto sei metri costa circa duecentomila lire". "Davvero ottimo". "Loro cosa usano qui per il sollevamento delle tavole?" "Noi come gli altri, i carrelli elevatori. Questi ci permet- tono di trasportare il legname sia in traslazione orizzontale che in quella verticale". 'Perbacco', pensai, 'sono questi i veri concorrenti e sarà difficile batterli'. "Buoni per il doppio uso, ma tanto più costosi". 116 "Sì, è vero, ma con pochi riusciamo a risolvere i nostri problemi di trasporto e di elevazione". "Con il nostro elevatore però potreste anche mettere le tavole in posizione verticale e non solo orizzontale. Vede?" e indicai una fotografia sul depliant. "Sì". "In alta Italia varie ditte di legname hanno trovato molto più pratico, ma principalmente molto più economico, usare i nostri elevatori. Che ne pensa?" "Veda, signor Cruni, personalmente penso che i vostri siano davvero utili ed economici, mi meraviglio però che la sua ditta non li abbia prospettati alla nostra sede centrale che come lei sa è a Verona e dalla quale dipendiamo per or- dini di questo tipo". "Capisco". "In più io ritengo che, pur essendo i carrelli elevatori più cari, sono però anche più completi. Inoltre noi abbiamo un gruppo di operatori che sono pratici del lavoro e che non sapremmo come utilizzare altrimenti. Sono certo che i vo- stri elevatori potranno essere molto più idonei in postazip- ni fisse e per più piani". "Infatti sono economici ed esenti dal collaudo dell'ENPI e possono avere fermate fisse e inoltre portate di parecchio superiori ai centocinquanta chilogrammi del tipo stan- dard". "Proprio così. Guardi, io sottoporrò la cosa alla direzio- ne, ma non credo che li adotteranno se non nella seconda applicazione. La ringrazio ed eventualmente mi farò vivo io telefonando al suo ufficio". Si alzò e mi tese la mano, facendomi capire che il collo- quio era terminato. Mi alzai anch'io e conclusi: "La ringrazio, direttore, e spero che comunque voglia cal- deggiare per lo meno un'applicazione, o mobile o fissa". "Le farò sapere. Buon giorno". Salutai e andai via. Proprio come pensavo, quegli elevatori potevano trovare applicazione o presso piccole ditte che non si potevano per- 117 mettere l'acquisto dei costosi carrelli elevatori, o nelle po- sizioni fisse per due o più piani. Inoltre visitare le filiali di ditte del Nord sarebbe stato inutile, in quanto le decisioni non sarebbero state prese a Napoli, ma alla sede principale. Più opportuno invece sarebbe stato prendere contatto con i vari progettisti per far inserire l'installazione degli elevato- ri Magli in fabbriche, depositi, negozi e piccoli fabbricati. Ritornai in ufficio non proprio all'apice dell'entusiasmo. Ma qui trovai una lettera della Magli nella quale mi si pre- gava di visitare una fabbrica di confezioni che aveva pro- blemi di elevazione, il cui titolare in Fiera era rimasto ben impressionato dai nostri elevatori. Bene, nonostante la prima visita non molto esaltante, qualcosa incominciava subito a evolversi in modo positivo. Telefonai e presi appuntamento per la mattina successiva. 118 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:04 pm | |
| CAPITOLO XIII Ero in piazza Nazionale, scesi dall'auto per informarmi dove si trovasse via Polese. Mi fornirono le indicazioni ri- chieste e di lì a poco posteggiavo davanti a un lungo e mo- derno edificio a tre piani, sulla cui facciata correva una scritta: FERDINANDO GARGIULO CONFEZIONI. All'inter- no un intenso viavai di operai edili, operaie addette alla la- vorazione, numerosi macchinari in attività, polvere e prin- cipalmente una gran confusione. Mi indicarono un uomo alto e grasso con un viso dall'at- teggiamento bonario, ma di quello particolare che caratte- rizza i veri "guappi". "È lei il signor Gargiulo?" "Sì, che volete?" "Sono il signor Cruni, agente della Magli. Le ho telefona- to ieri per i vostri problemi di elevatori". "Ah, sì, venite". Mi guidò in una zona centrale dell'edificio e mi indicò una serie di fori quadrati che attraversavano i solai. "Vedete, l'ingegnere ha fatto lasciare questi buchi aperti per il passaggio di un montacarichi. Abbiamo i preventivi di ditte di ascensori, ma sono costosi e ci vuole tempo per ottenere, come si dicono... per ottenere quelli, come si dico- no, i permessi". "Vi riferite ai collaudi dell'ENPI e alle norme da rispetta- re?" "Proprio accussì. Dice che sono lunghi e rompiscatole". 119 "Fanno il loro lavoro e debbono sottostare a norme preci- se. È la burocrazia. Voi però avete visto i nostri elevatori a Milano e avete subito capito che sono semplici, economici e non vi faranno perdere tanto tempo". "Esatto. Noi dobbiamo eliminare subito questo casino. In un mese vogliamo tutto pronto e a posto. Avete visto che polvere e bordello che c'è qui e le nostre confezioni vanno a farsi fottere, con tutti gli ordini che abbiamo". "Vi siete rivolti alla ditta giusta. Ora fatemi capire di quale portata avete bisogno, quanti piani dovete servire e quale deve essere la larghezza dell'elevatore. Vi risolvere- mo tutto noi e rapidamente". Trassi un blocco note e incominciai ad annotare, mentre l'omone affannosamente parlava e indicava. Che voluttà di competente provavo! Non ero solo il vendi- tore, ma principalmente il "tecnico" che era lì perché ri- chiesto e dava la sua consulenza. Con un'aria di superiori- tà, ma al tempo stesso con molta cortesia, chiesi altre infor- mazioni. Mi feci mostrare la planimetria, tirai fuori dalla mia borsa portacarte una "rollina" e, chiesti e ottenuti un paio di operai a mia disposizione, eseguii attenti e precisis- simi rilievi che riportavo con meticolosità sul mio blocco. Quando terminai, raggiunsi Gargiulo che nel frattempo si era portato vicino ad alcuni macchinari e controllava l'andamento della lavorazione. "Signor Gargiulo, allora io ho terminato e fra pochi gior- ni ritornerò da voi con un preciso preventivo e disegni ese- cutivi che mostrerò al vostro ingegnere per le opere mura- rie occorrenti". "Signor Cruni, vi raccummando per la velocità e il prez- zo. Io pago tutto contanti". "Stia tranquillo. Ho capito la vostra necessità e vi darò la precedenza". "Trattatemi bene. Ho amici e cumpari che anche loro debbono mettere montacarichi. Ve ne farò vendere molti altri. Basta che lo dico io". "Affretterò la cosa al massimo. Fatemi telefonare al mio 120 ufficio e vedrò di recarmi anche da loro". "Grazie, dottore". "A voi. Mi farò vivo al più presto. Buon giorno". Andai via in un'esaltante condizione. Mi recai subito in ufficio e spedii per espresso la richiesta di offerta, pregan- do Magli di rispondere a giro di posta. Per alcuni giorni proseguii nelle mie visite presso ditte di legname, ma i risultati non furono molto diversi da quelli della Battinelli e confermarono sempre di più la mia primi- tiva convinzione che non era quello il campo nel quale avrei potuto raccogliere molto. Una mattina giunse in ufficio una telefonata. "Pronto, l'architetto Cruni?" "No, sono il figlio. Con chi parlo?" "Sono l'ingegner Fani". Un brivido: Fani, il rappresentante della Ricci! "Buon giorno, ingegnere. Posso fare qualcosa per lei?" "Lei è il figlio Gianni?" "Sì". "Proprio con lei volevo parlare. Lei è interessato alla rap- presentanza della Ricci?" "... Beh, veramente io li ho visitati quasi per caso in Fiera a Milano. L'ingegnere Marzi mi aveva invitato a farlo, pen- sando che non fossero rappresentati a Napoli. Poi ho sapu- to che lo sono ottimamente da lei..." "Lei è gentile. Veramente non tanto ottimamente come dice. Io rappresento la SCODER di Modena da circa trent'anni e il mio tempo è quasi tutto occupato, tanto che volevo lasciare la Ricci che mi aveva pregato a lungo di as- sumerne l'agenzia". Non sapevo cosa dire. Fani riprese: "Ho anche avuto con me un giovane ingegnere che mi col- laborava, ma poi si è trasferito a Palermo. Ora però c'è mio figlio, il dottor Alberto, che ha iniziato da poco a lavorare con me e che si occupa della Ricci". Che delusione, allora niente da fare! "Ah,bene". 121 "Mi hanno scritto da Ancella parlandomi molto bene di lei e di studiare una possìbìle collaborazione" Ero in un grande imbarazzo. Fani continuò "Senta, come le ho detto, io non me ne occupo più ma se ne interessa mio figlio. Perché non si incontra con lui per analizzare se c'è qualche possibilità?" p Un barlume di speranza, ma non era quello che volevo io. " Come vuole ingegnere, ma se se ne interessa suo figlio non vedo la necessità di una collaborazione. Io ho già una rappresentanza" "Di macchine per l'edilizia?" "No". "Allora attenda all'apparecchio, le passo mio figlio" Che me lo passava a fare? Che avremmo dovuto dire? Dopo un po' una voce affettata. "Pronto, il signor Cruni?" "Sì". " Io sono il dottor Fani, papà le ha spiegato la situazione. Perche non viene a trovarmi in ufficio? Potremmo conoscerci e valutare, se è il caso, una collaborazione" Ero sconcertato e non sapevo cosa rispondere. Ma infine che avrei potuto rimetterci a incontrarle? ' "... Se lo desidera. Quando è disponibile?" "Il pomeriggio sono sempre in giro per visite, se vuole anche questa mattina2. "-Va bene, dove ha l'ufficio?" "Riviera di Ghiaia, ottocentoundici" "Posso essere da lei fra un'ora. Le sta bene?" "Si, l'attendo". Dopo circa un'ora suonavo alla porta del primo piano di un vecchio, ma decoroso palazzo. Una lucida targa d'ottone indicava: ASCENSORI SCODER e più in piccolo Agenzia per la Campania Ing. Mario Fani. La porta si aprì e un ometto smunto, ma dignitoso mi chiese chl fossl e poi mi introdusse- in un salottino sobriamente arredato. Qualche minuto dopo un giovane alto pressappoco quanto me, ma più magro e di appetto estremamente 122 ricercato, con folti e ondulati capelli biondi e un gran naso da nobile, entrò. "Il signor Cruni?" "Sì, lei è il dottor Fani?" "Proprio io, piacere". Ci stringemmo la mano. La mia stretta vigorosa si spense in quella fiacca di lui. "Mi segua, la prego". Si avviò lungo un piccolo corridoio che immetteva in una minuscola stanza dove rividi, intento a battere a macchina, l'omino che mi aveva aperto la porta. Di lì passammo in un altro vano senza porta dove vi era un antico e piccolo scrit- toio, un paio di mobili dello stesso stile e sedie elaborate. Mi invitò a sedere e si accomodò dietro lo scrittoio. Con mo- venze studiate il dottor Fani aprì un cassetto, ne trasse una pratica, la sfogliò e poi iniziò: "Dunque, la Ricci ci ha scritto di lei e della sua richiesta..." "Tengo innanzitutto a precisare che non sapevo fossero già rappresentati a Napoli e non appena il geometra Zanni me l'ha detto, l'ho subito pregato di considerare nulla la mia richiesta". "Sì, lo hanno scritto, ma proprio mio padre qualche mese fa aveva chiesto o una collaborazione o di poter rimettere il mandato. Vede, lui è molto occupato per la SCODER che, come lei saprà, è una delle quattro grandi ditte di ascensori operanti in Italia. Quando l'ingegner Marzi si trasferì a Ro- ma e quindi lasciò la rappresentanza, da Ancella incomin- ciarono a pressare mio padre perché assumesse l'agenzia di Napoli. Solo dopo molte insistenze accettò, ma appena si rese conto che non avrebbe potuto portarla avanti bene senza danneggiare la SCODER, scrisse subito alla Ricci. Al- lora loro gli segnalarono un giovane ingegnere come colla- boratore. Questi qualcosa ha fatto, ma poi si è trasferito a Palermo per un altro lavoro. Mio padre allora scrisse anco- ra alla Ricci pregandola di affidare ad altri l'agenzia, ma proprio in quel periodo io sono rientrato a Napoli e ho inco- 123 minciato a collaborare con lui e a occuparmi anche di mac- chinari edili". "Allora non vedo in che cosa possa entrarci io". "Veramente potrebbe. Sa, anch'io sono molto preso dalla SCODER e un aiuto non guasterebbe... Ma mi racconti di lei". Succintamente gli dissi dei miei studi, dell'esperienza con Mortini, del mio viaggio a Milano e di come ero attual- mente organizzato. Mi fece molte altre domande. Era quasi un esame e ne ero infastidito: essere esaminato da un rap- presentante e per giunta più o meno principiante come me. Ma che accidenti me ne importava di lui e di una collabora- zione! Io volevo quella ditta, ma solo come diretto agente in esclusiva. Basta con le collaborazioni! Qualcosa nel mio atteggiamento e nelle mie risposte lo dovette impressionare positivamente. Il suo tono inquisito- rio, anche se gentile, si addolcì e si stemperò in un tratta- mento alla pari, se non addirittura da inferiore. "Vede, io so che suo padre è costruttore e anche ben no- to". Lo interruppi. "Lo è stato". "Sì, ma il nome è sempre conosciuto nell'ambiente. Io penso che lei possa fare molto per la Ricci e quindi per noi". Ero stufo e decisi di essere più esplicito. "Senta, dottore, voglio e debbo essere sincero. Ho lascia- to il commendator Mortini perché volevo mettermi in pro- prio e una collaborazione la posso concepire solo alla pari e principalmente se vi sono prospettive di poter quanto pri- ma assumere la diretta agenzia. Ora la Ricci è più che ben rappresentata da un nome importante nel settore come quello di suo padre e curata più direttamente da lei che ov- viamente è ben introdotto presso le imprese di costruzioni. Con tali premesse non vedo quindi come io possa collabora- re". Il volto quasi privo di espressione di Alberto Fani si con- 124 trasse leggermente e lasciò intravedere una certa contra- rietà. "Signor Cruni, capisco quanto mi dice, ma forse lei non mi ha compreso bene. La SCODER è una grande industria che è presente a Napoli, con mio padre e con la ditta Ambi- ta che ne cura l'assistenza e la manutenzione, da quasi trent'anni e i suoi ascensori e le scale mobili sono quanto di meglio offre il mercato italiano. Può immaginare quindi quanto lavoro abbia la nostra agenzia. D'altra parte la Ric- ci, pur essendo più piccola, ha un nome prestigioso e ottimi prodotti. Credo che sia suo interesse cominciare ad occu- parsene e non è detto che in futuro non si trovi un tipo di collaborazione che possa essere più di suo gradimento. Ov- viamente bisogna iniziare e valutarne i risultati". | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:04 pm | |
| Il discorso era indubbiamente sensato e, ripensandoci meglio, da quella collaborazione ne avrei quanto meno po- tuto trarre una migliore conoscenza del settore, visto dalla • parte del rappresentante, e una maggiore introduzione presso imprese edili e progettisti ai quali avrei potuto pro- spettare gli elevatori Magli, sempre che non fossero stati in concorrenza con gli ascensori della SCODER. Il mio tono era meno deciso quando chiesi: "Come intenderebbe realizzare la collaborazione?" "Ritengo che si possa programmare una serie di visite presso le imprese che divideremmo per zona e conoscenza, per poi scambiarci una relazione settimanale o bisettima- nale. Le provvigioni della Ricci sono del dieci per cento più eventuali maggiori percentuali che vengono concesse all'agenzia se non si praticano i massimi sconti. Mio padre lascia a me tali provvigioni meno un due per cento per le spese generali di ufficio. Io le propongo di dividere fra di noi in parti uguali quello che rimane". La cosa era interessante, anche in termini di denaro. Mi informai: "Qual è il fatturato medio della Ricci a Napoli?" "Ora è di circa cinque milioni all'anno, ma può aumenta- re sensibilmente. Pensi che attualmente lo si ottiene quasi 125 tutto solo con i vecchi clienti". Feci un rapido calcolo: cinque milioni al dieci per cento uguale cinquecentomila lire. Al quattro per cento, duecen- tomila lire per me come minimo. Un impiegato di banca ali inizio non guadagnava più di cinquanta o sessantamila lire al mese e qui ne erano assicurate circa ventimila, oltre ai vantaggi che già avevo valutato. Per la prima volta da quando ero con il dottar Fani, mi di- stesi, allungai le gambe, offrii e accesi le sigarette. "Si può tentare, e quali sono le imprese presso le quali lei e meglio introdotto?" Fani aprì un cassetto e ne trasse un elenco ordinatamen- te dattiloscritto e me lo porse. "Questo è l'elenco delle imprese edili della provincia di Napoli. Quelle sottolineate dovrebbero essere di mia com- petenza, a meno che non abbia qualcosa in contrario" L'elenco era nutrito e molte imprese non sottolineate era- no nella provincia. "Vedo. Io penso che potrei visitare quelle fuori Napoli" "Benissimo, ma anche fra quelle di Napoli può prender- ne un certo numero". La cosa non mi andava. Contrariamente a quello che il mio interlocutore pensava, avrei voluto agire laddove il no- me di mio padre poteva essere completamente ignorato o poco conosciuto. Comunque risposi: "Va bene, vediamo quali". Ci mettemmo al lavoro di buon accordo e in breve ap- prontammo due elenchi, uno per me e l'altro per Fani. Alla fine chiesi: "Ora mi dovrebbe ragguagliare sui prezzi, sugli sconti, sulle condizioni di pagamento e sui principali concorrenti che operano su Napoli". "Certamente, veda..." Con chiarezza e precisione mi illustrò tutto e io incomin- ciai ad apprezzare quel giovane che all'inizio mi era sem- brato solo una specie di 'gagà'. Si vedeva che aveva affron- tato con estrema serietà il suo lavoro e che voleva svolgerlo 126 in modo professionale. Erano le 12,30 quando terminammo e il dottor Fani mi condusse nella stanza che confinava con la sua per presen- tarmi al padre. L'ingegnere Fani era un uomo di statura media e di età avanzata, con un volto sereno che era la copia invecchiata e gonfiata di quello del figlio. Una rotonda pancetta si intrav- vedeva al di sotto della giacca.- Fu estremamente cortese con me e si mostrò lieto dell'accordo raggiunto. Ne ebbi un'ottima impressione. Alberto Fani mi accompagnò in strada e mi invitò a pren- dere l'aperitivo che immancabilmente ogni mattina, esatta- mente mezz'ora prima del pranzo, non si faceva mancare. Decidemmo di darci del "tu", di rivederci in ufficio ogni quattro giorni e di comunicarci tempestivamente le notizie più importanti. Il pomeriggio nel mio studio esaminai attentamente il vo- luminoso listino prezzi, il copiacommissione e i depliants della Ricci, che portavano bene in vista il timbro dell'inge- gnere Mario Fani. Li misi nella mia borsa portacarte, insie- me a quelli della Magli. Nei giorni successivi mi dedicai ad un'intensa serie di vi- site che alternavano la prospezione degli elevatori a quella delle macchine edili e alcune volte potei fondere l'una e l'al- tra cosa. Mentre per le visite relative agli elevatori non ave- vo ancora provato particolari emozioni, tranne le normali del neofita, per quelle relative alle macchine e attrezzature della Ricci una grande incertezza mi prendeva e più volte fui tentato di non varcare la soglia degli uffici delle impre- se di costruzioni. Mi faceva un effetto strano recarmi lì non da ingegnere o da titolare, ma da rappresentante. Quanti pentimenti, rancori, rimpianti mi attanagliavano. Per il diavolo!, perché non avevo completato gli studi, per- ché li avevo ritardati, perché mi erano sembrati come una specie di condanna? Di chi era stata la colpa? In definitiva, nonostante tutto, erano solo sei anni e mez- zo che mi ero iscritto all'università e non ero poi tanto in ri- 127 tardo. Perché allora quell'ansia di smettere e di guadagna- re? Sì, ricordavo che l'atmosfera della mia casa mi era sem- brata pesante al punto tale da non farcela più a rimanerci come studente, il dover chiedere tutto e poi la irrisoria faci- lità con cui riuscivo a comprendere i problemi matematici e tecnici e le relative applicazioni non mi invogliavano cer- to a doverli noiosamente ripetere più volte per impararli quasi a memoria, cosa purtroppo necessaria per gli esami, così com'è strutturata l'università italiana. Ma forse c'era di più. Quella specie di fobia che mi aveva preso probabilmente dipendeva dal fatto che inconscia- mente non desideravo collaborare nell'attività paterna con quei maledetti simili caratteri, così forti e assolutistici. Avrei dovuto svolgere un'attività mia, allora l'errore era stato quello di aver preso un indirizzo di studi analogo a quello paterno. Perché non si dava ai giovani alle soglie dell'università o anche prima un preciso quadro di quello che li attendeva? Perché non si organizzavano sedute di psi- coanalisi singole o di gruppo, perché non far capire loro i complicati meccanismi della psiche e il complesso di Edi- po? Domande, sempre domande, ma a che serviva oggi porse- le? Comunque, anche se attraverso travagli, una mia strada l'avevo trovata e bisognava percorrerla. Porco boia!, però proprio nell'edilizia ero dovuto finire! Nonostante la spinta a non varcare quelle porte, riuscivo a vincermi e le visite, quasi tutte in provincia, si risolveva- no abbastanza positivamente e mi diedero il coraggio di af- frontare, secondo gli accordi presi con Alberto Fani, una nota impresa cittadina. Mi ci recai in uno splendido pomeriggio di maggio e mi feci annunciare da una delle impiegate all'ingegnere Pira- nesi. La ragazza mi fece accomodare nella sala d'ingresso, dove vi erano altri signori in attesa. Erano tutti forniti di voluminose borse portacarte; forse erano rappresentanti come me. Dopo più di un'ora giunse il mio turno e fui introdotto in 128 un vasto studio, dove dietro un grande scrittoio, posto su uno dei lati minori, vi era un uomo anziano, ma vigoroso. "Mi chiamo Gianni Cruni e vengo per la ditta Ricci di An- cella". Mi osservò attentamente. "Sicuramente conoscerà la ditta che rappresento che è una delle più prestigiose pro- duttrici di macchinari per l'edilizia". Aprii la borsa e incominciai a trarne depliants. L'ingegne- re Piranesi mi scrutò ancora più intensamente e poi, con aria incuriosita: "Ma lei è per caso parente dell'architetto Cruni?" Maledizione! "Sono il figlio". "E rappresenta la Ricci?" "Veramente collaboro con l'ingegnere Fani. Inoltre rap- presento direttamente altre ditte". "E perché fa il rappresentante?" Avrei voluto sbattergli in faccia i depliants. "Perché è il mio lavoro". Il suo stupore era solido e palpabile come un pezzo di cre- ta. "E papa, il caro Valentino, non costruisce più?" "No, ha smesso, fa solo la libera professione". "E perché? Lui ha fatto cose così belle, anche se i suoi criteri sono diversi dai miei". Lo guardai quasi con odio. "Perché così ha deciso... Dunque, ingegnere, le dicevo della Ricci..." "Ma lei che studi ha fatto?" La maledetta indiscrezione dei napoletani! "Se le interessa proprio, ingegneria e mi mancano pochi esami". "Ma allora, perché non studia?" Avrei voluto alzarmi e andarmene. Riuscii a dominarmi. "Chi le dice che non lo faccia". "Se fa il rappresentante..." "Ingegnere, volendo si può fare tutto. Ora, se mi permet- 129 tè, vorrei chiederle quali marche di macchinar! usa nei suoi cantieri". Si vedeva che era contrariato. Aveva voluto fare il "pater- no" e contribuire a ricondurre il figlio "discolo" del collega alla ragione. Forse pensava di agire bene o provava soddi- sfazione a umiliare un Cruni. "Ho macchinari Lombardini". "Quali prestazioni le danno e in che condizioni sono, ad esempio, le mescolatrici per il calcestruzzo?" "Mah, le prestazioni che ottimi macchinar! possono dare". L'atteggiamento era diventato freddo e ostile. "Vorrei illustrarle la più moderna mescolatrice della Ricci, la RIM 500. È davvero eccezionale, guardi..." Gli mostrai il depliant, gli dedicò un'occhiata distratta, poi chiese: "Quanto costa?" "Di listino cinquecentomila, ma a lei che ha un'impresa così nota possiamo applicare uno sconto del quindici per cento. Questa mescolatrice ha una capacità di mezzo metro cubo e una velocità d'impasto davvero eccezionale. Dimez- za quasi i tempi delle altre. Poi, come avrà notato, ha una comoda pulsantiera dove sono raccolti tutti i comandi e..." Continuai ad illustrare, ma si vedeva chiaramente che era preso da altri pensieri. "Mi lasci pure i depliants. Per ora non ho bisogno di at- trezzature. All'accorrenza le telefonerò". Mi alzai con sollievo e feci per salutarlo, ma lui: "Ma papa che ne pensa della sua attività?" E insisteva! "Cosa ne deve pensare. Credo bene. È, fino a prova con- traria, un'attività onesta e valida. Molti ingegneri la svolgo- no. Il rappresentante attuale è un ingegnere e quello prece- dente pure". "Sì, ma forse non hanno mai fatto i progettisti... Senta a me, ci ripensi e mi saluti tanto il caro Valentino". Che maledetto indiscreto individuo. Come le donnette na- 130 poletane doveva intrigarsi di tutto. "Sì, ci penserò; mi auguro però che anche lei ci ripensi per i prodotti Ricci. Le praticherò, visto che conosce così bene mio padre, condizioni del tutto particolari". Salutai velocemente e andai via. Ecco perché non volevo visitare note imprese cittadine. Avevo intuito che in luogo di aiuto avrei avuto solo fastidi, domande indiscrete e mortificazioni. Certa gente considera valida solo la propria attività e pochissime altre. Puntigliosamente continuai le visite a imprese come quella e, quasi sempre, con risultati analoghi o peggiori. Costituì il mio calvario. | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:08 pm | |
| CAPITOLO XIV Finalmente giunse il preventivo di Magli per l'elevatore da installare presso, la ditta Gargiulo. Rimasi favorevol- mente sorpreso, se non addirittura'esterrefatto, per l'ele- ganza della presentazione. I fogli dove erano ordinatamen- te riportati la descrizione, il prezzo, le condizioni di vendi- ta, unitamente ai disegni dell'insieme e delle varie sezioni, erano contenuti in una lussuosa cartellina. Il tutto dava l'immagine di una grande ditta molto ben organizzata. L'elevatore doveva servire tre piani per un'altezza di circa undici metri con pulsantiere ai piani, fermate fisse, lar- ghezza del piano d'appoggio di circa un metro e cinquanta, per una portata di trecento chilogrammi; il prezzo compre- so trasporto e installazione, di circa seicentocinquantamila lire, consegna entro trenta giorni con la classica sigla GG. LL. S. I., ossia giorni lavorativi salvo incidenti. Mi recai immediatamente da Gargiulo e senza grandi dif- ficoltà concludemmo quello che era il mio primo «affare» e che mi avrebbe fruttato di lì a un mese sessantacinquemila lire di provvigione. Ero entusiasta e caricatissimo e affron- tai l'ingegnere direttore dei lavori di Gargiulo con estrema sicurezza che mi permise brillantemente di discutere e ri- solvere con lui i vari problemi relativi alle opere murarie da predisporre. Quell'entusiasmo mi portò a raccogliere anche altri suc- cessi, questa volta per i macchinari della Ricci. Fra le tante visite che andavo giornalmente effettuando, 132 tre condussero a piccoli ordini immediati e una quarta alle premesse per molto di più. Si trattava di imprese della pro- vincia dove il mio comportamento era di gran lunga più spi- gliato e intelligente di quello che usavo nelle visite presso le imprese cittadine, nelle quali mi sentivo bloccato da possi- bilità di discussioni del tipo di quelle che avevo avuto con l'ingegnere Piranesi e le molte altre analoghe. Qui, liberato dal condizionamento psicologico, mi .rivelavo un ottimo venditore e riuscivo a instaurare un'immediata corrente di simpatia e di confidenza fra il possibile cliente e me. Non parlavo molto, ma lasciavo invece libero campo al mio ospi- te di raccontarmi i suoi problemi di cantiere e sempre più spesso quelli personali. Non è vero quello che comunemente si crede che un buon venditore è principalmente un buon parlatore, ma al con- trario deve essere essenzialmente un ottimo ascoltatore e riuscire a suscitare confidenze e sfoghi personali. Mi incontravo sempre più di frequente con Alberto Fani e i nostri rapporti in breve divennero, se non proprio di sin- cera amicizia, perlomeno molto cordiali. Ci comunicavamo i risultati delle nostre visite e decidemmo di compilare pic- cole relazioni su appositi moduli Buffetti in triplice copia. Due per noi e la terza da inviare alla Ricci che era stata messa al corrente della nostra collaborazione. Quasi ogni tre giorni ero nell'ufficio dell'ingegnere Fani dove ormai entravo, uscivo e giravo per le varie stanze non più da ospite, ma come uno di casa. Ebbi modo di conosce. rè meglio quell'anziano gentiluomo, di apprezzarne l'uma- nità, la signorilità e la grande abilità. Mi resi conto dell'im- portanza della SCODER e del movimento di progettisti che vi ruotava intorno. Incominciai a comprendere quanto fos- se essenziale riuscire a fare inserire nei "capitolati di ap- palto" alla relativa voce i prodotti che interessavano, se non proprio citandoli per nome, ma attraverso le caratteri- stiche particolari che li rendevano diversi, anche se di po- co, dagli altri della concorrenza. Dopo circa un mese fra Alberto e me si erano raccolti or- 133 dini per circa settecentomila lire, il che significava avere quasi raddoppiato la media mensile precedente. Sempre di più in quelle visite mi si evidenziavano i pregi di quell'industria che era sì di piccole dimensioni rispetto alle maggiori del settore, ma di grande prestigio. Non vi era infatti cliente della Ricci che non ne parlasse bene e che non fosse rimasto contento della bontà del prodotto e delle grandi qualità di resistenza e durata. Era una specie di Lan- cia delle macchine per edilizia e, come la nota e gloriosa fabbrica di automobili, poteva contare su una vera e pro- pria schiera di fans. Ma proprio per l'estrema scrupolosità di costruzione, per la qualità dei materiali impiegati, per il peso superiore e per la lunga preparazione necessaria a mettere in commercio prodotti perfetti, il relativo costo era notevole e la gamma alquanto limitata. Conquistare quindi clienti nuovi era tutt'altro che facile, anche perché gli im- prenditori edili subivano sempre più spesso le pressioni da parte di un paio di fabbriche locali che in pochi anni aveva- no impiantato, aiutate dai contributi della Cassa del Mezzo- giorno e dai prestiti a tasso agevolato dell'Isveimer, stabili- menti di notevoli dimensioni nei quali producevano una gamma quasi completa di macchine e attrezzature per l'edi- lizia. Erano, è vero, di qualità scadente, ma potevano conta- re su prezzi molto più bassi e su consegne rapidissime. Sul mercato erano anche presenti la Giorgi & Ferretti e la Lom- bardini con una produzione e con dei prezzi a livello di quelli della Ricci, ma che in più disponevano di tutti i mac- chinari occorrenti a imprese di ogni dimensione. Nelle mie visite quindi mi sentivo chiedere frequente- mente, oltre alle mescolatrici, agli elevatori a braccio, agli arganelli, ai frantoi e ai castelletti — punti di forza della Ricci — anche centrali di betonaggio, grues, molazze, auto- gru, escavatori, tutta roba che non era purtroppo nella pro- duzione della nostra rappresentata. Particolarmente richieste erano le centraline di betonag- gio che raggruppavano una grande mescolatrice per il cal- cestruzzo, svariati contenitori e una capace bilancia che, 134 una volta predisposta, convogliava alla benna della mesco- latrice i quantitativi necessari di cemento, sabbia, ghiaia e acqua per eseguire l'impasto desiderato con un considere- vole risparmio di tempo e di manodopera. I responsabili della Ricci, sollecitati da noi come da altri agenti e dagli af- fezionati clienti, avevano messo in studio la realizzazione del complesso, ma, pur avendone realizzato un prototipo,. non avevano ancora iniziato la produzione in serie, perché il funzionamento non era stato adeguato all'ottimo livello degli altri prodotti e, a causa della loro finanche eccessiva scrupolosità, si prevedeva che sarebbe trascorso ancora molto tempo e forse anni. Di giorno in giorno, se non di visita in visita, mi convince- vo sempre di più che sarebbe stato saggio sfruttare il buon nome della Ricci per ottenere rappresentanze di ditte, ma- gari anche microscopiche, ma che possedessero validi pro- dotti per completarne la gamma. Mi trattenevo però dal parlarne con Alberto, perché avrei voluto inquadrare il pro- blema in modo più vasto e definitivo, non appena avessi po- tuto dimostrare in modo non effìmero la validità della mia azione e il contributo determinante del mio operato relati- vo alla ditta di Ancella. Quelle relazioni-visite, le cui copie continuamente ci scambiavamo e una delle quali inviavamo alla direzione commerciale, acquistarono per me, che all'inizio le avevo considerate un po' mortificanti e servili, un'importanza fondamentale perché mi permettevano, e sempre di più mi avrebbero permesso, di dimostrare tutte le mie capacità la- vorative e produttive. Era ormai giugno inoltrato quando giunsero da Partana i montatori della Magli per installare l'elevatore ordinato dalla ditta Gargiulo. Si trattava davvero di un signor im- pianto e trascorsi molte ore ogni giorno a osservare quei fior di operai lavorare con alacrità e competenza in quella specie di bolgia disordinata e caotica che era la fabbrica di confezioni. Il giorno della consegna e del collaudo giunse a Napoli anche il signor Magli che, a dispetto della sua figura 135 di contadino, si rivelò un abile tecnico e un uomo d'affari navigato riuscendo a risolvere brillantemente le ultime dif- ficoltà e a riscuotere, seduta stante, il totale pagamento dell'importo preventivato. Anch'io, vincendo l'emozione, riuscii a rendermi utile e a fare una buona figura con lui, Gargiulo e il suo ingegnere. La sera, in un ristorante pano- ramico, dove lo avevo condotto, anche perché il panciuto proprietario col suo vocione rimbombante diffondeva ai sette venti le mie qualità, false o vere che fossero, incassai la mia provvigione. Riuscii a mascherare con uno sforzo no- tevole l'intensa soddisfazione. Finalmente incominciavo tangibilmente a guadagnare. Era la prima pietra dell'edifi- cio della mia vera indipendenza, che voluttà! Così come un corso d'acqua incornicia a fluire sempre più sicuro e abbondante in un nuovo letto, i miei introiti eb- bero un quasi immediato incremento quando di lì a pochi giorni Alberto Fani mi consegnò la mia parte della liquida- zione del secondo trimestre provvigionale della Ricci: ot- tantamila lire che, insieme con le sessantancinquemila del- la Magli, mi fruttarono in circa due mesi un guadagno ben superiore a quello di un impiegato di banca. Ma il momento magico non si arrestò lì. Gargiulo, fedele a quanto mi aveva promesso nella mia prima visita, mi indi- rizzò ad alcuni suoi amici che mi commissionarono altri tre elevatori per un importo globale di oltre un milione. Ero al settimo cielo, mi sentivo uomo nel vero senso della parola. In casa ormai avvertivo di occupare un'altra posi- zione e non avevo più bisogno di chiedere denaro alla mia famiglia. Anche i piccoli regali alla mia ragazza mi procura- rono ben altra soddisfazione rispetto a quelli che le avevo fatto in precedenza, quando avevo usato il mensile che mio padre mi aveva assegnato o i soldi che continuamente e con varie scuse strappavo a mia madre. La fase del "figlio di fa- miglia" incominciava a chiudersi. Si apriva quella dell'uo- mo che lavora, produce e guadagna, occupando un ben pre- ciso e utile posto nella società. Ma non erano tutte rose e fiori come potrebbe sembrare. 136 Gli ingegneri Piranesi continuavano a imperversare e quel mondo ricco di geometri, ragionieri, dottori, ingegneri, ar- chitetti sembrava fatto apposta per mortificare uno come me che era sprovvisto di un "vero" titolo di studio. Ciò era ancora più frustrante in relazione al diploma di maturità che avevo, brillantemente e nei tempi previsti, conseguito e ancor più per i moltissimi esami superati all'università, senza però aver portato a conclusione gli studi stessi. Tro- vavo che tutto nell'ordinamento di studi italiano era sba- gliato. È mai possibile che uno come me che aveva studiato per cinque anni alle elementari, per tre alle medie, per cin- que al liceo e superato ben ventotto esami di ingegneria non avesse un qualsiasi titolo da far precedere al proprio nome? Ma, porco giuda, se solo la maturità è superiore al diploma di geometra o ragioniere e un solo esame di inge- gneria degli anni cinquanta equivaleva a una delle lauree più semplici dove bastano diciotto, venti esami di una faci- lità stupefacente! Ma se solo i corsi di laurea di matemati: ca, geologia o scienze naturali, senz'altro più impegnativi e difficili, sono composti di appena quindici, sedici esami! Perché io non dovevo possederlo? Perché nell'ambito dei corsi universitari non esistono più gradi di diplomi come nei paesi più evoluti del nostro? Là il Bachelor si raggiunge dopo due-quattro anni di corso, il Master dopo quattro- cinque e il Doctor dopo cinque-sette. Perché proprio da noi dove si dà, specialmente nel Sud ma non solo nel Sud, tanta importanza al titolo non vi è un ordinamento analogo? Allo- ra fanno bene quelli che studiano da geometra o ragioniere o al più per dottore in giurisprudenza o in scienze politi- che! Bisognava però pensarci prima, non ora quando il la- voro per me era iniziato in modo tutto sommato positivo. Cercai di dimenticare quell'ostentazione di titoli di tutti i generi che mi feriva profondamente quando sentivo, in con- trapposizione, il mio cognome preceduto solo dall'appella- tivo di 'signore' che viene dato, anche se spesso a sproposi- to, a qualsiasi individuo e relegai il disappunto nel profon- do della mia mente e della mia psiche. 137 La mia attività si andava intensificando di giorno in gior- no e dovette quasi raddoppiarsi quando, per un preventivo accordo, Alberto partì per le ferie. A me sarebbe toccato agosto, ma anche in quel mese mi allontanai dalla città solo per quindici giorni che trascorsi in una località marittima vicino Napoli dove villeggiava la famiglia della mia ragaz- za. Proprio in quel mese la segretaria di mio padre si licen- ziò e non fu sostituita. Persi così l'unico vero aiuto che rice- vevo da lui e dovetti preoccuparmi di trovare un collabora- tore che potesse farmi anche da segretario e da produttore per modeste visite di routine. Fui tentato dapprima di assu- mere una segretaria. Quante volte avevo sognato di averne una: bella, giovane, provocante e disponibile! Quanti fìlm abbiamo visto nei quali queste ragazze confortano le ore di ufficio del titolare, del dirigente dell'azienda. Chi di noi non ha sognato di intervallare le ore di fatica a piacevoli schermaglie amorose nell'ambito del proprio posto di lavo- ro? Inoltre una flessuosa collaboratrice rappresenta anche uno dei primi emblemi di successo alla pari di un attrezza- to ufficio e di una ruggente e scintillante automobile. Ma mi costrinsi alla massima serietà e anteposi il lavoro a devianti giochi da immaturo; ci sarebbe stato tempo an- che per quello, ma solo dopo una vera affermazione, non ora. Assunsi quindi un giovanotto di provincia, tondetto, im- pomatato, ma pieno di rispetto e di buona volontà. Gennaro Mastallo iniziò con passione la collaborazione nella ditta GIANNI CRUNI e mi fu di qualche aiuto anche nelle visite esterne. 138 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:14 pm | |
| CAPITOLO XV Nei primi giorni di settembre mi sentii pronto per affron- tare con Alberto l'argomento che da tempo mi premeva. Erano ormai quattro mesi che collaboravo con lui per la Ricci e che svolgevo l'attività in proprio per la Magli. I gua- dagni erano stati buoni, ma avrebbero potuto essere ben più congrui se avessimo impostato l'attività in un differen- te e definitivo modo. Mi recai da lui e incominciai: "Caro Alberto, ho notato con piacere che la nostra colla- borazione sta procedendo in pieno accordo e con, spero, re- ciproca stima e fiducia. Sei anche tu di questo avviso?" Mi guardò con meraviglia e il suo atteggiamento assunse una posizione di difesa. "Sì, certo, Gianni, abbiamo lavorato abbastanza bene. Anche dalla Ricci ci è giunto qualche complimento". Era sospettoso, l'amico. Mi sarebbe convenuto lisciarlo ancora un po'. "Mi fa piacere che la pensi come me. Ora però desidero ricordarti quanto ti dissi il giorno che ci conoscemmo e de- cidemmo di collaborare. Innanzitutto però debbo dirti in tutta sincerità che provo per te stima, rispetto e amicizia". Avevo fatto breccia. Lo sguardo gli si accese e rispose: "Bene, mi fa piacere. Io non sono mai indifferente a chi mi sta vicino, o sono subito simpatico o antipatico". Ma guarda che affermazione immodesta! "Sì, è vero, hai una notevole personalità... Ora però penso che tu come me avrai notato che la Ricci è quella che è, os- 139 sia una ditta di prestigio e seria, ma hai mai pensato a quanti ordini perdiamo continuamente da parte di quelle imprese che vogliono poter acquistare tutte le attrezzature da un solo rappresentante? Hai visto come la Giorgi&Ferretti, la Lombardini e le napoletane sono avventaggiate rispetto a noi? | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:21 pm | |
| "Naturalmente, bisognerebbe assumere altre rappresentanze che completino la gamma dei prodotti che abbiamo a nostra disposizione" "Giusto, ma a mio modo di vedere non basta questo. Sai meglio di me che una cosa è vedere ad esempio una betoniera sui depliants e ben altro è farla vedere esposta in un apposito locale: Inoltre una cosa è avere pezzi di ricambio a Napoli e un'altra è attendere sei, sette giorni perchè giungano da Ancella" "Ho capito che vorresti mettere un deposito-esposizione. Si può vedere" Lo stavo portando dove volevo io. "Sì, ma non solo...Vedi Alberto, abbiamo dimostrato di saperci fare. Ho avuto il piacere di conoscere tuo padre e di vedere come la pensa e che uomo disinteressato e umano è..." . Era il momento più delicato. Lo guardai diritto negli occhi e proseguii: "Tu collabori con lui per la SCODER e continuerai a farlo, ma non ritieni opportuno che la Ricci, per la quale ci occupiamo solo noi e che a tuo padre non interessa, possa essere rappresentata direttamente da noi? Questo ci darebbe la possibilità di assumerne tante altre e costituirci una base più solida". Era chiaramente sconcertato. Chissà se sarei riuscito a staccarlo, anche se parzialmente, dal padre, quel pezzo di coglione. "Ma il nome di papa può più dei nostri" "E' indubbiamente vero, ma quando avremo costituito una società tra me e te e questa e questa rappresenterà la Ricci e la Magli, che io cederei alla nuova società, avremo anche noi maggior voce in capitolo e papà potrà eventualmente appoggiare le nostre richieste con la sua ben nota autorevolezza" 140 "Ma come faremo?" "Alberto, l'ufficio e la sede possono essere il mio studio e il deposito un locale sfitto che è poco lontano e per il quale chiedono una piccola pigione. E poi tuo padre non avrà nulla da dire se continuerai a collaborare con lui per la SCODER". Lo vedevo sempre più perplesso. Eccepì: "Ma la Ricci a due giovani?" Sembrava così sicuro di sé invece quante paure. Temetti di non riuscire a scuotere quell'abitudinario e flemmatico individuo, ma disperatamente e con forza proseguii: "E perché no? Gli scriveremo una bella e dettagliata let- tera e potremmo andare a trovarli ad Ancella e sentire da vicino cosa ne pensano..." e sparai: "Non senti anche tu il bisogno di un'affermazione personale?" "... Sì, ma papa..." E dai con questo accidenti di papa. Tanto valeva affron- tarlo subito. "Perché non chiediamo il suo parere?" "Non so.... Si può tentare". "Pensa, Alberto, una società Fani & Cruni con tutti e due come amministratori... Andiamo da tuo padre". Il momento della verità era giunto. Approfittai dell'inde- cisione di Alberto e mi diressi con passo sicuro verso lo stu- dio dell'ingegnere Fani. Bussai alla porta e entrai seguito dal titubante amico. "Ingegnere, scusi, vorremmo chiederle un consiglio". "Dica pure, Cruni". "Alberto le avrà raccontato delle nostre esperienze Ricci, dei successi, ma anche delle carenze della nostra organizza- zione. Ora che abbiamo dimostrato di saperci fare e cono- sciamo il suo desiderio di occuparsi solo della grande SCO- DER, avremmo pensato, salva la collaborazione di Alberto per questa ditta, di poter completare la gamma delle attrez- zature per l'edilizia assumendo altre rappresentanze e di 141 mettere su anche una sala di esposizione-deposito..." Mi interruppe. "Si può studiare". Com'era difficile, ma bisognava portare a termine la co- sa. Non potevo e non volevo continuare così, desideravo ar- dentemente la Ricci come referenza di base e col mio nome quale diretto agente. Ce la misi tutta. "Veda, ingegnere, mi scusi, certamente le nuove ditte a lei concederebbero subito la rappresentanza, anche se po- trebbero eccepire che l'attività sarebbe molta solo per l'in- gegnere Fani che sanno così impegnato per la SCODER. Avremmo pensato che lei, come già voleva fare, potrebbe cedere a una costituenda società fra Alberto e me l'agenzia della Ricci e poi questa nuova società potrebbe assumere le altre rappresentanze..." La più grande meraviglia era stam- pata sul volto dell'ingegnere, ma era troppo signore per di- re di no. Approfittai del suo silenzio. "... Avremmo pensato, se lei fosse stato d'accordo, di scrivere alla Ricci per chie- dere un colloquio ad Ancella e sentire cosa ne pensano". Un attimo interminabile e poi: "Fate come volete". Evviva! Proprio come speravo! "Grazie, ingegnere. Ero certo che lei ci avrebbe appoggia- to e che avrebbe compreso il nostro desiderio di andare avanti, pur non dimenticando assolutamente lei e l'impor- tanza del suo nome e della sua attività... Allora, se permet- te, andiamo a scrivere la lettera... e di nuovo grazie". Mi trascinai un frastornato Alberto e, senza dargli il tem- po di pensare, lo spinsi a scrivere subito la lettera che lo assorbì come sempre — come godeva a scrivere coreografi- che lettere! — totalmente. Dopo pochi giorni ci giunse la risposta della Ricci nella quale ci invitavano a recarci in sede per conferire con il di- rettore commerciale, signor Mazzari. Partimmo di mattina molto presto con la mia 500, recan- do con noi valige e borse portacarte nelle quali in duplice copia vi era un promemoria al quale Alberto ed io avevamo 142 lavorato intensamente per molte ore. Finanche il flemmati- co figlio dell'ingegnere Fani sembrava pervaso da un sano entusiasmo, anche se era ben lontano dal mio che ardevo come il ferro in un altoforno. L'ansia mi divorava e spinge- vo la piccola auto a folle velocità. Era uno strano settembre, bello ma freddo e le spiagge che incontravamo dopo Roma erano deserte e in disarmo. Alberto si era subito rivelato un esperto viaggiatore e aveva programmato una sosta a Tarquinia per la visita delle tom- be etrusche e poi il pranzo in una trattoria per camionisti a Montalto di Castro. L'idea di perdere del tempo prezioso nella visita di "cose morte" a Tarquinia non mi andava af- fatto. Non che non mi interessassi a visite archeologiche e a monumenti o opere d'arte in genere, anzi per il passato ero stato uno dei più assidui e instancabili visitatori di tutto quello che era consigliato dalle guide del Touring Club. Ma ora mi importava solo affrontare quanto prima lo scoglio Ricci e ritornare da Ancella in possesso di quella rappre- sentanza che, ero convinto, avrebbe costituito il mio defini- tivo trampolino di lancio sulla via del successo. Fortunata- mente per me un improvviso e furioso temporale ci investì proprio nei pressi di Tarquinia e quindi fu gioco forza pro- seguire per Montalto dove pranzammo fra rumorosi camio- nisti. È proprio vero e non è una favola che le trattorie qua- si nascoste dai molti autotreni in sosta sono quelle dove si mangia meglio e a prezzi convenienti. Pernottammo a La Spezia e affrontammo riposati la lunga ed estenuante salita del passo del Bracco dal quale piombammo su Sestri Le- vante per giungere a Genova. Eravamo ormai convinti che il più fosse fatto, ma non sapevamo quello che ci attendeva, ossia la camionabile per Serravalle Scrivia. Era una strada levigata e abbastanza ampia, ma enormi e spaventevoli au- totreni la percorrevano senza soluzione di continuità a folle andatura nei due sensi e noi poveretti nella nostra minu- scola auto avevamo continuamente la spiacevole sensazio- ne di poter venire travolti e schiacciati da quei mostri che erano condotti con grande abilità, ma anche con colpevole 143 incoscienza. Non osavamo superarne alcuno, al contrario eravamo superati quasi in continuazione e stretti senza pie- tà lungo il margine esterno della strada. Come Dio volle giungemmo ad Ancella, un minuscolo e triste paesino nel cuore dell'Appennino Ligure e nella piaz- za, dove si affacciava la misera stazioncina ferroviaria, tro- vammo alloggio in una pensione modesta e maltenuta. Do- po un pasto forzatamente frugale, che deluse il mio compa- gno che era un vero e proprio buongustaio, ci recammo, in- dossando impeccabili Principe di Galles come perfetti e na- vigati uomini d'affari, allo stabilimento della Ricci che era sormontato da una grande scritta luminosa. Non si trattava certamente ne della FIAT, ne dell'Olivetti, ma nemmeno della Magli. Una palazzina uffici costituita da tre piani e sottotetto ne segnava l'ingresso e dalla saletta di attesa po- temmo osservare un ampio piazzale e otto capannoni che ricoprivano una superfìcie che ad occhio e croce valutam- mo di ottomila metri quadrati. Strani rumori attraversava- no rapidi la stanza, sembravano di tubazioni intasate, ma poi ci rendemmo conto che era solo un antidiluviano appa- recchio telefonico che sussultava in continuazione, eviden- temente a causa di chiamate fra i vari uffici e fra questi e i capannoni. Improvvisamente la porta si aprì e comparve uno scat- tante uomo di circa quarant'anni, di media statura e con un muso tipo becco di rapace. Ci rivolse un incoraggiante sor- riso, tese la mano e: "II dottor Fani e il signor Cruni? Sono Gianfranco Mazza- ri". Parlammo quasi come un affiatato duo. "Piacere". "Benvenuti alla Ricci. Avete fatto buon viaggio?" Tacemmo entrambi per non accavallarci, poi io: "Sì, ottimo, grazie". "La vostra lettera ci ha molto incuriosito, ma prima di af- frontare le proposte che ci recate, gradirei esaminare con voi la situazione di Napoli". 144 Ci immergemmo in una lunga e dettagliata trattazione re- lativa a Napoli, le sue imprese di costruzione, la concorren- za e i prodotti Ricci. Spesso le voci di Alberto e mia si so- vrapponevano. Era lampante l'intento di fare singolarmen- te bella figura. Evidentemente eravamo ambedue smaniosi di far vedere chi era l'elemento guida. Il comportamento di Alberto, in genere così compassato e flemmatico, mi stupì non poco e compresi che non sarebbe stato facile strumen- talizzarlo. "Abbiamo apprezzato", ci interruppe Mazzari, "le relazio- ni-visite così abbondanti che ci avete inviato in questi quat- tro mesi e l'incremento di vendita che si è verificato, ma è bene che sappiate che siete ancora molto lontani dal nostro record annuale raggiunto con l'ingegnere Marzi un paio di anni fa". "Quanto riuscì a vendere?", chiesi io. "Dovrebbe essere un segreto, ma a voi posso dirlo... quin- dici milioni". "Certo l'ingegnereMarzi era molto bravo", commentò Al- berto con la sua solita cortesia un po' servile e io corressi: "Bravo sì, ma allora le ditte napoletane erano appena agli inizi. Oggi sono divenute molto forti e ben organizzate, spe- cialmente la MICOME che, come le abbiamo detto, ha come presidente un autorevole costruttore edile che è anche uno dei più importanti esponenti dell'Unione Industriali". "Sì, ma oggi si costruisce anche di più e dalle statistiche in nostro possesso risulta che vi sono più imprese operanti su Napoli", eccepì Mazzari. "È proprio per questo che siamo qua. Rechiamo proposte che, se approvate, potranno farci superare il livello rag- giunto dall'ingegnere Marzi", affermai e Alberto, interve- nendo decisamente: "Veda, signor Mazzari... Gianni, vuoi prendere il prome- moria, per cortesia... riteniamo che non si possa più fare a meno di una dotazione di pezzi di ricambio più correnti e di una sala di esposizione per le macchine più prestigiose". Mi sovrapposi: 145 "Naturalmente ciò comporta una notevole spesa e impe- gno da parte nostra e abbiamo bisogno di aiuti, garanzie e che accettiate quanto desideriamo proporvi". Mazzari assisteva divertito alla nostra gara, ma era anche interessato. "Cosa proponete?" E Alberto, rubandomi il tempo: "Veramente avremmo pensato di costituire una società fra me e il signor Cruni alla quale dovreste affidare la vo- stra agenzia per Napoli". "E l'ingegnere suo padre?" "L'ingegnere Fani, come sa, è totalmente occupato per la SCODER e non ha alcuna difficoltà a cedere l'agenzia alla nuova società che appoggerebbe come oggi e anche di più...", intervenni precipitosamente, temendo che Alberto mi rovinasse la piazza, "... Ma desideriamo un contratto per la durata garantita di tre anni, trasporto delle macchine a deposito a vostro carico, dotazione di svariati pezzi di ri- cambio, contributo al cinquanta per cento per venti cartel- loni da due metri per uno con la scritta: In questo cantiere macchine edili Ricci e l'indirizzo dell'agenzia..." La voce di Alberto ancora una volta si sovrappose alla mia. "Poi vi è il problema dell'assistenza tecnica, oggi così ra- pidamente attuata dalla concorrenza locale e non. Avrem- mo pensato di affidarla all'Officina Ambita, concessionaria SCODER che potrebbe farlo secondo un tariffario da con- venire con voi. Naturalmente sarete così gentili da inviare un vostro tecnico per alcuni giorni per le dovute istruzioni agli operai Ambita..." Mi intromisi di forza. "Ovviamente dovrete dotare noi e loro di libretti di istru- zioni e schemi di montaggio". Mazzari aveva incominciato ad annotare quanto noi an- davamo così concitatamente dicendo. Alzò la testa dal fo- glio, ci osservò attentamente e replicò: "Quanto proponete è interessante e degno di essere preso 146 in considerazione. Vi renderete però conto che chiedete an- che cose che non siamo soliti concedere e che non sta a me decidere. Domani visiteremo lo stabilimento e poi ne parle- remo ai signori Ricci che, come saprete, sono i titolari e sta- biliremo il da farsi". "Bisogna tener presente che Napoli è lontana da Genova, non è mica Milano o Torino", insistei, ma per Mazzari il col- loquio era terminato. "Rimandiamo il tutto a domani. Siete bene alloggiati qui?" "Al Cavallino", si affrettò a rispondere Alberto. "Sì, è l'unico abbastanza decente... Bene, buon pernotta- mento e a domattina alle nove qui". Ci accompagnò all'uscita e ci salutò con cortesia, ma an- che con un certo distacco. Di sera nella nostra pensione ferveva quasi tutta la vita sociale del piccolo centro. Uomini che recavano i segni del- le popolazioni di mare e di monti al tempo stesso, mangia- vano, bevevano e giocavano a carte in un'atmosfera non troppo allegra, ne rumorosa. La saletta della televisione era colma e Alberto ed io trovammo a stento posto. Il mio com- pagno non era di buon umore perché la cena come il pranzo non erano stati di gradimento al suo raffinato palato. Era fin troppo chiaro che fra noi si era creata quasi involonta- riamente un'accesa rivalità, che si era palesata in quel cer- care di avere continuamente la parola come contraddittori del dirigente della Ricci. Forse Alberto si era pentito di aver accettato la mia iniziativa, ma ero certo, e su questo avevo fatto leva per ottenere il suo appoggio, che anche lui, benché con motivazioni diverse dalle mie, provava piacere di potersi affrancare dal padre. Non era stato facile nei me- si precedenti riuscire ad ottenere le confidenze del mio ri- servato amico, ma quel poco che avevo saputo mi indicava che anche lui aveva subito un certo travaglio nell'inserirsi nell'ambiente di lavoro. Si era laureato in legge e poi, nono- stante il padre lo avesse voluto subito al suo fianco, era quasi fuggito di casa e per circa un anno aveva vagato per 147 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:22 pm | |
| località di tutta Europa, dove si era guadagnato da vivere praticando mestieri anche umili per un laureato, come il cameriere o il suonatore cantante. Infine a Milano aveva trovato posto presso un'agenzia di viaggi dove aveva alter- nato al modesto lavoro di banco quello di accompagnatore di comitive. Era poi rientrato all'ovile dove aveva finalmen- te acconsentito a collaborare all'attività paterna, che evi- dentemente non aveva voluto accettare subito per motivi che non mi erano chiari. Mi sembrava infatti difficile il non andare d'accordo con una persona così gentile, umana e cordiale come l'ingegner Fani, il quale dimostrava un gran- de affetto e un'enorme considerazione per le capacità del fi- glio e non tralasciava occasione per dichiararlo pubblica- mente. Evidentemente non si possono giudicare le persone e le loro vere relazioni ed eventuali conflitti dall'esterno. Chissà a quanta gente anche i rapporti fra me e mio padre davano la stessa errata impressione. Più tardi ci ritirammo nella nostra stanza dove faceva un freddo boia, tanto che fummo costretti a chiedere un sup- plemento di coperte. Il risveglio mi permise di osservare con maggiore attenzione e occhio riposato quel grigio pae- se nel quale l'unica cosa di spicco era lo stabilimento della Ricci. Un pallido sole illuminava le cime dei monti che non pos- sedevano ne la maestosità, ne la bellezza di quelli alpini. Dopo un'abbondante e decente colazione, ci avviammo ver- so la sede della nostra rappresentata, dove fummo ricevuti da Mazzari in persona. Ci condusse a visitare i vari capannoni illustrandoci con orgoglio e dettagliatamente le varie fasi della lavorazione che non era improntata su una vera e propria "catena di montaggio", ma su qualcosa che larvatamente le si avvici- nava. In ogni capannone si svolgeva il ciclo completo per una o più serie di macchinar!. Si capiva immediatamente che il punto di forza e il vanto della fabbrica di Ancella era- no rappresentati dalle mescolatrici. Di queste ne annovera- va quattro tipi tradizionali e tré di estrema avanguardia. Le 148 prime erano rispettivamente da 250 e 350 litri senza e con benna, azionate a mezzo di un unico motore, a scoppio o elettrico. Quelle fornite di benna avevano il serbatoio dell'acqua incorporato e, a parità di capacità del "bicchie- re", una produzione oraria molto superiore. Macchine soli- de, di concezione semplice e ampiamente collaudata. Le al- tre, facenti parte della serie Rim erano ben'altra cosa: for- nite di benna, serbatoio dell'acqua e di due motori, uno per il sollevamento della benna e l'altro per la rotazione del "tamburo", avevano tutti i comandi concentrati in un appo- sito quadro e permettevano una riduzione sostanziale della manodopera. Il tipo maggiore, la Rim 500, riusciva a realiz- zare una produzione oraria di quindici metri cubi di calce- struzzo con ben quaranta impasti, uno ogni minuto e mezzo circa. Ci recammo quindi al capannone degli elevatori che pas- savano dal tipo più semplice con portata, a seconda della marcia, da trecento a cinquecento chilogrammi e velocità da trentacinque a diciotto metri al minuto, a quello più complesso che riusciva a sollevare fino a millecinquecento chilogrammi e che possedeva un quadro comandi di una perfezione stupefacente. La rimanente produzione, ma di gran lunga meno abbondante, era quella costituita da ca- stelli tubolari smontabili, d'altezza fino a quarantacinque metri, carriole di vario tipo e dimensioni, frantoi per pro- duzione di pietrisco, granulato e sabbia e infine arganelli per ponti sospesi. Fra le tante cose viste, quella che più mi impressionò fu il deposito dei pezzi di ricambio, grande, ordinalissimo e for- nitissimo dove addirittura si conservavano, se non proprio i pezzi, perlomeno gli stampi dei componenti di macchinar! ormai da molti anni non più in produzione. Ecco la serietà e organizzazione Ricci. Con rammarico notai però anche la presenza di innume- revoli ragazzini fra i circa centocinquanta operai. Questi piccoli uomini, non ancora cresciuti tisicamente e mental- mente, avrebbero, è vero, imparato nel modo più diretto il 149 mestiere, ma a quale prezzo? Se avessero solo eseguito i compiti più leggeri come apprendisti, quali in definitiva erano, passi pure. Ma la mia impressione era che invece buona parte di essi eseguisse fatiche pesanti alla pari degli altri operai. Questo era un altro dei punti neri del lavoro italiano di quegli anni: l'utilizzazione massiccia di ragazzi che avreb- bero perlomeno dovuto alternare la fatica ai giochi dopo aver conseguito il minimo di istruzione. Anche a Napoli il lavoro minorile è sviluppatissimo, ma perlomeno quello che ricordavo io nei cantieri, in qualche fabbrica e perlopiù per le strade era improntato a minore severità e a maggiore allegria, a schemi molto meno rigidi di quelli nei quali mi sembravano costretti questi ragazzini in forza alla Ricci, tutti seri e composti e attenti agli ordini dei superiori. An- che alla Magli vi erano ragazzini in fabbrica, ma in percen- tuale molto minore e lì, come a Napoli, non si usava una di- sciplina così rigida che poco si confa a ragazzi così giovani e che per di più non dispongono del giusto tempo e della vo- glia di giocare, affaticati da quelle pesanti giornate trascor- se in fabbrica. Se proprio debbono occuparsi così per tem- po, che perlomeno il lavoro somigli a un gioco. Ne era da pensare che il diverso comportamento fra i ragazzi lavora- tori visti alla Ricci e quelli a Napoli e a Partana fosse da at- tribuire a temperamento: non credo che fra i giovanissimi vi sia tanta differenza. Dovevo dedurne che si trattava di qualcosa di imposto e quindi tanto meno naturale e più che mai condannabile. Durante tutto il tempo che impiegammo a visitare i vari reparti, riuscii, forte delle mie cognizioni tecniche e espe- rienze di cantiere, a prevalere ampiamente su Alberto e se- gnai punti in mio favore nella gara che era iniziata il pome- riggio precedente o più esattamente mesi prima. Rientrammo quindi nella zona riservata agli uffici dove erano, suddivisi in vari locali, quelli commerciali, ammini- strativi, tecnici e direttivi. Qui passammo dal modesto e ri- stretto ambiente riservato al signor Mazzari ad un altro 150 molto più ampio, arredato sobriamente, dove dietro scrit- toi gemelli, troneggiavano due anziani signori molto distin- ti, ma con caratteristiche fisiche del tutto differenti. Quello più vicino alla porta era di altezza inferiore alla media, ma- gro, con un viso dai lineamenti sottili e delicati e capelli completamente bianchi; l'altro era alto robusto, naso gros- so e capelli solo leggermente brizzolati. Mazzari era diven- tato estremamente serio e ossequioso; avanzò verso gli scrittoi e indicandoci presentò: "II dottor Fani e il signor Cruni di Napoli", e a noi: "II si- gnor Paolo Ricci", indicando il più basso, "e il signor Mau- ro Ricci", indicando l'altro. Le strette di mano rispecchiarono il fisico di entrambi; leggera quella di Paolo, robusta quella di Mauro. Il primo ci fece cenno di accomodarci ed esordì: "Grazie, signor Mazzari. Questi sono i nostri collaborato- ri di Napoli? Se ho ben compreso il signore qui è il figlio dell'ingegner Fani..." e indicò me. "No, signor Ricci. È il signor Cruni. È l'altro, il dottor Fa- ni, il figlio dell'ingegnere". "Ah, mi scusi, ma non ho mai conosciuto direttamente suo padre che stimo molto" e rivolgendosi a me: "Anche di lei ho stima per quello che mi hanno riferito il signor Maz- zari e il geometra Zanni". "La ringrazio, signor Ricci. Sono lieto che questi quattro mesi di collaborazione abbiano dato una buona immagine anche di me". | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Lun Dic 29, 2008 7:23 pm | |
| Subito intervenne Alberto: "Le porto i saluti di papa. Anche lui ha molta stima della Ricci e di chi la guida ed è davvero spiacente di non averle potuto dedicare tutto il tempo che avrebbe desiderato". Mauro Ricci osservava attentamente senza intervenire. Paolo si rivolse a Mazzari: "Signor Mazzari, ha fatto visitare ai signori lo stabili- mento?" "Sì e dettagliatamente". "Complimenti per l'ottima organizzazione", si affrettò a 151 dire il solito Alberto ed io: "E principalmente per gli ottimi macchinari, particolar- mente per la Rim 500 e l'argano Electro-Ricci che è quanto di più moderno abbia visto nel settore". Un lampo di soddisfazione negli occhi dei fratelli. Paolo riprese: "II signor Mazzari ci ha riferito di quanto vi proponete di fare e di quello che desiderate, ma vi debbo dire che non ab- biamo mai concesso quello che chiedete, specialmente in materia di contratto". Rapidissimo precedetti Alberto. "Signor Ricci, sarà opportuno parlarci chiaro subito. Noi abbiamo ben valutato la situazione napoletana e la concor- renza e ne abbiamo fatto dettagliata relazione al signor Mazzari. Continuare in questo modo non credo sia interes- se ne vostro, ne nostro. Pur apprezzando l'abilità dell'inge- gnere Marzi, predecessore dell'ingegnere Fani, dobbiamo anche dire che i tempi e la concorrenza non sono più gli stessi. Specialmente quella locale si è potenziata con note- voli stabilimenti, organizzazione vendite dinamica, assi- stenza pronta..." Alberto intervenne: "Ma certo artche con produzione di livello molto inferio- re alla vostra". "Scusa, Alberto", interruppi, "è vero, ma i prezzi sono molto più bassi e la gamma più completa". Ancora Alberto: "Anche Giorgi & Ferretti e la Lombardini hanno una gamma più ampia..." E io: "E la ditta rappresentante della Giorgi ha messo su un deposito con assistenza che è davvero importante..." E Alberto: "Noi vogliamo cercare di organizzarci se non proprio, quasi a quel livello. Per questo vogliamo aprire una sala di esposizione-deposito e creare un servizio di assistenza av- valendoci, per i buoni uffici di mio padre, dell'Officina Am- 152 bità, concessionaria SCODER. Certo i vostri prodotti sono superiori e difficilmente si rompono e la vostra organizza- zione da Ancella già è molto valida..." E dai con i complimenti! Non aveva ancora capito quella testa di rapa che non era più il momento. Bisognava deni- grare per ottenere. Intervenni: "Sì, tutto vero, ma ottocento chilometri di distanza sono sempre tanti! Dunque, signori Ricci, se noi oggi con il pic- colo fatturato attuale rischiarne le forti spese necessarie per impostare deposito, cartelloni e occupare buona parte del nostro tempo, desideriamo garanzie che i frutti non va- dano ad altri. Ecco perché abbiamo chiesto i contributi e il contratto per tre anni. Mi scusino la chiarezza, ma è neces- saria. Come voi avete impostato così bene la vostra fabbri- ca, anche noi, naturalmente in dimensioni ben diverse, de- sideriamo inquadrare altrettanto bene la nostra rappresen- tanza". I due Ricci, Mazzari e principalmente Alberto, che mi guardava con odio misto ad ammirazione, erano rimasti stupefatti per un linguaggio così crudo e deciso. Il primo a riprendersi fu Mauro Ricci che intervenne per la prima vol- ta: "È un parlare chiaro. Noi possiamo anche apprezzarlo, ma voi sareste i rappresentanti più giovani che abbiamo mai avuto..." Alberto, pallido, debolmente: "C'è sempre mio padre che ci appoggerebbe..." Ed io: "È vero che non abbiamo grandissima esperienza, ma or- mai tanta introduzione, buona volontà e principalmente en- tusiasmo. Spero che anche per voi conti..." Paolo Ricci riprese in pugno la situazione e con voce deci- sa, ma sempre negli argini della sua ottima educazione: "Signor Mazzari, ci riferisca nuovamente e in dettaglio le richieste. Poi ne discuterà oggi dopo pranzo con loro e que- sto pomeriggio con noi. Alle diciotto ci rivedremo tutti per prendere una decisione definitiva". 153 Mazzari con precisione e grande pazienza ripetè tutto quanto aveva evidentemente già esposto ai signori Ricci in- terrotto qualche volta da me che tenevo a meglio precisare alcune motivazioni, nonostante lo sguardo irato di Alberto Alla hne i fratelli ci congedarono con cortesia, affidandoci per il pranzo al signor Mazzari. Abbandonammo la Ricci e dopo aver camminato per un centinaio di metri, entrammo in una trattoria modesta ma molto frequentata dove il tragitto fra l'ingresso e un tavolo libero tu punteggiato da una lunga serie di rispettosi saluti rivolti al signor Mazzari da parte dei commensali, di cui buona parte doveva essere costituita da dipendenti della sua azienda. Una grossa signora dal viso freschissimo si precipito al nostro tavolo e chiese: "Cosa posso servire, signor Mazzari?" "Cosa c'è oggi, signora Rosa?" La donna elencò alcuni primi piatti e Alberto, che era tor- nato sereno pregustando un buon pranzo, scelse un piatto prettamente genovese, imitato da Mazzari, mentre io che volevo tenermi leggero per le battaglie del pomeriggio op- tai per una semplice pasta al filetto di pomodoro E per secondo?" Alberto chiese: "C'è del pesce?" "Come no! E anche lei desidera del pesce?", rivolgendosi Zi me. "No grazie, per me una bistecca ai ferri e insalata verde . "Per me del pesce", affermò Alberto, certo di poterne gu- stare qualche buona qualità. "Ah, signore, abbiamo dello squisito baccalà in umido del mussillo in salsa verde, dello stocco con patate". Mazzari, che evidentemente c'era abituato, ordinò il pri- mo, mentre vidi il viso di Alberto che, cambiando espressio- ne, ne assune una quasi disgustata che si affrettò a masche- rare per dire: "Anche a me come il signor Mazzari". 154 Mentre tornavamo allo stabilimento, approfittai di un momento nel quale il dirigente si era allontanato da noi per sussurrare ad Alberto: "Ti hanno trattato proprio maluccio con il baccalà" e fra noi tornò una certa buona armonia. Per circa due ore nell'ufficio di Mazzari continuammo a discutere sul nuovo eventuale contratto di agenzia, su tanti argomenti attinenti alla nostra attività e alle 17 ci conge- dammo per ritornare nella nostra pensione. Ci saremmo ri- visti in fabbrica di lì a un'ora per l'incontro conclusivo con i signori Ricci. I nostri rapporti si erano, come ho già detto, distesi e, ri- posatici, indossammo entrambi un corretto Fumo di Lon- dra e ritornammo allo stabilimento. Nel solito salottino d'attesa fummo ricevuti da un Mazzari molto più gentile e sorridente del solito, il quale con molta cordialità ci invitò ad accomodarci al secondo piano dove i fratelli Ricci aveva- no il loro appartamento di Ancella. La porta fu aperta da un cameriere il quale ci introdusse in un soggiorno arredato principalmente con comodi e moderni divani, dove i due in- dustriali ci accolsero non più come per una visita d'affari, ma come vecchi conoscenti e impostarono la conversazione sulla vita di Genova, di Napoli, sui viaggi, gli hobbies e ar- gomenti più o meno futili. Ci fu servito un tè completo in raffinate tazze di porcellana preparato dal cameriere in v guanti bianchi. Eravamo improvvisamente piombati in un mondo diverso, non sembrava nemmeno più di essere in uno stabilimento industriale a pochi metri da capannoni dove per molte ore al giorno si costruivano fra un assordan- te frastuono macchinar! di ferro, ghisa e acciaio. Appresi che i fratelli abitavano in una bella villa posta in un quar- tiere residenziale di Genova da dove quasi ogni mattina giungevano ad Ancella, alla pari di molti loro operai, capi- servizio e dello stesso Mazzari, il quale altri non era che il figlio di una loro sorella. Molto mi colpì il fatto che quei tré che si erano trattati durante il nostro precedente colloquio con grande rispetto e dandosi del lei, chiamarsi per nome e 155 darsi del tu. Ora gli "zio Paolo", gli "zio Mauro" e i "Gian- franco" si sprecavano. Che strano modo di fare! Ma forse ripensandoci, era il più corretto. Nella vita privata erano zio e nipote, ma sul lavoro i Ricci erano i titolari e direttori generali dell'azienda e Mazzari uno dei dirigenti e quindi loro dipendente. Mentre Alberto in quell'atmosfera si trovava perfetta- mente a suo agio e non sembrava minimamente preoccupa- to dell'accoglimento o meno delle nostre richieste, io rima- si a lungo in ansia fin quando Mauro Ricci brindò ai nuovi agenti di Napoli. Solo allora fui certo che ce l'avevamo fat- ta. Mazzari, nel congedarci, ci confermò che tutto era a po- sto, che si fidavano di noi e che avrebbero inviato quanto ri- chiesto e il nuovo contratto non appena avessimo costituito la nuova società e preso in fitto il locale. Quella notte nella fredda e squallida Ancella mi addor- mentai in un'esaltante sensazione di trionfo. Avevo ottenu- to anche la Ricci; ora tutte le porte mi si potevano schiude- re. 156 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:42 pm | |
| CAPITOLO XVI Giorno per giorno andavo sempre più acquistando sicu- rezza nei miei mezzi, anche se pungente a tormentarmi ri- maneva quella mancanza di un qualsiasi titolo accademico, ne era pensabile, e sarebbe stato indubbiamente ridicolo data la mia età, un qualsiasi titolo cavalieresco. Durante il viaggio ad Ancella mi ero sentito molto più in gamba di Al- berto, eppure quel suo titolo di "dottore" aveva quasi bilan- ciato le nostre quotazioni. Anche quando ci recammo da un commercialista per consigli sulla società da costituire, ri- cordo che questi continuava a insistere sulla discriminazio- ne, che assunse caratteri di ossessione, del "dottore" e del "signore". Il fatto si evidenziò ancora di più quando, davan- ti al notaio, costituimmo la società ed il relativo atto reca- va, come si usa fare in modo errato in Italia, alla voce "pro- fessione" per Alberto "dottore in giurisprudenza" e per me "rappresentante di commercio". Che assurdità! Quasi che dottore in giurisprudenza fosse una professione. Potrei ca- pire per dottore in medicina, in ingegneria, in economia e commercio, sempre che beninteso si eserciti davvero una delle professioni a cui tali titoli, dopo l'esame di abilitazio- ne, danno diritto. Ma mettere dottore in giurisprudenza non significava nulla e tanto sarebbe valso per me, con ana- logo sistema, scrivere laureando in ingegneria o studente in..., o diplomato al liceo scientifico. Ma è tanto forte il fa- scino del titolo in Italia, anche a livello ufficiale, da far tra- visare anche le cose più evidenti. 157 Comunque costituimmo la CRUNI & FANI Società a re- sponsabilità limitata, capitale sociale lire novecentomila amministratori entrambi, con firme separate, quote sociali di lire quattrocentocinquantamila ognuna, la sede era pres- so il mio studio. Scegliemmo tale tipo di società, in quanto come "società di capitale" possiede una sua figura giuridi- ca diversa da quella dei soci, i quali concorrono in proprio soio per la quota di capitale sottoscritto. Il costituire inve- ce una società di persone, come la società in nome colletti- vo o la società in accomandita semplice e similari poteva comportare il rischio che, se uno dei due in un momento di pazzia avesse commesso un errore e fatto dei debiti, questi avrebbero investito l'intera figura economica, e a volte non solo quella, dell'altro socio. L'inaugurazione del deposito, che avvenne pochi giorni dopo, costituì una giornata radiosa per Alberto che si di- stinse come un perfetto padrone di casa, muovendosi con eleganza nel vasto negozio di circa cento metri quadrati ubicato a soli pochi metri dall'ufficio, dove facevano bella mostra di sé le più prestigiose macchine e attrezzature del- la Ricci. Anche l'appena abbozzato servizio di assistenza che servì fortunatamente solo pochissime volte, incremen^ to, come tutto l'apparato, in modo notevole le vendite che presto si avviarono a superare il mitico record dell'ingegne- re Marzi. A loro volta le vendite degli elevatori Magli proce- devano senza infamia e senza lode, non certamente come avevo previsto ai tempi di Milano. Napoli è città tradiziona- lista e imporre qualcosa di nuovo è estremamente difficile Sempre più numerosi erano i cantieri che innalzavano il grande cartello giallo sul quale, a caratteri cubitali, risalta- vano il nome della Ricci e quello della nostra società Nell'arco di due mesi il nostro nome era ormai abbastan- za conosciuto nell'ambiente e andava riscuotendo sempre più credito. Incominciarono a pervenirci varie offerte di rappresentanza che però non erano particolarmente inte- ressanti, ad eccezione di quella di una ditta costruttrice di molazze che aveva sede nell'incantevole cittadina di Pog- 158 giomirteto, in provincia di Rieti, dove ci recammo un gior- no scoprendo un altro aspetto del mondo industriale. Vi era qui un felice connubio fra industria e agricoltura e la fabbrichetta sorgeva in un dolce declivio fra verdi campi coltivati. Il titolare, un anziano signore che unitamente al figlio conduceva l'azienda, era un'ottima persona che, pur producendo solide macchine e rispettando scrupolosamen- te gli impegni, dava ampia libertà ai suoi quaranta operai, i quali si sentivano proprio per questo responsabili e produ- cevano di più e meglio. Capitammo nel giorno della "fusio- ne" che costituiva una festa per tutti gli elementi dell'azien- da e della microscopica fonderia. Assistemmo entusiasti all'avvenimento e vedemmo prender corpo l'elemento base delle molazze. Concludemmo rapidamente il contratto di agenzia e riempimmo un vuoto nella gamma delle macchi- ne per edilizia che potevamo prospettare alla nostra clien- tela che diveniva sempre più numerosa. Proprio in quel periodo il mio collaboratore Mastallo, che era stato assimilato dalla nuova società, si dimise per motivi familiari e quindi si ripropose il quesito se assumere un uomo o una donna. Mastallo era stato abbastanza utile per qualche visita di routine che si limitava a poco più di una consegna di depliants, ma aveva gravi deficienze come dattilografo. Inoltre trovare e pagare poco un uomo con una certa cultura di base era estremamente difficile. Deci- demmo quindi di mettere un annuncio economico per una signorina che provvedesse a tenere la piccola contabilità, battere a macchina e rispondere al telefono, riempendo così il vuoto delle mie lunghe assenze, in quanto su Alberto, preso com'era anche dalla collaborazione col padre, ci si poteva contare solo per poche ore alla settimana. Il deposito invece veniva aperto solo quando invitavamo qualche cliente nel nostro ufficio e di lì lo si conduceva nel locale vicino. Inoltre questo disponeva di serrande a ma- glie, per cui, lasciando una luce interna accesa, si potevano osservare le macchine anche dall'esterno. Il giorno destinato a ricevere le candidate al posto di se- 159 gretaria, Alberto ed io eravamo particolarmente emoziona- ti. Nessuno dei due aveva mai potuto scegliere una collabo- ratrice. Mastallo, che era venuto a darci una mano, introdu- ceva ad una ad una le ragazze nella mia stanza, che da quan- do avevamo costituito la società era stata dotata di un altro scrittoio per Alberto. Presto mi resi conto che se noi erava- mo emozionati, le povere ragazze, che erano di età variabile dai sedici ai ventidue anni e quasi tutte al primo impiego, erano addirittura terrorizzate. Anche per loro si trattava dell'inserimento nel mondo del lavoro. Non avevano evi- dentemente grandi traguardi; per loro un'aziendina come la nostra poteva rappresentare il trampolino di lancio per ap- prodare ad aziende più grandi presso le quali avrebbero ot- tenuto il sospirato "posto fisso", meta precipua dell'italio- ta gente. Entravano nel luogo dell'esame dove Alberto ed io eravamo pomposamente seduti dietro il mio scrittoio e ri- volgevamo loro domande di questo tipo: Come si chiama? Dove abita? Quanti anni ha? Che studi ha fatto? Ha altre esperienze di lavoro? E così via. Le più giovani e bellocce erano perlopiù scortate dalle madri, e indossavano, chissà dopo quante discussioni in famiglia, abiti particolarmente scollati e attillati, o estre- mamente accollati e lunghi. Alcune non osavano nemmeno guardarti in faccia, altre invece ti guardavano provocanti, quasi a prometterti tutto pur di ottenere l'ambito posto che avrebbe permesso loro non solo di incominciare a guada- gnare, ma anche di raggiungere una certa libertà dall'op- pressione casalinga. Le mamme poi erano uno spettacolo a sé, alcune cercava- no di ingraziarsi Alberto e me; altre, convinte com'erano che tutti gli uomini sono mascalzoni e stupratori di giovi- nette, ci guardavano con sospetto e, a ogni domanda che ri- volgevamo alle figlie, si precipitavano a rispondere loro e guai a ricordare che la candidata era la ragazza, ti rivolge- 160 vano un'occhiata colma di odio e di ira repressa. Quando si passava poi alla prova di dattilografia, le mani tremavano, il foglio veniva introdotto con difficoltà nella macchina da scrivere, i tasti non si trovavano e infine una sfilza di errori e sempre o quasi dimenticavano di introdurre carta carbo- ne e velina. Eppure erano tutte o quasi fornite di diploma di dattilografia; allora le mamme intervenivano e dicevano che la figlia era emozionata, che la macchina era diversa, che a casa era tanto brava e infine che la ragazza era intelli- gente e che avrebbe imparato presto, bastava avere con lei un po' di pazienza. Lo spettacolo era pietoso e degno di considerazioni più serie sul costume e la preparazione scolastica, ma noi, alle prime armi come assuntori, quasi ci divertivamo e lo osser- vavamo solo dal suo lato grottesco. Credo che simili espe- rienze abbiano provato anche i professori ai loro primi esa- mi. C'è una specie di gusto sadico che alberga in tutti noi che ci porta a scaricare su altri le nostre frustrazioni. Chi di noi non ha subito un esame o prove per essere assunto. Anche io, in quell'anno in particolare, avevo dovuto supera- re tante prove per cercare di inserirmi nel mondo del lavo- ro e ora quasi gioivo alle sofferenze di quelle povere ragaz- ze e di quelle povere madri che con le loro antiquate menta- lità, retaggio di vecchi pregiudizi, si sentivano staccare un pezzo di cuore al pensiero che l'amata figlia, carne della propria carne, doveva essere assunta da estranei e poi la- sciata sola con loro per lunghe ore di ogni giorno. Certo, con gli anni e l'esperienza l'esaminatore diventa più umano e considera come un fatto normale quel suo lavoro e non scarica più o quasi in esso sue particolari situazioni psico- logiche presenti o passate. Fra le tante candidate, chiaro segno di grande disoccupa- zione nel settore della scarsa specializzazione, alcune — meraviglia! — vennero da sole. Di queste la migliore fu Lo- redana, una svelta brunetta di ventidue anni con un viso smaliziato di donna esperta. Entrò nella stanza con sicurez- za, ci soppesò a lungo e con aria lievemente divertita rispo- 161 se sbrigativamente alle solite domande e riuscì a battere a macchina una lettera abbastanza decente. Fu lei che, presi- ci m contropiede, ci interrogò sulla nostra attività, sullo sti- pendio e poi si allungò sulla sedia stiracchiandosi con vo- luttà e affermò: "Penso proprio che mi troverò bene qui con voi e voi con me. Anche nel mio precedente impiego vi erano due soci e ci siamo divertiti insieme". Ci guardò provocante e rivol- gendosi a me, forse ero considerato il punto più vulnerabile della società, aggiunse: "Lei è il dottor Cruni, vero''" "Come fa a saperlo?" "Riesco sempre dai visi a capire il cognome. E lei è il dot- tor Fani, naturalmente" e saettò Alberto di un'altra occhia- ta nella quale spese tutto il suo fascino. Alberto non rispose, ma il suo volto assunse un'aria fra infastidita ed eccitata al tempo stesso. Loredana si rivolse nuovamente a me: "E i vostri nomi quali sono?" "Io mi chiamo Gianni e il dottor Fani, Alberto". La ragazza si alzò con lentezza, si portò alle nostre spalle e, appoggiando le mani su di queste, dichiarò: "Bene, Gianni e Alberto, staremo molto, molto bene tutti e tré insieme". Improvvisamente mi ricordai della ragazza milanese quella che stava con due giovani insieme e mi sentii perva- dere da un gran fuoco dai testicoli alla testa. 'Eccola qui una come quella. Ora posso realizzare il sogno!' Ma Alberto mi risvegliò presto. "Gianni, preghiamo la signorina di telefonare come le al- tre e proseguiamo con quelle che attendono nella sala" Mi riscossi dalle mie fantasie erotiche e, mortificato per quel momento di debolezza, assunsi un'aria decisa e con to- no sicuro dissi: "Certo. Signorina Loredana, apprezziamo la sua buona volontà, ma ora, come lei sa, abbiamo le altre candidate da esaminare. Abbiamo qui il suo numero di telefono e se sarà il caso la convocheremo". 162 Prima che potesse replicare chiamai Mastallo e lo pregai di introdurre un'altra ragazza e di accompagnare fuori Lo- redana. Fortunatamente fra le ultime tré candidate trovam- mo quella che faceva al caso nostro. Si chiamava Amelia, era già stata impiegata per qualche mese, batteva decente- mente a macchina, aveva una bella voce priva di inflessioni dialettali e un viso e un corpo non belli, ma accettabili. De- cidemmo di assumerla, anche se lasciai parte del mio desi- derio in Loredana, in una prosperosa e dirompente ragazza sedicenne e in una bionda dai grandi e profondi occhi az- zurri. Solo di sfuggita con Alberto parlammo di Loredana. Io mi sentivo ancora mortificato per quella mia debolezza, lo- gica in altri momenti, ma non certo opportuna in quel pe- riodo di costruzione di una valida e solida azienda. 163 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:43 pm | |
| CAPITOLO XVII Era ormai quasi un anno da quando avevo varcato timo- roso la porta di Mortini e più di sette mesi da quando ero ri- tornato da Partana con il mio primo contratto di agenzia in esclusiva per la Campania. Nonostante i vari ostacoli, fami- liari e ambientali in genere, potevo considerarmi ben avvia- to e produttore di un reddito che, se anche non congrue, mi avrebbe permesso di vivere anche fuori dalla mia famiglia. Con la mia ragazza incominciammo a parlare sempre più spesso di matrimonio e prevedevamo di realizzarlo entro il prossimo anno. Avrei potuto proseguire ormai con una certa tranquillità, attendendo che il tempo e un normale e conti- nuo numero di visite dessero i loro frutti. Ma non potevo fermarmi lì. Il "peccato originale" era sempre a pungolar mi e a chiedermi di ottenere di più, sempre di più. I miei obiettivi erano quelli di assicurarmi case importanti, sul ti- po della SCODER di Fani o della Leonardo di Mortini, e di organizzare una mia azienda che fosse fra le prime del set- tore nella mia città con dipendenti e collaboratori. La costituzione della CRUNI & FANI S.r.l. era stata una costosa necessità per ottenere la sospirata Ricci, che avreb- be dovuto fornirmi referenze dirette per aspirare ai tra- guardi che mi proponevo, ma non mi era servita solo a quel- lo. Ora io non ero più soltanto il rappresentante, signor Gianni Cruni, ma l'amministratore della società Cruni & Fani; il che, a mio modo di vedere, mi conferiva maggiore autorevolezza e principalmente mascherava in parte la 164 mancanza del famoso titolo davanti al nome e la professio- ne di rappresentante di commercio che, non solo per la mia famiglia ma anche per me, non costituiva proprio l'ideale assoluto. .. Come ho detto, i guadagni erano discreti, ma avevano il grave torto di concretarsi con liquidazioni trimestrali e a in- casso maturato; il che equivaleva a dire che se un cliente pagava in quattro mesi, bisognava attendere, per incassare la provvigione, da un minimo di cinque a un massimo di ot- to mesi. Intensificai quindi il numero delle visite e un giorno mi recai alla sede di un'impresa non grande di Torre del Greco che aveva ufficio presso la modesta abitazione dell'ingegno^ rè Primo Zannus. Fui ricevuto dalla moglie che mi pregò di attendere e di lì a poco conobbi quell'uomo magro e roccio- so, con il viso cotto dal sole dei lunghi anni trascorsi nei cantieri di tutt'Italia, e il figlio, un simpatico ragazzo molto simile al padre, dallo strano nome di Secondo. Simpatiz- zammo subito. Erano dei grandi lavoratori e avevano ur- gente bisogno per la piccola impresa in notevole espansio- ne di molti macchinari e i due Zannus, come tutti quelli che sono destinati a percorrere molta strada, puntavano al me- glio e a prodotti che garantissero continuità di lavoro e lun- ga durata. Sacrificai parte della provvigione e concessi loro uno sconto e una dilazione mai praticati prima, ma ne rica- vai un grosso ordine e una gratitudine che mi sarebbe stata di enorme utilità in futuro. Per fare accettare quanto avevo concesso dovetti affrontare un'articolata discussione con Alberto ed inviare una decisa e perentoria lettera alla Ricci. Ero convinto di aver agito bene, era questione di intuito e di valutazione delle persone. I fatti mi diedero ragione. La gente non si apprezza esclusivamente solo perché ha un lus- suoso ufficio e colossali lavori. Quante imprese che sem- bravano solidissime e con grandi fatturati sono naufragate in un mare di debiti e in ingloriosi fallimenti a volte anche fraudolenti. Alla Ricci erano entusiasti di noi e ciò lo potevamo argui- 165 rè da alcune visite che suoi tecnici effettuavano a Napoli, anche quando erano di passaggio per recarsi m Sicilia o in Puglia. Specialmente uno di loro, che si trattenne con me a Sorrento presso un'autorevole impresa del posto, alla qua- le ero riuscito a vendere un costoso castello tubolare com- pleto di argano Electro-Ricci e benna autorovesciabile, mi riferì che il signor Mauro in particolare ad ogni occasione mi citava ad esempio, invitando tutti loro ad andare a vede- re cosa stavano combinando i "ragazzi" di Napoli. Continuavano a pervenirci numerose offerte di agenzia da parte di svariate ditte operanti nel settore edile, ma nes- suna di esse era particolarmente interessante. Dopo una sommaria, e solo a volte più attenta, valutazione le cestina- vamo. Un giorno, in una delle rare volte che Alberto era insieme con me nel nostro ufficio, fra la numerosa posta vi era una lettera con un'intestazione strana: VETRERIA INTERNA- ZIONALE VAN GOGHS.P.A. Aprii distrattamente la busta e un breve scritto ci invitava ad un colloquio nel loro ufficio di Napoli per valutare l'eventuale assunzione della loro agenzia. Mi rivolsi ad Alberto e con aria annoiata commen- tai: "Qui c'è un'altra offerta senza importanza. Credo si tratti di vetri, sta scritto vetreria. È da cestinare" e feci per ap- pallottolare busta e foglio, ma con la coda dell'occhio intra- vidi in carattere piccolissimo una grande cifra: dieci miliar- di! Svolsi nuovamente il foglio e guardai meglio: capitale sociale lire dieci miliardi. Alla faccia! Una cifra da capogi- ro. La Ricci aveva capitale cento milioni, la SCODER un mi- liardo, la Leonardo tré miliardi e qui addirittura dieci, cap- peri! "Caspita, Alberto! Ma questa deve essere una ditta enorme. Ha un capitale di dieci miliardi, guarda..." e gli passai foglio e busta. Alberto li prese con la solita flemma che subitaneamente fu scossa. Guardò e riguardò con interesse e poi: "Ma che diavolo vorranno da noi? Cosa ci possono inte- ressare i vetri o oggetti di vetro?" 166 "Lo penso anch'io, ma una ditta di questa portata non ci capiterà mai più. Hai letto? Ha sede a Milano e settori ven- dita in varie città compresa Napoli. Senti, facciamo così, in- vece di perdere il tempo per una visita con tutto quello che abbiamo da fare, telefoniamo subito e chiediamo chiari- menti. Che ne dici?" "Si può fare. Qual è il numero?" "Aspetta, e diamoci importanza! Facciamo telefonare da Amelia e poi ci parleremo noi". "Va bene". La ragazza formò il numero. "Pronto, qui la società Cruni & Fani. Parlo con la Vetre- ria Internazionale Van Gogh?... Il direttore, prego... Un atti- mo, le passo uno degli amministratori" e mi porse il micro- telefono. "Pronto, sono Cruni della Cruni & Fani". Una voce con uno strano accento: "Sono il signor Bigiaretti, desidera?" "Abbiamo ricevuto una vostra lettera nella quale ci si prega di visitarvi per un colloquio attinente alla concessio- ne di agenzia della vostra società..." "Ah, ho capito, siete uno dei rappresentanti che il nostro direttore, l'ingegnere Zappa, ha convocato. Un attimo, glie- lo passo. Attenda in linea". Uno scatto di telefoni intemi e poi una voce con uno spic- cato accento milanese: "Pronto, qui l'ingegnere Zappa. Parlo con..." "Cruni della Cruni & Fani". "Ah, signor Cruni, vi abbiamo scritto perché vogliamo istituire un'agenzia di vendita a Napoli e vorremmo incon- trarvi". "Ma la vostra azienda di cosa si occupa?" "Beh, di tante cose, ma il settore che ci interessa è quello degli isolanti termoacustici per l'edilizia e per l'industria". Porca l'oca! Che campo affascinante e di avvenire! "Interessante". 167 "Avremmo fretta di incontrarvi. Potete venire oggi da noi alle sedici?" "Un attimo, ingegnere, chiedo al mio socio, il dottor Fani". Coprii il microfono e mi rivolsi eccitato ad Alberto e sus- surrai: "Alberto, è una cosa molto interessante. Producono iso- lanti termoacustici per l'edilizia e desidera incontrarci oggi alle sedici". Alberto si mostrava interessato, ma non moltissimo. For- se non afferrava quali grandi sviluppi avrebbero potuto avere quei prodotti. Consultò con calma la sua agenda e poi concesse: "Va bene". Sollevai la mano. "Ingegnere, d'accordo, alle sedici". "La ringrazio, a oggi". Riattaccammo. Alberto ed io completammo il da farsi e ci salutammo prendendo appuntamento. Non vedevo l'ora di rimanere so- lo. Avvertivo, anzi ne ero sicuro, che l'incontro del pomerig- gio sarebbe stato di un'importanza determinante. Nel '60 nell'edilizia italiana non erano molte le applicazioni di iso- lanti termici e principalmente acustici. Avevo sentito vaga- mente parlare di sughero, lana di roccia, conglomerati di fi- bre di legno e così via. A scuola e poi all'università avevo avuto sempre una grande passione e capacità per la fisica e particolarmente per la termologia e l'acustica, dove ero an- dato sempre al di là del ristretto campo degli studi. Erano problemi che mi affascinavano: poterli ora affrontare come lavoro sarebbe stata una colossale fortuna. Mi incontrai con Alberto nell'atrio del grandioso palazzo tutto adibito ad uffici che sorgeva nel nuovo Rione Carità, la City napoletana. Prendemmo l'ampio e veloce ascensore e ne uscimmo al nono piano dove si apriva la porta degli uf- fici Van Gogh. Una graziosa signorina dal gran seno ci introdusse in un 168 vasto locale, dominato da un lungo tavolo in ferro e plastica dove erano sparsi numerosi depliants sui quali mi lanciai con voracità. Dopo un po' un giovane alto e grosso, con un viso bonario e acquosi occhi azzurri entrò e si presentò co- me il signor Bigiaretti, funzionario alle vendite per il setto- re edilizia. Ci guidò nello studio privato del direttore. Die- tro uno scrittoio in ferro vi era un uomo di circa cinquant'anni, non alto, di corporatura media e un viso e occhi scuri da meridionale. Ci tese la mano cordiale. "Si accomodino, si accomodino. Il signor Cruni e il dot- tor Fani?" "Sì, lei è l'ingegnere Zappa?", chiesi. "Proprio io". "Ci dica, ingegnere". "Come le ho accennato per telefono, la nostra society che è la maggiore in Italia come produttrice di materiali isolanti termici ed acustici ed è legata da stretti vincoli a una industria di proporzioni mondiali, desidera istituire, anche per la provincia di Napoli, un'agenzia di vendite e in tale quadro stiamo consultando ditte di rappresentanza per il settore edile fra le più quotate che possano fare al caso nostro". Mi sentii lusingato, già eravamo fra le più quotate! Ma Zappa aggiunse: "Politica della dirczione generale e quella di puntare sui giovani in particolare, perché i nostri prodotti possono essere ben prospettati e propagandati so- lo dai giovani che debbono e possono capire che i tempi del- le costruzioni senza isolamenti sono finiti". Mi inserii, come si faceva a scuola, per fare bella figura. "Certo, ormai gli edifici sono tutti in cemento armato e quindi le grosse e pesanti murature che da sole costituiva- no un isolamento naturale anche se imperfetto, non si co- struiscono più. E non è certo con l'adozione della 'camera d'aria' che si risolvono in modo molto valido i problemi di isolamento". Zappa mi guardò meravigliato. "Vedo che lei ha già una buona conoscenza del problema. Che studi ha fatto?" 169 "I suoi, ingegnere, ma li ho sospesi a sei esami dalla lau- rea. "Ah, lei invece è dottore in cosa?", fece rivolgendosi ad Alberto. "In giurisprudenza e collaboro con mio padre che è inge- gnere e che rappresenta da trent'anni gli ascensori SCO- DER". "Da mie informazioni risulta che siete agenti di ditte pro- duttrici di macchinari per edilizia, come la Ricci di Ancella e la Mavi di Poggiomirteto" "E la Magli di Partana, elevatori speciali", aggiunsi. "Inoltre avete un vostro ufficio e un deposito per i mac- chinari che rappresentate", continuò consultando un fo- glio. "Sì", intervenne Alberto, "e riceviamo continuamente of- ferte di altre rappresentanze, ma noi desideriamo selezio- nare bene quelle che assumiamo". "La vostra introduzione è maggiore presso le imprese di costruzione o i progettisti?" Decisi di non far ripetere la caotica scena che avevamo fatto con Mazzari e lasciai rispondere Alberto. "Con le une e molto anche con gli altri. Può immaginare per la SCODER come provvediamo ad agire a monte per il 'capitolato'. Attraverso mio padre li conosciamo diretta- mente quasi tutti". Come Alberto infilava sempre il padre, mentre io non lo nominavo mai! Era un ségno di maturità o di immaturità? "Questa è una cosa importante", commentò Zappa. "Noi siamo interessati particolarmente ai progettisti e ai diret- tori tecnici di grandi complessi, tipo il Ricostruzionamen- to, e di enti che commissionano la costruzione di nuove sedi e uffici. Non vogliamo trascurare al tempo stesso l'azione promozionale con i costruttori privati". Decisi di intervenire e chiesi: "Ingegnere, ci vuole dire quali sono i vostri prodotti e co- me siete organizzati in materia di vendita?" Mi guardò e disse: 170 "È una domanda giusta e a questo propose vi dirò che, a parte il direttore vendite del reparto isolanti, il capoufficio vendite e i funzionari della sede di Milano, abbiamo settori di vendita per varie regioni italiane con sede in loco. Il no- stro qui di Napoli si occupa della Campania, la Puglia, la Basilicata e la Calabria. In ognuna di queste regioni abbia- mo già dei concessionari di vendita e stiamo istituendo del- le agenzie in esclusiva". Alberto intervenne: "Qual è la funzione del concessionario di vendita?" "Colui che acquista in esclusiva da noi una o più vagona- te di prodotti per volta e dal suo deposito li rivende a irn^ prese e privati fatturando in proprio". "E non si crea concorrenza fra agente e concessionario?" "No, perché l'agente percepisce la provvigione anche su- gli ordini che il concessionario ci passa". "Ma non è possibile che l'agente e il concessionario ab- biano gli stessi clienti?" Un'ombra oscurò il volto di Zappa e una certa confusione gli si stampò sul viso che per la verità non era in quel mo- mento l'immagine precipua dell'intelligenza. "Certo il rapporto non è sempre facile. È qui che deve in- tervenire il caposettore a mettere ordine. Comunque noi cerchiamo di appoggiare anche gli ordini diretti al conces- sionario. I nostri stabilimenti non hanno deposito e produ- cono secondo le previsioni di vendita". | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:44 pm | |
| Intervenni: "Credo di aver capito che i concessionari fungono da de- posito e da valvola di sicurezza per la vostra società. Se, ad esempio, un mese è stata prevista una produzione x e se ne vende il quantitativo y, tale da dare x-y=z, l'entità z deve essere acquistata dal concessionario, il quale viene ricom- pensato non solo con un prezzo di molto minore di quello di un normale acquirente, ma passando a lui alcuni successivi ordinativi diretti. È così?" Un lampo nel volto di Zappa, forse per la prima volta ave- 171 va capito ancne lui. Non doveva essere da molto caposetto- re! "Sì, giusto, signor Cruni, ha capito proprio bene". Le nostre azioni dovevano essere salite di parecchi punti. "Chi è il vostro concessionario per Napoli?", chiese Al- berto. "La ditta dell'ingegnere Di Massimo che si occupa anche di impermeabilizzazioni'. "Ingegnere, e i vostri prodotti quali sono?", insistei. "Attenda, chiamo il signor Bigiaretti che è il nostro fun- zionario addetto che ve li illustrerà". Di lì a poco il grosso Bigiaretti incominciò in modo con- fusionario a elencarci i prodotti della Van Gogh. Erano fi- bre di vetro, in pannelli apprettati, in rotoli, a fibre lunghe e a fibre corte e polistirolo espanso. Ci fornì una massa di- sordinata di dati fra i quali riuscii a capire, come già imma- ginavo, che i più importanti erano lo spessore dell'isolante e il k, uguale coefficiente di conducibilità termica. Non cre- do che il buon Bigiaretti avesse compreso molto e tanto me- no Alberto. Si trattava di argomenti complessi, specialmen- te in campo acustico. Intervenni di tanto in tanto e, anche senza conoscere a fondo i prodotti Van Gogh, dimostrai .di avere idee molto chiare su quelle branche della fisica in ge- nerale e una mia domanda fece su Zappa un grande effetto. "Credo che fin qui avete voluto parlare di isolamento acustico e non di condizionamento, che è un problema dif- ferente, è così?" "Certo", fece Zappa. "Di questo si occupa in particolare un'altra società a noi-collegata, la Condizionai Acustica che ha sede a Roma". "Eventualmente concluderemo per la rappresentanza, sarei molto interessato a prendere contatti anche con loro. Sono problemi affascinanti", affermai con aria di superio- rità. Alberto sicuramente non ci capiva più nulla e, da quel ra- gazzo intelligente e con spiccata sensibilità commerciale che era, ricondusse il discorso su un campo a lui più fami- 172 liare chiedendo: "Ingegnere, e per il contratto di agenzia cosa prevedete e quali sono le provvigioni e ogni quanto le liquidazioni?" "Ah, se è per questo sono ottime. Il dieci per cento su tut- to, ordini diretti e del concessionario e liquidazione mensi- le sugli ordini acquisiti anche se non maturati". Per la miseria! Questa sì che era una pacchia. Sarebbe stato quasi uno stipendio fisso. "E ora cosa assorbe il concessionario?", chiese timida- mente Alberto, ma sempre con quella sua aria flemmatica e anche un po' schifata che sortiva ogni volta un certo effetto sugli interlocutori. "Per un fatturato di circa venti milioni all'anno, ma ab- biamo iniziato solo da poco e i livelli debbono aumentare di molto". "E quali sono i maggiori concorrenti, a parte i tradiziona- li?", chiesi. "Beh, la Montecatini con il Sillan, pannelli di lana di roc- cia, la Stirolum con il suo polistirolo, la Corallite anche con un particolare polistirolo espanso e pochi altri minori". "E a Milano la Van Gogh quanto ha realizzato?" "Questo non posso dirvelo. Risponderà eventualmente la dirczione generale o il settore vendite della Lombardia. Co- munque posso già anticiparvi che è moltissimo. Bigiaretti, dia delle nostre pubblicazioni al dottore e al signor Cruni". Ne prendemmo due copie di ognuna e le riponemmo nelle nostre borse. Il colloquio aveva subito una sosta, probabil- mente era da considerarsi concluso, ma nessuno lo diceva. Alberto ebbe un'idea quasi geniale. "Ingegnere, ma lei non è di Milano, è vero?" "No, sono comasco". "È da molto alla Van Gogh?" "No, veramente da pochi mesi. Ero assistente al politec- nico di Milano, ma l'ingegnere Barbarisi, nostro direttore generale, che era un mio collega di corso, mi ha voluto nella società e da due mesi sono qui a Napoli". "E come si trova?" 173 "Io bene, mia moglie ancora non si è ambientata del tut- to. Sa, orari e vita così diversi. Immagini che un giorno è stata dal pizzicagnolo più di due ore per comprare del latte, convinta che giunto il suo turno sarebbe stata servita. Inve- ce tutti la scavalcavano. All'una l'ho trovata a casa piangen- te e senza latte". "Certo che si dovrà ambientare, ma vedrà, lo farà presto. Qui non c'è cattiveria. Alla fine tutti si trovano bene a Na- poli", affermò Alberto. Finalmente Zappa trovò la forza per concludere la con- versazione dicendo: "Allora, l'eventuale collaborazione vi interessa e ritenete di poter svolgere un buon lavoro?" "Moltissimo", affermai io con entusiasmo, "è un settore affascinante, anche se bisogna lavorarci molto e principal- mente in prospettiva... E ci dica, ingegnere, il settore indu- striale cosa tratta?" "Ah, di quello si interessa il nostro funzionario, signor Tomo ed è indirizzato principalmente agli applicatori. Sa, coppelle varie per tubazioni e altri prodotti per stabilimen- ti industriali. Se ne potrà parlare successivamente". Ne io, ne Alberto osavamo chiedere se la rappresentanza era nostra o no. Dopo altri imbarazzanti silenzi, Zappa con- cluse: "Signori, ho avuto un'ottima impressione di voi, ma non spetta solo a me decidere. Inoltre dovrò incontrarmi con al- tri probabili agenti e poi relazionare alla dirczione". C'era da attenderselo da una ditta di quelle dimensioni, ma la cosa mi irritò lo stesso molto. Avevo intravisto il pa- radiso e poi ottenevano in purgatorio! Con voce rabbiosa conclusi alzandomi: "Comprendo, ingegnere, ma la preghiamo di affrettare al massimo una risposta negativa o positiva perché, come le abbiamo accennato, siamo in trattative con altre ditte e non potremo assumere un numero infinito di rappresentanze. specialmente una come la Van Gogh ci assorbirebbe molto e non ci darebbe spazio per altre, tranne che per prodotti 174 che bene le si affianchino". "Farò al più presto, anche nel mio interesse. Vi telefone- rò al più presto". Ci accompagnò alla porta e Bigiaretti fino all'ingresso, dove la segretaria era strenuamente impegnata in un corpo a corpo con una splendida macchina da scrivere elettrica, mentre l'ubertoso seno le ballava violentemente. Giù Alberto ed io commentammo in modo entusiastico la prospettiva di poter assumere la rappresentanza di quel co- losso dell'industria, collaterale all'edilizia. In me vi era un'accettazione totale e senza riserve, in quanto non ero so- lamente interessato al guadagno e al prestigio, ma anche al fatto tecnico. In Alberto invece sentimenti contrastanti, piacere-dispiacere di rappresentare un'industria più im- portante della paterna SCODER e un certo timore per la complessità dei problemi tecnici. Ci salutammo con cordialità e quella sera mi recai nell'abitazione dell'ingegnere Pacciardi, titolare di un'a- zienda produttrice di capannoni prefabbricati in precom- presso, con il quale avevo avuto un interessante abbocca- mento alcuni giorni prima presso il suo piccolo stabilimen- to. Egli aveva adottato, per la preparazione del calcestruz- zo, una betoniera a pale ruotanti di fabbricazione tedesca, ma era anche interessato all'acquisto di due nostre Rim 500. Il suo comportamento verso di me in quella visita era stato corretto e alla pari e avevamo dialogato da "tecnici" sulle differenze fra i due sistemi di mescolazione, sottoli- neandone i pregi e i difetti. Quella sera, nella sua lussuosa casa in via Orazio, avevo intravisto ragazzi e ragazze, e di poco più giovani di me, che si accingevano evidentemente, ancora come veri figli di pa- pa, a trascorrere un'allegra serata in compagnia di amici. Passavano e ripassavano attraverso la stanza dove ero in at- tesa e specialmente le ragazze mi guardavano con curiosità e forse in un certo modo altezzoso. | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:45 pm | |
| Non potei fare a meno di pensare che in definitiva anch'io avrei potuto condurre quel tipo di vita, se naturalmente 175 fossi stato dotato di minore sensibilità psicologica e avessi ignorato atteggiamenti familiari Sgradevoli. Confrontavo quell'allegria e spensieratezza, perlomeno apparenti, con le mie giornate piene di lavoro e di ansie organizzative fino a sera tardi, tutto teso com'ero a realizzare in pochi mesi quello che i più impiegano anni. Però vuoi mettere la gran- de soddisfazione di crearsi praticamente da solo un posto al sole o quasi? Mi sentii contento della scelta fatta e attesi » Pacciardi con un vivo senso di soddisfazione, dal quale fui però presto precipitato nel sentimento opposto, quando vi- di questo individuo, in precedenza così gentile, trattarmi con sufficienza a livello di un qualsiasi piazzista e avvalersi della mia presenza per vantare in modo tronfio e pieno di boria l'arredamento della sua casa e principalmente i suoi quadri. Non ero un grande esperto, ne dell'uno ne degli al- tri, ma una certa cultura generale seria e documentata fa- ceva parte del mio bagaglio mentale e subito notai la pac- chianeria dell'arredamento, degli accostamenti di stili e principalmente dei quadri. Si trattava di opere sul tipo di quelle degli ottocentisti napoletani, eseguite da quei pittori che, pur operando nel ventesimo secolo, continuavano a di- pingere in modo del tutto tradizionale riferito alla "Scuola di Posillipo". Questa era stata indubbiamente valida nel suo tempo e sicuramente una delle migliori, anche come istanze di rinnovamento, rispetto alle altre contemporanee italiane. Ma l'altezzoso ingegnere, come tanti altri ignoran- ti e provinciali napoletani, non sapeva che dall'Impressio- nismo in poi, ossia circa dal 1870, e principalmente dall'Espressionismo, che risale agli inizi del secolo e che costituisce il primo vero movimento delle grandi avanguar- die storiche, moltissimo, se non tutto, era cambiato nell'ar- te figurativa. Il dipingere quindi usando più o meno gli stes- si antiquati schemi da parte dei cosiddetti artisti a noi con- temporanei costituisce una chiara dimostrazione di provin- cialismo, commercialità e assoluta e crassa ignoranza. L'ar- te è sensibilità anche al nuovo e cultura, e non può certo ri- manere avulsa da tutto quello, come progresso sociologico, 176 tecnologico e scientifico, che avviene negli anni nei quali si vive. Ma questi ignoranti, pieni di prosopopea e convinti perché hanno conseguito una laurea o un diploma di essere loro "i custodi della cultura", difendono senza alcun pudo- re il "quadro bello" dove la barca, il mare, il volto, le mani, gli alberi e così via sono eseguiti come fotografie e con un uso di colori vivi e smaglianti o a volte tenui che tanto ri- cordano loro le perle del golfo partenopeo e le sue notti in- ^ cantate. Ma, illusi e incolti, avete mai letto un vero e serio libro, avete mai consultato una storia dell'arte moderna, avete mai letto Marx, avete mai letto Freud o Jung? E come vi permettete di parlare quando la vostra cosiddetta cultura è ancora ferma ai libri di scuola, alla storia patria più o meno falsata e senza una seria critica analitica? Avete mai pensa- to a cosa è l'uomo? Tutti gli uomini, non solo i vostri genito- ri, amici e conoscenti. Riuscite ad avere un'immagine che non sia limitata al vostro ristretto e misero mondo? Riusci- te a capire che Napoli è una città ormai estremamente pro- vinciale? Avete mai assistito a qualche seria conferenza? Avete mai visitato una galleria d'arte moderna o una mo- stra di Kirchner, Matisse, Picasso, Braque, Boccioni, Du- champ, Kandinskij, Mondrian, Van Doesburg, Man Ray, Morandi, Mirò, Max Ernst, Fontana, Burri, Pollock, Galli- zio e così via? Come fate allora a parlare, parlare e parlare sul nulla culturale? Lasciate perdere questo vostro tentati- vo di cimentarvi in campi che la vostra chiusura mentale non vi permetterà mai di affrontare e che sono solo aperti a chi, in tutta modestia, legge, sente e acquisisce da persone che hanno dedicato la vita a percorrere la strada della ri- cerca. Se proprio volete parlare di quadri, limitatevi solo a dire quanto valgono sul mercato e riducete l'arte solo a quello che siete in grado di capire, ossia al valore commer- ciale e al possesso di qualcosa che "vale" del denaro. Trala- sciate i giudizi sulla "bellezza" e principalmente sulla vali- dità, non potrete mai capire che il bello non è quello che voi dite, ma è una risultante di una bellezza superiore, quella 177 che è frutto di originalità, studio e seria ricerca e non pedis- sequa riproduzione dal vero, molto meglio ottenibile con buone fotografie. Se il mondo si dovesse basare su gente co- me voi per il proprio progresso, saremmo probabilmente ^ ancora all'età della pietra! Sì, infatti voi siete anche, gratta gratta, scadenti nella vostra attività professionale. Se foste davvero bravi capireste anche tutto il resto. Riuscii a stento a trattenermi dal dirgli quello che pensa- vo di lui, e ancora mi pento di non averlo fatto. Gente come quella e particolarmente a Napoli ve n'è tanta e andrebbe fustigata moralmente in continuazione, costi quel costi, an- che se totalmente chiusi come sono in un lager mentale, non capiranno mai. Forse solo i loro figli potranno comin- ciare ad avere in questo idee più chiare, sempre che benin- teso non siano stati troppo contaminati dalla catastrofica influenza paterna di cui molti di noi, appartenenti alla co- siddetta borghesia, non ci libereremo mai. Alcuni senza ac- corgersene nemmeno, altri invece perché -non ne hanno la forza. Qualche giorno dopo giunse in ufficio una comunicazio- ne della Van Gogh nella quale ci si pregava di recarci da lo- ro per un nuovo incontro. Sia Alberto che io eravamo colmi di impegni di lavoro e rispondemmo che avremmo gradito rinviare la conversazione anche di un solo giorno, ma repli- carono che trattavasi di un colloquio decisivo e per il quale non erano possibili rinvii di sorta. Tenevamo troppo a quel- la rappresentanza e al prestigio che poteva derivarne, e ac- cantonato tutto, andammo alla Van Gogh. Questa volta fummo introdotti direttamente nella stanza di Zappa dove, insieme al caposettore Sud, vi erano Bigia- retti e un signore robusto con una gran testa completamen- te pelata e con un'aria distinta e autorevole. Era l'ingegne- re Landi, caposettore per l'Italia centrale. Immediatamente lui, trascurando e soverchiando Zappa e Bigiaretti, prese le redini del colloquio che costituì per noi un lungo e durissi- mo esame, ma il cui esito fu lusinghiero. Alberto si distinse particolarmente nel far emergere la sua buona cultura ge- 178 nerale, le tante conoscenze, il suo saper fare e nel sottoli- neare i risultati da noi raggiunti nella collaborazione con la Ricci. Io nel mettere sapientemente in luce le notevoli co- gnizioni tecniche di cui disponevo, specialmente in termo- logia e in acustica e le potenziali doti che non potevano sfuggire a un dirigente esperto qual era l'ingegnere Landi, ben altra cosa rispetto al suo collega Zappa. Anche questa volta pensavamo di esserci assicurata la sospirata rappre- sentanza, ma evidentemente, come dice EDOARDO, gli esa- mi non finiscono mai. Fummo infatti rinviati per qualsiasi definitiva decisione ad un ulteriore incontro fissato diretta- mente di lì a pochi giorni. Mancava una settimana a Natale quando ci recammo per la terza volta alla Van Gogh. Notammo una grande agitazio- ne. La graziosa signorina dal gran seno era vestita e trucca- ta con particolare cura e si sforzava di apparire pronta e in- telligente. I funzionar!, signori Bigiaretti e Tomo, avevano l'aria attenta delle grandi occasioni e l'ingegnere Zappa era pervaso da un leggero tremito che accentuava un tic al lab- bro. Fummo presentati al grande personaggio, il signor Mi- lani, capufficio vendite, un individuo di corporatura sottile con un volto affilato nel quale spiccavano occhi di viva in- telligenza. Se il capufficio vendite incuteva tale timore, co- sa sarebbe mai successo alla venuta del direttore commer- ciale o addirittura a quella del direttore generale, per non parlare poi dell'amministratore delegato o del presidente? Tutto ciò dava, fra le altre cose da noi notate in precedenza, l'immagine dell'ampiezza di quella società e della sua pira- mide dirigenziale. Alberto ne era intimidito, anche se il suo carattere flem- matico e il volto che non tradiva facilmente i moti interiori, lo rendevano quasi impermeabile a influssi esterni per quanto importanti fossero. A mia volta, invece, non solo non ero intimidito, ma esaltato da quella presenza impor- tante che poteva significare che la nostra candidatura era così a buon punto, che addirittura il capufficio vendite ci dedicava preziosi minuti del suo tempo. 179 I minuti furono tanti. Il colloquio durò quasi due ore e fu principalmente merito mio se, a metà di questo, ci comuni- carono ufficialmente che la rappresentanza era nostra. Il resto del tempo fu impiegato per chiarimenti e precisazioni nella gestione dell'agenzia, a proposito della quale era uso della Van Gogh far seguire un breve corso e una serie di vi- site da loro ritenute indispensabili per un minimo di prepa- razione dei rappresentanti di cotanta società. Quindi uno di noi avrebbe dovuto trascorrere a Milano agli inizi dell'anno una decina di giorni. Zappa con una scusa mi pregò di seguirlo nell'adiacente sala delle riunioni dove mi sussurrò agitato: "Signor Cruni, sia gentile, dica che andrà lei a Milano. Sa, il dottor Fani è persona ottima e capace, ma lei è un tec- nico, può meglio comprendere le qualità dei nostri prodot- ti. Faremo tutti una migliore figura" e poi, con voce ancora più bassa, mentre il viso gli si tingeva di rosso, "... la pre- go, non faccia capire che le ho detto questo... Andiamo". Provai un vivo senso di soddisfazione, ma anche una pun- ta di commiserazione per quest'uomo quasi cinquantenne, ingegnere, ex assistente al politecnico e attualmente capo- settore di una grande società che era costretto a quei mise- ri sotterfugi e a fare figure non certamente brillanti nei confronti dei suoi colleghi, come Landi o suoi diretti su- periori come Milani e con me, agente di vendita nella zona di sua competenza. Ecco l'immagine dell'impiegato secon- do quanto si diceva nella mia famiglia, anche se lui non era un impiegato come gli altri, ma un caposervizio; quindi, an- che se non ancora dirigente, un dipendente di grado eleva- to. Mi resi conto in quel momento che non è il ruolo che uno ricopre che ha importanza, ma la personalità dell'individuo che nobilita e rende la sua funzione più o meno importante. Ovviamente sempre in determinati limiti che possono però anche essere molto ampi. Annuii e ritornammo dagli altri. Quasi per caso annun- ciai: "Alberto, se non ti dispiace, gradirei recarmi io a Milano, 180 se naturalmente il signor Milani non ha nulla m contrario . Il dirigente dimostrò .un chiaro gradimento e Alberto, do- po una piccola punta di dispetto, ne fu anche lui in definiti- va sollevato e rispose positivamente. Già nell'ascensore e poi per strada fui molto cordiale con il mio socio e insieme brindammo in un vicino bar Erava- mo felici. I fatti ogni giorno di più davano ragione al nostro coraggio. Da quel giorno divenimmo più amici e con minori riserve mentali. 181 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:47 pm | |
| CAPITOLO XVIII Eccomi nuovamente in viaggio per Milano, comodamente seduto in una lussuosa vettura-pullman di un treno rapido. Il biglietto mi era stato fornito dall'ufficio napoletano della Van Gogh, mentre la sede aveva provveduto a prenotare la stanza presso un albergo di prima categoria nella città dove solo pochi mesi prima mi ero recato alla ventura. Di fronte a me sedevano due signore di mezza età, vestite con molto buon gusto, munite di valige e accessori di gran- de raffinatezza e comodità. Quella che sembrava più giova- ne parlava in continuazione e non potei evitare di ascoltare quel fiume di parole nelle quali si manifestava la gioia del ritorno al Nord dopo un breve soggiorno a Napoli. Diceva che era meravigliata non solo per la miseria e il sudiciume che aveva scorto per le vie del capoluogo campano, ma an- che per la quasi totale assenza di vita notturna e la carenza di teatri, specialmente di prosa. E poi in quindici giorni non aveva mai ricevuto un fascio di fiori! Che modo poco civile di vivere! Doveva essere una giornalista di un settimanale femminile a grande tiratura, forse una di quelle che sono solite impartire consigli di galateo e di condotta amorosa. All'inizio quello che diceva la settentrionale mi diede fa- stidio e più di una volta fui tentato di inserirmi nella con- versazione per controbattere perlomeno alcune di quelle affermazioni che mi sembravano a dir poco, peccare di leg- gerezza. Poi, ripensandoci, mi convinsi che non aveva tutti i torti. Purtroppo era vero che la mia città era sporca e mise- 182 ra con una vita culturale scarsamente sviluppata e ciò non era addebitabile al sottoproletariato, ma a quella classe borghese che non operava a sufficienza, anche a mezzo dei suoi rappresentanti politici, per far sì che aumentasse il nu- mero delle scuole e dei bambini che le potessero frequenta- re con continuità. E poi l'alta borghesia e la nobiltà che tan- to facevano pesare il censo e l'estrazione sociale e presso le quali la mia compagna di viaggio era stata sicuramente e spesso ricevuta, non usavano comportarsi secondo i rigoro- si canoni che la loro condizione comportava. Anche in que- sto Napoli aveva subito un tracollo rispetto a quella che era stata verso la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento una delle migliori metropoli d'Europa. In altre città la per- dita di alcuni privilegi da parte di una ben individuata cate- goria sociale e un certo appiattimento della cultura aveva- no causato l'utile trasformazione di molti dei loro rappre- sentanti in imprenditori industriali che avevano contribui- to alla creazione di un'agricoltura dinamica condotta se- condo schemi e metodi altamente produttivi e alla successi- va nascita di grossi opifici industriali. Da noi purtroppo nulla o quasi di tutto ciò, ma solo un accentuarsi della cor- sa verso l'accaparramento di posti sicuri e perlopiù paras- sitari. Quando avevo preso posto sul treno mi ero sentito soddi- sfatto e allegro e avevo pregustato quel nuovo soggiorno milanese dal quale mi attendevo il coronamento di un anno di intenso lavoro e di superamento di tante difficoltà di ogni genere, principalmente di carattere psicologico. La conversazione delle due settentrionali mi fece però piom- bare in quelle amare considerazioni e nella presa di co- scienza di quanto noi meridionali, e napoletani in particola- re, siamo handicappati e costretti a dare di più per dimo- strare di non essere come la grande maggioranza dei nostri concittadini, o come genericamente questi vengono consi- derati. Mi proposi quindi di dare tutto quello che potevo per significare ai lombardi che anche noi sappiamo essere degli abili tecnici, dei corretti venditori e dei validi organiz- 183 zatori, anche se di microaziende quale era la Cruni & Fani S.r.l. Ora però sarebbe stato saggio abbandonare tristi consi- derazioni quando tutto sembrava sorridermi e cercare di godermi quel comodo viaggio. Era già sera quando il veloce convoglio giunse nella stazione di Milano con la sua impo- nente volta in ferro che copre i molti binari. Subito l'atmosfera dell'industriosa città mi riprese. Per- corsi rapidamente, guardandomi intorno la grande scalina- ta che conduce dal livello binari a quello più basso della piazza Duca d'Aosta dominata dal massiccio e brutto edifi- cio della stazione e da quello rilucente e moderno del grat- tacielo Pirelli con i suoi oltre trenta piani. Fendendo l'in- tenso traffico e attraversando ordinatamente, come gli al- tri, le zebre nitidamente disegnate sulle pulitissime strade, giunsi al mio albergo, il Florida. Nella vasta stanza, mentre riordinavo le mie cose, pensai a Caterina, a come l'avevo fatta soffrire e a come c'eravamo lasciati. Nonostante le promesse, non le avevo mai scritto in quel periodo, nemmeno una cartolina, tutto preso com'ero stato dalle mie preoccupazioni e dai tanti viaggi di lavoro. Decisi di telefonarle subito, ma non rispose nessu- no. Forse con la madre era fuori Milano. Anche nei giorni seguenti tentai più volte, ma sempre con lo stesso deluden- te risultato. Erano le 8 di mattina quando mi avviai a piedi verso la vi- cina piazza della Repubblica. Già il traffico era intensissi- mo, ma ordinato e silenzioso. Non pioveva, ne c'era la neb- bia, ma era una giornata freddissima. In un moderno e lungo fabbricato, tutto adibito ad uffici, vi era la sede della Van Gogh che ne occupava tré piani. Alle 8,30 in punto presi il capace ascensore la cui cabina era tut- ta in alluminio e il lift mi indicò quando dovevo uscire. Con stupore notai che le porte automatiche si aprivano diretta- mente in un grande salone che era l'ingresso della Van Gogh. Sembrava l'atrio di un lussuoso albergo con un ban- co di legno pregiato per gli uscieri e un altro più lungo per 184 « le segretarie e il centralino telefonico. Al centro molte pol- trone, tavolini colmi di quotidiani, riviste tecniche e pubbli- cazioni della società. Le pareti erano rivestite di doghe fo- noassorbenti e vi si aprivano porte e corridoi. Il soffitto aveva pannelli quadrati che si alternavano a intense fonti di luce. Mi avvicinai al banco delle signorine dicendo chi ero, mi dimostrarono subito di essere state preavvisate del mio arrivo e mi affidarono a un usciere che mi guidò attraverso un corridoio dove si affacciavano numerose porte con telai in acciaio zingato e pannelli in formica, ognuna delle quali recava in buona evidenza la destinazione della stanza e i no- mi dei funzionar! a cui era riservata. Giungemmo davanti a un'ennesima porta dove era scrit- to: Studi ed Esperimenti. L'usciere l'aprì e mi fece cenno di entrare pregandomi di attendere. Era un salone lungo circa venti metri e largo sette, con numerose ampie finestre in al- luminio ingombro di scrittoi metallici, tavoli da disegno, sedie, mobili, telefoni e aggeggi strani. Non vi era nessuno; solo dietro uno scrittoio lontano un signore robusto con ra- di capelli brizzolati era tutto intento a leggere a bassa voce un fascicolo. Di tanto in tanto staccava gli occhi da questo e ad alta voce pronunciava parole che registrava su un picco- lo apparecchio portatile, assolutamente indifferente alla mia presenza che forse non aveva nemmeno notato. Mi ag- giravo silenzioso, cercando di non dare fastidio, fra le varie suppellettili che occupavano il salone e improvvisamente capitai davanti a una cassetta di scarico ricolma d'acqua dove spiccava uno strano galleggiante. Non era uno dei soli- ti di metallo vuoto all'interno, ma era una sfera bianca di un materiale leggerissimo, forse era polistirolo. Evidente- mente stavano sperimentandone una delle possibili appli- cazioni. Dopo qualche minuto una porta si aprì ed entrarono tré giovani che parlavano fra loro animatamente, mi notarono e mi chiesero chi fossi. Risposi che ero il nuovo agente di Napoli, mi guardarono con minore interesse e mi dissero che mi avevano scambiato per un altro funzionario vendite 185 loro collega. Mi informarono poi che probabilmente sarei stato ricevuto dall'addetto ai córsi di istruzione e continua- rono a discutere fra loro. Era trascorsa quasi mezz'ora quando da un'altra porta entrò un giovane basso e magro con grandi occhiali che mettevano in risalto un viso da in- tellettuale. Puntò deciso verso di me e chiese: "II signor Cruni di Napoli?" "Sì, e lei?" "Sono il dottor Sassi. Mi scuso per il ritardo, ma ho finito ora di avviare i miei trenta allievi... Sa, io tengo un corso di istruzione tecnica per i nuovi funzionari". Lo guardai con curiosità e con aria interrogativa. Riprese: "Ah, che distrat- to, non le ho ancora detto perché l'hanno fatta accomodare qui". "Me lo sto chiedendo, infatti", risposi un po' risentito. "Alla Van Gogh c'è l'abitudine di far seguire ai nuovi agenti una certa trafila. Il primo passo è di seguire con me un breve corso sui nostri prodotti. Vogliamo accomodarci qui?" e mi indicò uno dei tanti scrittoi. Ci sedemmo. "Quanto dura questo corso?" "Guardi, per dare una discreta conoscenza dei prodotti, beninteso non dei tanti e seri problemi attinenti l'isolamen- to specialmente acustico, ai nostri funzionar! addetti alle vendite circa tré mesi. Per gli agenti una quindicina di gior- ni. In effetti è poco, ma voi dovete avere solo una leggera in- farinatura e dovreste essere assistiti nelle visite più impe- gnative appunto dai funzionar! o dai capisettore, che sono perlopiù ingegneri specializzati". "E nel corso che sta tenendo ora a che punto è?" "Quasi alla fine. In effetti sono all'inizio del terzo e ulti- mo mese. Peccato, perché in genere uso far aggregare gli agenti ai funzionar! in modo che ascoltino le stesse cose che io poi completo in colloqui separati un'eretta prima e dopo del tempo dedicato al corso normale". "Bene, se vuole possiamo incominciare. Sono particolar- mente interessato agli isolamenti e ai materiali termoacu- stici". 186 Mi guardò con un po' di meraviglia. Chissà cosa si atten- deva da un napoletano e, aperto un cassetto, ne trasse bloc- chi notes e due volumetti e incominciò: "Veda, la realizzazione di edifìci corretti dal punto di vi- sta termico ed acustico richiede la conoscenza di alcune no- zioni scientifiche di base, nonché quelle di un certo numero di soluzioni pratiche. Incominciamo dalle unità di misura e dalle loro relative definizioni..." Aveva un'aria troppo professorale e ciò mi diede un certo fastidio. Subentrai decisamente a lui e gliele snocciolai una per una: la grande caloria o Kcal, il grado secondo la scala centesimale o Celsius, il calore specifico e quindi il Kcal su Kg° C, passai poi a come si trasmette il calore fra due corpi a diversa temperatura e parlai di conduzione, convezione e irraggiamento e infine del coefficiente di conducibilità ter- mica che è la quantità di calore espressa in Kcal che attra- versa un metro quadrato di superficie del corpo considera- to dello spessore di un metro in un'ora e per una differenza di temperatura di un grado C, ovviamente fra facce paralle- le di detto corpo. Il dottor Sassi era stupefatto, non tanto perché sapevo quelle cose, ma per il modo chiaro nel quale gliele avevo esposte, che dimostrava un'ottima assimilazione e princi- palmente interesse della materia. Mi chiese: "Ma che studi ha fatto, signor Cruni?" "Ingegneria fino agli ultimi sei esami, e lei?" | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:48 pm | |
| "Io sono fisico. Ora capisco; perbacco, questo non mi era stato detto. Pensavo che lei fosse uno dei soliti agenti con studi classici o università tipo legge o economia e commer- cio, oppure un geometra o perito industriale, o anche uno che aveva studiato ingegneria, ma poco e male. Allora non perdiamo tempo. Vediamo cosa sa lei in generale sugli iso- lamenti che io eventualmente integrerò con le ultime novi- tà e sui nostri prodotti in generale". "Con piacere..." e mi impegnai in una conversazione pia- cevolis'sima durante la quale parlammo di materiali isolan- ti, coefficiente di adduzione, resistenza termica di una par- 187 tè omogenea, propagazione del calore attraverso una pare- te piana, ponti termici, volano termico con le relative equa- zioni. Passammo poi alla capacità termica e posizione dell'isolante, sullo spessore dello stesso e relative conside- razioni economiche. In una mattinata completammo un mese di corso dei fun- zionar! e divenimmo ottimi amici. Pranzammo insieme e in- sieme ritornammo in ditta dove, sempre più presi, prose- guimmo per tutto il pomeriggio con il più difficile isola- mento acustico del quale affrontammo la frequenza espres- sa in Hertz, la velocità di propagazione, l'ampiezza, il perio- do, la lunghezza d'onda, l'intensità, la pressione sonora mi- surata in Newton su metro quadrato, l'acutezza, la sensibi- lità del nostro orecchio con relativa soglia di udibilità e del dolore. Discutemmo sulla differenza fra decibel, unità di misura del livello sonoro, e il phon che è invece l'unità di misura di ricezione sonora e infine del diagramma di Flet- cher & Munson. Passammo poi all'assorbimento acustico e infine al problema della riduzione della trasmissione del rumore tra ambiente e ambiente, trattando particolarmen- te i rumori aerei e quelli di percussione. Erano quasi le 20 quando abbandonammo la sede della Van Gogh dove vi erano ormai solo i guardiani notturni e stanchi ma felici ci salutammo con molta cordialità affra- tellati da quel comune piacere per quegli argomenti affasci- nanti. Così era bello studiare, non per gli esami, ma per capire, passare alle applicazioni pratiche ed eventualmente cerca- re di risolvere con nuovi materiali e metodi i tanti problemi del settore. Quella sera cenai e mi precipitai a letto dove piombai in un sonno profondo e soddisfatto. In un giorno avevo com- pletato un corso di due mesi, da domani avrei potuto inse- rirmi con gli altri e forse superarli in tromba. Alle 7,59 in punto ero nuovamente al palazzo della Van Gogh e, unitamente a un gran numero di impiegati, funzio- nar!, segretarie, capiservizio, fattorini e uscieri, presi posto 188 nell'ascensore che mi condusse negli uffici della grande so- cietà. Mi recai direttamente nello stanzone dove mi ero trattenuto tante ore con il dottor Sassi. Nonostante l'ora vi ritrovai il signore robusto dai capelli brizzolati del giorno prima. Questi, non appena mi vide entrare, si alzò e venne verso di me presentandosi come il commendatore Buona- casa. Mi chiese chi fossi e mi spiegò che lui aveva il com- pito, insieme con altri elementi della società, di tenere con- ferenze-dibattiti sui prodotti Van Gogh, sulla loro utiliz- zazione e necessità presso ordini di ingegneri e architetti di varie città italiane. Era in sede così per tempo perché stava appunto preparando la conferenza che il giorno dopo avrebbe tenuto a Bologna. Proprio in quel momento entrò col solito passo svelto e modi decisi Sassi. Guardò con una certa freddezza Buonacasa, mentre a me rivolse un lumino- so sorriso. "Buongiorno, caro Cruni. Vedo che è stato catturato dal commendator Buonacasa. Stia attento, è un conversatore affascinante, ma non tutto quello che dice è giusto". "Davvero, caro Sassi? Per la verità siamo insieme solo da cinque minuti e mi stava raccontando del suo impegno di domani per una conferenza a Bologna". E Buonacasa con un acido sorriso: "Sta tranquillo, Sassi, che non inquino i tuoi allievi". "C'è poco da inquinare. E poi il signor Cruni può conside- rarsi ben poco un mio allievo e stai attento a come parli con lui perché è preparatissimo e ha una mente molto sveglia". Quasi arrossii per quel complimento e mi schernii dicen- do: "II dottor Sassi scherza. Ho tanto da imparare". "Ho i miei dubbi. Vogliamo andare dove sono i trenta ve- ri allievi che mi attendono? Buonacasa ci scuserà". Salutammo e ci dirigemmo verso un'altra porta in fondo al salone. Sassi sussurrò: "Non sarebbe una cattiva persona, ma è convinto di esse- re profondamente preparato sui nostri prodotti, in realtà ha solo un'infarinatura esaltata da una grande dialettica... 189 Senta, Cruni, abbia pazienza, segua un po' quello che dico ai nuovi funzionar!, poi nel pomeriggio torneremo a incon- trarci da soli per andare avanti come ieri". "Con gran piacere, Sassi". Aprì la porta ed entrammo in un locale poco più piccolo di quello che avevamo appena lasciato, dove seduti dietro scrivanie vi erano una trentina di persone che parlavano vi- vacemente. Erano di apparente età variabile fra i venticin- que e i quarant'anni, tutti con una figura che ricordava un po' quella di Bigiaretti. Evidentemente la società teneva a dare l'impressione di imponenza, anche attraverso il fisico, dei suoi funzionari di vendita. Sassi mi indicò uno scrittoio fra i più vicini al suo che fungeva da cattedra e ci presentò. I nomi e le città di provenienza erano quasi tutti del Nord e i titoli di studiò di geometra, perito industriale e qualche raro ingegnere. Appena si fece un po' di silenzio. Sassi ini- ziò: "Dopo aver trattato ed imparato le teorie sulla termolo- gia e sull'acustica, passeremo alla descrizione dei prodotti della nostra società e di altre collegate e alle relative moda- lità applicative nell'edilizia civile di tali prodotti. Iniziarne dal pannello parete V.G.A..." Ne prese un campione di di- mensioni di centimetri cinquanta per cento e continuò: "La sua principale funzione è quella di isolante termico ed acu- stico di pareti perimetrali e divisorie. È un pannello di fi- bra di vetro trattata con resine. Gli spessori vanno da milli- metri trenta a millimetri cento. Lo spessore che viene più usato è di millimetri quaranta con resistenza termica R=l,08 e coefficiente di assorbimento acustico medio di 0,65. Ovviamente ricorderete le relative formule dell'uno e dell'altro..." Una voce dal fondo con uno spiccato accento brianzolo: "Cosa ha deeetto? E il K del coefficiente di conducibilità termica dov'è finito?" Un gesto di scoraggiamento in Sassi. Si rivolse a uno de- gli allievi e: "Brambilla, vuole spiegare lei?" 190 Il giovane ingegnere Brambilla divenne di brace.e alzato- si tentò di spiegare, facendo però una confusione del diavo- lo. Sassi era più che mai scoraggiato, ma improvvisamente il volto gli si illuminò e rivolgendomi un sorriso chiese: "Credo che non sia stato molto chiaro per nessuno. Vuoi provare lei, signor Cruni?" Non ero emozionato, ma contento e sicuro. Mi alzai e spiegai con chiarezza e con un timbro di voce squillante quali erano le differenze, diffondendomi anche a parlare sul coefficiente di assorbimento acustico. Molti sguardi meravigliati e invidiosi mi fissavano, ma io notai solo la sin- cera partecipazione di Sassi. Mi ero davvero fatto un ami- co! Il giovane fisico proseguì parlando del pannello ISOL V.G., il cui impiego è riservato all'isolamento termico di so- lai. Esso è costituito da fibre di vetro ed è rivestito su una faccia da velo di vetro e carta bitumata. Inoltre degli spes- sori e delle relative resistenze termiche, poi dei feltri sem- pre in fibre di vetro per isolamento termico di coperture di edifici civili e industriali, con tetto a falde inclinate e non praticabili e infine del feltro SUPER V.G. per isolamento acustico di pavimenti. Era forse il prodotto più interessan- te, formato di fibre di vetro lunghe, feltrate e collegate con collanti; il tutto di uno spessore di appena tré o quattro mil- limetri, confezionato in rotoli di un metro di larghezza per dieci di lunghezza, con il quale era possibile realizzare i co- siddetti "pavimenti galleggianti" di notevolissima efficacia contro i rumori di percussione. Le interruzioni furono moltissime ed era evidente che tutti quegli allievi, anche quelli che teoricamente avrebbe- ro dovuto essere i più preparati, non erano molto validi e dopo ben due mesi, nei quali avevano sentito parlare dei va- ri problemi di termologia e acustica, non avevano idee mol- to chiare e dovevano compiere sforzi veramente titanici per cercare di comprendere cose che a me sembravano di una semplicità disarmante. Venne l'ora di pranzo e ancora una volta Sassi ed io ci re- 191 cammo insieme al ristorante. Il giovane era scoraggiato. "Possiamo darci del tu?", mi chiese. "Con piacere". "Vedi, Cruni, oggi hai potuto renderti conto di chi mi affi- dano e quali persone debbo cercare di tirare su in appena tré mesi. Ma nemmeno in tré anni capiranno bene!" "Scusa, ma non viene fatta una selezione sulla loro dispo- nibilità a capire? O si bada solo acche siano alti e di buona figura?" Sorrise. "Hai colto nel segno. Molti alti dirigenti guardano più all'aspetto esteriore del funzionario che alle sue capacità mentali; ma ti assicuro che li selezioniamo anche in relazio- ne al cervello e agli studi. Questo è quanto di meglio abbia- mo trovato! È avvilente, ma è così. Ti assicuro che non vedo l'ora di terminare questo corso per ritornare ai miei studi presso lo stabilimento di Novara e poi a Parigi dove posso dedicarmi alla mia vera passione, la ricerca". "E chi ti sostituirà?" "Mah, ci sono alcuni ex caposettore a riposo che possono farlo e anzi si divertono pure. Io spero proprio che l'inge- gnere Barbarisi, il direttore generale, non mi obblighi a te- nere altri corsi". Ritornammo nella grande sala e ci impegnammo per tut- to il pomeriggio in descrizioni e discussioni su tutti i pro- dotti e le loro applicazioni. Davvero per me era tutto sem- plice, chiaro ed esaltante e mi accorgevo con sommo piace- re che Sassi si trovava con me tanto a suo agio da comuni- carmi le ultime ricerche in corso a Parigi e le differenze con la produzione attuale. Vi erano delle grandi novità in pento- la ed era ansiosa di parteciparvi. Mi sentivo felice ed appa- gato, forse avevo trovato la mia vera strada. Quel settore era davvero di avanguardia e in grande evoluzione e le stes- se fibre di vetro, materiale di per se stesso abbastanza nuo- vo, non era nulla in confronto agli altri prodotti in avanzata fase di ricerca. Quella sera, dopo aver cenato, tornai subito in albergo 192 dove mi immersi nello studio delle pubblicazioni di cui Sas- si mi aveva abbondantemente dotato e trascorsi in un lam- po molte ore senza stancarmi e senza provare alcun biso- gno di uscire, di andare al cinema o di trovarmi una compa- gnia femminile. 193 | |
| | | Bruno Admin
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:52 pm | |
| CAPITOLO XIX I successivi tré giorni li trascorsi recandomi ogni matti- na, con una puntualità che presto mi fece definire dai miei invidiosi colleghi di corso "il napoletano tedesco", a segui- re quelle lezioni che ormai mi annoiavano solamente, men- tre il pomeriggio con Sassi passavamo lunghe ed appaganti ore a completare tutto quello che riguardava i prodotti Van Gogh, le loro applicazioni, i pregi rispetto alla concorrenza e i difetti nei confronti dei prodotti nuovi che erano allo studio a Novara, Parigi e Londra. Il pomeriggio del quarto giorno Sassi mi presentò all'in- gegnere Pian, uno dei direttori tecnici della Van Gogh e in- sieme ci immergemmo in una conversazione ad alto livello sulle applicazioni e la necessità degli isolamenti nell'edili- zia moderna. Ci impegnammo anche nei calcoli relativi alla progettazione di un isolamento acustico in una costruzione tipo e finanche in questo riuscii a farmi apprezzare dai due tecnici. Pian aveva un problema da risolvere per un grande edifi- cio pubblico di Milano e fu tanto gentile da farmi partecipa- re il giorno dopo ai suoi calcoli e a immettermi, anche se di sfuggita, nei veri grandi problemi attinenti a un efficiente e valido isolamento di un edificio. Questo non consiste sol- tanto nell'isolare le pareti esterne, di divisione e solai inter- medi e di copertura, ma fondamentalmente nel difficile iso'- lamento degli impianti fissi, come scarichi d'acqua, quelli delle pompe di circolazione dei vari fluidi nelle reti di tuba- 194 zione, quelli dei bruciatori trasmessi dalle canne fumarie, degli ascensori e infine della struttura portante in cemento armato dell'intero edificio. Qualche mia azzeccata osservazione mi fruttò la definiti- va stima dell'importante ed esperto ingegnere. Egli mi dis- se che in Italia veri tecnici dell'isolamento termoacustico ve ne erano pochissimi e i progettisti di costruzioni civili o industriali avevano tutti profonde lacune in tale settore. Mi parlò di Sassi che era considerato, giovanissimo com'era, l'enfant prodige della Van Gogh e delle sue grandi possibili- tà nel campo della ricerca dove aveva già dato dei notevoli contributi. In chiusura di giornata, nel salutarci mi fissò quasi a voler mettere a nudo il mio pensiero, e poi: "Senta, Signor Cruni, perché non rimane con noi? Vedo che. è molto portato per questi problemi e potrebbe intra- prendere una brillante carriera. Vuole che ne parli in dirc- zione?" Rimasi sconcertato, ero orgoglioso per quell'offerta ma le mie idee sugli impiegati rimanevano sempre le stesse. Ri- sposi: "La ringrazio, ingegnere, mi sento onorato di quanto mi propone, ma non mi sento di essere inquadrato in un'azien- da; per questo ho scelto l'attività di rappresentante. Non sa- rà particolarmente brillante, ma permette autonomia". "Allora perché non si specializza in questo settore per poi svolgere la professione di consulente?" "Interessante, ma dove?" "Non certo in Italia, ma in Francia e principalmente in Inghilterra. Lì con gli esami che ha già superato in Italia e i nuovi corsi acquisterebbe titoli importanti". "Ma che durata hanno?" "Penso che in un semestre se la caverebbe, specialmente se riuscirà a presentare qualche studio originale". "Ingegnere, lei mi tenta, ma ormai ho un'aziendina avvia- ta a Napoli e poi voglio sposarmi nell'anno". "Capisco, faccia come vuole. Però io ripenserò al suo ca- so. Chissà che non si riesca a trovare una soluzione". 195 "La ringrazio, ingegnere, e mi auguro di rincontrarla pre- sto. Peccato non averla conosciuta prima". Con vero dispiacere mi congedai da lui e ritomai in alber- go. Il mio corso si era concluso in soli sette giorni e con ri- sultati esaltanti. Non solo ero padrone della materia, ben al di sopra dei funzionar! di vendita, ma forse anche degli stessi capisettore. Quella sera dovevo festeggiare e per là prima volta da quando ero tornato a Milano mi recai in un night e mi lasciai andare in una serata di moderati bagordi, facendo attenzione a non rientrare oltre l'una perché il giorno dopo mi attendeva per tempo il signor Milani, il te- muto capufficio vendite. Puntualissimo attesi di essere introdotto nella stanza. Un usciere sollecitato da una segretaria mi guidò al piano su- periore dove mi fece entrare in un ampio ufficio, tutto arre- dato in stile modernissimo. Dietro un lungo scrittoio, alle cui spalle grandi pannelli ricchi di grafici con linee di vari colori dominavano la scena, vi era il signor Milani. Si alzò, mi sorrise e mi attanagliò la mano in una vigorosa e prolun- gata stretta. "Oh, ecco il nostro agente di Napoli. Si accomodi pure, prego... Spero si sia trovato bene con noi a Milano e che si sia reso conto della nostra produzione e della nostra orga- nizzazione tecnica. Ho qui una. relazione del dottor Sassi e dell'ingegnere Pian che sono entusiasti delle sue capacità di apprendimento. Mi dicono che solo in pochi giorni è an- dato ben più avanti dei nostri nuovi funzionari alle vendite... Me ne compiaccio, ora però mi auguro che altret- tanto possa dimostrare in quel po' di istruzione che deside- reremmo darle sui nostri sistemi di vendita e sulle applica- zioni pratiche". "Farò del mio meglio, signor Milani, anche se per la veri- tà le debbo dire che non vedo l'ora di ritornare a Napoli per aiutare il mio socio, il dottor Fani, che è rimasto solo con tutto il gran da fare che vi è nella nostra aziendina". Mi guardò un po' contrariato. Il potente, il temuto signor Milani, che mi avevano detto in quei giorni sarebbe appro- 196 dato a grandi vette per le sue notevoli capacità nonostante fosse sfornito di laurea, non si attendeva certo una risposta di quel tipo. Ma sinceramente quel suo pistolotto finale do- po i complimenti mi aveva infastidito ed era opportuno che capisse che io non ero un dipendente Van Gogh, ma un libe- ro collaboratore estemo, da trattare alla pari, non con un senso di superiorità paternallstica! Cambiò atteggiamento. "Capisco, signor Cruni, e la ringrazio del tempo che ci ha dedicato, ma ormai penso che in due giorni possa termina- re qui a Milano e ritornare al suo lavoro". L'avevo ridimensionato, ma non era intelligente inimi- carselo, per cui precisai: "Sono certo che mi ha capito, signor Milani. Ho trascorso giorni interessanti, piacevoli e utili presso di voi e desidero ringraziarla per l'ospitalità che mi ha offerto, ma ho lo scrupolo per l'intensissimo lavoro che il dottor Fani avrà dovuto svolgere. È ovvio che il mio soggiorno qui rara utile alla nostra ditta e quindi anche a lui, ma dieci giorni sono tanti... Posso farle una domanda?" Il suo modo di fare era ritornato normale. "Certo, mi dica". "Vedo alle sue spalle tutti quei grafici. Mi vuole illustra- re, se è lecito, a cosa servono?" "Certamente, non abbiamo misteri per i nostri agènti, specialmente se partecipi come lei... C'è un grafico genera- le che si riferisce alle nostre previsioni di produzione e ven- dita trimestrali; la linea verde indica la produzione, la gial- la le previsioni e la rossa le vendite. Come vede, nel quarto trimestre millenovecentosessanta sono state previste tot tonnellate di materiale isolante in fibra di vetro, ne è stata prodotta la stessa quantità e venduto invece un quantitati- vo maggiore. Naturalmente abbiamo grafici specifici per ogni tipo di prodotto e per ogni settore vendite. In base all'andamento di questo trimestre chiederemo un aumento di previsioni di vendite che ogni settore sarà tenuto a ri- spettare in percentuale". "Credo, se ho capito bene, che il quantitativo in più ven- 197 duto e non prodotto sia stato prelevato dai vostri concessio- nari che a questo debbono servire e a maggior ragione se non si raggiungono le vendite previste, è vero?" "Perfettamente. Nella vostra zona, ad esempio, si è ven- duto meno del previsto e il concessionario ha dovuto fare un ordine a conguaglio. Ora speriamo che con l'aiuto della vostra attività non ci sia più bisogno di ciò, ma del contra- rio". "Lo spero anch'io, signor Milani. Vuole ora dirmi se è già stato inserito in qualche capitolato d'appalto della nostra zona il vostro prodotto?" "Credo di sì. L'ingegnere Di Massimo, il concessionario, penso ci sia riuscito presso il Ricostruzionamento". "Ah, bene. Ora Fani ed io cercheremo di adoperarci an- che in tale dirczione". "Abbiamo intenzione", affermò Milani, "di incrementare di molto le vendite a Napoli, perché riteniano possa dare tanto e quindi organizzeremo, e la prego fin da ora di darsi da fare in proposito, una conferenza-dibattito presso un al- bergo cittadino e faremo anche pubblicità sui giornali, ol- tre a inviare nostre pubblicazioni a imprese e progettisti. Vorremmo anche sensibilizzare l'opinione pubblica attra- verso caroselli televisivi, ma ci hanno chiesto una cifra enorme, un minimo di trentasei trasmissioni e un'attesa di oltre un anno". "Ma quanto costa?" "Un milione al minuto, oltre le spese dei filmati, attori e altro". Feci un gesto di meraviglia. "Non pensavo tanto". "Nemmeno noi e nel prossimo consiglio si discuterà la cosa". Ci trattenemmo ancora per qualche tempo e poi il capuf- ficio vendite mi pregò di recarmi in corso Venezia alla sede del settore vendite Lombardia dove ero atteso per alcune visite. Mi accompagnò alla porta e mi pregò di ripassare da lui la sera successiva prima di partire da Milano. 198 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:54 pm | |
| CAPITOLO XIX I successivi tré giorni li trascorsi recandomi ogni matti- na, con una puntualità che presto mi fece definire dai miei invidiosi colleghi di corso "il napoletano tedesco", a segui- re quelle lezioni che ormai mi annoiavano solamente, men- tre il pomeriggio con Sassi passavamo lunghe ed appaganti ore a completare tutto quello che riguardava i prodotti Van Gogh, le loro applicazioni, i pregi rispetto alla concorrenza e i difetti nei confronti dei prodotti nuovi che erano allo studio a Novara, Parigi e Londra. Il pomeriggio del quarto giorno Sassi mi presentò all'in- gegnere Pian, uno dei direttori tecnici della Van Gogh e in- sieme ci immergemmo in una conversazione ad alto livello sulle applicazioni e la necessità degli isolamenti nell'edili- zia moderna. Ci impegnammo anche nei calcoli relativi alla progettazione di un isolamento acustico in una costruzione tipo e finanche in questo riuscii a farmi apprezzare dai due tecnici. Pian aveva un problema da risolvere per un grande edifi- cio pubblico di Milano e fu tanto gentile da farmi partecipa- re il giorno dopo ai suoi calcoli e a immettermi, anche se di sfuggita, nei veri grandi problemi attinenti a un efficiente e valido isolamento di un edificio. Questo non consiste sol- tanto nell'isolare le pareti esterne, di divisione e solai inter- medi e di copertura, ma fondamentalmente nel difficile iso'- lamento degli impianti fissi, come scarichi d'acqua, quelli delle pompe di circolazione dei vari fluidi nelle reti di tuba- 194 zione, quelli dei bruciatori trasmessi dalle canne fumarie, degli ascensori e infine della struttura portante in cemento armato dell'intero edificio. Qualche mia azzeccata osservazione mi fruttò la definiti- va stima dell'importante ed esperto ingegnere. Egli mi dis- se che in Italia veri tecnici dell'isolamento termoacustico ve ne erano pochissimi e i progettisti di costruzioni civili o industriali avevano tutti profonde lacune in tale settore. Mi parlò di Sassi che era considerato, giovanissimo com'era, l'enfant prodige della Van Gogh e delle sue grandi possibili- tà nel campo della ricerca dove aveva già dato dei notevoli contributi. In chiusura di giornata, nel salutarci mi fissò quasi a voler mettere a nudo il mio pensiero, e poi: "Senta, Signor Cruni, perché non rimane con noi? Vedo che. è molto portato per questi problemi e potrebbe intra- prendere una brillante carriera. Vuole che ne parli in dirc- zione?" Rimasi sconcertato, ero orgoglioso per quell'offerta ma le mie idee sugli impiegati rimanevano sempre le stesse. Ri- sposi: "La ringrazio, ingegnere, mi sento onorato di quanto mi propone, ma non mi sento di essere inquadrato in un'azien- da; per questo ho scelto l'attività di rappresentante. Non sa- rà particolarmente brillante, ma permette autonomia". "Allora perché non si specializza in questo settore per poi svolgere la professione di consulente?" "Interessante, ma dove?" "Non certo in Italia, ma in Francia e principalmente in Inghilterra. Lì con gli esami che ha già superato in Italia e i nuovi corsi acquisterebbe titoli importanti". "Ma che durata hanno?" "Penso che in un semestre se la caverebbe, specialmente se riuscirà a presentare qualche studio originale". "Ingegnere, lei mi tenta, ma ormai ho un'aziendina avvia- ta a Napoli e poi voglio sposarmi nell'anno". "Capisco, faccia come vuole. Però io ripenserò al suo ca- so. Chissà che non si riesca a trovare una soluzione". 195 "La ringrazio, ingegnere, e mi auguro di rincontrarla pre- sto. Peccato non averla conosciuta prima". Con vero dispiacere mi congedai da lui e ritomai in alber- go. Il mio corso si era concluso in soli sette giorni e con ri- sultati esaltanti. Non solo ero padrone della materia, ben al di sopra dei funzionar! di vendita, ma forse anche degli stessi capisettore. Quella sera dovevo festeggiare e per là prima volta da quando ero tornato a Milano mi recai in un night e mi lasciai andare in una serata di moderati bagordi, facendo attenzione a non rientrare oltre l'una perché il giorno dopo mi attendeva per tempo il signor Milani, il te- muto capufficio vendite. Puntualissimo attesi di essere introdotto nella stanza. Un usciere sollecitato da una segretaria mi guidò al piano su- periore dove mi fece entrare in un ampio ufficio, tutto arre- dato in stile modernissimo. Dietro un lungo scrittoio, alle cui spalle grandi pannelli ricchi di grafici con linee di vari colori dominavano la scena, vi era il signor Milani. Si alzò, mi sorrise e mi attanagliò la mano in una vigorosa e prolun- gata stretta. "Oh, ecco il nostro agente di Napoli. Si accomodi pure, prego... Spero si sia trovato bene con noi a Milano e che si sia reso conto della nostra produzione e della nostra orga- nizzazione tecnica. Ho qui una. relazione del dottor Sassi e dell'ingegnere Pian che sono entusiasti delle sue capacità di apprendimento. Mi dicono che solo in pochi giorni è an- dato ben più avanti dei nostri nuovi funzionari alle vendite... Me ne compiaccio, ora però mi auguro che altret- tanto possa dimostrare in quel po' di istruzione che deside- reremmo darle sui nostri sistemi di vendita e sulle applica- zioni pratiche". "Farò del mio meglio, signor Milani, anche se per la veri- tà le debbo dire che non vedo l'ora di ritornare a Napoli per aiutare il mio socio, il dottor Fani, che è rimasto solo con tutto il gran da fare che vi è nella nostra aziendina". Mi guardò un po' contrariato. Il potente, il temuto signor Milani, che mi avevano detto in quei giorni sarebbe appro- 196 dato a grandi vette per le sue notevoli capacità nonostante fosse sfornito di laurea, non si attendeva certo una risposta di quel tipo. Ma sinceramente quel suo pistolotto finale do- po i complimenti mi aveva infastidito ed era opportuno che capisse che io non ero un dipendente Van Gogh, ma un libe- ro collaboratore estemo, da trattare alla pari, non con un senso di superiorità paternallstica! Cambiò atteggiamento. "Capisco, signor Cruni, e la ringrazio del tempo che ci ha dedicato, ma ormai penso che in due giorni possa termina- re qui a Milano e ritornare al suo lavoro". L'avevo ridimensionato, ma non era intelligente inimi- carselo, per cui precisai: "Sono certo che mi ha capito, signor Milani. Ho trascorso giorni interessanti, piacevoli e utili presso di voi e desidero ringraziarla per l'ospitalità che mi ha offerto, ma ho lo scrupolo per l'intensissimo lavoro che il dottor Fani avrà dovuto svolgere. È ovvio che il mio soggiorno qui rara utile alla nostra ditta e quindi anche a lui, ma dieci giorni sono tanti... Posso farle una domanda?" Il suo modo di fare era ritornato normale. "Certo, mi dica". "Vedo alle sue spalle tutti quei grafici. Mi vuole illustra- re, se è lecito, a cosa servono?" "Certamente, non abbiamo misteri per i nostri agènti, specialmente se partecipi come lei... C'è un grafico genera- le che si riferisce alle nostre previsioni di produzione e ven- dita trimestrali; la linea verde indica la produzione, la gial- la le previsioni e la rossa le vendite. Come vede, nel quarto trimestre millenovecentosessanta sono state previste tot tonnellate di materiale isolante in fibra di vetro, ne è stata prodotta la stessa quantità e venduto invece un quantitati- vo maggiore. Naturalmente abbiamo grafici specifici per ogni tipo di prodotto e per ogni settore vendite. In base all'andamento di questo trimestre chiederemo un aumento di previsioni di vendite che ogni settore sarà tenuto a ri- spettare in percentuale". "Credo, se ho capito bene, che il quantitativo in più ven- 197 duto e non prodotto sia stato prelevato dai vostri concessio- nari che a questo debbono servire e a maggior ragione se non si raggiungono le vendite previste, è vero?" "Perfettamente. Nella vostra zona, ad esempio, si è ven- duto meno del previsto e il concessionario ha dovuto fare un ordine a conguaglio. Ora speriamo che con l'aiuto della vostra attività non ci sia più bisogno di ciò, ma del contra- rio". "Lo spero anch'io, signor Milani. Vuole ora dirmi se è già stato inserito in qualche capitolato d'appalto della nostra zona il vostro prodotto?" "Credo di sì. L'ingegnere Di Massimo, il concessionario, penso ci sia riuscito presso il Ricostruzionamento". "Ah, bene. Ora Fani ed io cercheremo di adoperarci an- che in tale dirczione". "Abbiamo intenzione", affermò Milani, "di incrementare di molto le vendite a Napoli, perché riteniano possa dare tanto e quindi organizzeremo, e la prego fin da ora di darsi da fare in proposito, una conferenza-dibattito presso un al- bergo cittadino e faremo anche pubblicità sui giornali, ol- tre a inviare nostre pubblicazioni a imprese e progettisti. Vorremmo anche sensibilizzare l'opinione pubblica attra- verso caroselli televisivi, ma ci hanno chiesto una cifra enorme, un minimo di trentasei trasmissioni e un'attesa di oltre un anno". "Ma quanto costa?" "Un milione al minuto, oltre le spese dei filmati, attori e altro". Feci un gesto di meraviglia. "Non pensavo tanto". "Nemmeno noi e nel prossimo consiglio si discuterà la cosa". Ci trattenemmo ancora per qualche tempo e poi il capuf- ficio vendite mi pregò di recarmi in corso Venezia alla sede del settore vendite Lombardia dove ero atteso per alcune visite. Mi accompagnò alla porta e mi pregò di ripassare da lui la sera successiva prima di partire da Milano. 198 | |
| | | Bruno Admin
Numero di messaggi : 3063 Data d'iscrizione : 27.10.08 Località : Napoli Personalized field :
| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX Mar Dic 30, 2008 1:55 pm | |
| Erano circa le 10 quando giunsi in quell'altro ufficio stac- cato della società che di giorno in giorno mi appariva sem- pre più colossale e fornita di tanti tentacoli da far sfigurare finanche un polpo. Una magra ma efficientissima signorina mi pregò di attendere in una sala non vasta e caratterizzata da due angusti balconcini dai quali però si dominava la cen- tralissima ed elegante piazza San Babila. Quanti ricordi! Caterina, gli spensierati pomeriggi e le eleganti serate trascorse insieme, i nights, i ristoranti, gli snack-bar, i cinema e i teatri frequentati con assiduita. Che differenza tra quel mio soggiorno e questo! Allora ero giun- to a Milano per procacciarmi il lavoro, ma ancora con sco- rie di mentalità di studente e figlio di famiglia. Ora ero già inserito e un elemento, anche se modesto, del mondo pro- duttivo e poi quella specie di lavoro di ricerca e di presa di contatti del mio primo periodo milanese non era stato cer- tamente appagante. I contatti di questi giorni sì e totalmen- te. Non avevo nemmeno più la sensazione di essere un rap- presentante, ma un tecnico vero e addirittura un ricercato- re. Quelle mie considerazioni furono interrotte dalla segre- taria che mi introdusse in un vasto ambiente dove fui rice- vuto da un classico milanese, vigoroso, attivo, cordiale. Mi fece oscillare violentemente il braccio su e giù per più volte in una stretta di mano nella quale sembrava volesse tra- smettermi tutta la sua energia e il suo attivismo. Mi disse, in una sequenza rapida di parole, che era il dottor Bacci, ca- posettore, che sapeva chi ero, che gli era stato detto un gran bene di me e che mi avrebbe affidato subito al suo mi- gliore funzionario, il geometra Malagui che mi avrebbe condotto in giro presso alcuni cantieri dove stavano appli- cando prodotti Van Gogh. Avevo paventato di dover tra- scorrere una noiosa giornata fra i soliti grafici di produzio- ne e previsione e nella consultazione di ordini e cose del ge- nere. Invece avrei potuto assistere all'applicazione dei pro- dotti che tanto mi avevano interessato. Il fatto mi esaltò e con vero entusiasmo lo ringraziai e ac- 199 colsi con piacere il funzionario che ci aveva raggiunto im- mediatamente. Era magro, smilzo e biondo, con uno sguar- do furbo che nulla aveva del settentrionale; invece, guarda- caso, era nativo di Milano e la sua famiglia una delle poche che si poteva considerare veramente meneghina. Mi guidò al vicino posteggio dove prelevò la sua FIAT Abarth e men- tre ci recavamo al primo cantiere in programma, mi rac- contò che nell'ufficio vendite di Milano erano ben diciotto i funzionar! che si dovevano occupare di tutta la Lombardia, dove le vendite dei loro prodotti Van Gogh erano numero- sissime. Mi informò anche che il loro agente di Milano sta- va diventando, se non lo era già, milionario con le provvi- gioni Van Gogh. In una delle grandi, piazze del centro sorgeva un enorme edificio di un ente pubblico dove era in corso un totale ri- modernamento. Sui solai, di circa tremila metri quadrati ognuno, stavano applicando il feltro SUPER V.G. che dove- va attutire i fastidiosi rumori di percussione e calpestio. Doveva essere stato un ordine colossale di oltre trentamila metri quadrati. Mi precipitai a guardare interessatissimo l'applicazione di quello che mi sembrava, come ho già det- to, il loro prodotto più prestigioso e senza concorrenza al- cuna. Ma cosa vidi! ? La stesura di quella specie di sottilissimo materassino, che poi doveva essere risvoltato vicino alle pa- reti divisorie e ricoperto di un sottofondo per pavimenti in malta cementizia di spessore minimo di tré centimetri e composto da duecentocinquanta chilogrammi di cemento, cento chilogrammi di calce idraulica e un metro cubo di sabbia con eventuale ripartizione dei carichi, era eseguita in modo davvero approssimato che lasciava di tanto in tan- to degli spazi, anche se piccoli, scoperti creando così dei "ponti acustici" che avrebbero annullato quasi completa- mente il beneficio dell'isolante. E i risvolti alle pareti che avrebbero dovuto essere eseguiti con la massima attenzio- ne e con la creazione di angoli fra piano orizzontale e verti- cale perfettamente retti onde evitare la formazione di vuoti 200 dietro l'isolante e quindi un insufficiente spessore del sot- tofondo, erano eseguiti con colpevole trascurataggine e con altezze variabili. Quello non sarebbe diventato un "pavi- mento galleggiante", ma un nulla! Cercando di non farmi notare dal direttore dei lavori al quale poco prima ero stato presentato, richiamai a voce sommessa l'attenzione del mio accompagnatore su quella catastrofica esecuzione della posa in opera. Come minimo mi attendevo una reazione irritata e il suo immediato inter- vento, invece si limitò a un'alzata di spalle e a un sorrisetto complice. "Che ci importa? Abbiamo dato loro le istruzioni per una corretta esecuzione. Se i responsabili del cantiere non se ne occupano, non sono fatti nostri". "Scusi, sa, ma come non sono fatti nostri? Quando faran- no il collaudo con 'la macchina per il calpestio' si renderan- no conto che la riduzione acustica non è quella promessa dai nostri depliants". Mi rivolse uno sguardo meravigliato e con un'aria di chi dice: "Ma perché non ti fai gli affari tuoi" replicò: "Signor Cruni, sa, ora capisco perché in sede l'hanno so- prannominato 'il napoletano tedesco'. Non mi sembra af- fatto il classico napoletano del 'tira a campare'". Avvampai e: "Che diavolo dice? Qui non si tratta di essere napoletani o milanesi, su chi sia migliore o peggiore, ma di fare gli in- teressi della società per la quale lei lavora e io sono l'agente di vendita". Immediatamente l'atteggiamento di Malagui cambiò per divenire accomodante e quasi umile. "Mi scusi, signor Cruni, ha ragione, ma, veda, io non so- no il funzionario addetto a questa zona e parlando ora po- trei solo danneggiarlo, ne lei, mi perdoni, è l'agente di Mila- no. Quindi conviene stare zitti". "Perlomeno allora avvisi il suo collega e gli dica di inter- venire. È davvero un peccato sprecare così anni di studio e 201 di esperimenti per trascurataggini che possono essere facil- mente rimediate". "Certo, ha ragione, stia tranquillo, farò così. Avviserò gli interessati". Ero convinto che non lo avrebbe mai fatto e poi chissà se era vero che non era lui il funzionario di quella zona. Che delusione! Supponevo che in aziende private così dinami- ' che come la Van Gogh tutti mettessero il massimo impegno nell'espletare il proprio lavoro; invece no. I Sassi, i Pian, i Milani erano ben pochi. E poi chissà se i funzionar! avevano capito l'importanza dei "ponti acustici"; da quel che avevo constatato durante il corso era più possibile di no che di sì. Malagui, che dopo la mia impennata si comportava con una gentilezza addirittura eccessiva e aveva perso quella sua aria di grand'uomo, mi condusse in un altro cantiere di una zona residenziale dove il fabbricato in costruzione non era molto grande. L'imprenditore progettista e direttore dei lavori era un'architetto sui sessantenni con aria distin- ta e calma e dei bellissimi capelli completamente bianchi. Che differenza fra i due cantieri! Qui tutto nella posa del SUPER V.G. era curato nel dettaglio e in aggiunta era stata posta una cura particolare nell'isolare i pilastri e le condot- te idrauliche. L'architetto era un appassionato dei proble- mi termoacustici e immediatamente fra noi si creò un cli- ma di simpatia e di stima. Trascurando completamente Ma- lagui, parlammo a lungo di quegli argomenti che affascina- vano entrambi e di altri inerenti alla costruzione in genera- le. Che piacere poter incontrare persone così e che gioia po- ter svolgere bene il lavoro che si è scelto. Una delle maggio- ri fortune dell'uomo è quella di esercitare un'attività che gli piaccia totalmente e nella quale si realizzi! Il resto della giornata passò fra il pranzo, un'altra visita e alcune ore trascorse nuovamente nell'ufficio del settore Lombardia dove conversai con il dottor Bacci che mi mise al corrente dell'attività e dei problemi attinenti alla sua zo- na e delle relative percentuali di vendita. 202 . La mattina successiva Malagui venne a prelevarmi in al- bergo per condurmi a Bergamo dove era prevista l'ultima visita del mio soggiorno milanese. Era una splendida giornata, anche il freddo non era più così pungente come nei giorni precedenti. Da Corso Sem- pione ci immettemmo nel solito rondò e poi nell'autostrada Milano Broscia che percorremmo tutta d'un fiato sulla ve- locissima auto del funzionario che costituiva indubbiamen- te il suo vanto. Giunti a Bergamo ci fermammo nella più commerciale città bassa e in una strada lunga e stretta posteggiammo davanti a una specie di negozio dove una modesta insegna indicava: Vittorio Mazzacurati - Rappresentanze Edili. En- trammo in una sala profonda e con alte volte a botte che aveva come pavimento uno sbiadito linoleum e lungo le pa- reti su panchetti di legno un'infinità di campioni di prodot- ti per l'edilizia, come mattonelle, rivestimenti, apparec- chiature igienico-sanitarie e tutta la gamma dei prodotti Van Gogh. Un uomo anziano grasso e grosso ci accolse con giovialità; era l'agente di Bergamo. Ci pregò di attenderlo, mentre continuava a intrattenersi con un paio di clienti che più che imprenditori sembravano commercianti ortofrutti- coli. In fondo al locale vi era una parete di legno e vetri che delimitava la zona riservata ad ufficio da dove venne fuori una formosa ragazza bruna con la quale Malagui iniziò su- bito a scambiare una serie di pepate battute. Notai con pia- cere che la ragazza, davvero bella e provocante, scherzava con Malagui, ma guardava me e cercava in tutti i modi di coinvolgermi. Mi sentii improvvisamente eccitato e dimen- tico dello scopo per il quale ero lì, partecipai attivamente e incominciai a fare progetti su di lei, anche se sapevo che non erano realizzabili, a meno che non fossi rimasto per più tempo a Bergamo e da solo. Ormai la carica e l'interesse che mi avevano tenuto avvinto per tutti quei giorni solo al lavoro si era esaurita, forse influenzato dal comportamento menefreghista del geometra e da quello disteso di Mazzacu- rati. 203 Più tardi distrattamente seguii la descrizione che il gros- so agente mi diede della sua attività e della organizzazione che era adatta a un piccolo centro e non a una grande città. Mi chiarì che lì gli imprenditori più che essere visitati gra- divano visitare e prendere diretta visione dei campioni dei prodotti. Andammo a pranzo e consumammo un abbondante e gu- stoso pasto, ma purtroppo la bella non era con noi e la con- versazione dei miei ospiti non mi interessava minimamen- te. Si trattava di misere persone, di mestieranti del lavoro e non certo di seri e impegnati professionisti. Ancora una vol- ta mi resi conto che non è il ruolo che ha importanza, ma quasi sempre è l'individuo che nobilita il ruolo. Nel tardo pomeriggio ritornammo a Milano, mi feci la- sciare in piazza della Repubblica e, dopo essermi recato a salutare Milani, presi il "letto" per Napoli. Anche il secondo viaggio a Milano era terminato. I risul- tati erano stati in ambedue le volte positivi, ma in misura ben diversa. In questo addirittura esaltanti per la mia figu- ra di lavoratore e il mio intelletto che si era rivelato anche a me più efficiente di quanto pensassi. Basta, per comprendere le proprie misure, trovare le giu- ste sollecitazioni! 204 | |
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| Titolo: Re: L'INSERIMENTO dal cap X al cap. XX | |
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